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I furiosi giapponesi in alleanza con il corona

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In questo contributo provocatorio Jun Fujita Hirose ci racconta la gestione giapponese del coronavirus inscritta nelle politiche per le Olimpiadi di Tokyo, ricordandoci che l'alternativa tra ristrutturazione capitalistica e  trasformazione radicale è ancora tutta aperta

Molti giapponesi vivono da due mesi un rapporto ambivalente con il coronavirus. Certo ne hanno paura ma al contempo si alleano segretamente con lui. Quest’alleanza sotterranea si produce dinanzi all’attuale governo giapponese, considerato quasi unanimemente come il governo più manifestamente corrotto e nocivo della storia giapponese dopo la seconda guerra mondiale.

Nel settembre 2013 a Buenos Aires nel suo discorso ai membri del comitato olimpico internazionale che stavano votando la città ospitante dei giochi olimpici del 2020, Shinzo Abe, attuale primo ministro giapponese rieletto alla fine dell’anno procedente, dichiarò: “La situazione è sotto controllo. Non c’è alcun tipo di problema di salute né per il presente né per il futuro. Oggi sotto il cielo azzurro di Fukushima i ragazzi giocano a calcio”. Quando tutti in Giappone sapevano benissimo che la realtà era tutt’altra e che la centrale nucleare di Fukushima non avrebbe cessato di emettere per molti anni radioattività nell’aria e nell’acqua. L’organizzazione delle olimpiadi a Tokyo nel 2020 non era nient’altro che una negazione offensiva della situazione reale in cui viviamo, una negazione orchestrata a viva forza dal governo di Abe con la complicità del potere economico mondiale. Così si è installato e diffuso immediatamente nella popolazione giapponese un forte sentimento di rifiuto a “Tokyo 2020”.

La realtà che il governo giapponese vuole negare e far cadere sotto silenzio con l’effetto allucinatorio dello spettacolo sportivo non è solo quella della continua contaminazione radioattiva ma anche quella della decadenza irreversibile del Giappone come superpotenza economica. Mentre molti giapponesi, e i giovani in particolare, inventano nuove forme di vita, diverse da quelle di trenta anni fa. E lo stesso incidente di Fukushima accelera il processo. In Giappone nessuno o quasi nessuno oggi si entusiasma per un megaevento come le olimpiadi alimentato dall’elettricità prodotta dai reattori nucleari, né per una megacostruzione come quella in corso della linea del TAV a levitazione magnetica fra Tokyo e Nagoya. Tutti questi megaprogetti sono brutti simulacri anacronistici del glorioso secondo dopoguerra giapponese.

Nei suoi due primi anni (2013-2015), il governo di Abe ha provocato due proteste popolari particolarmente massive, prima contro il progetto di legge sulla segretezza dello Stato, poi contro la decisione governativa sul cambiamento dell’interpretazione costituzionale e la conseguente nuova legislazione sulle forze di autodifesa. In entrambi i casi, i giapponesi hanno finito per essere messi di fronte alla propria impotenza politica davanti a un governo esplicitamente fascista. Ciò può spiegare il fatto che dopo la sconfitta della protesta contro la militarizzazione nel 2015 non c’è stata più una mobilitazione di massa in Giappone: l’odio popolare verso il primo ministro Abe e il suo governo si esprime solo come discorso, in particolare su Twitter.

In questo contesto disperato è comparso il coronavirus. Il governo di Abe sembra aver compreso dalle fasi iniziali che il virus sarebbe potuto essere una minaccia seria per il suo carissimo Tokyo 2020. Così ha cominciato la battaglia contro il virus, battaglia che consisteva principalmente nel sottovalutare apposta l’effetto virale nel territorio giapponese, riducendo al minimo possibile il numero di esami della PCR ed evitando di adottare ogni drastica misura preventiva. Il governo di Abe, così come i comitati olimpici internazionale e giapponese, voleva assolutamente mantenere l’immagine di un Giappone corona free quando l’epidemia del Covid-19 è diventata pandemia mondiale. E questa nuova negazione governativa della situazione reale è quello che ha condotto molti giapponesi all’alleanza clandestina con il coronavirus. 

Il 24 marzo il governo giapponese, insieme con il comitato olimpico internazionale, ha annunciato ufficialmente il rinvio di un anno di Tokyo 2020. E ormai il governo di Abe ha cominciato a parlare della possibilità di dichiarare uno stato di emergenza e di ordinare una misura di confinamento per la città di Tokyo. Il corona ha vinto? Solo a metà, per i giapponesi furiosi. Certo abbiamo festeggiato la comparsa, attesa da lungo tempo, di una vera minaccia per il potere neoliberista fascista, ma volevamo e vogliamo una cancellazione immediata e assolutamente non un rinvio dei giochi olimpici, che significa nient’altro che un purgatorio prolungato, nel quale il governo di Abe riorganizzerà le sue olimpiadi come evento “testimonianza della vittoria dell’umanità sul coronavirus”. 

Molti giapponesi sono già preparati a infettarsi e perfino a morire per abbattere il governo di Shinzo Abe e Tokyo 2020. È una nuova forma di lotta armata che sta nascendo nell’estremo oriente. I giapponesi si identificano col movimento del coronavirus, che si muove attorno identificandosi con i grandi movimenti di deterritorializzazione assoluta della Terra.