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Dall'ecografia alla farmacologia: Bernard Stiegler e Ars Industrialis

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di PAOLO VIGNOLA

Quando Derrida e Stiegler pubblicarono Ecografie della televisione era la metà degli anni Novanta, periodo in cui molti filosofi decisero di dedicare le proprie riflessioni al tubo catodico, e in quel libro i due autori, in linea con l'orientamento generale, ragionavano sulle trasformazioni sociali e politiche prodotte dal progresso «teletecnologico». I cambiamenti conseguenti a questa inedita esplosione mediatica, che comprendeva anche la prima dimensione autenticamente pubblica di Internet, riguardavano innanzitutto il processo di democratizzazione su scala globale[1] nonché, parallelamente ad esso, il fenomeno di omogeneizzazione culturale causato in primo luogo dall'egemonia del mercato nello sviluppo della globalizzazione.

L'obiettivo etico politico principale di Ecografie della televisione, condiviso dai due autori, era quello di promuovere al tempo stesso l’interattività mediatica e le armi critiche, necessarie agli individui per non soccombere di fronte alla potenza tecnologica. Per fare ciò, Derrida e Stiegler ritenevano necessario partire da un processo di alfabetizzazione riguardante la tecnica delle immagini televisive, dei software e dei dispositivi digitali, al fine di costruire una rete di vigilanza o di opposizione nei confronti dell'omologazione culturale indotta dalla globalizzazione.

A dire il vero, trattandosi perlopiù della trascrizione di un lungo dialogo-intervista, Ecografie della televisione mostrava sì il piano comune ai due filosofi (e d'altronde l'armamentario concettuale che Stiegler esibiva era in buona parte mutuato da Derrida), ma al tempo stesso evidenziava anche due tensioni critiche differenti e quindi due diversi modi di ecografare le tecnologie mediatiche. Se, infatti, la prospettiva etica derridiana coglieva l'occasione per rilanciare il tema dell'ospitalità incondizionata di fronte e in opposizione ai fenomeni collaterali della globalizzazione, come i neo-nazionalismi e la sempreverde xenofobia, il ragionamento di Stiegler ruotava attorno al ruolo della tecnica che, nella sua dimensione industriale, andava attualizzandosi attraverso la produzione e la proliferazione di dispositivi mediatici e informazionali. Tale attenzione si concentrava in particolare sullo «sviluppo dei media analogici e digitali come processo di delega dei saperi nei dispositivi tecnici, come espropriazione del sapere degli individui verso il sistema tecnico», vedendo in questa espropriazione l'effetto «dell'installazione dell'industria mondiale di produzione di simboli e di memoria cominciata dopo il 1945, che piega tale memoria alla legge industriale generale, la quale impone che ci siano da una parte i produttori e dall'altra i consumatori»[2]. In questo senso, se la televisione aveva riprodotto uno schema che opponeva produzione e consumazione, le nuove tecnologie digitali avrebbero offerto la possibilità di modificare tale rapporto solo se, sul piano politico, pubblico e culturale, l'umanità fosse riuscita a contrastare le logiche più miopi e nocive del mercato[3]. Si trattava e si tratta ancor oggi di logiche miopi nel vero senso della parola, dato che a caratterizzare gli investimenti del capitalismo finanziario era ed è l'orizzonte del breve termine, e dunque l'incapacità, dettata dall'incuria e dalla mancanza di coraggio, ossia di motivazione etico politica, di guardare il mondo in prospettiva, immaginando un futuro sostenibile per l'umanità:

«Il mercato calcola, è essenzialmente un sistema di calcolo, cioè di ammortamento con il calcolo. […] Il problema che si pone con il mercato, per quanto esso possa essere indispensabile alla democrazia, [è] la sua tendenza a votarsi al breve termine, a sottomettersi agli imperativi del profitto a breve termine»[4].

Gli investimenti a breve termine, nell'ottica di Stiegler, si rivelano essere dis-investimenti, tanto sul piano più strettamente economico quanto su quello sociale nonché sul piano libidinale, poiché implicano non solo la rinuncia a reali progetti di crescita, ma anche forme di opportunismo barbaro e senza scrupoli nei riguardi delle generazioni future. Verrebbe cioè a mancare l'investimento libidinale come sublimazione del desiderio in favore della socialità, della philia come legame che regge la vita della polis – eccoci già inseriti in una delle tematiche centrali di Reincantare il mondo. Il valore spirito contro il populismo industriale.Prima però di addentrarci negli argomenti del libro che si sta presentando, è utile evidenziare, anche se rapidamente, la cifra caratteristica del pensiero generale di Stiegler.

Parallelamente alle riflessioni condotte assieme a Derrida, sappiamo che Stiegler in quegli anni aveva già iniziato ad elaborare una propria prospettiva filosofica, testimoniata innanzitutto da La Technique et le Temps 1. La Faute d'Ephimetée[5], nel quale diversi concetti derridiani incominciano ad essere rielaborati all'interno di un discorso in cui è centrale il rapporto tra episteme, techné e costruzione sociale dell'umano per quanto riguarda il tempo, lo spazio e la soggettività. È perciò una prospettiva di filosofia della tecnica quella che indirizza il contributo di Stiegler alle Ecografie, testimoniata dall'affermazione critica secondo cui «nella tradizione occidentale, praticamente finora, la tecnica è stata pensata essenzialmente sotto la categoria del mezzo, ovvero come pura strumentalità che non partecipa in se stessa alla costituzione dei fini»[6]

In questo senso, Stiegler passerà dalla grammatologia derridiana a quella che egli stesso definisce grammatizzazione, ossia alla costruzione dell'umano attraverso la tecnica (in particolare tecniche di discretizzazione e di esteriorizzazione della memoria). Per l'autore di Reincantare il mondo,si tratta di un processo che, nel corso della storia dell'umanità, si è sempre più esteso e intensificato, facendo sì che, oggi, la stragrande maggioranza dei comportamenti umani vengano formalizzati e resi «discreti», al fine di poter essere previsti e perfino riprodotti. Per Stiegler infatti, nella nostra società – da lui definita «iperindustriale» – tutte le forme e le modalità di esistenza degli esseri umani sono oggetto di investimento, di calcolo e di razionalizzazione.

Un altro passaggio teorico, da Derrida a Stiegler, e complementare al primo, è quello che va dalla “scoperta” derridiana del pharmakon, quale funzione destabilizzante della scrittura all'interno della tradizione filosofica irretita nella «metafisica della presenza»[7], alla farmacologia positiva, intesa come strategia politica di trasformazione delle tecnologie – mediatiche, cognitive, relazionali – oggi velenose per i processi di soggettivazione, in autentico rimedio e fonte di potenziamento dei legami, del sapere e dell'intelligenza collettiva. Si tratta perciò di una farmacologia che non è solo decostruttiva, come potrebbe essere appunto quella derridiana, bensì anche costruttiva, propositiva – una volta che il veleno delle tecnologie viene portato alla luce attraverso una critica puntuale di quelle che Stiegler, proseguendo un passo oltre la fenomenologia husserliana, definisce le ritenzioni terziarie, vale a dire le forme di selezione del vissuto mediate dalle tecnologie. Spieghiamoci meglio. Nella prospettiva stiegleriana, le tecnologie attuali si caratterizzano per la produzione, su scala industriale e globale, di “oggetti temporali”, così definiti da Husserl[8] in quanto costituiti essenzialmente dal tempo del loro svolgimento. La caratteristica di tali oggetti è di essere formati da ritenzioni del passato e protensioni verso il futuro, e creano perciò un continuum come flusso che di fatto coincide con il flusso della coscienza di cui sono oggetto. A partire da tale coincidenza, riscontrata da Husserl, Stiegler suppone che gli oggetti temporali possano modificare i meccanismi della coscienza, influenzandoli o controllandoli. Questo perché guardando un film, una trasmissione televisiva o radiofonica, la coscienza adotta il tempo di tali oggetti. Dai fotogrammi alla scrittura, dalle sinfonie musicali ai loghi del mercato, questi oggetti di supporto della memoria sono di fatto pubblicazioni delle ritenzioni secondarie di cui parlava Husserl e, nel lessico di Stiegler, divengono perciò ritenzioni terziarie. Se infatti Husserl, all’interno dei processi della coscienza, distingueva due tipi di ritenzioni, di cui le primarie sarebbero quelle che ci permettono di trattenere parti del vissuto (percezione) mentre le secondarie consisterebbero nel far “riapparire” qualità di cose del passato (ricordo), Stiegler concepisce le registrazioni di oggetti temporali come una terza forma di ritenzioni, in grado di sovradeterminare le relazioni tra le prime due. Se le ritenzioni secondarie erano ricordi legati alle ritenzioni primarie già vissute, le ritenzioni terziarie[9] rappresentano le forme oggettive e pubbliche del ricordo. In questo senso, cellulari, lettori mp3, tablets, netbook, ecc. sono le nuove forme di hypomnémata che costellano le nostre vite quotidiane e rendono conto del carattere industriale che accompagna l'economia egemone nella società “delle reti” o ''dell'informazione'', quella del cosiddetto capitalismo cognitivo e dei servizi alla persona.

Ora, la critica degli hypomnémata e delle ritenzioni terziarie che questi producono, in termini di controllo, di captazione dell'attenzione, di ipersollecitazione e di depotenziamento delle attività sociali, cognitive e libidinali è ciò che Stiegler definisce farmacologia negativa. In questo senso, la farmacologia è prima di tutto critica. La farmacologia positiva consiste invece nell'inventare, proprio tramite questi hypomnémata, forme eutilizzi delle ritenzioni terziarie capaci di rovesciare quelli oggi all'opera, che producono i “malesseri” appena citati. Come vedremo tra poco, questa farmacologia positiva deve cioè individuare in quale modo le ritenzioni terziarie possano favorire lo sviluppo del sapere individuale e collettivo, dunque della socialità. Per farlo, alla farmacologia spetta il compito di impadronirsi, “dal di dentro”, delle tecnologie e delle pratiche – politiche e commerciali – che accompagnano e guidano gli hypomnémata e le ritenzioni terziarie, in modo tale da poter sviluppare processi tecnologici alternativi a quelli esistenti, e cioè indirizzati alla condivisione dei saperi, alla salvaguardia delle risorse e all'incremento dell'intelligenza sociale. Ora, è proprio la filosofia, per Stiegler, a dover mettersi al lavoro, contribuendo con i propri concetti, sul piano politico, sociale ed economico, nonché con la pratica effettiva all'interno dello stesso ambiente tecnologico, allo sviluppo sociale dei prossimi decenni. Se, insomma, per Stiegler la filosofia è sempre stata, in qualche modo, una farmacologia negativa, nel XXI secolo la pratica filosofica deve saper essere anche una farmacologia positiva.

Riassumendo allora il senso del percorso stiegleriano nel suo proseguire la teoria di Derrida allontandosi da essa, possiamo affermare che, imprimendo ai concetti derridiani di grammatologia e di pharmakon un forte senso politicamente propositivo, Stiegler abbia manifestato la serena volontà di elaborare una filosofia capace di «passare all'atto»[10], di sporcarsi le mani nel lavorare per – e nello scommettere su – un futuro industriale e tecnologico sostenibile, vale a dire in grado di garantire e implementare le relazioni sociali e i processi di soggettivazione.

Da questa volontà, condivisa con altri pensatori e studiosi, nasce il progetto di Ars Industrialis, l'associazione di cui Stiegler è presidente e uno dei fondatori. In particolare, l'ambizione di Ars Industrialis è quella di essere “un'associazione internazionale per l'ecologia industriale dello spirito”, che sappia coniugare critica teorica e proposta programmatica su tutti i piani del sapere, a incominciare dalle scienze umane. Come recita il Primo Manifesto dell'Associazione, pubblicato nel 2005, Ars Industrialis «è stata creata per trovare le nuove armi filosofiche necessarie a questa battaglia politica, e per inventare le azioni politiche che permetteranno di padroneggiarle»[11]. Perciò, «affermando la possibilità di una politica industriale dello spirito», la politica di Ars Industrialis «si assegna anche il ruolo di lottare contro questa tendenza autodistruttiva del capitalismo, contribuendo all'invenzione di pratiche di tecnologie dello spirito che ricostituiscano degli oggetti del desiderio e delle esperienze della singolarità»[12].

Quanto Stiegler e Ars Industrialis tengano alla parola esprit, intendendola proprio come spirito, è quello che Reincantare il mondo riesce bene a mostrare – fin dal sottotitolo: Il valore spirito contro il populismo industriale. Come per Paul Valery, che ispira l'argomentazione stiegleriana fin dalle prime pagine del libro, lo spirito è un valore; non tanto nel senso morale del termine, ma precisamente in quello economico-ecologico, come economia-ecologia delle relazioni, delle facoltà cognitive, dell'ambiente sociale, culturale e tecnologico. Ecco perché, dal 2005 al 2010, Ars Industrialis, affinando e integrando il proprio punto di vista, è arrivata a ipotizzare un nuovo modello economico, in senso lato, che sarebbe capace di far fronte ai problemi che il capitalismo attuale, caratterizzato dall'egemonia finanziaria, ha posto e non riesce a risolvere – primo fra tutti, quello relativo alla crisi economica, politica e sociale iniziata nel 2007. Questo nuovo modello è stato definito da Ars Industrialis «l'economia della contribuzione», e si caratterizza innanzitutto per la capacità di generare esternalità positive sotto forma di cure del sé e della collettività – ossia di attenzioni nei confronti delle relazioni interpersonali, dello scambio e della diffusione dei saperi, nonché della salvaguardia delle capacità di analisi critica dell'esistente. L'economia della contribuzione, che resta ancora solo abbozzata e che si caratterizza più che altro per il suo carattere etico e filosofico, ha come riferimento le pratiche dell'informatica relative all'open source e all'etica hacker; in questo senso, il suo obiettivo è il raggiungimento di una dimensione realmente partecipativa della sfera sociale, attraverso una trasformazione delle pratiche comunicative, culturali e relazionali che sappia sfruttare in positivo il dispiegamento delle reti digitali e contrastarne gli effetti collaterali – tra cui il malessere generalizzato, l'impoverimento delle capacità affettive e cognitive, i rischi globali legati alla povertà e all'inquinamento. Ecco allora alcuni passaggi del Manifesto del 2010:

«La crisi planetaria esplosa nel 2007 tramite l'affossarsi del sistema dei mutui subprime non finisce di estendere le sue conseguenze calamitose. Se le tecniche finanziarie di diluizione della responsabilità hanno fatto da catalizzatore della crisi, essa non riguarda solo il capitalismo finanziario diventato essenzialmente speculativo, cioè tossico – in quanto ha giocato essenzialmente, nei suoi investimenti, il corto termine contro il lungo termine. In modo molto più generale, e molto più grave, si tratta della crisi del modello consumista che, basandosi sin dagli inizi del XX secolo sulla strumentalizzazione del desiderio [...], conduce inevitabilmente alla distruzione dello stesso desiderio. […] La crisi planetaria, che segna la fine della mondializzazione intesa come planetarizzazione del modello consumista, ci mostra che la distruzione del desiderio attraverso il suo sfruttamento consumistico conduce inesorabilmente alla rovina dell'investimento in tutte le sue forme – e, in particolare, nelle forme dell'investimento economico, politico e sociale, che fondano l'economia politica – e che c'è un legame sistematico tra il comportamento pulsionale dello speculatore e quello, anch'esso pulsionale, del consumatore. Il disinvestimento è la conseguenza massiva del corto-termismo neoliberale di cui la crisi rivela da tre anni gli effetti mortiferi.

[…] Oggi, nel 2010, a partire dagli insegnamenti della crisi, ma anche a partire dalle nuove pratiche che si stavano sviluppando ben prima di questa crisi – e contro ciò che ha causato questa crisi –, è possibile ricostituire un progetto portatore di una nuova affermazione del ruolo della potenza pubblica, che consisterebbe nel fare del divenire tecnico un avvenire sociale.

[…] La fine del consumismo è la fine della mondializzazione in quanto essa è consistita essenzialmente nel cortocircuitare e in fondo nel disintegrare letteralmente i territori. Le tecnologie relazionali e reticolari, per quanto siano l'oggetto di una politica territoriale, nazionale e internazionale appropriata, costituiscono invece delle tecnologie della riterritorializzazione. Il territorio è uno spazio di esternalità positive e negative che i suoi abitanti conoscevano – e di cui hanno un sapere irrimpiazzabile. Il territorio è per questo motivo il terreno privilegiato della deproletarizzazione politica – della lotta contro la proletarizzazione del cittadino diventato unicamente consumatore, fenomeno che ha sistematicamente rinforzato il marketing politico, fornitore di prodotti elettorali sempre più mediocri.

[…] La post-mondializzazione non è un ripiegamento territoriale: è al contrario l'iscrizione del territorio in una reticolarità planetaria attraverso cui poter aumentare il numero dei propri alleati ad ogni livello, dalle relazioni interpersonali a quelle interterritoriali»[13].

Desiderio del mondo

A dispetto di alcuni titoli ''apocalittici'' delle sue pubblicazioni – come La misère symbolique o Mécréance et miscrédit – e delle analisi fortemente critiche per le quali, sebbene ancora poco tradotto[14], è conosciuto anche in Italia, Stiegler esibisce sicuramente una serena volontà di trasformazione teorica dell'orizzonte contemporaneo, prendendo come bersaglio critico l'ignoranza in quanto fenomeno socialmente prodotto dalla logica del consumo e dando vita a un'autentica filosofia della tecnologia molto informata e attenta anche alle più recenti innovazioni tecnologiche. In questo senso, anche se passa attraverso una feroce critica degli effetti tossici sulla soggettività prodotti dall'industria culturale, dai media e dal consumismo, l'elaborazione teorica di Stiegler non cade mai in visioni esclusivamente catastrofiche, che risultano in definitiva sterili per una ricognizione tecnico-sociale del presente e una costruzione etico-politica del futuro prossimo.

In particolare, la proposta che Stiegler formula nel testo che qui presentiamo è quella di un reincanto del mondo, da intendersi come la costruzione di un'alternativa all'esito più nefasto del disincanto del mondo di cui Max Weber, a inizio Novecento, ha saputo descrivere i tratti più salienti[15]. Se il disincanto del mondo è l'esito del processo che consiste nel crescente predominio delle logiche di efficienza e produttività e nella fiducia nel fatto che tutti i fenomeni possano essere dominati dalla ragione, in modo tale che l'umanità abbia gradualmente epurato i propri comportamenti e le proprie convinzioni da ogni riferimento a spiegazioni magiche, metafisiche e religiose, per Stiegler tale disincanto si è rivelato sempre più nocivo a misura della costante e pressoché illimitata ipertrofia delle nuove tecnologie. Si rende perciò necessario

«un nuovo progetto industriale che bisogna inventare e che miri a intensificare la singolarità in quanto incalcolabile, socializzando dei dati che non possano essere ridotti a oggetti di un mero calcolo economico. Si tratta di inventare l'industria del calcolo che impedisca di calcolare (sul)le esistenze – ma inventarla con gli strumenti digitali. Si tratta, in effetti, di reincantare il mondo, ossia di edificare i modi di sussistenza e di esistenza che sostengono l'altro piano, il piano delle consistenze, che è quello del canto – di quelle Sirene senza le quali non c'è nulla»[16].

Assunto di partenza di Reincantare il mondo è che «non esiste futuro al di fuori di un divenire sempre più industriale del mondo»[17] e tale considerazione, che è anche il principio cardine di Ars Industrialis, sottende due istanze critiche. Da un lato, pungola i sostenitori della decrescita economica in quanto prospettiva non solo difficilmente realizzabile ma anche, e soprattutto, politicamente e socialmente debole; dall'altro, mette in evidenza il “doppio fondo” del cosiddetto processo di deindustrializzazione, dal momento che «la deindustrializzazione è una nuova organizzazione della divisione industriale del lavoro, che consiste nel trasferire i mezzi di produzione nei paesi in cui la manodopera è più a “buon mercato”»[18]. Il capitalismo odierno, per Stiegler, è un capitalismo iperindustriale, in quanto ogni ambito della vita umana e sociale è non solo stato raggiunto, ma risulta continuamente stimolato e modulato da strumenti, prodotti, servizi o programmi sempre e comunque forniti dalla sfera industriale. In tal senso, questo rapporto tra produzione industriale ed esistenza, o tra iperproduzione e iperconsumo, è definito da Stiegler anche come capitalismo di servizi, il quale «fa di tutti i segmenti dell'esistenza umana degli oggetti di controllo permanente e sistematico dell'attenzione e del comportamento»[19] e questo avviene, in primo luogo, per mezzo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, dalla televisione a Internet, dai telefoni cellulari alle carte di credito e ad ogni sorta di micro-chip.

«Il reincanto del mondo presuppone di farlo uscire dall'epoca dei milieux dis-sociati, ossia di quegli ambienti in cui la separazione delle funzioni di produzione e consumo priva i produttori e i consumatori dei loro saperi, vale a dire delle loro capacità di partecipazione alla socializzazione del mondo attraverso la sua trans-formazione. […] Reincantare il mondo significa farlo ritornare all'interno di un contesto di milieux as-sociati e ricostituire l'individuazione come associazione e concorso dialogico»[20].

Per Stiegler, le tecnologie dell'informazione e della comunicazione sono gli strumenti di quelle che Gilles Deleuze aveva definito le «società di controllo»[21]. Ad oggi, ci spiega l'autore, la funzione principale di tali tecnologie sembra in effetti essere quella di «controllare i tempi coscienti e incoscienti dei corpi e delle anime che li abitano, modulando mediante il controllo dei flussi questo tempo di coscienza e di vita»[22], per giungere a un valore economicamente calcolabile del tempo di vita dei soggetti (life time value). È evidente, sin da queste prime citazioni, che la nozione stiegleriana di “controllo” non rinvii principalmente all'immagine orwelliana di un Grande Fratello totalitario, o a quella del Panopticon di Bentham, descritta magistralmente da Foucault[23]. Si tratta piuttosto, coerentemente con l'analisi deleuziana, di un potere più “liberale” e, al tempo stesso, più profondo, molecolare. Per questo motivo, Stiegler introduce il concetto di psicopotere:

«Lo psicopotere è l'organizzazione sistematica di captazione dell'attenzione resa possibile dalle psicotecnologie che si sono sviluppate con la radio (1920), con la televisione (1950) e con le tecnologie digitali (1990). Essa ha raggiunto l'intero pianeta attraverso svariate forme di reti e generando una costante canalizzazione industriale dell'attenzione che ha recentemente provocato un massivo fenomeno di distruzione della stessa attenzione, quello che diversi nosologisti americani hanno definito attention deficit disorder»[24].

Stiegler pensa lo psicopotere come un aggiornamento del concetto foucaultiano di biopotere. La necessità di questo nuovo concetto sarebbe determinata dall'emergere non solo di nuovi territori in cui il biopotere viene esercitato, ma persino di nuove forme di potere legate alle tecnologie digitali. Così, se Foucault aveva saputo mostrare che le tecnologie del sé, in quanto tecniche di soggettivazione individuale, erano sempre anche tecniche di soggettivazione collettiva e quindi di organizzazione sociale, Stiegler ritiene che «Foucault non ha visto l'emergere della questione relativa allo psicopotere, in cui il marketing, attraverso lo sviluppo delle industrie di programmi, trasforma le psicotecniche del sé e dell'individuazione psichica in psicotecnologie industriali»[25].

Molto probabilmente, il giudizio di Stiegler sulle analisi foucaultiane è affrettato e perciò non tiene conto delle aperture al futuro che lo stesso Foucault si è preoccupato di disseminare nei suoi ultimi testi e corsi, e questo bisogna sottolinearlo non solo per non sminuire il lavoro del professore del Collège de France, ma anche per non cedere troppo alle suggestioni stiegleriane. Comunque, il concetto di psicopotere può sicuramente e proficuamente trovare un bersaglio critico nelle analisi di Derrick de Kerckhove, il quale considera le psicotecnologie in modo troppo ottimistico e senza alcuna teoria del potere che possa fare da filtro alla sua argomentazione. Se, infatti, de Kerckhove ha coniato il termine “psicotecnologia” per definire «qualsiasi tecnologia che emula, estende o amplifica il potere delle nostra mente […] penetrando e modificando le coscienze dei propri utenti»[26], tale trasformazione viene pensata dal mediologo belga solo in positivo, senza cioè preoccuparsi né degli effetti collaterali né tanto meno – cosa ancor più grave – della logica economico-politica che sostiene la produzione e la veicolazione di queste psicotecnologie.

Torniamo ora nel vivo della riflessione stiegleriana, e cioè sul tema del controllo, perché manca ancora qualcosa di molto interessante. Stiegler sottolinea come la società di mercato si riveli essere essenzialmente una società di controllo quando le logiche commerciali divengono l'unico criterio di guida e di accompagnamento dei comportamenti sociali. Il controllo consiste quindi nell'assistere l'evoluzione e la trasformazione dei comportamenti, degli affetti e delle relazioni che formano le trame delle individuazioni psico-sociali, indirizzandole e adattandole ai bisogni immediati del mercato. Possiamo leggerlo molto chiaramente nel Manifesto di Ars Industrialis del 2005 che, tra l'altro, fa parte integrante di Reincantare il mondo:

«[Il controllo] ha l'obiettivo di sistematizzare lo sviluppo delle applicazioni e degli utilizzi degli strumenti di calcolo, di comunicazione e di informazione al solo servizio di una massificazione dei comportamenti di produzione e di consumo a favore di interessi finanziari investiti a brevissimo termine e di grandi rendimenti nelle imprese industriali”  […]. Ora, questo controllo delle esistenze, che è un controllo e una manipolazione dei desideri degli individui e dei gruppi, giunge a distruggere le possibilità stesse – per questi individui e per questi gruppi – di esistere: e si può esistere solo come singolarità. Più precisamente, questo controllo distrugge il desiderio degli individui e dei gruppi – quel che a partire da Freud chiamiamo la loro energia libidinale»[27].

Tale fenomeno si palesa attraverso tecniche di assoggettamento che castrano l'immaginazione, in quanto catturano gli individui, depotenziano le loro affettività, li omologano e li riducono a uno stato di «miseria simbolica»[28], ossia alla «perdita di individuazione che proviene dalla perdita di partecipazione alla produzione di simboli, designanti tanto i frutti della vita intellettuale (concetti, idee, teoremi, saperi) quanto quelli della vita sensibile (arti, saper-fare, costumi)»[29]. Il paradosso di questa miseria simbolica è dato dal fatto che le cause di essa risiederebbero nella saturazione cognitiva e nell'ipersollecitazione degli affetti sviluppate dall'ipertrofia delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione. Ecco il senso “liberale” di questo controllo, che non viene esercitato censurando le idee o le espressioni, ma sollecitando qualsiasi genere di facoltà, a cominciare dall'attenzione:

«L'ipersollecitazione dell'attenzione e dei sensi genera perdita d'attenzione e insensibilità proprio come la saturazione automobilistica produce immobilità e paralisi urbana, quando invece l'automobile sarebbe fatta per aumentare la mobilità e la sua velocità. Allo stesso modo, le tecnologie di controllo degli affetti provocano la disaffezione e la dis-affettazione tramite saturazione affettiva – e bisogna qui parlare di dis-affettazione come si dice che un'officina è abbandonata [désaffecté]. Ora, così abbandonato, l'essere umano diventa incontrollabile»[30].

A differenza dei regimi totalitari del Novecento, le società di controllo non hanno tanto interesse nel captare il consenso, quanto nel captare l'attenzione: «le nostre coscienze sono sollecitate permanentemente con gli  i-Pods, i cellulari, e ora con la diffusione dei programmi televisivi sui cellulari. Siamo giunti a una captazione dell'attenzione degli individui pari quasi a dieci ore al giorno»[31]. La funzione specifica delle società di controllo si rivela allora essere quella di «sottomettere l'attenzione a una captazione integrale, di mobilitare tutto il ''tempo mentale'' disponibile, il che costituisce una distruzione dell'attenzione»[32]. Ci troviamo però, come anticipato, di fronte a un paradosso, poiché la captazione continua dell'attenzione provoca una perdita di attenzione generalizzata, e le società che si basano sul controllo finiscono per generare individui incontrollabili in quanto abbandonati a loro stessi. Stiegler ritiene che questi individui abbiano perso il senso dell'esistenza, il che starebbe a significare che essi “non credono più al mondo”.

Questa situazione paradossale rende conto della vera e propria deriva securitaria che possiamo osservare praticamente in tutti i luoghi ad alta frequentazione sociale, dalle stazioni ferroviarie o metropolitane agli aeroporti, dai grandi centri commerciali agli stadi. Possiamo perciò suggerire che se, secondo il ragionamento stiegleriano, le società di controllo generano individui incontrollabili, è per questo motivo che si sarebbero sviluppate con successo quelle che David Lyon ha definito società di sorveglianza[33].

Miseria simbolica e dis-individuazione

Ripartiamo dalla nozione di miseria simbolica che, nel senso più generale, sarebbe la «perdita di individuazione che proviene dalla perdita di partecipazione alla produzione di simboli» – una perdita di sapere come legame sociale, insomma. Ora, nella frase di Stiegler, sono condensati buona parte degli elementi che trainano l'elaborazione teorica di Reincantare il mondo: individuazione, partecipazione, perdita. È bene allora esplicitarne la provenienza e, nel fare questo, decomprimerne anche il contenuto, dato che una loro chiara esibizione non si ritrova in Reincantare il mondo, ma deve essere composta ricercandone le disiecta membra tra i numerosi libri pubblicati da Stiegler negli ultimi quindici anni. D'altro canto, sfogliando questo libro, ci si accorge facilmente dei continui riferimenti agli altri suoi testi che l'autore inserisce in nota; a ciò si aggiunge il fatto che sono numerose le note rinvianti a pagine interne dello stesso Reincantare il mondo. In questo modo, è come se Stiegler volesse non soltanto indicare al lettore, con una certa insistenza, gli utili approfondimenti di cui necessitano i concetti che descrive, ma anche costruire una rete ipertestuale per sfidare i limiti della stessa rappresentazione concettuale. Starà dunque al singolo lettore sperimentare questa rete, per comprendere cosa può trattenere al suo interno.

Venendo alla decompressione del contenuto, a cui facevo riferimento poco sopra, incominciamo  dalla nozione di individuazione, proveniente da Gilbert Simondon, il filosofo che non cessa mai di essere il punto di riferimento privilegiato del pensiero di Stiegler. Ora, se la perdita di individuazione, cioè la dis-individuazione, sembra essere causata in primo luogo dal potere dei media, vale a dire dalla tele-crazia, per comprendere tale fenomeno dobbiamo aver presente la teoria simondoniana del «processo di individuazione psichica e collettiva».

Per Simondon – che rovescia l'assunto tradizionale della filosofia politica moderna, basato sulla originarietà e relativa autonomia dell'individuo rispetto all'insieme sociale – l’individuo è solo il risultato parziale e provvisorio di una serie di operazioni di individuazione che avvengono nella dimensione collettiva, e tramite essa. Parziale perché esso non potrebbe esistere senza un ambiente, e provvisorio poiché il mutare delle proprie condizioni di esistenza può innescare un nuovo processo di individuazione. Ogni trasformazione, ogni transizione di fase rappresenta la soluzione ad un problema della fase precedente. L’individuo è, allora, la realtà di una relazione “metastabile”[34] e «il vivente è come un cristallo che mantenga attorno a sé, e nella sua relazione con l’ambiente, una permanente metastabilità»[35].

Un processo di individuazione psichica e collettiva è sempre al limite del disequilibrio o, appunto, in equilibrio metastabile, e tale condizione permette la trasformazione, ossia il passaggio da una fase di individuazione all’altra. Ora, per Stiegler, «l’individuazione è sempre al tempo stesso psichica e collettiva, ed è precisamente questo al tempo stesso che costituisce il sapere come tale, e come legame originario e indissolubile […]: è proprio nella misura in cui il sapere è sapere solo a condizione di una sua condivisione, del suo divenire-pubblico, che l’Io, come individuo psichico, non può essere pensato se non come appartenente a un noi, che è individuo collettivo»[36].

Il sapere perciò sarebbe capacità di «trans-individuazione»[37], dato che la trans-individuazione è ciò che lega lo psichico e il collettivo, e forma così il noi, ossia l’individuazione di una soggettività collettiva, ma trasforma anche lo stesso milieu sociale all’interno del quale possono crescere le singolarità. La trans-individuazione è quindi, al tempo stesso, formazione e trasformazione, ossia «un circuito all’interno del quale si formano dei segni, dei simboli, delle parole, degli oggetti sociali portatori di significato»[38].

Proprio in quanto metastabile, l’individuazione psico-sociale è soggetta a oscillazioni e può quindi essere pensata come dinamica di polarizzazione nella quale sono presenti due tendenze: verso la successiva individuazione o verso la dis-individuazione. Il pericolo legato alla miseria simbolica è proprio quello di una dis-individuazione regressiva in quanto perdita di quel sapere che lega lo psichico al collettivo: la perdita del sapere è perciò perdita della capacità di trans-individuazione.

Per Stiegler gli effetti della logica del consumo indotti dalla fase attuale del capitalismo sono assimilabili a un'intossicazione psichica, e tale intossicazione è indotta da fenomeni di saturazione, che coinvolgono le funzioni superiori del sistema nervoso come la concezione, la comprensione, la sensibilità e l'immaginazione, vale a dire la vita intellettuale, estetica  e affettiva[39]. Ora, se l'individuazione psichica è completamente ridotta alla logica del consumo attraverso la captazione dell'attenzione, secondo Stiegler l'individuazione collettiva – e dunque la “vita pubblica” – viene distrutta poiché l'attenzione è essenzialmente “prendersi cura degli altri”[40]: «Non esiste più alcun noi; esistono solo loro*, e il collettivo, che sia familiare, politico, professionale, confessionale, nazionale, razionale o universale, non è più portatore di alcun orizzonte: appare totalmente vuoto di contenuto»[41].

«Il capitalismo è un'economia libidinale che, generalizzando la dissociazione, distrugge il desiderio, vale a dire la libido in quanto energia: distrugge il sociale inteso come philia. [...] la libido, come energia, è ciò che ci costituisce: esaurire la libido significa esaurirci. Il capitalismo, allora, dato che generalizza i milieux dissociati, sembra essere diventato il principale fattore di distruzione del noi. Esaurire la libido è esaurire ciò che costituisce il legame sociale, a cominciare dal legame familiare. Esaurire la libido è distruggere quella philia che Aristotele pone a fondamento della città come civiltà, intesa qui come attenzione del singolo per gli altri, ossia come affezione politica»[42].

In La télécratie contre la démocratie, Stiegler evidenzia come, a partire dalla seconda metà del secolo scorso, la televisione si sia dimostrata il più forte processo di individuazione psichica e collettiva di referenza, gettando le basi per quella forma di potere che, in Italia, si è conclamata appunto come “telecrazia”[43].  Il problema sul quale Stiegler ci invita a riflettere riguarda il fatto che, «precisamente nel momento in cui la televisione è diventata il referente di tutti i processi di individuazione, si è rivelata costituire un fattore di dis-individuazione: un sistema per produrre delle identificazioni regressive, corto-circuitando i circuiti lunghi della trans-individuazione, e in particolare i circuiti politici che fondano la democrazia rappresentativa»[44]. Questo fenomeno, nel lessico stiegleriano, è la condizione del populismo industriale, che compare come l'avversario da battere nel sottotitolo di Reincantare il mondo. Prima ancora di essere mediatico, come è stato battezzato qui in Italia, il populismo, in quanto corto-circuitamento della democrazia e veicolazione di pulsioni, poggerebbe su di una logica industriale tipicamente novecentesca. Nell’ottica stiegleriana, infatti, il senso politico di ciò che è industriale – sia esso la società nel suo insieme, oppure i dispositivi tecnologici o le industrie di servizi – va ritrovato, in ultima analisi, nel modello della divisione sociale di separazione della produzione dalla consumazione. Ed è questa separazione, che ritaglia ogni esistenza, la radice della proletarizzazione del XXI secolo, quella che colpisce, sul piano dei saperi – teorici, pratici ed etici – tanto i produttori quanto i consumatori.

In questo senso, la perdita di individuazione, causata in larga misura dalla telecrazia, incrocia il fenomeno di de-politicizzazione, inteso come venir meno dei legami sociali che spingono alla partecipazione ai problemi della polis, e quello dell’ignoranza, se con essa ci riferiamo innanzitutto a un insieme di povertà – espressive, simboliche, culturali – che limitano l’accesso dei soggetti alla condivisione dei saperi. Tali povertà, socialmente prodotte attraverso l'ipertrofia delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, sarebbero l'esito di quello che Stiegler ha definito il capitalismo pulsionale (lato oscuro del capitalismo di servizi), che «consiste prima di tutto nel deviare verso la televisione il processo d'identificazione primaria attraverso il quale i bambini ereditano dai loro genitori le capacità di diventare ciò che sono, ossia di regolare le loro identificazioni secondarie»[45], in vista della costruzione della propria soggettività e della rete di relazioni che possono determinare la loro esistenza all'interno di una collettività.

In definitiva, l’operazione di Stiegler risiede nel compendiare la struttura del processo di individuazione psichica e collettiva con la teoria freudiana dell’identificazione attraverso la sublimazione. Ciò che osserva Stiegler, è che l'individuazione e l'identificazione come processi positivi si trovano ad essere rovesciati: ecco l'effetto perverso della captazione dell'attenzione, che conduce al regno dell'ignoranza. Così, se Freud ha definito l’identificazione primaria come l’interiorizzazione, da parte del bambino, del modello genitoriale, e le identificazioni secondarie come la formazione della personalità adulta attraverso l’adozione di oggetti affettivi, di attaccamenti, legami e forme di sublimazione, Stiegler vede nel marketing e nella televisione i nuovi “genitori” della soggettività[46]. Questi ultimi strapperebbero i figli ai loro genitori naturali sul piano dell’identificazione, con la differenza che dietro le loro immagini non c’è alcun esempio concreto da seguire, ma soltanto il baratro della soggettivazione, l’assenza di legami nonché il depotenziamento della sensibilità, della conoscenza, dell’intelligenza collettiva e delle forme simboliche. Si può leggere e riscontrare la forza di questa denuncia nei confronti della telecrazia anche in Reincantare il mondo:

«La televisione è diventata pulsionale – braccio armato di un capitalismo diventato anch'esso pulsionale e tendente al divenire-barbaro e intrinsecamente debole, irresponsabile nonché letteralmente decerebrato sotto la pressione della finanziarizzazione – essa ci ha condotto a degli estremi che nessuno avrebbe potuto immaginare anche solo dieci anni fa: siamo giunti ai bordi del peggio»[47].

Proletarizzazione e disapprendimento

Possiamo pensare a Reincantare il mondo come a una versione aggiornata, al tempo stesso più critica e più propositiva, di quel rapporto sul sapere che Lyotard, a suo tempo, aveva stilato nella Condizione postmoderna. In tal senso, la riflessione iniziale di Stiegler, mutuata da Simondon, è che una società, una collettività o un singolo soggetto si individuano sempre mediante l'adozione di schemi, linguaggi, simboli, culture esistenti e quindi, in generale, saperi, modificandoli e trasformando al tempo stesso l’ambiente, il milieu nel quale vivono. La partecipazione dei singoli a  tale trasformazione genera associazione all’interno del milieu, che sarà quindi un milieu associato[48]. Ora, per Stiegler, «lo sfruttamento industriale dell’attenzione e del desiderio suppone una dissociazione in cui, come in tutto il resto delle attività industriali, produzione da una parte e consumo dall’altra sono funzioni separate»[49]. In questo senso gli ambienti creati dalle tecnologie dell’informazione e della comunicazione sono milieu dissociati.

Non solo, ma all'interno del modello della divisione sociale del lavoro si produce la proletarizzazione tanto dei consumatori quanto dei produttori, ed essa non si manifesta soltanto nella spoliazione generalizzata dei saperi ma, cosa più importante, anche nell’impossibilità strutturale di una nuova appropriazione. Tale è l'effetto della generalizzazione di un modello di economia basato sull'erogazione di servizi, ossia sulla preoccupazione di offrire in continuazione prodotti materiali e immateriali per ogni più microscopico aspetto dell'esistenza – dall'industria culturale agli elettrodomestici, dalle ormai innumerevoli applicazioni degli smartphone ai personal trainers. Se Stiegler ha parlato di capitalismo di servizi, è perché «il servizio è qui ciò che consiste nel prendere in carico il tempo individuale in quanto tale, nel sollevare da ogni responsabilità l'individuo nei confronti del proprio tempo e a distrarre il consumatore che l'individuo è diventato (come quel servitore molto particolare che era il buffone, il cui incarico era di distrarre il re)»[50]. Come anticipato prima, è questo il «regno dell’ignoranza», che minaccia dall’interno la società dell’informazione, proprio quando essa si prefigge di raggiungere l’ideale della “società dei saperi”. La cosiddetta economia della conoscenza dunque

«generalizza un processo di proletarizzazione in cui i produttori hanno perduto il loro saper fare, mentre i consumatori hanno perso il loro saper vivere. In tale processo, la vita ha allo stesso modo perduto ogni sapore, se è vero che i saperi sono ciò che, in quanto sapere, rende il mondo sapido, e se è vero il contrario: un mondo, considerando che un mondo non fa mondo che a condizione di essere sapido, è ciò che suppone dei saper-essere-al-mondo – che chiamiamo precisamente dei saper-vivere»[51].

L'analisi di Stiegler ci mostra perciò come il regno dell’ignoranza stia diventando così esteso da essere in grado di assillare anche i discorsi emancipativi, cioè di resistenza biopolitica della soggettività lavorativa, sul capitalismo cognitivo. Nell’ottica stiegleriana, la realizzazione del capitalismo cognitivo risiede nel controllo dei saperi e nella loro integrazione funzionale mediante le tecnologie della comunicazione, il design e il marketing. Come nelle «società di controllo» deleuziane, sono precisamente il marketing e il design a controllare «i saperi della concezione [conception]: a monte della produzione, c’è la concezione (design in senso lato), fonte dell’innovazione e nuova età del concetto»[52]. Il controllo dei saperi è di fatto una loro surcodificazione in base agli imperativi della produzione, la quale a sua volta è sottomessa alle prescrizioni della finanziarizzazione: questa, per Stiegler è la via che conduce al «grado zero del pensiero» nel regno dell’ignoranza.

Per comprendere meglio questo aspetto è bene soffermarsi sul concetto di proletarizzazione. Per il filosofo francese, la proletarizzazione è una dis-individuazione nella misura in cui è proletarizzato chi perde il proprio sapere: «Il produttore proletario perde il suo saper-fare, passato nella macchina, e diviene pura forza lavoro; il consumatore proletario perde il suo saper-vivere, divenuto modo di impiego, e non è più che un potere d'acquisto»[53]. La proletarizzazione è perciò una privazione del sapere, ossia un disapprendimento (désapprentissage). Ora, questo concetto ha una duplice valenza. Da un lato, infatti, il disapprendimento è un concetto intrinsecamente politico, poiché denuncia gli effetti del capitalismo attuale, dall’altro lato decostruisce un aspetto della teoria ‘‘militante’’ del capitalismo cognitivo e del post-operaismo. Infatti, secondo l'analisi di Ars Industrialis presente nel Manifesto del 2010, «i lavoratori intellettuali del capitalismo a dominanza cognitiva, le cui funzioni sono sempre più destinate a parametrare dei sistemi di informazione di cui essi non possono modificare i principi (poiché sovente li ignorano), subiscono anche una proletarizzazione delle funzioni cognitive superiori, in cui ciò che viene perso è la vita mentale, dello spirito, in quanto istanza critica, ossia razionale»[54] e politica. Si presenta perciò un autentico problema della soggettività politica e di quello che è stato definito il «sapere vivo»[55].

Concentrandoci sul problema del disapprendimento, possiamo dunque individuare alcuni sintomi riguardanti la “salute” del sapere in quanto bene comune e questo ci costringe a fare i conti con la corruzione e il depotenziamento a cui può andare incontro l’intelligenza collettiva[56] o la forza lavoro cognitiva. A tal proposito, è utile ricordare che, per i teorici del capitalismo cognitivo[57], sebbene lo spostamento dell’asse produttivo sul versante intellettuale, cooperativo, simbolico, affettivo e relazionale non significhi affatto una diminuzione dello sfruttamento o un livellamento della divisione sociale[58], la soggettività lavorativa può trovare nuove risorse di conflittualità attraverso l’appropriazione di quel “sapere vivo” messo al lavoro. Le analisi di Stiegler ci mostrano invece come il potenziale cognitivo, per via della proletarizzazione generalizzata dei saperi, rischi di non potersi tradurre né in conflittualità né in costruzione di soggettività.

Di fronte a questa proletarizzazione, secondo Stiegler, si rende oggi necessaria una critica che sappia discernere la strumentazione dei saperi dalla loro strumentalizzazione, riconoscendone comunque il rapporto. Se infatti per la costruzione, la veicolazione e la “formattazione” del sapere è necessaria una sua strumentazione – ossia dotarsi di strumenti adatti a tali scopi –, le nuove tecnologie di scrittura e archiviazione (hypomnémata) digitali non si limitano ad essa, ma inducono anche una strumentalizzazione dei saperi. Tale strumentalizzazione consiste nel rendere dipendenti dagli strumenti materiali, dalle tecniche di disciplina, dai meccanismi e dai dispositivi di mercato e di finanziarizzazione gli stessi ricercatori. Il capitalismo cognitivo esprime perciò, in primo luogo, un «potere cognitivo adattazionista» come esercizio di controllo dei saperi che tende a «proletarizzare i ricercatori»[59], riducendoli a “consumatori di sapere”, e quindi privandoli degli stessi saperi che contribuiscono a creare, veicolare e innovare. Ora, anche se sulla carta il problema della strumentalizzazione è ben compreso dai teorici del capitalismo cognitivo, gli effetti sulla mentalità e sul potenziale cognitivo, per essere palesati, necessitano ancora di uno sforzo di realismo: che cosa accade davvero ai cervelli nella fabbrica cognitiva?È su questo piano che la nozione di miseria simbolica e l'immagine del regno dell'ignoranza acquisiscono il loro pieno significato micropolitico: quali processi di soggettivazione si possono costruire se si viene proletarizzati dello stesso sapere che produciamo?

Farmacologia omeopatica

La base d'appoggio propositiva di Reincantare il mondo risiede nell'assunzione per cui «la rete Internet, in quanto milieu tecnico industriale, costituisce strutturalmente un milieu associato, laddove fino ad oggi i dispositivi tecnologici provenienti dall'industrializzazione erano strutturalmente fattori di dissociazione»[60]. Internet, cioè, «permette di mettere all'opera un modello industriale basato non più su di una opposizione dei produttori e dei consumatori – così dissociati – ma su di un'associazione di destinatari e mittenti, produttrice di una nuova forma di socialità»[61]. Per questo motivo, Internet rende possibile «l'economia partecipativa», o «economia della contribuzione», caratteristica dei software liberi[62]:

«L'economia partecipativa è ciò che deve giungere a sostituire l'economia dei servizi, anch'essa diventata un fattore davvero nefasto di dis-individuazione, la quale alla fine non può che distruggere l'economia in generale – se è vero che quest'ultima, in quanto trans-formazione dei modi di vita e "legge della casa" (nomos dell'oikos), suppone un processo d'individuazione psichica e collettiva dinamico e armonioso»[63].

Le tecnologie digitali che oggi invadono praticamente ogni ambito e ogni momento delle nostre vite sembrano essere «messe al servizio esclusivo della dis-individuazione delle esistenze», ma «sono tuttavia tecnologie dello spirito. Correttamente socializzate, ossia messe all'opera come supporti di nuovi tipi di processi d'individuazione psichica e collettiva, esse non sarebbero più causa della perdita d'individuazione, vale a dire di saperi, bensì fonti di nuovi tipi d'individuazione – cioè di nuove forme di sapere»[64]. La funzione della maggior parte di questi strumenti, infatti, sarebbe innanzitutto comunicativa, relazionale, e prevederebbe l'aumento di condivisione dei saperi, delle informazioni e delle emozioni. A dispetto di queste considerazioni, invece, quello che si può osservare è precisamente un venir meno delle condivisioni, della coesione sociale, delle solide capacità relazionali, parallelamente a una pulsione consumistica incessante, a un narcisismo relazionale generalizzato e a un individualismo raccapricciante.

Chi conosce il libro o le tesi di Michel Maffesoli, comprenderà che la prospettiva di Stiegler non è quella di Le réenchantement du monde[65], in cui la fredda socialità del moderno – che poteva esprimersi solo all'interno della gabbia d'acciaio di cui parlava Weber – viene intiepidita dall'abbraccio caldo ed empatico delle comunità virtuali e (perciò) neotribali, a loro volta ringalluzzite, per non dire eccitate dal consumo sfrenato e dionisiaco. La critica che Stiegler conduce, quando parla di disaffezione o di dis-affettazione, ha fra i suoi bersagli proprio questo generarsi quasi automatico e soltanto apparentemente spontaneo delle comunità on line: piuttosto che spontaneo, direbbe Stiegler, esso è indotto dal marketing, e i risultati desolanti e patetici sono davanti agli occhi di tutti: sotto le spoglie del neocomunitarismo digitale si trova spesso soltanto la disperata ricerca del supporto di altri utenti del web, i quali dovrebbero supportare – senza, di fatto, sopportarlo! – il narcisismo e l'individualismo sfrenati, vittime a loro volta del bombardamento consumistico. Ora, questo desiderio di comunità sembra tra l'altro epurato dall'impatto con i corpi, gli occhi e le voci degli altri: una comunità che si preserva da se stessa attraverso le protesi degli schermi e delle tastiere. Tutto ciò, proprio come la miseria simbolica indotta dall'iperproduzione di simboli e il deficit attenzionale causato dalla captazione integrale dell'attenzione, conduce a un «disgusto di sé e degli altri» in cui niente può più incantarci.

Quella di Stiegler non è perciò nemmeno una teoria à la Richard Florida a proposito della “classe creativa”[66], che per così dire fa forza sui legami deboli – anzi, è proprio la debolezza dei legami, indotta dalla logica del consumo, a costituire uno dei problemi sui quali si concentra Reincantare il mondo. Per Stiegler, infatti, il consumo è essenzialmente questo: de-socializzazione delle risorse, nel senso che quando si consuma un prodotto, lo si consuma per se stessi, senza condividere con altri; divisione tra chi possiede e chi non possiede; distruzione delle potenzialità neghentropiche che accompagnano uno strumento tecnologico – ciò significa che quando si utilizza uno strumento unicamente per fini narcisistici o individualisti si consegna tale strumento e il sapere ad esso connaturato all'entropia, allo spreco di possibilità di utilizzo sociale e quindi rigenerante dello strumento stesso[67].

Il problema relativo al milieu tecnologico attuale è che le tecnologie digitali, oggi, non possono essere analizzate a prescindere dalla loro dimensione commerciale e consumistica. La logica del consumo che in-forma gli strumenti tecnologici, dagli smartphone al web, genera effetti di omogeneizzazione e di  individualizzazione che conducono alla «miseria simbolica» generalizzata come risultato paradossale di una sovrapproduzione di simboli e di un sovraccarico di informazioni.

Questo genere di miseria, come abbiamo potuto comprendere, induce una rarefazione delle relazioni tra i soggetti tale da non poter nemmeno parlare di “legami deboli”, perché questi ultimi diventano impotenti o addirittura tossici. È questo il rischio proveniente da ciò che Pietro Barcellona ha definito la «socializzazione asociale»[68], da intendersi come tensione tra l'esigenza di socializzazione – a fini produttivi o consumistici – e l'esperienza complessivamente sempre più asociale che ci è dato sperimentare, ad esempio, nella metropoli.

Per il filosofo francese, allora, si tratta di considerare la rete come un pharmakon, ossia un veleno – se guidata o saturata dal marketing – che può fungere da rimedio se la collettività si dimostra in grado di appropriarsi delle nuove tecnologie che permettono un utilizzo contributivo (web 2.0 e socialnetworks in particolare), al fine di superare il consumo «dissociante» verso la partecipazione «associante». L'obiettivo diviene perciò quello di dar luogo a «una «farmacologia positiva», ossia una farmacologia che permetta di fare una critica dell’economia politica capitalista.

Se la critica filosofica può diventare clinica politica, avrebbe detto Deleuze, la ''filosofia della tecnologia'' di Stiegler diviene una farmacologia nel momento in cui, strategicamente, il filosofo interviene per valutare che tipo di somministrazione – nel senso di quale misura, quale terapia, quale specifico dispositivo tecnologico – della rete sia necessaria alla buona salute delle relazioni, della soggettività e dell'ambiente sociale in cui viviamo. A mio modo di vedere, si tratta di una specifica farmacologia, quella omeopatica, che combatte il veleno (pharmakon) insito nella rete, che è il controllo dissociante e depotenziante, con il rimedio (pharmakon) che essa porta con sé – la possibilità di nuove forme di relazione e soggettivazione. Le risorse farmacologiche che la società iperindustriale serba in seno rappresentano quindi, dopo un’attenta quanto necessaria sintomatologia del presente, l’unica strada per guadagnare una nuova salute collettiva, e dunque politica, che sia in grado di dare valore alle relazioni, agli affetti, alla condivisione di ciò che non ha prezzo e che non può essere oggetto di consumo. Tale è lo spirito, che può essere colto su quel piano dell'incanto di cui Stiegler ci dice essere un piano di composizione dove si incontrano le singolarità. È allora possibile leggere tra le pieghe del piano dell'incanto l'etica di Deleuze e, quindi, spinoziana, di un piano di immanenza sul quale organizzare gli incontri[69].

Attenzione e produzione: qual è il valore-rete?

Ciò che Stiegler propone è un'autentica pratica di invenzione, ed essa deve essere giocata sullo stesso campo configurato dalle reti delle tecnologie digitali – utilizzando queste ultime diversamente. In questo senso, il nostro autore dimostra di voler mettere in atto la famosa considerazione di Deleuze, per il quale, di fronte all’avvento inesorabile delle società di controllo, il cui strumento principale è il marketing e l’obiettivo è la modulazione delle soggettività nella transizione economico-politica, «non è il caso di avere paura, né di sperare, ma bisogna cercare nuove armi»[70].

Tuttavia, Stiegler non sembra manifestare molta prudenza nell'agitare queste nuove armi, dato che le capacità creative e le potenzialità cognitive vengono pescate proprio dalle «industrie di servizi» a costo zero all'interno della rete – che funziona perciò davvero come una rete da pescatore! – e rischiano dunque di diventare «armi di collaborazione di massa», secondo la felice espressione di Tapscott[71], a beneficio di imprese ben lontane da quelle immaginate dal nostro autore. Inoltre, come mette bene in evidenza Carlo Formenti, l'attività dei colossi della New Economy – tra cui Google, Amazon e Apple – non consiste soltanto nella messa al lavoro gratuita dei prosumers, ossia degli utenti che grazie a quella che Stiegler definisce la natura associativa dei milieux digitali sono diventati anche produttori, ma anche nell'indirizzamento di questi ultimi verso obiettivi funzionali alla ricerca del profitto[72]. Queste potentissime aziende e corporation funzionano perciò, a loro volta, come «dispositivi di mobilitazione di massa»[73] in grado non solo di trarre profitto proprio grazie a quell'economia contributiva sulla quale Stiegler punta la sua scommessa, ma anche di condurre il desiderio sociale stiegleriano nei vicoli ciechi[74] dell'accumulazione privata. In tal senso, la pars costruens del libro, sebbene piuttosto chiara e programmatica, appare un po' debole per affrontare i giganti della New Economy che, proprio per il ruolo che rivestono e il peso che possiedono, hanno grandi responsabilità per quanto riguarda la costituzione, la proliferazione e il “sostentamento” dei milieux dissociati nonché, quindi, della proletarizzazione. Probabilmente, il modo per rafforzare la proposta stiegleriana, la sua farmacologia positiva, va ricercato a monte, e perciò in una integrazione della sua analisi critica dell'economia capitalista, vale a dire della sa farmacologia negativa. È quello che cercherò di fare in queste ultime pagine, anche se in modo sicuramente troppo rapido.

In particolare, l'analisi di Stiegler sul disapprendimento può certamente funzionare anche come una critica costruttiva alla teoria militante del capitalismo cognitivo, ma gli stessi Vercellone e Mulier Boutang, assieme ai post-operaisti italiani e a studiosi attenti alle maglie della rete come Nicholas Carr[75], Matteo Pasquinelli e il già citato Formenti, dimostrano una consapevolezza economica fondamentale che non compare in Reincantare il mondo (anche se, a onor del vero, nelle riflessioni stiegleriane più recenti tale consapevolezza incomincia a venire alla luce). In altri termini, una teoria della rete, a partire dalla quale rifondare l'economia politica, rischia di fare ben poca strada senza una nozione adeguata di valore di rete. Per altro, ci è offerta l'opportunità di comprendere il senso e la portata di questo valore semplicemente accedendo al più famoso dei motori di ricerca, Google:

«Generoso dispensatore di informazioni “gratuite” e, al tempo stesso, formidabile dispositivo per far pagare un sacco di altre cose, tanto che si potrebbe dire che, per Google, qualsiasi cosa avvenga online, funziona come un complemento del suo core business. Ciò avviene perché […] la natura del servizio offerto da Google è tale per cui i milioni di utenti che ne usufruiscono forniscono mano d'opera gratuita alla società di Mountain View: ogni nostra ricerca aiuta a migliorarne gli algoritmi e ad affinare il target degli annunci pubblicitari»[76].

A tal proposito, per Matteo Pasquinelli, si rende oggi necessaria un'analisi bioeconomica in grado di spiegare come Google estragga valore dalle nostre vite, trasformando l’intelletto comune in valore economico di rete[77]. Questo perché l'algoritmo Pagerank di Google, tramite il quale possiamo soddisfare gran parte delle nostre curiosità o eseguire mansioni cognitive, «è la prima formula matematica per calcolare il valore di attenzione di ogni nodo di un network complesso e in maniera semplificata il capitale cognitivo dell’intero network»[78].

Ora, su questo punto di partenza Pasquinelli e Stiegler potrebbero trovarsi d'accordo: «In un regime mediatico il valore di una merce è definito principalmente dalla condensazione di attenzione e desiderio collettivo pilotati da pubblicità e informazione di massa»[79]. Attenzione e desiderio, lo abbiamo visto, sono due elementi chiave della vita collettiva e come tali stanno estremamente a cuore a Stiegler, ma il filosofo francese, a mio avviso, in Reincantare il mondo non considera con adeguata criticità l'importanza del valore economico che si genera in rete mediante quella «captazione dell'attenzione» e quel  «corto-circuitamento del desiderio» che pur egli denuncia.

In tal senso, mi sembra davvero proficua l'analisi di Pasquinelli che, esplorando la dinamica già segnalata da Vercellone del «divenire rendita del profitto»[80] come paradigma della nuova accumulazione basata sull'articolazione di finanza ed economia del sapere, considera Google come «un rentier globale» che sfrutta i territori generati da Internet senza dover produrre alcun contenuto e «senza alcun bisogno di introdurre ferree enclosure»[81]. All'interno di questa dinamica, Google letteralmente vive di rendita sui metadati dell'informazione circolante in rete. Ecco allora che, aderendo a una prospettiva al tempo stesso marxista e deleuziana, Pasquinelli può indicarci indirettamente come integrare la farmacologia negativa stiegleriana:

«PageRank sta all’Internet, come l’accumulazione originaria e la rendita fondiaria stanno agli albori del capitalismo. Se parliamo di general intellect, dovremmo immaginare quindi anche una accumulazione originaria del sapere che nell’era del digitale acquista tutto il suo senso. Ad ogni modo, una critica dell’attuale forma rete non può essere stabilita sulla prevedibile narrazione dei network buoni e cooperativi contro i network cattivi e monopolistici. Una risposta politica può essere immaginata solo se si comprende la natura del dispositivo molecolare che produce il valore di rete»[82].

Se si trascura la questione del valore economico della rete, e perciò del plusvalore di rete che proviene dall'utilizzo partecipativo e contributivo dei networks digitali, si rischia di lasciare che le “tecnologie dello spirito” risultino essere sempre e comunque tecnologie dello “spirito del capitalismo” e che quindi difficilmente possano condurre a qualcosa di davvero alternativo al modello del consumo. In quanto tecnologie dello “spirito del capitalismo”, esse non sarebbero altro che ulteriori espressioni del disincanto, quindi della dissociazione, e non potrebbero perciò contribuire al reincanto che Stiegler propone. Questo è il rischio che si vede comparire all'orizzonte delle analisi e delle proposte di Stiegler, le quali, anche se esplicitamente vengono formulate per agire all'interno del capitalismo – se non a favore di un capitalismo più responsabile, di un nuovo spirito del capitalismo – implicitamente potrebbero aprire a pratiche collettive di alternativa radicale alla captazione dell'attenzione e all'economia politica capitalista. Resta comunque ancora molta strada da compiere – e, ancor prima, da costruire – perché queste alternative, quella stiegleriana e quella più radicale, possano essere rese praticabili. Mi sembra allora, per il momento, realistica la constatazione di Formenti, secondo il quale «la tecnica non offre chance di rovesciamento automatico dei rapporti di forza fra élite e classi subalterne, ma favorisce, tutt'al più, l'ascesa di élite alternative»[83].

Anche su tale punto Stiegler non sembra prendere molte precauzioni quando si lancia nella sua proposta costruttiva. In particolare, il filosofo francese rimane suo malgrado sull'astratto quando individua la necessità di «una nuova potenza pubblica» in grado di veicolare gli investimenti nel campo delle nuove tecnologie digitali. Questo perché, da un lato, sembra far cenno a una sorta di «società mondiale dei cittadini», quella entità immaginifica a cui si appella Ulrich Beck, solo in chiave europea, mentre dall'altro lato, se si volesse prendere il nostro autore più sul serio, non ci rimarrebbe altro da pensare che di questa potenza pubblica farebbero parte, in un modo o nell'altro, anche le stesse imprese o comunque gli stessi attori (economici e politici) che hanno tutto l'interesse a mantenere le cose come stanno, a partire dalle logiche del consumo e dell'erogazione dei servizi. È quello che, in termini generali, ha messo bene in evidenza Saskia Sassen in Una sociologia della globalizzazione: «Poiché le funzioni pubbliche normative e legislative diventano sempre più subordinate agli standard tecnici che rendono possibile la globalizzazione delle corporation, possiamo assistere all'emergere di un'agenda sostanzialmente privata nell'ambito di un'autorità pubblica formalmente legittimata»[84].

Stiegler è consapevole di questo problema, ma ritiene che comunque sia possibile modificare tale agenda dal basso e cioè per mano della società civile, del mondo accademico e dei “proletarizzati di ogni classe” (come si sarà ormai compreso, non si tratta di un ossimoro). Perché ciò si renda possibile, a mio avviso bisognerebbe però promuovere non solo, come pensa Stiegler, una cultura del pubblico, intendendo con quest'ultimo termine la sfera politico-sociale a cui i singoli indirizzano tutti i loro sforzi di partecipazione e di condivisione, ma anche un'idea e una consapevolezza del comune quale aggregatore di tematiche fondamentali per la vita sociale.

Parlando di comune mi riferisco alla sfera relativa alla produzione, alle relazioni sociali, a tutte le forme di esternalità positive e alle reti digitali, alternativa tanto alla dimensione privata quanto a quella pubblica. L'ultimo libro di Hardt e Negri, Comune. Oltre il privato e il pubblico, mi pare strategicamente suggestivo a riguardo, anche se necessiterebbe a sua volta di qualche emendamento. La rete comunque, da questo punto di vista, è esemplare in quanto è sì uno fra i tanti beni comuni (commons) attraverso i quali viviamo e produciamo (come l'acqua, l'aria, i servizi di mobilità, il sapere, ecc.), ma è anche il luogo privilegiato in cui oggi possiamo osservare la sfera generale del comune sociale, che è al tempo stesso prodotto della cooperazione e condizione di possibilità della stessa cooperazione e, quindi, della produzione di saperi. La rete, perciò, proprio grazie alla potenza del comune che manifesta, può essere la base strategica per ripensare i poteri del pubblico nell'ostacolare la tossicità del capitalismo iperindustriale.

Ora, come evidenziano Hardt e Negri, se all'interno dell'economia capitalista il comune esiste per essere espropriato, attraverso le rendite e le enclosures, oggi l'espropriazione del comune riguarda soprattutto le pratiche sociali, le relazioni personali, l'intelligenza collettiva. Detto altrimenti, è vero che la rete ha favorito la nascita di nuove forme di cooperazione sociale per la produzione di beni non commerciali, ma è altrettanto vero che l'economia capitalista le usa per appropriarsi sistematicamente di risorse che in precedenza godevano dello statuto di commons immateriali sottratti al dominio del mercato, nonché per sfruttare il lavoro gratuito di milioni di prosumers connessi via Internet[85].

Quando Stiegler avverte precisamente l'espropriazione, da parte del capitalismo attuale, dell'attenzione, del desiderio, delle facoltà cognitive in generale, si troverebbe già a poter cogliere la dimensione del comune, ma sembra non tenerne conto, data la sua intenzione di rivolgersi continuamente ed esplicitamente[86] alla dimensione del pubblico – istituzionale, politico, amministrativo – come possibile interlocutore della sua farmacologia positiva.

Ritengo invece che sarebbe sicuramente proficuo incrociare le nozioni di miseria simbolica, di disapprendimento e di farmacologia con una prospettiva che non si limiti agli spazi dati, e difficilmente percorribili, del pubblico e del privato, ma che tenti invece uno strappo, un salto al di fuori di queste categorie. Una prospettiva che, sebbene debba ancora finire di matutare sul piano del dibattito teorico-politico, è già presente nell'economia politica dell'open source sostenuta anche da Stiegler – ma che, come ho detto, praticamente non viene presa in considerazione dal filosofo francese. Ora, l'economia politica dell'open source, che di fatto incarna i progetti della farmacologia positiva, è letteralmente fondata sul comune, sulla sua produzione e condivisione. Perciò la nuova critica dell'economia politica che Stiegler, in questi ultimi anni, si è proposto di condurre, avrebbe dovuto prestare adeguata attenzione alla dimensione del comune. Se non altro perché, se al divenire tossico del capitalismo attuale, secondo le prescrizioni della farmacologia positiva, è necessario rispondere con delle invenzioni tecno-logiche, politiche e culturali, bisogna avere la consapevolezza che tali invenzioni nascano proprio nella sfera del comune, e solo successivamente possano diventare strumenti, risorse o argomenti del pubblico. Probabilmente, possiamo rintracciare la ragione di questa enormemente maggiore attenzione al pubblico rispetto al comune nell'intervista che l'autore ha rilasciato per l'edizione italiana di questo libro. Nella prospettiva di Stiegler, il comune di cui parlano Hardt e Negri, infatti, può essere visto come un concetto appartenente alla prospettiva micropolitica, dunque riguardante le relazioni interpersonali (e quindi il sapere, i linguaggi, il lavoro, ad esempio), mentre il pubblico, in quanto espressione della realtà istituzionale “ufficiale” (parlamento, università, amministrazioni, enti locali, associazioni, ecc.), appartiene di diritto alla macropolitica. Ed è soltanto agendo anche sul piano macropolitico, per mezzo cioè di politiche pubbliche e istituzionali che, per Stiegler, può essere ridotta o estirpata la tossicità del capitalismo attuale – in particolar modo quella economico-politica.

Detto questo, le ultime considerazioni critiche sull'analisi stiegleriana di Reincantare il mondo, anche se per la loro brevità andrebbero considerate soltanto come suggestioni da articolare con maggior precisione,sono a mio parere necessarie per poter inserire il libro all'interno del dibattito teorico-politico italiano, ormai da qualche anno incentrato sulle problematiche relative alla crisi economica, sulle nuove soggettività politiche e sulle risorse materiali e immateriali proprie della sfera del comune. Reincantare il mondo è però innanzitutto un libro di filosofia, carico di concetti forti e originali, nonché ricco di incroci coraggiosi e proficui fra teorie diverse, come ad esempio il processo di individuazione di Simondon, la psicanalisi freudiana e certi aspetti della fenomenologia di Husserl, o la grammatologia di Derrida e le riflessioni foucaultiane sugli hypomnémata. Per questo motivo, le operazioni di attualizzazione del valore spirito e di contrasto del populismo industriale – ossia della dissociazione e della captazione dell'attenzione divenute sistema – sono da ritenersi non solo compiute in modo articolato e coerente, ma anche strategicamente importanti per la filosofia contemporanea di questo nuovo secolo. Una filosofia e un pensiero che, da quello che ci dà a vedere Stiegler, vorrebbero e dovrebbero ritornare ad essere forti, in un certo senso più del “pensiero forte”. Inoltre, proprio in quanto libro di filosofia, Reincantare il mondo offre la possibilità di essere concatenato con altri libri di discipline differenti – dall'economia alla sociologia, alle scienze cognitive – per smuoverli appunto dal rigore disciplinare; per lo stesso motivo, potrebbe essere lanciato (in)contro testi politici troppo sicuri di se stessi o delle soggettività che rappresentano, e da questo incontro-scontro può ben succedere che nessuno si faccia male o che, quantomeno, nessuna teoria vada in frantumi: come dire, rimanendo in un'ottica farmacologica, quel che non uccide rafforza...



[1]   J. Derrida, B. Stiegler, Ecografie della televisione, trad. it. L. Chiesa, R. Cortina, Milano 1996, p. 79

[2]   Ivi, p. 58.

[3]   Cfr. ivi, p. 184.

[4]   Ivi, p. 92.

[5]   B. Stiegler, La Technique et le Temps 1. La Faute d'Ephimetée, Galilée, Paris 1994.

[6]   J. Derrida, B. Stiegler, Ecografie della televisione, cit., p. 67.

[7] Con “metafisica della presenza” Derrida si riferisce alla tradizione di pensiero che pensa l’essere secondo il modello della semplice presenza dell’ente. Per comprendere come agisce la metafisica della presenza, l'esempio privilegiato da Derrida è quello relativo alla scrittura, pensata sin da Platone – e fino a De Saussure e Husserl – come supporto esterno per la rappresentazione e comunicazione di un contenuto che sarebbe già presente nell’intimità del pensiero, mentre nell'ottica derridiana essa è in realtà condizione della costituzione del senso e del pensare. L’inscrizione in una traccia sensibile – vale a dire la possibilità della scrittura in generale – è ciò che permette l’iterazione del senso, assicurando così la possibilità della significazione. La necessità strutturale, e non semplicemente empirica, dell’iscrizione in una traccia è allora la condizione della presenza del senso o, per dirla con Husserl, dell’idealità del significato.

[8]   Cfr. E. Husserl, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, trad. it. di A. Marini, Franco Angeli, Milano 1998, I parte, sez.III, pp.101-102

[9]   Cfr. B. Stiegler, La techinque et le temps 3. Le temps du cinéma et la question du mal-être, Galilée, Paris 2001

[10]   Cfr. B. Stiegler, Passare all'atto, trad. it. di E. Imbergamo, Fazi, Milano 2009.

[11]   Infra,

[12]   Infra,

[13]   Il Manifesto del 2010 di Ars Industrialis è pubblicato al seguente indirizzo web: http://arsindustrialis.org/manifeste-2010

[14]   Oltre al presente volume, e a Ecografie della televisione scritto con Derrida, i libri di Stiegler tradotti in italiano sono B. Stiegler, Passare all'atto, cit.; Id., L'ipermateriale e lo psicopotere. Conversazioni con Philippe Petit e Vincent Bontemps, trad. it. Asterios 2009. Da menzionare è anche il n. 30 della rivista «Millepiani», consacrato a Stiegler e a Guattari, con la traduzione parziale, a cura di K. Rossi, del quarto capitolo di De la misère symbolique 2. La catastrophè du sensible, Galilée, Paris 2005.

[15]   Cfr. in particolare M. Weber, Economia e società, trad. it. Comunità, Milano 1961.

[16]   Infra, . Nell'indecisione di tradurre réenchantement con reincantamento o con reincanto, questa citazione ha fatto pendere l'ago della bilancia sulla seconda parola; in reincanto, almeno per assonanza, si mantiene forte il riferimento al canto delle sirene di cui parla Stiegler.

[17]   Ivi,

[18]   Ivi,

[19] Ivi,

[20] Ivi,

[21] Cfr. G. Deleuze, “Poscritto sulle società di controllo”, in Id., Pourparler, trad. it. di S. Verdicchio, Quodlibet, Macerata 2000, pp. 234-241.

[22] B. Stiegler, De la misère symbolique I, L’époque hyperindustrielle , Galilée, Paris 2004, p. 20.

[23] Cfr. M. Foucault, Sorvegliare e punire, trad. it. di A. Tarchetti, Einaudi, Torino 2005.

[24] Stiegler, B., Mécréance et Discrédit 2. Les sociétés incontrôlables d'individus désaffectés, Paris, Galilée, 2006, chapt. 27.

[25] Stiegler, B., ''Biopower, psychopower and the logic of the scapegoat'', su www.arsindustrialis.org/node/2924

[26] De Kerckhove, D.,  The Skin of Culture: investigating the new electronic reality, Sommerville, Toronto 1996, p. 5

[27]   Infra,

[28] B. Stiegler, De la misère symbolique I, cit.,Galilée, Paris 2004.

[29] Ivi, p. 33.

[30]   Infra,

[31] B. Stiegler, Économie de l'hypermateriel et psychopouvoir. Entretien avec P. Petit et V. Bontemps, Mille et une nuits, Paris 2008, p. 116.

[32] Ivi, p. 117.

[33] Cfr. D. Lyon, La società sorvegliata. Tecnologie di controllo della vita quotidiana, trad. it. di A. Zanini, Feltrinelli, Milano 2003.

[34]   Simondon recupera dalle scienze naturali, e in particolare dalla fisica, la nozione di “metastabilità”, applicandola all'ontologia. In fisica la metastabilità è una condizione di equilibrio che si differenzia dal cosiddetto “equilibrio stabile”, poiché ad essa non corrisponde un minimo assoluto di energia. Un sistema in equilibrio metastabile si mantiene in condizione di equilibrio per un tempo indeterminato, fino a che non viene fornito al sistema un quantitativo sufficiente di energia. Se l'energia fornita è sufficiente, essa sblocca la condizione di stabilità del sistema, conducendolo ad un'ulteriore condizione di “equilibrio metastabile”.

[35]   G. Simondon, L’individuazione psichica e collettiva, trad. it. di P. Virno, DeriveApprodi, Roma 2001, p. 87.

[36]   Infra,

[37] Simondon tratta questo tema, in quanto “individuazione di gruppo”, con la definizione di «azione transindividuale». Cfr. G. Simondon, L’individuazione psichica e collettiva, cit., pp. 182-187.

[38]   B. Stiegler, La télécratie contre la démocratie, cit., p. 120.

[39]   Cfr. B. Stiegler, Mécréance et Discrédit: Tome 2. Les sociétés incontrôlables d'individus désaffectés, cit., cap. 26.

[40]   Cfr. ivi, cap. 27.

*   Corsivo del traduttore.

[41]   Ivi, cap. 26.

[42]   Infra,

[43]   Stiegler riconosce nella telecrazia «il nome italiano del populismo industriale che è anche, nel caso di Berlusconi,   politico», infra,

[44]   B. Stiegler, La télécratie contre la démocratie, cit., p. 154.

[45]   Infra,

[46]   Cfr. B. Stiegler, La télécratie contre la démocratie, cit., p. 103.

[47]   Infra,

[48] Simondon definisce «associato» un ambiente tecnico tale che l'oggetto tecnico di cui è il milieu connette strutturalmente e funzionalmente le energie e gli elementi naturali che compongono questo stesso ambiente.

[49]   B. Stiegler, Du temps-carbone au temps-lumière, in B. Stiegler & Ars Insustrialis, Pour en finir avec la mécroissance, Flammarion, Paris 2008, pp. 35-36.

[50]   Infra,  Cfr. inoltre: «Questa liquidazione delle pratiche, sostituite dagli usi suscitati dal marketing e dalle campagne pubblicitarie, induce nei consumatori una perdita di saper-fare e di saper-vivere, ossia la perdita della facoltà di saper inventare la propria vita. I consumatori, sotto questo aspetto, si ritrovano ad essere proletarizzati proprio come i produttori (essi perdono il proprio saper-vivere come i produttori hanno perso il loro saper-fare – che è poi il passaggio dall'operaio al proletario). Questa perdita di sapere è una dissociazione», ivi, p..

[51]   Ivi,

[52]   Ivi,

[53] Ivi,

[54] Manifesto Ars Industrialis 2010, cit.

[55]   Per la definizione di «sapere vivo» cfr. in particolare G. Roggero, La produzione del sapere vivo, Ombre Corte, Verona 2010.

[56] Per la nozione di «intelligenza collettiva» cfr. in particolare P. Lévy, L'intelligenza collettiva. Per un'antropologia del cyberspazio, trad. it. D. Feroldi e M. Colò, Feltrinelli, Milano 1996.

[57] Con la definizione di “capitalismo cognitivo” viene intesa, in linea generale, la produzione di ricchezza tramite l’utilizzo principale dell’attività cognitiva.  Cfr. in particolare C. Vercellone (a cura di), Capitalismo cognitivo, cit.; A. Fumagalli, Bioeconomia e capitalismo cognitivo, Carocci, Roma 2007; cfr. inoltre A. Gorz, L’immateriale. Conoscenza, valore e capitale, trad. it. di A. Salsano, Bollati Boringhieri, Torino 2003; M. Hardt, A. Negri, Comune. Oltre il privato e il pubblico, BUR, Milano 2010.

[58] «Lungi dal favorire il superamento dello sfruttamento e dell'alienazione, il capitalismo cognitivo, proprio in quanto  bioeconomico, favorisce il sorgere e la diffusione di forme di sfruttamento di maggiori proporzioni e l'estendersi di nuove forme di alienazioni che interessano non più il contraddittorio rapporto dialettico tra attività di lavoro e vita, fra tempo di lavoro e tempo libero, ma l'intera esistenza degli individui, nella sua complessità», A. Fumagalli, Bioeconomia e capitalismo cognitivo, cit., p. 11.

[59] Infra,

[60]   Infra,

[61]   Infra,

[62]    Infra,

[63]   Infra,

[64]   Infra,

[65] Cfr. M. Maffesoli, Le réenchantement du monde, Paris 2006.

[66] Cfr. in particolare R. Florida, L'ascesa della nuova classe creativa, Mondadori, Milano 2003.

[67] Infra, passim.

[68] Per Barcellona, si è fatto evidente il fenomeno di indebolimento della coesione sociale che fornisce alle società un orizzonte di senso condiviso, e «in assenza di un contesto di senso, le soggettività individuali sono fragilissime, e restano in balia di un'altalena di emozioni che rischia di devastarle», P. Barcellona, Il suicidio dell'Europa. Dalla coscienza infelice all'edonismo cognitivo, Dedalo, Bari 2005, p. 169.

[69] Cfr. G. Deleuze, Spinoza. Filosofia pratica, trad. it. di M. Senaldi, Guerini&Associati, Milano 1991, cap. VI; Id., Spinoza e il problema dell'espressione, trad. it. di S. Ansaldi, Quodlibet, Macerata 1999, p. 244; G. Deleuze, F. Guattari, Mille piani, trad. it. di G. Passerone, Castelvecchi, Roma 2003, pp. 360-361.

[70] G. Deleuze, Poscritto sulle società di controllo, cit., p. 235.

[71] Cfr. D. Tapscott e A.D. Williams, Macrowikinomics, Milano, Etas 2010; Id., Wikinomics 2.0, Rizzoli, Milano 2008.

[72] C. Formenti, Felici e sfruttati. Capitalismo digitale ed eclissi del lavoro, Egea, Milano 2011, p. 30.

[73] Ivi, p. 31.

[74] L'immagine del vicolo cieco mi è suggerita da quelle applicazioni di rete, in realtà e perlopiù piattaforme commerciali definite walled gardens (giardini chiusi), tra cui sono sicuramente da menzionare le piattaforme societarie integrate di tecnologie, contenuti e applicazioni come iTunes e i social networks come Facebook o Twitter, accessibili solo agli utenti registrati.

[75] Cfr. N. Carr, Il lato oscuro della rete. Libertà, sicurezza, privacy, ETAS, Milano 2008.

[76] C. Formenti, Felici e sfruttati. Capitalismo digitale ed eclissi del lavoro, Egea, Milano 2011, p. 17.

[77]   Cfr. M. Pasquinelli, “L’algoritmo PageRank di Google: diagramma del capitalismo cognitivo e rentier dell’intelletto comune”, in F. Chicchi and G. Roggero (eds),Sociologia del lavoro, Milano: Franco Angeli, 2009

[78]   Ivi,

[79] Ivi,

[80] Cfr. C. Vercellone, “Crisi della legge del valore e divenire rendita del profitto. Appunti sulla crisi sistemica del capitalismo cognitivo”, in A. Fumagalli, S. Mezzadra (a cura di), Crisi dell'economia globale, Ombre Corte, Verona 2009, pp. 71-79.

[81]   M. Pasquinelli, “L'algoritmo Pagerank di Google”, cit.,

[82]   Ivi,

[83] C. Formenti, Felici e sfruttati, cit., p. 148.

[84] S. Sassen, Una sociologia della globalizzazione, Einaudi, Torino 2008, p. 74.

[85] C. Formenti, Felici e sfruttati, cit., p. 108.

[86] In La télécratie contre la démocratie Stiegler fa esplicitamente appello ai rappresentanti politici francesi, e lo fa dopo aver descritto, criticandolo, l'atteggiamento attivo, ma telecratico e pulsionale di Nicholas Sarkozy e di Segolène Royale nei confronti delle tecnologie mediatiche, dalla televisione ad Internet.