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A proposito degli ultimi eventi in Cile

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Articolo di Nicolás Slachevsky Aguilera sulla situazione cilena

→ Enghish

In un’intervista al Financial Times di giovedì 17 ottobre, Sebastián Piñera dichiarava con arroganza che, davanti ad una America Latina convulsa ed economicamente piegata, il Cile poteva essere considerato una vera e propria “oasi”. Domenica 20, circondato da militari, le sue parole per la stampa sono state che il paese si trova sommerso da una guerra. Negli ultimi tre giorni infatti l’ordine del discorso in Cile è cambiato radicalmente. Se fino al venerdì Piñera ancora poteva vantarsi dell’efficienza della governamentalità neoliberale, imposta a fuoco e sangue dalla dittatura civile-militare e dogmaticamente amministrata a partire dal ritorno della democrazia, oggi sembra evidente che qualcosa in Cile sia arrivato alla sua fine. La contestazione massiva e il clima insurrezionale che cominciati a Santiago si sono estesi poi in tutto il paese, sembrano segnare un punto di non ritorno per il modello economico e politico del Cile.

I fatti sono precipitati dal 14 ottobre in poi, dopo che il governo ha decretato un aumento del prezzo del trasporto pubblico nella capitale. Il valore raggiungeva così quello dei sistemi di trasporto europei (1,1 €), però in un paese dove quasi i due terzi della popolazione riceve un salario inferiore ai 500 €. Secondo gli studi della Fundación Sol, il trasporto rappresenta difatti la seconda spesa più significativa delle famiglie cilene, arrivando a una media di 200 € per ogni famiglia. Questa misura, destinata a mantenere gli enormi tassi di profitto delle imprese private che hanno la concessione del trasporto pubblico, veniva ad aggiungersi così alle politiche di governance neoliberale che mantengono la popolazione precarizzata e indebitata per accedere a servizi di base come l’educazione, la salute e la casa.

La risposta ha cominciato ad articolarsi a partire dagli studenti medi, uno dei settori più combattivi del movimento studentesco cileno, i quali dall’inizio dell’anno si sono trovati in forte conflitto con il governo. Di fronte agli appelli per evadere in massa il pagamento della metro all’entrata delle stazioni, il governo ha risposto usando le forze repressive, e in un secondo momento chiudendo le stazioni principali della metro. Il venerdì, i lavoratori e ampi settori della popolazione civile che non potevano tornare nelle loro case si sommavano agli studenti. È stato così che davanti alla massività delle proteste e dei disordini che cominciavano a diffondersi durante la notte, il governo decretava lo Stato di emergenza. Ma la disobbedienza civile che aveva cominciato a prendere forma nei sotterranei della metro già si era riversata per le strade convertita in ribellione popolare, si era espansa in questa maniera per tutto il resto del paese.

Quest’ultimo fine settimana si sono viste in Cile scene che non si vedevano dai tempi della dittatura militare. Coprifuoco, militari per le strade, spari a tutto spiano contro la popolazione civile. Sebbene il sabato, assieme a un pacchetto di misure repressive destinate a ripristinare l’ordine, il governo ha deciso di annullare l’aumento del prezzo del biglietto, l’orizzonte delle possibilità che si era aperto in seno alla rivolta popolare già aveva superato qualsiasi pertinenza di una soluzione ristretta. Nessuno mette in dubbio che ciò che oggi si contesta nelle piazze è la completa struttura del sistema neoliberale cileno.

La velocità con la quale si sono successi i fatti, la violenza estrema che si vive per le strade e il blocco informativo che la stampa ha tentato di imporre in complicità con lo Stato, rendono difficile oggi portare avanti un’analisi esaustiva degli ultimi eventi. Non c’è dubbio che la situazione sia complessa. I militari per strada non sono solo un simbolo, un ricordo doloroso degli orrori della dittatura, sono l’evidenza stessa della violenza con la quale la classe capitalista cilena è disposta a difendere i suoi enormi privilegi. Senza informazioni ufficiali precise rispetto alla quantità dei morti e dei feriti durante le ultime giornate di protesta, sono vari i video che circolano sui social network dove si può vedere come la polizia e i militari uccidono a sangue freddo. Quello che a prima vista può sembrare l’inettitudine politica del governo attuale, la rapidità con cui la rivolta sociale ha superato la sua capacità di offrire una risposta politica, potrebbe essere tuttavia l’effetto di una “strategia dello shock” calcolata. La magnitudine dei saccheggi nei quartieri popolari laddove la polizia ha smesso di controllare (se non li ha direttamente provocati), i montaggi mediatici e il terrorismo informativo dei mezzi di comunicazione che hanno trattato la rivolta come niente di meno che il prodotto di orde vandaliche, potrebbe essere il tentativo di disporre una parte della popolazione contro il movimento sociale, giustificando così l’uso di una repressione più generalizzata e spietata. Lo stesso presidente ha parlato di fronte ai mezzi di comunicazione dicendo che si trova sommerso in una “guerra contro un nemico potente, implacabile”, attribuendo al movimento sociale una “escalation che senza dubbio è organizzata”.

La rivolta però non si è fermata davanti alla repressione, manifestandosi in ogni territorio contro le forze dell’ordine e i simboli della violenza strutturale del modello cileno. Il coprifuoco non sta venendo rispettato dalla popolazione che con coraggio e ribellione è scesa in piazza per manifestare senza retrocedere alla polizia e ai militari.

Dicevamo prima che gli eventi di questi ultimi giorni hanno spostato l’ordine del discorso così come i rapporti di forza della lotta di classe in Cile. La ribellione che è scoppiata spontaneamente, senza la conduzione di nessun leader né partito, ha posto come manifesto tutte le richieste della popolazione cilena, uno dei paesi più diseguali del mondo, dove l’1% della popolazione concentra più del 25% delle ricchezze e dove quasi la totalità dei diritti sociali sono stati sequestrati dal capitale privato. Questa rivolta ha permesso anche di rendere visibile il lavoro politico delle organizzazioni sociali e cittadine che senza arrivare ad accordi con l’establishment neoliberale hanno lavorato dal ritorno della democrazia per la riconquista dei diritti sociali di base: i movimenti antiestrattivisti, per la difesa dell’acqua, il movimento contro il sistema privato delle pensioni, quello per l’educazione, ecc.

Il 2011, dopo l’enorme movimento sociale per l’educazione pubblica, aveva fatto risplendere il seme della ribellione popolare con intense giornate di protesta che terminarono però ristrette al settore studentesco ed infine furono soffocate dal governo. La magnitudine delle mobilitazioni di oggi, la loro trasversalità e la loro violenza appaiono in questo momento come qualcosa di inedito, comparabile solo alla “batalla de Santiago”: un movimento popolare anch'esso spontaneo prodotto da un aumento del prezzo dei trasporti che nel 1957 aveva aperto durevolmente l’orizzonte politico della sinistra rivoluzionaria in Cile. Anche l’eco delle ribellioni in Ecuador del mese scorso è stato decisivo e ispiratore.

Per oggi, lunedì 21 ottobre, dopo una seconda notte di coprifuoco nelle principali città del paese, le organizzazioni sociali, territoriali e sindacali più importanti del paese hanno convocato uno sciopero generale in tutto il paese. Mentre lo Stato e le classi governanti sono tornate a mostrare la loro faccia più scura e repressiva, il popolo cileno torna a scendere in piazza deciso a scrutare il nuovo orizzonte che si è aperto davanti ai suoi occhi. Il messaggio è prendersi cura di sé e continuare a lottare.

Bisogna stare molto attenti a quello che può succedere in Cile nelle prossime ore.

 

* Traduzione di Dario Lovaglio.