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Lettere dal Fronte

on .

Testimonianze raccolte nella provincia emiliana da Kamo Modena

Operai

Grande fabbrica metalmeccanica

1.

«Ho letto dei post strappalacrime con tanto di chiamata alle armi di Fiom e compagnia bella, ma poi loro dove sono? Prima hanno fatto un accordo CRIMINALE con Confindustria dove ci hanno mandato al macello. Poi a Rsu e Rsl in pratica hanno detto: pensateci voi a trattare con l’azienda, e fate del vostro meglio. Peccato che nel 95 per cento delle aziende non c’è potere contrattuale, figurarsi senza sindacato esterno… Ora dopo aver festeggiato il “grande accordo” che “chiudeva tutto” – tutto e niente, sarebbe meglio dire – dopo la telefonata di Confindustria salta fuori che fino a mercoledì si lavora, hanno allargato la lista delle produzioni “essenziali”, già ci sono i primi passi indietro… e a sto punto non si chiuderà mai.
Ma qui viene il bello: oggi, con le aziende quasi tutte aperte, molte cercano volontari, ripeto, volontari, per non fermare la produzione e i magazzini! Quindi tutte fanno quel cazzo che gli pare! Le Rsu sono sulle barricate, da una parte giustamente offese e attaccate dai lavoratori, dall’altra non considerate minimamente dalle aziende. 
In tutto questo la CGIL, i confederali, i sindacati, dove cazzo sono? Dove sono i politici, quelli che si dicono “dalla parte dei lavoratori” o “prima la salute degli italiani”? A fare i post su Facebook? A salvaguardare Confindustria? 
Non c’è traccia di loro. Non abbiamo neanche le mascherine, e molti colleghi hanno già problemi di salute. Siamo stati lasciati soli di fronte a tutto questo. Abbandonati al macello.
Dicono che dopo questa emergenza niente sarà più come prima. Dovrà essere così…»

2.

Volevo rubarvi qualche minuto per dirvi quello che sta succedendo nell'azienda dove lavoro io.

Lavoro presso una ditta di impiantistica emiliana vicinissima a Confindustria ed è inutile che vi racconti a chi appartiene... Premetto una cosa... Fino a qualche anno fa la mia ditta era un'isola felice in quanto avevamo una libertà talmente elevata che facevi fatica a dire che non si stava bene. Da quando hanno stretto un po' le maglie sono cambiate un po' di cose.

Secondo me ce n'era anche un po' bisogno, ma questo a noi "operaiacci" ci ha un po' spezzato le gambe.

Prima cosa: non abbiamo una RSU.

Seconda cosa: loro hanno creato quella famosa "guerra dei poveri" dove se qualcuno brontolava o alzava la testa facevano in maniera tale di schiacciargliela con comportamenti non consoni e quant'altro. Hanno organizzato il lavoro responsabilizzando alcuni e facendoli credere dei capetti e questo ha ampliato i malumori tra i lavoratori e ha contribuito a dividere in un qualche modo le forze.

Mi sono trovato in particolari situazioni che mi hanno spinto a muovermi per fare qualcosa.

Ci ho messo un po' a decidere perché la situazione non era sicuramente delle migliori e metterci la faccia oggi vuol poi dire avere anche le spalle larghe, perché tutti bravi a fare delle parole e poi basta che gli fai un paio di articoli o qualche ricatto anche indiretto e tutti vanno in cagona. Ho cercato un po' di coinvolgere la gente, ma la cosa anche a livello sindacale doveva avere un seguito, ma ad oggi la situazione si è arenata.

La situazione attuale è che la ditta ha avuto un comportamento scorretto nei confronti dei dipendenti in quanto ha comunicato la chiusura venerdì scorso tipo alle 17:30 per il lunedì, che la gente doveva prendersi delle ferie dove ad esempio ci sono state persone che rientravano da una malattia e la ditta li obbligava tramite una comunicazione interna a stare in ferie.

Sapete meglio di me che questa cosa non è possibile, ma loro hanno fatto quello che gli è parso anche perché la gente non ha le palle di rispondere; perché questo fondamentalmente è uno dei problemi principali.

Non per ultimo, so per certo che la cassa integrazione gli è stata autorizzata diversi giorni prima, ma ufficialmente noi siamo in cassa da lunedì. Ho lavorato fino a venerdì 13 e la settimana dopo sono stato messo in ferie non concordate e senza chiedermi l'autorizzazione creando un brutto precedente anche per il futuro, nel senso che se uno gli sta sul cazzo, se uno dà un po' fastidio, questi qua si alzano la mattina e il modo di romperti il cazzo lo trovano... ad esempio mettendoti in ferie appunto.

Altrimenti c'è da fare la guerra.

Ma siccome in mezzo ai miei colleghi c'è poca gente che ha le palle si combatte un po' contro i mulini a vento. Chi si è venduto un po', chi tiene la testa bassa senza riuscire ad alzarla e allarga le braccia quando è ora di stringere i pugni, chi ha fatto il gioco delle tre carte, chi si è ruffianato e infine chi è un porco.

Parliamo di qualche centinaia di persone ora in cassa integrazione soprattutto per quel che riguarda l'area produttiva.

È una sensazione strana nel senso che non mi ci sono mai trovato. Non sono preoccupato per quanto riguarda il lavoro nel senso che quello non manca, ma piuttosto per la durata della cassa integrazione che è poi legata a quello che succederà nelle prossime settimane in Italia.

Reputo che le misure di contenimento siano state molto tardive, ma purtroppo c'entra il dio denaro e ci hanno fatto lavorare fino a che non sono stati "costretti" a fermarsi.

Oggi avremmo bisogno come il pane di stare insieme e di pensare insieme per contrastare ciò che succede da me, ma che penso succeda un po' ovunque. Lo sappiamo tutti che ognuno di noi ha vite diverse, situazioni familiari diverse, case diverse eccetera, ma tutti noi se ci mettiamo a parlare anche solo 10 minuti al bar scopriamo che alla fine i problemi diventano comuni e molto spesso anche le pratiche che potrebbero risolvere i nostri problemi.

Piccola impresa metalmeccanica diffusa

1.

«Ciao ragazzi. Anche nella mia ditta, poco più di 10 dipendenti, c’è una situazione surreale. Usiamo mascherine ffp1 da giorni e giorni, assolutamente non cambiate, senza riforniture, alcuni colleghi a loro spese si sono comprati mascherine ffp2, lo stesso non del tutto consone, oppure mascherine chirurgiche totalmente inutili, tutto a loro spese. La ditta non ha fornito gli apparati di sicurezza e non ha igienizzato, non ha rispettato alcuna normativa… tutto questo senza alcuna presenza di sindacati, come nella maggior parte delle piccole aziende. 
Risultato di tutto questo è stato che il proprietario è andato in isolamento domiciliare perché è venuto a contatto con un positivo al covid in famiglia, e adesso anche noi operai siamo costretti tutti in isolamento... ecco chi sparge il contagio»

 

Infermieri

1.

I DPI scarseggiano ogni giorno di più, specialmente quelli più importanti come le mascherine. In particolar modo le mascherine fornite al momento al personale sanitario che si trova in “prima linea” (quindi compresi Pronto Soccorsi e Terapie Intensive) sono di tipo FFP2 e non FFP3/N9 come indicato dai protocolli al fine di evitare il contagio per via aerea con certezza quasi assoluta. Sempre di più i coordinatori invitano il personale a razionalizzare i materiali, imponendo l’utilizzo dei dispositivi respiratori per più turni consecutivi. Cosa spesso difficile per motivi di scarsa qualità del materiale (elastici che si rompono ne sono un esempio). Altro motivo di usura lampante è l’accumulo di umidità dovuta al sudore dell’esercizio lavorativo, lavoriamo infatti con più strati di protezione in ambienti a temperatura controllata e spesso sotto stress e con sforzi fisici (spostare/girare il malato, spingere/tirare le barelle, muovere i carrelli per medicazioni o medicinali). I copri-divise idrorepellenti, necessari ad evitare la contaminazione da dopplets, sono ormai esauriti. In diverse Unità Operative (tra cui i Pronto Soccorsi) verranno presto forniti solo camici usa e getta di tessuto non tessuto, non impermeabili, e per questo di scarsa tutela del personale. Inoltre queste tipologie di vestizione, per la sua natura NON idrorepellente non possono essere sanificati mediante la nebulizzazione di disinfettanti per superfici, rendendo la vestizione dunque più sporca durante il turno di lavoro. In alcune Unità Operative verranno comunque forniti grembiuli di plastica da indossare al fine di ovviare al problema, senza contare però che gli arti superiori risulteranno comunque non protetti e che si assisterà ad un implemento degli “strati” di vestizione, con conseguente aggravo sulla comodità e libertà dei movimenti di esercizio professionale e al caldo che comporta eccessiva sudorazione, disidratazione e accumulo di umidità nei presidi respiratori. Lieve differenza si ha nei reparti di cura covid, con casi confermati e positivi, dove vengono invece fornite tute integrali. Anche qui permane invece la fornitura di maschere FFP2 e non FFP3/N9 salvo casi rari. Sul fronte delle assunzioni le aziende stanno attingendo dalle graduatorie concorsuali sia a tempo determinato che indeterminato. A chi viene chiamato vengono offerti 6 mesi di contratto rinnovabile con stipendi secondo la tabella del comparto sanità e CCNL (partenza per un D0 da € 23.074,40 LORDI annui fino ad arrivare a €27.990,10per un D6. Notare che lo scatto di fascia avviene mediante prova d’esame e valutazione da parte della direzione sanitaria ogni 5 anni di servizio. Sostanzialmente ti valuta oggi chi dovrà pagarti di più domani. Un meccanismo che definire truffaldino è dire poco). A tale retribuzione verrà poi aggiunto il famoso compenso di 100 euro per il mese di marzo in relazione alle giornate di lavoro effettuate, quindi varierà in base ai turni effettivamente esplicati, senza contare se essi siano di 11 ore (come la notte) o di 6- 7 ore per il turno diurno. Rimane il fatto che la notte è a “cavallo” di due giornate consecutive, rimane da capire dunque se il premio sarà applicato per due giorni o un singolo turno. Sempre sul fronte delle assunzioni, anche laddove siano presenti graduatorie pubbliche, le Aziende Sanitarie stanno assumedo anche mediante agenziainterinale, proponendo contratti per lo piùdi 5/6 mesi. La retribuzione è comparabile al pubblico impiego, cosa spesso diversa per quanto riguarda le assunzioni all’interno della sanità privata con cooperative e agenzie per il lavoro. In questo caso anche prima dell’emergenza covid molti infermiere di note strutture accreditate al pubblico guadagnavano non più di 1500 euro netti mensili (comprensivi di turni notturni, festivi e talvoltastraordinari). Per quanto riguarda gli screening, nonostante l’Organizzazione Mondiale della Sanità abbia più volte invitato le autorità ad eseguire massivamente tamponi partendo da chi lavora in sanità, al momento le direttive aziendali sono di non eseguire tamponi al personale sanitario. Questo vale anche per quella fascia di personale venuta a stretto contatto con malati di COVID. Il tampone è dunque previsto solo alla comparsa di evidenti sintomi quali febbre e tosse persistente. L’handicap è lampante dal momento che la malattia, di cui ancora si conosce poco, parrebbe essere asintomatica (ma contagiosa seppur meno virulenta) nell’80% dei casi circa. Solo da pochi giorni infine è stato inquadrato come infortunio sul lavoro l’eventuale contagio da COVID per gli operatori sanitari. Rimangono però dubbi a riguardo, basti pensare che l’INAIL potrebbe mettere in dubbio l’avvenuto contagio in ospedale rispetto ad altri luoghi dove ci si può recare (supermercati ad esempio). Questo rimane comunque un ragionamento ipotetico visto che l’accordo con l’INAIL è di pochi giorni fa e non sappiamo realmente come l’Istituto si porrà verso i lavoratori che si ammaleranno. Noi siamo orgogliosi di combattere questa battaglia in prima linea, ma prima che operatori sanitari siamo esseri umani. Persone che una volta timbrata l’uscita hanno famiglie da cui tornare, spesso composte da bambini o anziani genitori. Proprio questa categoria, gli over 60, sono coloro che ottengono spesso un esito infausto in caso di contagio. La maggiorparte di noi non vive in unità abitative grandi abbastanza da garantire un “autoisolamento” domiciliare volontario ed efficace, rendendo dunque plausibile il contagio incrociato con i membri del proprio nucleo famigliare. Questo virus, che sta flagellando il mondo intero, porta ovviamente grosse preoccupazioni per le persone a noi care. Viviamo quotidianamente in prima persona lo strazio dei parenti che, oltre a perdere i propri cari, non possono neanche dargli l’ultimo saluto e una degna sepoltura. La legge infatti impone l’impossibilitàdi visitare il congiunto in ospedale (sia anch’esso cosciente e nel pieno delle facoltà mentali) e di organizzare un funerale in caso di esito infausto. Subiamo dunque in modo ancor più amplificato il sentimento di frustrazione e paura che ciò possa accadere i nostri cari e non possiamo neanche immaginare di poter essere noi, a causa del nostro lavoro e del menefreghismo di chi governa la nave, la causa di tutto. Le organizzazioni sindacali agiscono a singhiozzo, spesso strappando qualche accordicchio, ma al momento sicuramente non ottenendo e soprattutto pretendendo la cosa più importante: LA NOSTRA SICUREZZA.

2.

Una mia collega, un’Oss, ha vissuto per quattro giorni con il marito in casa con la febbre, alla fine la cosa è crollata e adesso lui è intubato da una settimana e non sanno se si salva. Secondo voi alla mia collega hanno fatto il tampone? Lei l’ha chiesto, ma niente ovviamente: se non hai i sintomi il tampone non te lo fanno. Al momento è asintomatica, ma ha vissuto quattro giorni con una persona con gravi problemi respiratori a cui hanno fatto la diagnosi di Covid solo quando è stato intubato. Non hanno avuto precauzioni. E questa persona sta venendo a lavorare, non le è stato fatto neanche un tampone ed è anche una persona relativamente su di età, quindi con medio-alto rischio. Ieri un medico si è fatto da solo un tampone – se aspettava la direzione sanitaria, addio… – perché aveva un po’ di febbre e mal di gola… ed è positivo. E ha usato i dispositivi di protezione che ci vengono dati dall’azienda, che vengono usati ormai da quasi un mese… quindi se l’è preso al lavoro. Vorrei sapere così dove vogliamo andare.

Il discorso è che non ci sentiamo presi in carico, ci sentiamo presi per il culo. A ogni richiesta d’aiuto ci viene risposto con porte chiuse in faccia o supercazzole, e la gente sta andando fuori di testa, c’è un tracollo psicologico tra gli operatori che è evidente. Chi più chi meno, alcuni sono al limite, e si vede, dopo un mese. L’Oms dice di fare tamponi a raffica a partire dai sanitari, e la direzione sanitaria ci risponde che per noi non ce n’è bisogno finché non siamo sintomatici. Come se l’allenatore dice ai giocatori che c’è bisogno di attaccare e loro dicono che invece bisogna difendere… Ci dicono che le mascherine ffp2 va bene perché tanto proteggono al 92% mentre le ffp3 al 98%. Però quel 6% lì significa 6 persone potenzialmente malate su 100, solo tra medici e infermieri, senza contare gli Oss, siamo intorno alle 7000 persone, vuol dire intorno ai 450 contagi potenziali tra gli operatori sanitari solo tra medici e infermieri, in più gli Oss. A casa mia quel 6% in meno non è poco, pensando al fatto che questa gente qua torna a casa, ha delle famiglie, tanti di noi hanno genitori anziani a casa, che se si prendono sto virus li ammazza. Adesso ci danno anche questi copri camici che loro dicono essere idrorepellenti ma ve li vorrei far vedere, se ci soffiate sopra si spaccano, sembrano quelli che si mettono a carnevale i bambini quando si vestono da chirurgo pazzo. E ci dicono che sono idrorepellenti… non è vero un cazzo, fanno schifo, ve li farei vedere. Peccato che li mettiamo noi però in una stanza chiusi con uno che spara dappertutto droplets perché fa ossigeno ad alti flussi, e siamo in due metri per due. Loro ci dicono che vanno bene ma sono chiusi in ufficio. Se vogliono arrivare che fra un mese ci sono scene di isteria collettiva in mezzo al pronto soccorso con gli infermieri e i medici con bisogno di supporto psicologico, questa è la strada buona. Ci stanno massacrando.

Venticinque giorni fa si parlava di come dividere il pronto soccorso in maniera ottimale per evitare i contagi incrociati e creare una zona sporca e una pulita, dopo venticinque giorni siamo a punto e da capo. Non abbiamo ancora una reale zona sporca e una pulita, con gli ambulatori che visitano un po’ di qua e un po’ di là a sentimento. Peccato che della gente con la febbre viene messa nella zona sporca, perché ovviamente sospetta, ma poi magari non ha il covid, ma poi un altro che si è dato una marrtellata su una mano invece ce l’ha ed è nella zona pulita, e rimane lì magari per tre ore. Capiamo che non è facile però non va bene neanche così. Non ci siamo. Non sta venendo fatto nessun passo avanti. Le case di riposo sono chiuse da venticinque giorni ai visitatori ma dentro stanno crepando come mosche lì dentro… chi ce l’ha portato il virus? Tutta gente che ci lavora, c’è poco da fare. Vuole dire che la gente che ci lavora sta continuando a contagiare, non ha la roba necessaria per evitare i contagi incrociati durante l’assistenza, e magari se la stanno pure passando tra di loro, aumentando ancora di più la cosa. In tutto questo nessuno dice un cazzo. È folle. E poi la menano con eroi, eroi, eroi…

 

Partita iva, redattore/traduttrice, smart working

Quasi trent’anni e la partita iva per non essere disoccupata. 

Hai quelle due o tre collaborazioni “fisse” (che di fisso non hanno un benemerito cazzo), di media ti porti a casa quei 450 euro al mese iva inclusa (che sono 450 da quando hai iniziato a lavorare, quei 4 anni fa) che ti bastano giusto giusto (forse) per non rimetterci in benzina. Di mangiare fuori a pranzo, concedendoti un caffè per fare una pausa non se ne parla se non fai quelle due lezioni a settimana che ti pagano in nero.

Ti chiudono la scuola.

Ti chiudono i corsi.

Ti annullano le fiere (che questo mese se ti andava bene riuscivi a prendere 900 euro e già tiravi un sospiro di sollievo. 

Perché, giustamente, in una democrazia di merda, la prima cosa che si chiude è la cultura, infatti un festival di cortometraggi ha tanti spettatori quanto una partita di serie A.

Con la collaborazione che ti rimane (che collaborazione non è, dato che collaborazione prevederebbe un equo sforzo e invece il lavoro te lo faccio io mentre tu ti prendi merito e soldi) sei in modalità smart working, che di smart non ha un cazzo perché tu pezzo di merda mi chiami a un orario in cui io non sarei nemmeno tenuta a lavorare per te. E i continui messaggi su whatsapp? Che magari sto lavorando per quell’altra mezza collaborazione che mi è rimasta e tu mi rompi i coglioni in un orario che non ti pertiene (posto il fatto che non dovresti essere padrone del mio tempo, che mi devo ciucciare pure le tue esclamazioni razziste). Chiamate titaniche e collegamenti Skype (minimo due ore, mi raccomando) con il team di sta minchia – quello che dovrebbe essere la tua collaborazione ti entra in casa a orari indecenti. Almeno pagate le chiamate come tempo lavorato, che WindTre non dà un cazzo di giga gratis, non ho il wifi in casa e con sto cazzo di Skype, Teamviewer, Zoom, AnyDesk mi avete ciucciato tutti i giga in una settimana e chi me li paga per rinnovarli? Io. 

Quindi ora le mie cazzo di tre collaborazioni sono andate a puttane. Mi dovevano pagare ancora gennaio e febbraio e ora con la scusa del Coronavirus di sta minchia, sono tutti pronti a non pagare – eh sai, hanno chiuso la produzione, non ho venduto, ho le pezze al culo pure io. Sì, ma gennaio e febbraio li hai lavorati. Anche io ho lavorato per te e anche se è marzo quei mesi me li devi pagare (tanto trovi sempre scuse per rimandare il pagamento) Non vuoi far la fila? Ti ricordo che esiste l’home banking. Ma giustamente mangio pane e fantasia (e intanto tu ti sei comprato l’ultimo modello del macchinone e tua mamma ti fa la spesa perché “povra stela, al lavora tant”).

Speri in quei cazzo di 600 euro che ti hanno promesso, il decreto è uscito da mò e di questi 600 euro ancora non c’è traccia, nonostante io stalkerizzi il sito dell’INPS 7/24.

Vogliamo i soldi. O mi date la spesa e l’alloggio gratis.

Ci dicono che andrà tutto bene. Sì, per i soliti noti. 

Ci dicono che è una guerra. Chiamatela guerra quando vi assalteremo casa per riprenderci ciò che è nostro.

Io vi odio.

 

Volontario soccorritore, Croce rossa

Vorrei condividere con voi alcune riflessioni. Sono un volontario soccorritore, guido ambulanze; oggi ci chiamano eroi, difronte alle uscite dei pronto soccorsi di tutta Italia ci sono cartelli di ringraziamento, ma non siamo eroi, non vogliamo essere chiamati eroi, non ci interessa esserlo: siamo e vogliamo restare umani. Ogni volta che monto in servizio la paura c’è. C’è il timore di restare infettato e soprattutto di portare l'infezione a casa dai tuoi cari, ma che fare? Se tutti ci fermassimo? Allora alzi le attenzioni, curi in modo maniacale la vestizione e la svestizione, chi ha fede prega e chi non l'ha spera.

Come descrivere la rabbia e poi lo sconforto nel sentire che arrivano milioni di mascherine, camici tute etc... ma quando passo dalla centrale per rifornirmi, l'infermiere mi guarda sconfortato e mi dà camici troppo leggeri (ne mettiamo due per aumentare la barriera), mascherine chirurgiche... cavolo, sono su un’ambulanza Covid, il 90 per cento dei miei trasportati sono positivi... dovremmo avere le ffp2 o 3, le tute NBC? Meglio di no, troppo complessa e pericolosa la procedura di svestizione senza un canale di decontaminazione mobile. ma in Italia forse ne esisterà uno. 

“Vabbè dai, c’è un servizio in coda, andiamo ragazzi, in campana…”

Sui media tutti parlano degli infermieri e dei medici che sono in prima linea, poi ogni tanto un qualche riferimento al meraviglioso mondo del volontariato sanitario. Noi non siamo solo in prima linea, siamo dietro le linee nemiche e siamo nella terra di nessuno: dovremmo avere il top delle attrezzature ma non è così; forse il fatto che noi si sia volontari non pagati ci renda vuoti a perdere? 

Abbiamo delle assicurazioni che le Associazioni hanno stipulato, ma qualcuno ha forse dubbi sul fatto che, nel caso malaugurato che debbano pagare un indennizzo per un volontario deceduto, non verranno sollevate mille obbiezioni: come collegare il contagio con il servizio? Non abbiamo il cartellino e poi abbiamo anche una vita fuori, andiamo a fare la spesa etc.?

Non siamo eroi, non vogliamo esserlo, non ci interessa esserlo. Vorremmo essere istituzionalmente riconosciuti, rispettati (e non solo a parole), ascoltati (perché potremmo avere qualcosa da dire), coinvolti nelle fasi di analisi e progettazione (potremmo avere idee) ed essere tutelati noi e le nostre famiglie nel caso noi non lo si possa continuare a fare.