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Invertire la rotta dell’antirazzismo

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Un commento di Anna Curcio a partire dalla vicenda Sea Watch

Nei giorni in cui l’impavida comandante della Sea Watch 3 Carola Rackete gestiva il rifiuto del ministero degli interni italiano all’attracco della sua nave nel porto di Lampedusa il più vicino porto sicuro che, come abbiamo imparato, deve essere garantito alle navi che soccorrono naufraghi in mare – molti nodi sono venuti al pettine. Sto parlando dei nodi irrisolti del governo delle migrazioni in Europa, della dimensione speculare tra razzismo sovranista e antirazzismo liberale e di sinistra, della frattura coloniale che segna l’intera esperienza e narrazione europea. Quei nodi irrisolti che riguardano tutte e tutti noi, nessuno escluso, e che indicano la necessità di invertire la rotta, è proprio il caso di dirlo, dell’antirazzismo italiano ed europeo. 

Ci sono alcuni episodi e prese di posizioni politiche che hanno fatto da corollario ai 17 giorni in cui la comandante Carola è stata impegnata nella gestione di un caso estremamente delicato sotto il profilo del diritto internazionale, delle regole della politica e del buon senso, su cui occorre soffermarsi e riflettere. Sono fatti e atti che permettono di mettere a fuoco i nodi irrisolti del discorso antirazzista europeo per come lo abbiamo fin qui concepito, senza sorpresa alcuna per quelle dichiarazioni e prese di posizione che sembrano invece a primo acchito spiazzarci.

Pensiamo ad esempio alla decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo di non chiedere alle autorità italiane di far sbracare le 42 persone a bordo della nave, un’assurda contraddizione verrebbe da dire: quale organo di tutela dei diritti umani potrebbe opporsi ad uno stop alla barbarie in scena sulla Sea Watch? Eppure c’è poco da stupirsi e non solo per ragioni di realpolitik. La storia europea ci ha insegnato che i diritti dell’uomo hanno ben poco di universale se la Francia giacobina che li aveva introdotti al grido di libertè, egalitè, fraternitè stava contemporaneamente combattendo contro la libertà e l’uguaglianza degli schiavi neri nella colonia caraibica di Santo Domingo nelle Antille francesi, mentre un incredulo e spaventato generale de Lacorix ascoltava salire dalla fila nemiche la stessa Marsigliese che aveva sentito risuonare per la strade della Parigi rivoluzionaria. D’altra parte non serve scomodare Toussaint L’Overture e i giacobini neri di C.L.R James per leggere le contraddizioni della Ue nella gestione delle migrazioni. Non è forse di tale contraddizione, più precisamente di tale ipocrisia, che ci parlano le aperture di facciata di Merkel e Macron in tema di migrazioni, mentre la Gendarmerie si schiera sul confine italo-francese per impedire il transito dei migranti e Merkel mette a punto un pacchetto di riforme su rimpatri e restrizioni del diritto di asilo? Non è di questo doloso e nefasto cortocircuito che ci parlano (trasudando razzismo) le prese di posizione del governo tedesco a favore della comandate Rackete contro i “plebei” italiani, che restano pur sempre importanti partner politici e commerciali? Il razzismo sovranista e l’arroganza di Salvini sono, in altri termini, l’altra faccia, più rozza ma non per questo meno violenta, dell’ipocrisia antirazzista della Ue. Anzi, si può tranquillamente affermare che la cosiddetta “opposizione” europea a Salvini non è per le politiche migratorie di cui è portatore, che sono la logica conseguenza di quelle progettate e attuate dalla Ue; ciò che non gli viene perdonato è di aver rotto esattamente quel velo di ipocrisia e aver presentato l’Europa per quello che realmente è, un blocco continentale fondato sul razzismo.

Proviamo, sempre da questa prospettiva, a pensare adesso alla scelta dei parlamentari della sinistra italiana di salire a bordo della nave ferma a largo di Lampedusa. Provando a tralasciare ogni facile battuta e ironia, pur necessaria per osservare il grottesco Pd, pensiamo alle dichiarazione di un provato e, letteralmente, “fuorilegge” Graziano Delrio che sceso dalla Sea Watch 3 invoca, novello Antigone, la necessità di violare le leggi ingiuste, e pensiamo contemporaneamente alla presa di posizione della compagna di partito Roberta Pinotti che si schiera dalla parte della Guardia di finanza che provava ad ostacolare l’ingresso della nave in porto e poi alle dichiarazioni di uno sprezzante Marco Minniti – colui che ha messo fuorilegge le Ong nel Meditrerreno e ha sancito gli accordi per i campi di concentramento in Libia – che rimprovera al suo successore Matteo Salvini di creare emergenze ad arte. Beh, quello dell’emergenza è un altro tema caro alla governance Europa che attraverso la sua costruzione ha potuto fin qui governare la crisi, che si tratti della crisi economica o della cosiddetta crisi dei rifugiati. Anche qui, dunque, nessuna primazia dei sovranisti.

Pensiamo infine alla dimensione speculare tra le offese che Matteo Salvini rivolge alla comandante Rackete definendola “sbrufoncella figlia di papà” e le dichiarazioni della stessa comandate che consapevolmente riconosce il suo privilegio di donna bianca, colta, ricca ed europea, a cui lei stessa riconduce la scelta di guidare la nave di una Ong che pattuglia il Mar Mediterraneo per prestare aiuto ai barconi di migranti in fuga dall’inferno libico. Ha forse torto Salvini nella sua pur volgare e violenta descrizione della posizione sociale della comandante Rackete? Certo che no. Nella sua ignobile e rivendicata foga razzista mostra, al contrario dell’ipocrisia di sinistra, la capacità di cogliere sempre il dato materiale delle cose, ed è questo che lo rende popolare rispetto a una sinistra invisa proprio perché incapace di leggere le differenti condizioni oggettive di esistenza. Se non dunque per i suoi infami obiettivi e i modi spregevoli, le dichiarazioni di Salvini, nel merito del contenuto, non si discostano più di tanto da quelle della stessa Rackete. Entrambi, seppure su posizioni opposte descrivono la trama comune al razzismo e all’antirazzismo europeo: la definizione di gerarchie e privilegi costruiti rispetto all’alterità razziale. D’altra parte sono anni che insistiamo nel dire che il razzismo non è un vizio ideologico o una patologia sociale né dipende dalla cattiveria di Salvini o dalla cosiddetta “emergenza rifugiati”; non è un fenomeno accessorio o contingente ma un dato di fondo, imprescindibile e strutturale, del capitalismo europeo.

Guardando dunque a questi episodi, e alla ipocrita specularità che li denota, arriviamo dritti dritti al cuore del problema, dove si addensano i nodi irrisolti delle pratiche e dei discorsi antirazzisti in Europa e in Italia: la “colonialità” intrinseca della narrazione storica europea al fondo del progetto politico ed economico della Ue, simmetrica tra destra e sinistra, tra sovranisti dell’ultimora e ordoliberisti storici. «L’aggressività e la virulenza del sovranismo – ha scritto di recente Miguel Mellino in Governare la crisi dei rifugiati (Derive Approdi 2019) – non devono oscurare la “barbarie” dispiegata dalla Ue in precedenza e tanto meno le modalità pienamente razziste del governo europeo della cosiddetta “crisi dei rifugiati”», direttamente riconducibile a una pulsione razziale che affonda le radici nel rapporto storico dell’Europa con i suoi altri “coloniali”.

È per questo allora che le posizioni della sinistra italiana ed europea non sono utili per un antirazzismo all’altezza delle sfide del presente, un antirazzismo che sia capace di rispondere sul piano materiale alla retorica urlata, mistificata ma materialissima di Salvini e dei suoi, che sappia leggere i limiti di una ragione umanitaria sempre affiancata alla costruzione dell’emergenza; la compassione per migranti e rifugiati (che produce di per sé la gerarchie tra chi prova compassione e chi è oggetto di compassione, ovvero tra chi si erge a voce e rappresentante di una vittima priva di voce e soggettività) costituisce infatti la cifra ideologica della governance europea in materia di migrazioni. In questo quadro l’accoglienza, sempre costruita sul piano dell’emergenzialità, rappresenta la nuova forma di accumulazione capitalista che estrae valore sul doppio binario della definizione di una forza-lavoro subordinata che vive sotto la costante minaccia di un “diritto d’asilo” ormai solo temporaneo e di una forza-lavoro precaria e ricattabile (ricattata proprio sul piano del richiamo umanitario e della solidarietà) impiegata nelle Ong e organizzazioni del terzo settore.

Per invertire la rotta allora, per un antirazzismo all’altezza delle sfide del presente, occorre ritrovare il coraggio e la determinazione della comandante Carola nelle lotte congiunte di operatori dell’accoglienza e richiedenti asilo, nelle battaglie quotidiane sul lavoro, per gli alloggi, nelle scuole, nel campo complessivo della riproduzione, tra soggetti razzializzati e non. Perché non è mai superfluo ripetere che l’unico antirazzismo possibile è quello che va dritto al cuore dei rapporti di produzione capitalistici.