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Fuori controllo – Il movimento ribelle di Hong Kong e la sinistra

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Mentre 100 manifestanti continuano a difendere l'Hong Kong Polytechnic University, pubblichiamo questo articolo di Ralf Ruckus dal sito https://naoqingchu.org/

Aggiornamento: una settimana fa è iniziata l'ultima fase di lotta a Hong Kong sotto lo slogan “saam baa” o “tre scioperi” – sciopero dei lavoratori (baa gung), boicottaggio delle lezioni nelle scuole e nelle università (baa fo), e la chiusura dei negozi (baa si). Questi scioperi hanno determinato un blocco di massa della metro e delle strade, scontri nelle periferie, manifestazioni e blocchi da parte dei lavoratori nel business district, la chiusura di alcuni negozi e ristoranti (e il boicottaggio di quelli che sono rimasti aperti) e i boicottaggi delle lezioni all’università e nelle scuole che poi sono finiti in occupazioni. Da questo lunedì più di 1100 persone sono state arrestate e l’altra notte 600 manifestanti (tra cui 200 minorenni) del Hong Kong Polytechnic University si sono arresi alla polizia. Quest’ultimo ciclo di lotta è stato scatenato anche dalle numerose storie di pestaggi e violenze sessuali da parte della polizia, in particolare dagli eventi dell’8 novembre quando una ragazza di 16 anni è stata stuprata da un gruppo di poliziotti ed è morto uno studente durante un attacco della polizia. Nonostante il divieto di protestare, le gravi condanne e, da ottobre, anche il divieto di usare le maschere, le proteste continuano. Questo weekend ha anche visto soldati cinesi disarmati per strada, il primo schieramento esplicito dell'esercito cinese nella lotta, che segnala la volontà da parte delle autorità di aumentare il livello di repressione.

 

Questo articolo è il risultato di discussioni avute di recente con manifestanti e attivisti di sinistra di Hong Kong. Fornisce una breve panoramica sull’escalation delle proteste e sostiene che la generale ignoranza della sinistra globale in proposito sia un errore. Nonostante i suoi limiti, il movimento costituisce una delle maggiori sfide per il regime di destra del Partito Comunista Cinese (PCC) e potrebbe essere il preludio ad ulteriori lotte contro i rapporti sociali di stampo capitalista a Hong Kong, in Cina e altrove.

 

Numerose proteste, manifestazioni, scontri violenti, gas lacrimogeni e getti d’acqua, barricate infuocate, attacchi alle stazioni della polizia, blocchi delle strade e delle linee della metro, scioperi e molto altro – queste sono le forme drammatiche dell’attuale movimento di massa ad Hong Kong. Il movimento è esploso nel giugno 2019 in reazione al progetto di legge sull’estradizione che, nei piani, avrebbe dovuto permettere il trasferimento di presunti criminali alle forze repressive della Cina. Arrivando fino a settembre, il movimento è diventato la più grande protesta sociale ad Hong Kong dalla rivolta contro le leggi coloniali inglesi nel 1967. E dal momento che Hong Kong è una parte semi-autonoma della Repubblica Popolare Cinese dotata di alcune “libertà democratiche” da quando la città è stata ceduta dalla Gran Bretagna alla Cina nel 1997, l’escalation del conflitto costituisce anche un serio problema per il regime del PCC.

 

I politici occidentali (ed i media mainstream critici nei confronti del PCC) descrivono il movimento semplicemente come un movimento “per la democrazia e la libertà” – ed ignorano le tattiche violente da esso impiegate, o le considerano semplicemente reazioni alla violenza della polizia. Guardando alle politiche cinesi di espansione globale come a una minaccia per i loro propri interessi economici e politici, vogliono usare questa opportunità per indebolire la posizione e l’influenza della Cina. La sinistra occidentale liberale e istituzionale ripete l’inno della “democrazia e libertà” allo stesso modo con cui solitamente difende i regimi capitalisti nazionali usando l’argomento dei diritti umani. Che una parte della sinistra ortodossa abbia espresso supporto alla posizione del regime del PCC, invece, non sorprende considerando i suo riflessi “anti-imperialisti” ormai datati e la mancanza di comprensione della natura capitalistica del PCC.

 

La questione importante è perché la sinistra anti-capitalista sia rimasta largamente in silenzio ed inattiva riguardo l’escalation del conflitto a Hong Kong. È stata accecata dalle notizie mainstream e non vuole supportare un semplice movimento “democratico”? Crede alle affermazioni della sinistra ortodossa riguardo ad una Cina ancora “socialista”? È stata dissuasa dai discorsi nazionalisti e razzisti o dalle richieste di aiuto al governo statunitense presenti in parti del movimento di Hong Kong?[1] Oppure Hong Kong – che non ha una lunga storia di grandi ed espliciti movimenti politici di sinistra – è semplicemente fuori dal radar della sinistra anti-capitalista e “troppo lontana” per occuparsene?

 

Il punto che deve essere messo in chiaro è che lo scontro attuale tra il movimento di protesta e i governi di Hong Kong e Cina costituisce una importante rottura storica. Uno sguardo alle diverse fasi dello sviluppo del movimento rivela che esso a) è emerso con forme radicali di movimento e di lotta, b) ha rotto il consenso sociale esistente nella relazione fra la popolazione di Hong Kong, il governo e la polizia, e c) minaccia di distruggere il ruolo di Hong Kong per il capitalismo cinese e globale.

 

Il risultato dello scontro è ancora incerto, ma la sinistra anti-capitalistica dovrebbe analizzarne a fondo lo sviluppo e supportare quelle correnti dentro al movimento che hanno del potenziale progressista.

 

Fasi

 

Il movimento di Hong Kong fa uso delle esperienze delle precedenti mobilitazioni, dalla cessione del 1997 fino al Movimento degli ombrelli del 2014 quando decine di migliaia di persone chiesero al governo cinese “elezioni libere” a Hong Kong e occuparono uno spazio enorme fuori dal parlamento di Hong Kong per parecchie settimane – prima di essere sgomberati senza aver raggiunto il loro scopo.

 

La prima fase delle attuali mobilitazioni è iniziata nel febbraio 2019 quando il governo di Hong Kong ha annunciato il progetto di legge sull’estradizione: seguirono l’annuncio una sollevazione pubblica e numerose dimostrazioni pacifiche.

 

Dato che il governo non stava bloccando i procedimenti per introdurre l’accordo, la seconda fase è cominciata il 9 giugno.[2][3] Molte manifestazioni di massa che hanno visto fino a due milioni di partecipanti nel centro di Hong Kong[4] – sorprendente se si considera una popolazione di appena 7.5 milioni – sono state seguite da forti scontri con la polizia, che ha fatto uso di gas lacrimogeni, cartucce a pallini usate specificamente in caso di sommossa, e proiettili di gomma contro i manifestanti che, dal canto loro, costruivano barricate e lanciavano oggetti contro le forze di polizia intente a caricarli.[5] Il governo di Hong Kong ha sospeso l’accordo il 15 di giugno, ma senza ritirarlo.[6][7] Da quel momento, il governo ha perso la fiducia di buona parte della popolazione di Hong Kong.

 

Il movimento ha fatto cinque richieste: 1) il ritiro completo dell’accordo di estradizione, 2) il ritiro dell’accusa di “rivolta” contro i manifestati, 3) il rilascio dei manifestanti arrestati e la caduta delle accuse contro di loro, 4) una commissione di inchiesta indipendente contro la violenza della polizia, e 5) l’attuazione di un reale suffragio universale (ed anche le dimissioni della guida del governo di Hong Kong, Carrie Lam). La seconda fase è finita il primo luglio, quando durante una grande protesta centinaia di militanti hanno forzato l’ingresso dell’edificio del parlamento e lo hanno devastato.

 

Nella terza fase, il movimento ha deciso di coinvolgere altre aree cittadine. Queste azioni avevano lo scopo di espandere le proteste ad altre parti della popolazione di Hong Kong, ma anche di estendersi ai visitatori provenienti dal continente e agli immigranti per spiegare le richieste del movimento.[8] Hanno attirato numeri ridotti di persone, fino a che la situazione è cambiata ancora una volta il 21 luglio, quando centinaia di uomini in “camicia bianca” appartenenti alle triadi locali (pro-PCC) hanno attaccato e ferito dei manifestanti che stavano tornando a casa in una stazione della metro in periferia. La palese collaborazione tra la polizia e le triadi durante l’attacco ha scatenato l’indignazione pubblica.[9] La polizia stessa è diventata bersaglio della rabbia e del disprezzo di una larga parte della popolazione di Hong Kong, ed una violenta spirale di azioni e reazioni ha preso il via. Sorprendentemente, gli attacchi violenti dei manifestanti contro la polizia sono stati supportati (o almeno tollerati) dalla maggioranza del movimento, dal momento che stava diventando palese come il governo reagisse con durezza alle manifestazioni “pacifiche”.[10][11][12

 

Più avanti i manifestanti hanno cambiato tattiche e cominciato a usare azioni simili a flash mob, bloccando strade e costruendo barricate in una zona della città, per poi usare la metropolitana e spostarsi in altre zone della città e fare lo stesso anche lì, provando a essere sempre davanti alla polizia – una tattica che loro stessi descrivono così: “essere come l’acqua” (il riferimento è a una citazione di Bruce Lee).[13] Nel frattempo la polizia ha potenziato il proprio equipaggiamento e le proprie tattiche, con divise più protettive,[14] un armamentario nuovo, poliziotti sotto copertura che si fingono manifestanti,[15] e attacchi più flessibili e più aggressivi. Il culmine di questa fase è stato toccato il 5 agosto, quando centinaia di migliaia di persone hanno risposto alla chiamata di uno sciopero, la metropolitana è stata bloccata e hanno avuto luogo manifestazioni di massa che includevano attacchi coordinati a numerose stazioni di polizia.[16][17][18][19] In seguito, i manifestanti hanno spostato la loro attenzione verso l’aeroporto, un hub del traffico aereo importante dal punto di vista economico e centrale non solo per la città ma per l’intera regione: è stato parzialmente bloccato il 12 e il 13 agosto.[20]

 

La quarta fase – tuttora in corso – è cominciata con la decisione da parte del movimento di fermare gli scontri violenti e di raggruppare le proprie forze. Le manifestazioni pacifiche del 17 e del 18 agosto – la seconda con 1,7 milioni di partecipanti[21] – hanno mostrato come il movimento abbia ancora un sostegno di massa, come pure l’azione di “catena umana” da parte di diverse centinaia di migliaia di persone il 23 agosto (ispirata da un’azione simile avvenuta negli stati baltici nel 1989).

 

Dal momento che il governo non ha fatto ancora alcuna concessione, gli scontri hanno fatto il loro ritorno il 24 agosto e i giorni successivi. La polizia ha ordinato all’amministrazione della metropolitana di chiudere le stazioni nelle aree di protesta, ha continuato a usare gas lacrimogeni, proiettili di gomma e attacchi brutali a colpi di manganello, e di recente ha cominciato a impiegare cannoni ad acqua.[22][23] I manifestanti hanno utilizzato molotov, hanno dato fuoco alle barricate,[24] saccheggiato stazioni della metro,[25][26] e bloccato treni e strade per l’aeroporto.[27][28] Il 2 settembre, gli studenti universitari e delle scuole superiori sono tornati a scuola dopo le vacanze estive e hanno cominciato a scioperare.[29][30] Il 4 settembre Carrie Lam ha effettivamente adempiuto alla prima delle richiese e ritirato l’accordo di estradizione,[31] ma l’ha fatto così tardi che ciò non ha fermato ulteriori scontri.[32][33]

 

Perché, da una serie di marce pacifiche per chiedere il ritiro di un accordo, la mobilitazione è sfociata in un movimento imponente e parzialmente violento che ha come bersagli la polizia, le posizioni del governo di Hong Kong e l’influenza del regime del Partito Comunista Cinese? Quando Gran Bretagna e Cina si accordarono sulla cessione di Hong Kong e formularono la “Basic Law” come il documento che definiva il governo cinese sulla base della regola “one country, two systems”, la gente a Hong Kong e altrove riteneva che sarebbe stata la Cina a cambiare e a diventare più democratica nel corso del suo processo di industrializzazione, urbanizzazione e inserimento nell’economia globale. Invece la Cina non si è mossa in quella direzione, e non solo ha inasprito il suo regime autoritario e repressivo, ma ha anche amplificato i suoi interventi economici e politici a Hong Kong.

 

Oggi a Hong Kong molte persone si aspettano che la Cina non attenderà nemmeno fino al 2047 – la fine ufficiale dell’accordo “one country, two systems”. Il progetto di legge sull’estradizione è stato visto semplicemente come una minaccia in più alle libertà (relative) di espressione e di associazione e allo stato di diritto che – sul modello occidentale – sono in vigore a Hong Kong. I manifestanti vedono la loro lotta come l’ultima mano della partita, l’ultima occasione per bloccare un’annessione completa e l’introduzione di un regime ancora più repressivo da parte della Cina.

 

In più, molti abitanti di Hong Kong – particolarmente i giovani – soffrono per l’incredibile diseguaglianza sociale della città, gli affitti alti e i bassi (in proporzione) salari, la competizione degli immigrati dal continente per lavori, alloggi e welfare.[34][35][36] Sentono che la sempre maggiore influenza cinese peggiorerà ulteriormente la loro situazione economica, a meno che riescano a bloccarla.

 

Lotta organizzata

 

Almeno un terzo della popolazione di Hong Kong (quindi 2,5 milioni di persone) ha preso parte attivamente al movimento – probabilmente un record mondiale. Il movimento è eterogeneo e vede il coinvolgimento di persone di età, genere, posizione sociale e professione differenti: studenti delle scuole superiori e dell’università, colletti bianchi, lavoratori dell’aeroporto, infermiere, funzionari pubblici e molti altri ancora. Secondo le inchieste, la maggior parte dei partecipanti sono altamente qualificati e piuttosto “middle class”, ma al movimento prendono parte anche molti operai e molte lavoratrici dei servizi, o semplicemente lo supportano pur non riuscendo a parteciparvi più di tanto a causa di pressioni economiche e orari di lavoro molto lunghi. In effetti molti manifestanti vivono in due mondi, un orario a tempo pieno durante le giornate di lavoro, e il movimento ribelle nelle strade la sera e nei finesettimana.[37] Rilevante è la generale assenza delle centinaia di migliaia di lavoratrici domestiche immigrate dalla Filippina e dall’Indonesia che sono presenti nella città.[38]

 

Le masse di studenti universitari e liceali che stanno partecipando al movimento sono cresciuti nell’Hong Kong post-1997 e non hanno mai sviluppato una “identità cinese”. Temono il sistema repressivo del Partito Comunista Cinese e non vogliono perdere la way of life di Hong Kong.[39] Al contempo molti dei manifestanti più vecchi sono immigrati dal continente, o loro discendenti, i quali nei decenni passati, prima che venissero a Hong Kong, hanno sofferto le purghe del PCC o altre campagne repressive. Loro non credono al Partito Comunista Cinese.[40]

 

I manifestanti sono fronteggiati da una parte minoritaria della popolazione che, invece, supporta il governo di Hong Kong e la polizia, come anche il PCC, e ha messo in campo proprie manifestazioni che hanno visto fino a decine di migliaia di partecipanti.[41]

 

Il movimento di protesta mostra un’incredibile capacità di autorganizzarsi, sviluppare e cambiare strategie, e prendere decisioni, a dispetto delle sue dimensioni.[42][43][44][45] Discussioni e azioni sono organizzare spesso tramite forum come LIHKG (simile a Reddit),[46][47] gruppi Telegram e Facebook, e altri mezzi digitali.[48][49] In alcune occasioni migliaia, o anche decine di migliaia, di membri usano queste chat di gruppo, e anche decisioni sul passo successivo nel corso di una manifestazione sono prese usando delle app. Nel corso di azioni pacifiche e di azioni violente, le persone si fanno carico di determinate funzioni: scontro in prima linea, costruzione di barricate, rifornimento di maschere o caschetti, trattamento medico, ecc. Altri amministrano i mezzi di comunicazione digitale, postano informazioni sulla posizione delle squadre di polizia o codici di ingresso a porte di case nelle vicinanze, per permettere alla gente di scappare, preparano lavori di arte visuale legati al movimento e si prendono cura dei “Lennon Walls”[50] – poster, adesivi e foto attaccati a determinati muri. Molte persone inoltre usano i propri soldi per comprare acqua, cibo, biglietti della metro o equipaggiamento come maschere antigas, e distribuiscono tutto ai manifestanti, o fanno donazioni di soldi se non hanno altro modo di sostenere il movimento.

 

Colpisce l’assenza di leader e la posizione debole dei partiti politici.[51][52] Per i dirigenti del PCC e per il governo di Hong Kong ciò è difficile da credere.[53] Come anche i media occidentali, essi tendono a presentare membri di certi partiti “democratici” o “localisti” (che hanno avuto un ruolo nel Movimento degli ombrelli), come leader o rappresentanti del movimento odierno, ma questi sono difficilmente rilevanti per tale movimento. Questa assenza di capi è in parte un risultato della repressione seguita al movimento del 2014, perché molte figure in vista furono incriminate e sono state condannate a pene detentive. Un’altra ragione sta nelle tattiche divisive adottate da alcuni leader del Movimento degli ombrelli, come quelli provenienti da gruppi “localisti” (nazionalisti). C’è un vasto accordo sull’idea che conflitti di leadership e divisioni interne hanno indebolito il movimento nel 2014 e non devono ripetersi.

 

Il movimento attuale sta quindi spingendo sulle cinque richieste, e usa slogan generali come “Liberate Hong Kong, revolution of our times” o “Hong Kong, go forward”. Altre istanze sono state di frequente sollevate e discusse, ad esempio rivendicazioni provenienti da sinistra e riguardanti la diseguaglianza sociale, o rivendicazioni di destra riguardanti la limitazione dell’immigrazione dalla Cina continentale o l’indipendenza di Hong Kong. In ogni caso il movimento supporta le cinque rivendicazioni per assicurare la propria unità, e insiste in modo prioritario su queste istanze comuni.

 

Interessi cinesi

 

Il governo di Hong Kong guidato da Carrie Lam è stato visibilmente scosso dal movimento, ma per lo più è rimasto sullo sfondo. È chiaro che le decisioni su come avere a che fare con il movimento sono prese a Pechino. Dopo che in un primo momento il Partito Comunista Cinese non ha permesso che fosse riportata alcuna notizia sui media cinesi, ha in seguito cambiato linea cominciando a costruire una campagna mediatica[54][55][56] dal tono nazionalista che dipinge i manifestanti a Hong Kong come “criminali” o “terroristi”,[57] che sarebbero guidati da “mani straniere” e punterebbero a una “rivoluzione colorata” contro il PCC e gli interessi nazionali cinesi.[58][59][60][61][62] I media ufficiali e i rappresentanti del governo hanno minacciato un intervento diretto delle forze di sicurezza[63][64][65][66][70] e unità anti-sommossa cinesi hanno organizzato esercitazioni pubbliche a Shenzhen, vicino al confine con Hong Kong.[71][72] Il regime del PCC sta utilizzando anche il suo potere economico, esercitando pressioni su aziende come la compagnia aerea Cathay Pacific, dopo che i suoi impiegati hanno attivamente preso parte ad azioni di protesta.[73][74][75]

 

Il Partito Comunista Cinese vuole intaccare la legittimità dei manifestanti e indebolire il movimento nel tentativo di proteggere i propri interessi economici e politici. Hong Kong gioca un ruolo vitale tanto per la Cina[76][77] quanto per le compagnie cinesi e straniere, in quanto snodo di transizione per i capitali in entrata e in uscita, per gli investimenti, e per i servizi finanziari e legali ad essi connessi. La città può avere questo ruolo per via del suo speciale status politico, della sua propria valuta, e del suo sistema giuridico occidentale.[78][79] Le proteste – come pure la guerra commerciale tra Cina e USA attualmente in corso – hanno già imposto dei sacrifici all’economia di Hong Kong.[80][81][82]

 

Qualsiasi intervento diretto da parte delle forze di polizia della Repubblica Popolare, o persino da parte dell’esercito, potrebbe distruggere la funzione economica di Hong Kong e portare a imponenti perdite economiche. In ogni caso un movimento che sfida con continuità e apertamente il potere cinese nella città e richiede più autonomia o addirittura l’indipendenza nuoce all’autorità del PCC e potrebbe pure dimostrarsi contagioso e provocare ulteriori agitazioni sociali in Cina.[83] Nonostante la propaganda del PCC e la mobilitazione nazionalista in Cina contro le proteste a Hong Kong, gli abitanti del continente hanno prospettive differenti a proposito del movimento.[84]

 

Perciò la leadership vuole fermare rapidamente il movimento (e la diffusione di immagini di barricate in fiamme), quantomeno non oltre il 70esimo anniversario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese, il 1° ottobre 2019.[85][86] Ciò potrebbe non essere possibile senza un aumento della repressione e un intervento delle forze di sicurezza cinesi. Il regime del PCC è nervoso, dal momento che l’escalation del conflitto e l’incapacità a contenerlo del governo di Hong Kong e di Pechino hanno già portato a speculazioni sull’indebolimento della posizione del leader Xi Jinping.[87]

 

Limiti e potenziali

 

I militanti di sinistra hanno mostrato apparentemente delle difficoltà nel rapportarsi ai movimenti sociali più recenti che non rientrano nel quadro delle loro aspettative, che rifiutano di essere guidati da rappresentanti della sinistra e che includono elementi che esprimono posizioni e istanze politicamente problematiche, come, ad esempio, i Gilet Gialli in Francia e ora il movimento a Hong Kong.[88][89] In ogni caso le posizioni potenzialmente razziste di parti del movimento di Hong Kong e la sua confusa e problematica richiesta di “democrazia” (o della difesa dello status quo), dovrebbero essere per i militanti di sinistra ragioni in più per intervenire, opporsi a queste posizioni e sostenere le correnti progressive del movimento – come alcuni a Hong Kong stanno giù provando a fare.

 

L’attuale movimento a Hong Kong è sicuramente una delle più impressionanti mobilitazioni di massa degli ultimi decenni. Dopo tutto per il Partito Comunista Cinese si tratta della sfida più grande, a livello di proteste popolari, dal movimento di Tienanmen nel 1989 – anche se questo raffronto ha dei limiti, visti i cambiamenti occorsi in Cina e a livello globale da allora.[90] E arriva a toccare le dimensioni di alcune delle mobilitazioni della “primavera araba” nel 2010 e nel 2011.

 

Nei fatti il movimento non è una mobilitazione anti-capitalistica, o non ancora, ma ha messo in questione il ruolo della classe capitalista che governa (e virtualmente possiede) Hong Kong, come pure quello dei dirigenti del PCC a Pechino. Gli attacchi alla polizia mostrano come molti nel movimento non abbiano alcuna fiducia nelle istituzioni fondamentali dello stato. Scioperi e altre mobilitazioni sui posti di lavoro (ospedali, l’aeroporto, scuole e università, il comparto pubblico, ecc…) hanno ulteriormente indebolito l’accettazione delle relazioni sociali capitalistiche – o, come ha detto uno dei manifestanti: “I lavoratori adesso non lavorano così duramente come al solito, e parlano apertamente contro i capi”.

 

Cosa accadrà ora? In uno scenario pessimista potrebbe finire come con la maggior parte dei movimenti, con la repressione e la sconfitta, dato che il governo di Hong Kong sta già parlando di dichiarare lo stato di emergenza[91] e il PCC sembra incapace di trovare una soluzione morbida[92] e potrebbe mobilitare le sue forze di sicurezza per stroncare il movimento.[93][94][95]

 

In uno scenario meno drammatico il movimento potrebbe semplicemente esaurire la propria energia. In questo caso, misure repressive più dure e molti più arresti sembrano ancora plausibili, dal momento che sono già cominciati.[96][97][98] Almeno alcune delle “libertà democratiche” di Hong Kong potrebbero essere mantenute, il che potrebbe essere letto come un successo del movimento. All’interno della sinistra occidentale molti sottovalutano l’importanza di queste libertà per l’organizzazione di movimenti sociali e di resistenza. Fino ad ora Hong Kong è stata un rifugio per collettivi di lavoratori, femministe e altri militanti di sinistra che hanno utilizzato la città per organizzare attività oltre il confine in Cina, e una serie repressione operata dal regime del PCC a Hong Kong potrebbe significare che tutto ciò sarebbe costretto a fermarsi.[99]

 

In uno scenario ottimista, il movimento potrebbe essere l’inizio della ribellione di una intera generazione e di ulteriori lotte sociali.[100] Le istanze sociali che stanno alla sua base e che una larga parte della popolazione deve fronteggiare (affitti alti, bassi salari, orari di lavoro lunghi, diseguaglianza sociale, assistenza sanitaria di bassa qualità, ecc…) potrebbero infatti innescare correnti anticapitaliste, e l’esperienza della sollevazione collettiva e della lotta contro un’autorità statale potente come quella cinese potrebbero essere solo l’inizio di lotte ulteriori per arrivare a mettere in questione le relazioni sociali capitaliste in quanto tali. Ciò potrebbe stimolare movimenti simili nella Cina continentale, posti di fronte allo stesso nemico: il governo di destra del Partito Comunista Cinese che è stato al centro della ristrutturazione capitalista in Cina per decenni e che negli ultimi anni si è impegnato in una svolta altamente repressiva contro gli attivisti di sinistra.[101]

 

Molto dipende dalla limitazione dell’influenza del PCC su Hong Kong e dal contenimento delle forze di destra “localiste” e delle loro politiche nazionaliste e razziste nella città. La partecipazione di militanti di sinistra, la diffusione di temi e discussioni anticapitaliste, e anche il supporto di movimenti di sinistra all’estero,[102] potrebbero giocare un ruolo decisivo nel rendere l’ultimo scenario più plausibile.