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L’ultimo operaista

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Recensione di Bruno Cava de L’operaismo politico italiano di Gigi Roggero (DeriveApprodi 2019)

L’ascesa di collettivi orientati dalle identità sembra aver reintrodotto la grammatica dell’antagonismo politico. Il mondo si troverebbe diviso tra uomini e donne, ricchi e poveri, bianchi e neri, gli occidentali ed il resto. Due parti esterne le une rispetto alle altre, stanti in un rapporto di opposizione. Basterebbe scegliere la parte giusta e cimentarsi nella lotta contro il patriarcato, il neoliberalismo, il potere bianco, l’occidente colonizzatore. Il libro di Gigi Roggero si contrappone a questa grammatica. Se il politico dell’operaismo politico consiste nella scienza dell’antagonismo, lo è in una maniera completamente differente. Uomini e donne, ricchi e poveri, bianchi e neri, occidentali e colonizzati non si oppongono alla stregua di una giustapposizione di identità. V’è una legge della genesi che spiega la formazione dell’opposizione. Le parti apparentemente separate sono altrettante espressioni di uno stesso rapporto sociale, dal quale i contrasti geneticamente derivano. Questo stesso rapporto sociale è ciò che Marx definisce capitale. Con Marx l’operaismo non soltanto spiega la divisione in classi a partire dal rapporto sociale capitalista, ma pone anche l’accento del rapporto sul polo della classe. Il capitale non determina la classe: è la classe che determina lo sviluppo del capitale, il suo piano, la sua composizione. La classe è prius ed è più del capitale, il quale a sua volta non è altro che una determinazione e pertanto un grado inferiore della potenza della classe. Assumere nuovamente l’operaismo oggi significa rigettare qualsivoglia formulazione dell’antagonismo che presupponga un Grande Nemico, un postulato esterno di comodo affinché possiamo fregiarci dell’aureola della “Parte Giusta”. Nel rigettarla, ciascuna categoria politica è riletta a partire dal primato della lotta di classe. La storia cessa di essere una vecchia matrona sulla cui sottana potersi adagiare con la buona coscienza dei giusti. La storia si apre nuovamente alla creazione di valori, alla scommessa, all’occasione, al rischio.

Leggere Marx attraverso Lenin e Lenin attraverso Marx, l’uno operando una torsione sull’altro, senza alcun marxismo-leninismo. Dalla classe al partito e dal partito alla classe, attraverso l’arduo ed incerto cammino delle lotte. Eccolo l’avvicendarsi di teoria e prassi, di storia e soggetto, di struttura ed evento, che inquieta la lettura di questo libro. Leggere i Grundrisse per fare la rivoluzione e leggere il Che fare? per comprendere la scienza del capitale. Un Marx rigorosamente politico che deve incarnarsi nel movimento operaio. Un Lenin “dentro e contro” i tentativi di gestione della crisi, in un’analisi minuziosa delle tendenze. Una critica dell’economia politica per un tempo in cui Rakhmetov è divenuto il più feroce agente creativo-distruttivo. Una critica della militanza per un tempo in cui la sinistra è divenuta sinonimo di culto della vittima e dell’offeso. Farisaica, pretesamente salvifica, ultimo bastione della nostalgia rossa, ridotta al grido “O noi o il diluvio!”. La sinistra è divenuta un progetto di gestione e, come tale, è polizia. Ed agisce come polizia nella pace e nel tumulto, in ogni caso al fine di pacificare la classe nella forma “positiva” del nazionale, del popolare e del nazional-popolare. Ma non stiamo ad aspettare qualcosa di nuovo per liberarci di questo Super-Io, come se il futuro ci attendesse all’angolo. Ad ogni nuova esplosione della classe siamo risvegliati dai nostri sogni dogmatici e ributtati sul palco insonne degli antagonismi, senza nessuna garanzia, nell’impurità.

La cerniera dell’operaismo politico si pone tra due temporalità simultanee ed inseparabili. Il tempo lungo della critica del capitalismo: immensi orizzonti di trasformazioni geoeconomiche, d’incorporazione dei saperi nel macchinario produttivo, di lento mutamento degli ambienti sociali. Cicli che si danno non tanto in forza dei cicli oggettivi di sovrapproduzione o di sottoconsumo di un Kondratiev o di un Kalecki, quanto in virtù di cicli soggettivi di lotte. Come saltare attraverso i livelli storici di questa critica e contrarre il ciclo dei comunardi del 1871, dei soviet del 1917, dei collettivi del 1968 e dei movimenti del 1999? Come estrarre le soggettività dal loro strato storico per trarne delle scintille, dei rilanci di potenza? Il tempo breve della critica della politica: la minima deviazione, l’opportunità appresa nella sua configurazione singolare, il preciso lancio di dadi che fa l’avvenimento. Può trattarsi di un’azione decisiva, come pure di un’interruzione degli ingranaggi usuali dell’azione, di un intervallo intenso che riconduca le condizioni alla possibilità di agire nuovamente. L’operaismo politico di cui parla Roggero si dà nella tensione tra questi due tempi, nel coniugare durate coesistenti e compenetrantesi. Né troppo presto, nell’attesa che la situazione maturi di per sé- vizio accelerazionista, politica escatologica. Sono stati precipitosi coloro che hanno visto nel ciclo delle Primavere Arabe, nel quale ci troviamo ancora, l’avvento di “figure del comunismo” (Zizek) od “istituzioni del comune” (Negri). Né troppo tardi, come se riuscissimo a giungere in tempo soltanto per contenere il peggio – vizio dell’utopia negativa, politica del kathecon (comune a tutti i sinistrismi che rimuginano sulla propria sconfitta). Fare l’orario del treno ed imbarcarvisi.

Quando perfino l’operaismo a poco a poco si sedimenta in un ulteriore igienismo teorico, è necessario avere il coraggio di procedere fino alla sua estremità ed al di là di essa. Questo libro è un invito a ricominciare ancora una volta.

 

* Traduzione di Graziano Mazzocchini.