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Pinte e pandemia

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Intervista a Lydia Hughes e Jamie Woodcock di Achille Marotta 

La crisi ormai di portata globale creatasi attorno alla pandemia del covid-19 ha una natura diversificata: sanitaria, sociale, economico-finanziaria, politica. Data una situazione all’oggi estremamente caotica e non ancora del tutto decifrabile, ci proponiamo innanzitutto di raccogliere materiali di dibattito e riflessione che – ancorché differenti o contrastanti tra di loro – possano essere utili per individuare alcune possibili linee di tendenza e ragionamento. L’intervista che qui pubblichiamo, ad esempio, si concentra sull’analisi delle pratiche di mutuo soccorso che si sono sviluppate in un quartiere di Londra e che si stanno diffondendo nel Regno Unito. Tali pratiche, come abbiamo più volte messo in evidenza negli anni passati, hanno vari aspetti critici, problematici e politicamente contraddittori. Proprio per questo l’intervista di Achille Marotta ai due militanti londinesi è di grande utilità come materiale di inchiesta, non solo sulla pratica specifica ma più in generale su questioni di grande importanza, come la solitudine della “normalità” capitalistica, la socialità nella crisi, le possibilità di lotta sul lavoro.

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Nei media si è detto molto dei diversi modelli sociali per controllare il virus: lo stato interventista del Sud Europa contro il modello negazionista e social-darwinista del Nord. Si è invece sentito parlare meno della reazione delle classi lavoratrici dei rispettivi paesi. Sebbene in Italia ci siano state rivolte nelle carceri e scioperi nelle fabbriche, nei quartieri la crisi, per ora, rimane individualizzata e depoliticizzata. Al contempo, nel Regno Unito, in pochi giorni abbiamo assistito alla formazione di circa duemila gruppi di mutuo sostegno di quartiere. 

Qual è stata la vostra esperienza rispetto a questo fenomeno? 

L: Meno di una settimana fa sono entrata nel mio gruppo Facebook locale, che copre il nostro borough di Londra, Tower Hamlets, in cui abitano più di trecentomila persone. In poche ore il gruppo era diventato così grosso che si era formato un gruppo più piccolo solo per il mio quartiere, Bethnal Green. Dopo due giorni questo gruppo si era diviso di nuovo in due gruppi su Whatsapp, e se smettevi di guardare il telefono per un minuto ti trovavi 300 nuovi messaggi. Quel gruppo lì si era diviso in 18 chat più piccole, quindi adesso ci troviamo in un gruppo whatsapp che comprende solo le tre strade dove abitiamo, e dentro ci sono già trenta persone. Abbiamo comprato un telefono apposta per la rete, una SIM, abbiamo prodotto dei volantini, e ci stiamo preparando a volantinare per tutto il quartiere per offrire sostegno a chi ha bisogno della spesa e cose del genere. Da quel che capisco questo sta succedendo in tutto il paese. È un fenomeno nuovissimo, soprattutto a Londra. Non avremmo mai potuto concepire nemmeno di salutare o conoscere i nostri vicini di casa, figurarsi aiutarli. 

J: Vale la pena dire che probabilmente lo sviluppo di questi gruppi è ineguale in diverse parti del paese, e che noi siamo in una delle reti più sviluppate, e questo per svariati motivi. Il primo è che questo è un borough fortemente dominato dal Labour Party, e alcune persone del partito hanno contribuito a costruirlo. Esistono queste divisioni geografiche in gruppi perché sono le stesse usate nelle campagne elettorali. Quindi qualcuno possedeva già queste “delimitazioni” e si è reso conto che potevano essere utilizzate da questi gruppi locali. Penso che sarebbe stato più difficile pensare alla logistica se non fosse stato per loro. Ma la cosa interessante è che questa gente ha contribuito solo e soltanto a questo, all’avvio del progetto. Hanno dato queste informazioni e non si sono fatti coinvolgere in altro modo. In questi gruppi di mutuo sostegno si trovano anche alcuni consiglieri comunali del partito laburista, in un quartiere che ha sempre votato Labour. Questi consiglieri hanno cercato di cooptare i gruppi, chiedendo i contatti e dicendo che gestiranno tutto loro. La gente ha risposto con un forte no: “non avete mai fatto niente e adesso perché dovremmo darvi i contatti?”. Quindi emerge una tensione interessante: questi consiglieri vengono messi alla prova. 

Ho anche l’impressione che la gente stia partecipando perché sanno che la crisi colpirà fortemente questo quartiere. Stiamo parlando degli anziani, dei precari, e dei migranti. Esiste una sensazione comune che questa crisi li colpirà in modo particolarmente forte, e lo stato non farà nulla per aiutarli. Poi si vede come queste reti vengono formate dalla composizione: tanta gente in questo quartiere lavora nel terzo settore, gente con competenze che stanno cercando di usare nelle reti. Stiamo assistendo al dispiegamento di una nuova rete sociale di cui la gente non ha mai fatto parte. Nel nostro isolato, per esempio, prima conoscevamo solo una persona, e neanche così bene. Adesso ne conosciamo una dozzina, ma non li abbiamo neanche mai incontrati in persona. È successo tutto molto velocemente ma nessuno si conosce, per adesso non si è ancora fatto niente.

L: Questo è il fatto più assurdo di questa situazione: abbiamo fatto una lista di tutte le competenze, di chi possiede una macchina, chi una bici, chi può portare a spasso i cani, ma nessuno ha ancora bisogno di aiuto. La prima cosa a cui abbiamo pensato è che sta arrivando una recessione economica mondiale, la gente viene licenziata qua e là, come possiamo usare queste reti nei prossimi mesi, i prossimi anni? Questo genere di infrastruttura è senza precedenti. 

J: Ricordiamoci che tutto questo non è stato organizzato dalla sinistra, ma da gente che non è mai stata coinvolta nella politica. L’intervento della sinistra o è invisibile, o rimane in disparte - gente che manda messaggi sugli scioperi degli affitti, ma senza interagire veramente con la gente. Ancora una volta vedremo che la maggior parte dei militanti non riuscirà a interagire, perché non sa come relazionarsi alla politica sporca, di massa. Esiste una sensazione di disordine tipica dei movimenti di massa: alcuni vogliono parlare con la polizia, altri con il partito laburista. La politica è confusa, un fatto che per me è molto entusiasmante, perché vuol dire che potremo parlare di politica con gente che non avremmo mai incontrato. Ma non sembra che il resto della sinistra stia svolgendo un buon lavoro. 

L: È una prova per i militanti: ci interessa la politica di massa? Possiamo essere coinvolti in modo significativo? O rimprovereremo le persone per non essere abbastanza pure moralmente, per non conoscere i 'codici sociali' della sinistra? 

Che prospettiva avete per lo sviluppo di questi gruppi di mutuo sostegno? 

J: La difficoltà è che queste reti sono ancora in formazione al momento, quindi è difficile immaginare in che cosa si possano sviluppare. Secondo me esiste un potenziale basato sull’NHS (il servizio sanitario nazionale), che svolge un ruolo importante nella concezione popolare della storia nazionale, che ha subito tanti tagli, e che adesso lotta contro il virus. Si può immaginare che queste reti si mobilitino per rivendicare più fondi per l’NHS, e per il personale medico in prima linea. Ma la mia sensazione è che alcuna gente direbbe che non si sono mobilitati per questo, che hanno solo preso parte per fare la spesa per i vicini. Quindi è troppo presto per capire quanto si possano politicizzare questi gruppi. 

L: Secondo me al momento hanno bisogno di molto più sviluppo. Qualcuno ha suggerito uno sciopero dell’affitto nel nostro gruppo, e alcuni hanno risposto negativamente, chiedendo di non politicizzare la crisi. C’è ancora molto lavoro da fare, ma ho molta speranza. Anche avere il numero di telefono della gente, condividere informazioni locali, già quelli sono cambiamenti enormi. 

E il capitale, come si sta ristrutturando all’interno della crisi? 

L: Le ditte di consegna a domicilio si stanno espandendo enormemente. Deliveroo, per esempio, ha alzato la quota che devono pagare i ristoranti e i bar per entrare nell’app, e stanno risucchiando tutto il mercato. Boris Johnson ha annunciato che i regolamenti per le consegne a casa saranno rottamati, il che vuol dire che adesso qualsiasi ditta può iscriversi a Deliveroo, basta che paghino la quota. Prima siamo passati davanti al pub e c’era scritto che consegnavano le pinte a domicilio.

J: Si, come istituzione inglese i pub sono abbastanza regolamentati, e l’ultima volta che ci fu una deregolamentazioni fu l’inizio di Wetherspoon, la più grande catena di pub. Wetherspoon fu capace di intervenire nei cambiamenti di regolamentazioni, cacciando dal mercato decine di migliaia di pub locali e costruendo dei mega-pub con un processo lavorativo incredibilmente taylorizzato per produrre il cibo, organizzare il servizio di bevande, e cosi via. Adesso che verrano ripristinate le licenze per la consegna a domicilio si può immaginare che una catena come Wetherspoon userà la potenza della sua rete logistica per far fuori un bel po’ di pub e consegnare le birre a casa. Chiaramente ci sono imprese in tutto il paese che stanno vedendo un’opportunità per comprare il capitale a basso costo, o per trovare nuovi mercati. 

L: E non scordiamoci che qui è in corso un enorme ridimensionamento della forza lavoro. Ci sono un bel po’ di imprese che normalmente organizzano festival, mercati, eccetera, tutta quella roba è stata cancellata. Stanno trasformando tutta la loro infrastruttura in “dark kitchens”, cucine che producono solo per la consegna. Hanno licenziato tutto il loro personale precario, mantenendo solo un turno severo di cuochi. È una soluzione per le imprese, ma sicuramente non per i lavoratori. 

Che effetto sta avendo la crisi sulla socialità? 

J: Londra è l’avanguardia dell’atomizzazione e della frammentazione sociale. Ma in un certo senso questa crisi potrebbe avere un’effetto opposto a quello che si sta rilevando in Italia. Visto che la gente non sarà più in grado di viaggiare, riemerge la possibilità di generare comunità locali. Come ho detto prima, conoscevamo solo una persona nel nostro isolato, e adesso ne conosciamo una dozzina. La domanda è se questa rete può generare un senso di comunità che continua post-quarantena. Per quanto riguarda la famiglia, la situazione è abbastanza diversa dall’esperienza italiana. La gente non è abituata ad abitare con le famiglie, tanto meno a prendersene cura. Al massimo si visitano una volta ogni tanto. La stragrande maggioranza degli anziani sono accuditi da istituzioni di cura di vari tipi, e si intravede l’inizio un’enorme crisi di assistenza sociale. Se quel lavoro di cura viene sospeso sarà l’inizio di una rottura, soprattutto per la nostra generazione. 

L: Non penso di essere mai stata così tanto in contatto con la mia famiglia. È pazzesco. Magari di solito li vedi una volta ogni tanto per una pinta, ma l’esistenza delle videochat vuol dire che la crisi viene gestita in maniera molto diversa di come sarebbe stata qualche anno fa. Stasera alle 6 ho un’aperitivo virtuale con i miei colleghi, alle 7:30 ho una cena virtuale con altri amici. Domani a mezzogiorno abbiamo il pranzo virtuale con la mia famiglia, alle 6 cena con i suoi. In un certo senso siamo più in contatto che mai. È surreale, la gente cerca disperatamente di mettersi in contatto. Certo, è anche profondamente alienante, persino non andare al lavoro, non vedere i colleghi, cessare tutte quelle piccole interazioni, crea una sensazione molto strana. 

Secondo voi esiste la possibilità di lotte nei posti di lavoro? 

J: Si può ipotizzare che ci saranno due fasi di lotta. Qualcosa può accadere durante la crisi, ma esiste anche il potenziale di una fase successiva, quando ci verrà chiesto di tornare al lavoro. Un po’ di gente con cui ho parlato è stata licenziata con l’aspettativa che li riprenderanno a settembre. Tanti padroni pensano di poter licenziare i dipendenti e riprenderli più avanti come se niente fosse. A secondo di quanto sarà politicizzante questo processo, quello che succederà tra oggi e settembre, non penso che tutti diranno “ah si, torniamo al lavoro dove mi trattavano una merda e mi hanno buttato fuori al primo segno del Covid, e adesso mi pagheranno il salario minimo per lavorare senza protezione”. Secondo me a quel punto cambierà qualcosa, e dopo la crisi i lavoratori vorranno la vendetta. 

L: È vero, al momento si respira una vera atmosfera di vendetta. Vedo tanta gente su Facebook - gente che non conosco dalle cerchie politiche - che stanno scrivendo delle liste di padroni che licenziano. Dicono cose come “dobbiamo boicottarli, questo non ce lo scorderemo”. Ed è uno strano senso di spirito nazionale - “bisogna lavorare tutti insieme” - quindi non è necessariamente radicale. Ho visto delle pagine su Facebook che elencano i negozi che vendono le medicine o il disinfettante a prezzi esorbitanti. Vengono postati sui gruppi chat di massa, e la gente dice “avremo vendetta, non ce lo scorderemo, vi boicotteremo”. 

J: Sì, è contraddittorio perché poi ci sono anche le liste dei padroni considerati bravi perché fanno cose inutili, come lasciare che il personale si prenda un periodo di congedo volontario. Però l’idea di vendetta è entusiasmante, anche se contraddittoria. Sarebbe bello tornare al lavoro con della gente che vuole vendetta. 

A proposito di vendetta. Bene o male i media e gli stati parlano della crisi in termini bellici. Ma c’è da chiedersi: che ne sarà dei soldati quando torneranno dalle trincee?

J: Dopo la prima e la seconda guerra mondiale, molti soldati divennero militanti in fabbrica, e alcuni si tennero le armi e le seppellirono, un po’ come i partigiani in Italia. È un peccato che non sia possibile seppellire pezzetti di Covid da usare contro i padroni. A parte gli scherzi, si sta svolgendo un’interessante discussione nazionale riguardo la definizione di key workers (lavoratori essenziali). Stanno considerando di rendere i facchini key workers, cosa che ovviamente non sono mai stati considerati. La gente si sta un po’ rendendo conto di come funziona il capitalismo odierno, da chi dipendiamo per continuare ad essere nutriti, vestiti, curati, eccetera. E secondo me quando si parla di vendetta è questo. I lavoratori dei supermercati sono stigmatizzati nel Regno Unito, ma si è trovata una nuova sorta di orgoglio. Tanta gente dice “sono fiero di questi lavoratori al supermercato che continuano a lavorare, che fanno in modo che la gente non compra troppa carta igienica, si meritano di più”. E mi chiedo se questo seme possa svilupparsi nel discorso che abbiamo sempre fatto sui lavoratori delle pulizie, che hanno portato avanti delle lotte importanti a Londra in questi anni. Per esempio, senza gli addetti alle pulizie questa crisi sarebbe stata impossibile da gestire, quindi penso che questo discorso potrebbe rinforzare le lotte nei posti di lavoro.

L: Poche settimane fa, Priti Patel, la Home Secretary (simile al Ministro degli Interni, ndr) ha annunciato dei cambiamenti al sistema d’immigrazione, parlando di lavoro altamente qualificato e lavoro poco qualificato. Ovviamente il lavoro di cura venne considerato poco qualificato. Quello era successo poche settimane fa, adesso tante di queste lavoratrici ‘poco qualificate’ stanno postando online e parlando ai media dicendo “hai detto che non sono qualificata, e adesso sto salvando le vite, che hai da dire su questo?”. Quindi c’è stato un vero cambiamento del lavoro e delle concezioni che lo circondano, su chi è importante, e chi no. Un addetto alle pulizie ha detto che, in tempi di crisi, lui può aiutare a salvare lo stesso numero di persone di un dottore. Ma un broker, un analista finanziario, un commercialista, non se ne accorge nessuno quando smettono di lavorare. Si è vista la stessa dinamica quando un gruppo di VIP di Hollywood si è messo insieme a cantare Imagine di John Lennon. Pensavano di mandare un messaggio di unità universale, e invece sono riusciti a fare unire tutti contro di loro. "Fuck you, give us your money and shut up”, diceva la gente.