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Un femminismo della rottura

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Recensione di Anna Curcio a Una lotta femminista globale di A. Picchio e G. Pincelli

È un volume di pregio Una lotta femminista globale. L’esperienza dei gruppi per il Salario al Lavoro Domestico di Ferrara e Modena di Antonella Picchio e Giuliana Pincelli, nella collana “Letture d’archivio” diretta da Lea Melandri per Franco Angeli, Fondazione Badaracco (2019, 206 pagine). Seppur riferito a uno specifico spaccato territoriale, è una preziosa raccolta di documenti sull’esperienza a lungo taciuta dei gruppi per il Salario al lavoro domestico che negli anni Settanta ha imposto una svolta radicale all’interno dei movimenti e della stessa critica femminista, segnando un vero e proprio punto di rottura.

In linea con il progetto editoriale della collana, il volume ricostruisce quella storia attingendo principalmente dall’Archivio circolo casa delle donne di Modena e dagli archivi personali delle autrici. Raccoglie documenti politici, poster, foto, volantini e lettere, come quella scritta dalla compagne di Lotta Femminista alle redazioni di Potere Operaio, Lotta Continua e il Manifesto a margine dei “fatti di luglio" alla facoltà di Magistero a Roma nel 1972, quando «uomini genericamente autodefinitisi “compagni”, non tollerando che le donne pretendessero di definire autonomamente il proprio sfruttamento e le proprie forme di lotta, hanno materialmente impedito che il seminario si svolgesse», con porte e finestre sfondate, preservativi pieni acqua usati come gavettoni, botte e feriti come corollario. 

È qui, intorno a questi fatti e come esito della riflessione sviluppata nei mesi precedenti all’interno di una rete femminista transnazionale e al lavoro di Selma James, che fa irruzione sulla scena politica quella composizione soggettiva che stava dando vita all’esperienza dei gruppi per il Salario. In una lettera di qualche giorno successiva, indirizzata al Manifesto in risposta ad un’altra lettera di Po apparsa su quelle pagine a proposito di quegli stessi fatti, sono definite le coordinate di una lotta femminista autonoma che rompe (anticipando una tendenza che da lì a poco interesserà tutti i gruppi) con la tradizione dei gruppi cosiddetti extraparlamentari e con il femminismo emancipazionista di sinistra, e rilegge i concetti di salario e lotta di classe, cari all’operaismo politico italiano. 

Dove la lotta per il salario è centrale per la composizione politica della classe ne vengono rintracciate (e denunciate) le gerarchie interne e i limiti politici. «Il salario, inteso come salario solo per l’uomo, comanda il lavoro di due persone: l’uomo che lavora in fabbrica e la donna che nella casa (…) produce la forza-lavoro. [Po] non vede che il lavoro della donna è lavoro capitalistico, nascosto dall’assenza di salario, e che il salario ricevuto è potere dell’uomo sulla donna». Da questa angolazione anche la lotta di classe assume una nuova connotazione. La lotta per il salario divide la classe «secondo le linee dell’organizzazione capitalistica: le sezioni di classe con più potere e le sezioni di classe con meno potere», gli uomini con un salario nel primo caso e le donne senza salario nel secondo (ma anche «i bianchi con un salario più alto dei neri»). Per questo la lotta delle donne «per il salario e contro il salario (per il potere che esso rappresenta e contro il rapporto capitalistico che esso rappresenta)» deve essere una lotta autonoma. Il salario per il lavoro domestico è in questo senso «un nuovo livello di potere e autonomia per la donna» che rompe con la struttura di potere della famiglia «esattamente come la lotta dei disoccupati meridionali per il salario (…) tende a distruggere la struttura di potere all’interno della classe su cui la fabbrica è costruita». Così, mentre la famiglia (e non la fabbrica) si fa campo di battaglia, Lotta Femminista dichiara guerra ai vari gruppi della «sinistra di classe», femministe comprese, per aver tra loro associato “femminile” e “prepolitico”. Il dado è tratto. La rottura femminista sul salario ha messo in discussione l’intera struttura politico-organizzativa e intellettuale di una pur straordinaria stagione di lotta.

Insieme alla rottura teorico-politica colpisce oggi anche l’attenzione al tema della razza e del suo rapporto con la classe e il genere, che anticipa, sebbene dentro un paradigma differente, il richiamo oggi rituale a un femminismo intersezionale. Più precisamente, il tema della razza è presente nel discorso politico dei gruppi per il Salario sin dai suoi esordi intrecciando la stessa nascita del Black Feminism (stando alla ricostruzione storica fornita da Barbara Smith in Toward a Black Feminist Criticism del 1978, uno dei testi fondativi della critica femminista black è stato scritto da Wilmett Brown del gruppo Black Women for Wage for Housework di New York). Dai documenti raccolti nel volume emerge chiara la consapevolezza che razza e genere sono elementi strutturali del funzionamento del capitale, strutture interne alla definizione della classe e alla sua composizione, ben più dunque di una sommatoria di differenze giustapposte e interconnesse. Nell’affermare che «sesso, razza e classe (…) si siano dimostrati non separati e anzi inseparabili» Selma James sta parlando - nel documento Sesso, razza e classe presentato in una traduzione del 1975 a cura del Gruppo femminista per il Salario al lavoro Domestico di Ferrara - della necessità di ridefinire la classe (che è sempre la classe come soggetto politico) a partire dalla razza, dal genere, dall’età e lo fa per descrivere un nuovo soggetto di classe che eccede i salariati bianchi maschi cari al Movimento operaio e alla tradizione di sinistra. «Se sesso e razza vengono scissi dal concetto di classe in effetti, ciò che resta - aggiunge lapidaria - è la politica mutilata, provinciale e settaria della sinistra bianca e maschili dei paesi metropolitani».

I documenti raccolti nel volume (in un capitolo curato dalle autrici insieme a Beatrice Busi) sono stati raggruppati in sezioni tematiche: la storia dei gruppi e la prospettiva politica; l’autonomia femminista; le lotte per l’aborto, la scuola, la sanità e per i servizi sociali. L’ultima sezione è dedicata a «La rete internazionale». Ne fanno parte il già citato contributo di Selma James, il discorso tenuto da Susan Fleming a Londra per la giornata internazionale della donna nel 1973 (nella traduzione a cura di lotta Femminista di Padova) ed estratti da un numero di “Tap Dance” sul movimento delle donne a New York (tradotto da Carli, Peverati e Picchio, pubblicato nel 1982 per coop. Charlie Chaplin). Materiali importanti per inquadrare la genealogia politica e intellettuale di una esperienza non riducibile - come a volte avviene, soprattutto nel dibattito anglosassone - alla sua indubbia matrice operaista. Al contrario, i gruppi per il Salario nascono e si sviluppano dentro una rete transnazionale di contatti ampia (fatta di ambiti intellettuali come la Johnson-Forest Tendency statunitense e il gruppo raccolto intorno alla rivista “Socialism ou barbarie” in Francia e di reti militanti come le Unsupported Mother in Gran Bretagna e le Welfare Mothers afroamericane e latine negli Stati Uniti) e, come il volume ha modo di evidenziare, all’interno di specifiche dinamiche relazioni legate al piano territoriale e alle esperienze soggettive delle partecipanti. 

Ad aprire il volume le note biografiche delle autrici che ripercorrono l’esperienza politica e intellettuale all’interno dei gruppi per il salario, e una ricostruzione storiografica dei gruppi di Ferrara e Modena: la loro costituzione, composizione e genealogia politico-intellettuale. E poi una domanda: «Perché è andato a finire quasi nel nulla un corpo così consistente di tracce, documenti, testimonianze?» Pincelli, sulla scorta di Melandri, parla di una “dimenticanza” che avrebbe però permesso a quel discorso di lavorare a «creare società femminile», di svilupparsi sul piano teorico, soprattutto nell’analisi economia e sociale in relazione al nesso tra produzione e riproduzione, e di arrivare «sottotraccia» all’oggi. Tuttavia, ferma restando l’indubbia capacità di influenzare la produzione teorica, e senza tralasciare l’evidente ripresa di interesse per quella proposta teorico-politica, resta da chiedersi se il termine “dimenticanza” riferito al femminismo dei gruppi per il Salario e alla sua pratica teorico-politica, possa essere adeguato per dar conto della sistematica rimozione di un discorso immediatamente radicato all’interno dei rapporti sociali di produzione che faceva a pugni con i richiami al simbolico del femminismo a venire, con il pensiero postmoderno e con il ripiegamento istituzionale tra conferenze ONU, politica delle quote, Case delle donne e dipartimenti di Women Studies, di tante delle sue protagoniste, benché a quei tempi apparisse l’unica strada percorribile.

In chiusura «Giuliana intervista Antonella» sui temi al centro del Piano femminista… di NUDM - strutture familiari, reddito, sciopero - alla ricerca di «legami o affinità con le posizioni teoriche e le prassi seguite negli anni Settanta dai gruppi per il Salario». La conversazione restituisce tutta la complessità di una relazione genealogica altre volte nel volume apparsa più lineare, e porta in primo piano i nodi aperti del movimento femminista italiano di oggi, a partire da un bisogno di radicalità e, soprattutto dalla necessità «di costruire la forza collettiva in grado di rendere questa radicalità chiaramente decifrabile e affettivamente agibile». Non si può infatti trascurare che se in America Latina, epicentro del movimento, è effettivamente in atto un processo di radicale cambiamento sociale spinto da una “forza collettiva” transfemminista, con mobilitazioni nelle case, nelle scuole, sui luoghi di lavoro e nei quartieri, qui le cose vanno in modo diverso e c’è ancora molto lavoro da fare per andare oltre le pur pregevoli dichiarazioni di intenti.

È anche per questa tensione all’attualizzazione di quel discorso che Una lotta femminista globale è un libro importante. Nel suo essere il primo lavoro organico sull’esperienza di “Salario al lavoro domestico” in italiano, contribuisce a riempire, con un occhio sul presente, quel silenzio assordante calato su un’esperienza politica ed intellettuale ricca, originale e di rottura, dotata di una produzione teorica vivida, una pratica efficace, una capillare capacità di intervento e un diffuso radicamento territoriale, dentro una rete politica militante transnazionale. Così dopo decenni di silenzio comincia a ricomporsi il mosaico di un’esperienza dalle caratteristiche sfaccettate e il volume va a collocarsi nello scaffale accanto ad altri lavori documentali e di ricostruzione storiografica come il lavoro di Louise Toupin: Le salari ou travaille manager. Cronique d’un lutte feministe internationale 1972-1977 (2014) focalizzato prevalentemente sull’esperienza nel Canada francese, il volume Wage for Housework. The New York Cometee 1972 - 1977. History, Theory, Documents (2017) a cura di Silvia Federici e Arlen Austin, e a un variegato tessuto di testi di vario tipo pubblicati in riviste e blog di carattere nazionale e internazionale. Un materiale imprescindibile per il femminismo globale del Ventunesimo secolo che ha ripreso a confrontarsi con la materialità dei processi produttivi e delle dinamiche sociali.