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Presidi sanitari autonomi nelle città dell’austerity

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Intervista a ESPACIO DEL INMIGRANTE (RAVAL) - di COMMONWARE

A Barcellona, nel quartiere di Raval, ad alta densità migrante, è attivo da quasi un anno un presidio autogestito, uno sportello di assistenza sanitaria e legale per chi ha perso il diritto alle cure mediche. Si tratta dell’effetto delle misure di austerity imposte del governo Rajoy e dal Real Decreto dell’aprile 2012 (poi entrato in vigore a settembre) che estromette dall’assistenza sanitaria gratuita chi non versa i contributi alla Seguridad Social, soprattutto migranti che lavorano in nero o che non guadagnano abbastanza. “Non sono tagli, è xenofobia” hanno scandito le manifestazioni di protesta che hanno attraversato il paese dall’entrata in vigore del provvedimento. Ma l’iniziativa non si è fermata qui. Mentre un numero sempre crescente di medici di base fa ricorso all’obiezione di coscienza e continua a prestare cure anche a chi non ne avrebbe più diritto, una rete di militanti, associazioni, ONG e medici obiettori ha dato vita ad una piattaforma nazionale che punta all’abolizione del decreto e lavora nei quartieri.

Ne abbiamo parlato con un’attivista dello Espacio del Inmigrante nel Raval di Barcellona, che chiarisce subito: “Il nostro obiettivo non è sostituire la funzione di pronto soccorso. I nostri medici visitano i pazienti per valutare le condizioni di salute e stabilire la tempistica dell’intervento. Se si tratta di un’urgenza ci rechiamo immediatamente in ospedale altrimenti si fa tutto con più calma. Il nostro ruolo è ‘accompagnare’ dal medico chi ha smesso di avere diritto alla salute dopo l’entrata in vigore del Real Decreto. Prima, con o senza documenti, tutti coloro che si trovavano nel territorio spagnolo avevano diritto a una copertura medica universale. Adesso non è più così. Hanno detto che la legge serve a ridurre i costi della sanità nella crisi, ma funziona in un modo completamente discriminatorio, perché ci sono spagnoli che non lavorano, e quindi non pagano le tasse, che hanno diritto alle cure mediche, mentre ci sono stranieri che lavorano, però in nero, e non ne hanno diritto. Dunque, questa legge non ha una logica coerente, è semplicemente razzista. L’idea è rendere difficile la vita quotidiana allo straniero e far sì che se ne vada.”

Quel’è stato l’impatto sociale del decreto?

“Da quando il decreto è entrato in vigore è stato calcolato che 823.000 persone in tutta la Spagna non hanno avuto accesso alle cure mediche. Oggi, ci sono solamente tre tipologie di assistenza garantita: emergenza, gravidanza e minori d’età. Però al contempo ricevere assistenza medica potrebbe voler dire vedersi arrivare a casa un ticket da pagare. E si tratta di circa 300/400 euro. Chi non paga entra in una sorta di ‘lista nera’. E se sei straniero e senza documenti e vorresti regolarizzare la tua posizione ma hai un debito con lo Stato spagnolo, il processo si complica. Allora, anche in un caso di emergenza – che in teoria dovrebbe essere coperto per legge – è molto probabile che chi sta male non si rechi dal medico. Sono moltissime le persone che hanno smesso di andare dal medico. Magari si rompono un braccio, ma non ci vanno. Anche molti bambini – minorenni, che dunque dovrebbero essere coperti per legge – hanno smesso di andarci. Vi sono molti aborti clandestini, in casa. E proprio in questo periodo, nel Raval per esempio, stiamo assistendo ad un vistoso aumento dei casi di tubercolosi, dovuto al fatto che nonostante sintomi persistenti quali febbre e tosse, non si va più dal medico, oppure se vai magari non ti riceve. Ed ecco quindi esplodere un’epidemia di tubercolosi. Ovvero… un orrore. Ci sono già due casi di morte direttamente attribuibili alla mancanza di assistenza sanitaria.”

È in questo contesto che nasce l’Espacio del Inmigrante?

“Esattamente. È l’esito inevitabile delle dinamiche sociali innescate dalla legge. Nel settembre 2012, appena il decreto è entrato in vigore, abbiamo riunito un gruppo di persone, tra cui medici, infermieri, educatori, sociologi, pedagogisti, e nei mesi successivi abbiamo occupato questo stabile per farne un presidio medico. La ragione è l’indignazione per il Real Decreto e il suo razzismo. E ci siamo orientati su differenti tipi di azione: da un lato denuncia pubblica, dall’altro diffusione di informazioni. Facciamo sportello medico e al contempo ci offriamo di accompagnare dal medico chi ne ha perso il diritto. Può trattarsi di accompagnamento al pronto soccorso, se si ritiene che il paziente soffra di una malattia grave che necessita di cure immediate, ed in tal caso compito dell’accompagnatore è anche far sì che non siano emesse fatture a carico del malato. Altrimenti, si tratta di accompagnamento al medico di base. Se, per esempio, la persona ha già avuto un medico di base ma a causa del Real Decreto ne ha perso il diritto, si tenta di tornare da quel medico spiegandogli l’ingiustizia della riforma. Vero è che, secondo un criterio amministrativo, questa persona non è tenuta a ricevere il paziente, ma si prova a far leva sull’obiezione di coscienza che è possibile compiere legalmente. Nel codice spagnolo è possibile per un medico aggirare il decreto: occorre firmare un documento e far riferimento ad una legge preesistente, quella sull’obiezione di coscienza. La stessa che veniva utilizzata per evitare il servizio di leva. Per di più, nel caso del medico obiettore si tratta di una posizione più che legittima, dato che la legge cui lo si invita a trasgredire è evidentemente razzista.”

Quali sono le principali difficoltà che incontrate in questa attività?

“Vorrei innanzitutto dire che nei periodi di punta, tipo quello che ha preceduto l’estate (aprile, maggio, giugno), sono passate in media tre o quattro persone nelle due ore di sportello che facciamo ogni venerdì. Di solito non si tratta di questioni gravi, nel senso che ancora non ci siamo mai trovati a dover gestire delle situazioni di salute particolarmente pesanti. Ci sono minori senza documenti, donne che vogliono abortire, pancreatiti, diarree o ferite mal curate. La vera sola emergenza che ci siamo trovati davanti fino ad ora è la tubercolosi. Le difficoltà le incontriamo soprattutto sul piano relazionale più che su quello medico. Per esempio ci siamo accorti che per l’accompagnamento bastano due persone. La salute è una cosa molto delicata che va gestita con attenzione. Se poi il paziente è una donna musulmana, allora è meglio che sia una donna ad andare con lei. Insomma, stiamo sviluppando un modus operandi e con molto lavoro e tanta pazienza abbiamo già ottenuto dei buoni risultati.”

Com’è la relazione con i migranti del quartiere?

“Lavoriamo in un modo completamente diverso rispetto alla burocrazia istituzionale e questo ha permesso che si creasse una relazione di fiducia. Se in una struttura statale la lingua è una barriera noi cerchiamo di superare il problema tentando di comunicare in ogni modo. Se proprio non c’è modo di comunicare, cerchiamo di contattare pazienti che abbiamo già assistito perché ci aiutino come interpreti; generalmente sono molto disponibili, perché probabilmente hanno apprezzato i nostri sforzi precedenti e la nostra flessibilità nell’aiutarli. Cerchiamo infatti in tutti i modi di rompere la logica assistenzialista in favore di un rapporto più aperto e questo fa sì che, attraverso il passaparola, sempre più persone si rivolgano allo sportello. Non voglio però dire che è tutto facile. Per esempio è molto difficile che le donne si rivolgano direttamente a noi, soprattutto perché poche parlano lo spagnolo. Raval è un ghetto e le donne sono le più ghettizzate. Molte sono casalinghe e non abituate a uscire da sole. Così hanno bisogno di un accompagnatore, oltre che di un interprete. E la relazione si complica, perché è mediata e non diretta. In più, poiché si sono sentite ripetere così tante volte ‘no, no, no’ a qualsiasi sportello si siano rivolte, sono molto scettiche e diffidenti; non credono nella possibilità di trovare insieme una soluzione. Nel complesso, quindi, tra difficoltà linguistiche e culturali, la relazione è sempre molto delicata.”

Nel rivolgervi ai medici di base o al pronto soccorso, quale risposta incontrate?

“Dipende da caso a caso e stiamo costruendo la nostra rete di medici obiettori. Ma va anche detto che qui in Catalogna la situazione è favorevole perché c’è stato un seppur modesto ampliamento del diritto alla salute che il dal Real Decreto aveva messo in discussione. La Catalogna, come alcune altre comunità autonome, gode di un certo di livello di autonomia amministrativa per quanto riguarda salute, istruzione, trasporti, ecc. E le denunce pubbliche al razzismo insito nella legge da parte di numerose ONG, associazioni, gruppi e collettivi, insieme al fatto che si tratta di un provvedimento del governo centrale, hanno fatto sì che il governo catalano apportasse delle modifiche migliorative. Lo ha fatto solo per evitare di danneggiare irrimediabilmente la propria immagine, ma lo ha fatto e si sono aperte delle possibilità. Nel senso che l’assessore alla salute ha dato disposizione, esclusivamente in territorio catalano, per una sorta di assistenza medica, seppur limitata, per le persone che rispondo a dei requisiti stabiliti. La notizia sui media mainstream è stata: ‘in Catalogna non ci sarà nessun tipo di esclusione per quanto riguarda la copertura sanitaria’. Ma non è vero, perché anche con i giusti requisiti bisogna comunque pagare la prestazione. E comunque i requisiti vanno certificati ed è una cosa molto complicata. E poi anche quando tutti i documenti sono in regola, spesso ci si sente rispondere ‘no, non si può’. La verità è che ‘sì, si può’, ma quella persona nemmeno sa quello che deve fare, né le interessa informarsi. Infine c’è la questione della lingua, che molti migranti non parlano e se si recano dal medico di base o al pronto soccorso senza un interprete rischiano di essere ingannati. Ed è per tutti questi motivi che abbiamo predisposto l’‘accompagnamento’.”

Non è dunque un lavoro strettamente medico quello che fate …

“Questo è un movimento sociale, civico, di cittadini e abitanti del quartiere che si rifiutano di rimanere impassibili di fronte a una simile emergenza. Molti di noi lavorano nel campo medico, tra di noi ci sono anche dei medici migranti, come Clara che è colombiana, ma non è solo di competenze mediche che ci serviamo. Il nostro ‘accompagnamento’ ha anche una finalità amministrativa. ‘Allora: ci serve il passaporto e lo stato di famiglia. Ce li hai, sono validi?’ ‘No, il passaporto è scaduto‘ ‘Ok, allora dobbiamo andare all’ambasciata’. E cerchiamo di dare un supporto anche durante tutto l’iter burocratico per avere i documenti. Quando agli sportelli degli uffici amministrativi ci dicono che questo o quello non si può fare, l’accompagnatore deve tirar fuori la legge e spiegare: ‘questo funziona così e così. Si può fare e bisogna che lo facciate perché siete lavoratori della pubblica amministrazione e dovete farlo’. ‘Va bene, chiederò a un mio superiore se …’ ‘Chieda pure. Io da qui non mi muovo’. Ecco: il nostro è un accompagnamento reale, effettivo, che non si limita al fornire informazioni ma che si assicura che il processo vada a buon fine. Se, poi, in seguito all’accompagnamento, non c’è modo di evitare il pagamento di un ticket, proviamo a informare il paziente che in realtà c’è una possibilità di recuperare il versamento.

C’è poi il problema della residenza, tra i requisisti per godere dell’assistenza medica. Ogni comune in teoria è obbligato ad avere un registro delle residenze. Senza residenza non c’è né medico né assistente sociale, né aiuti economici né nulla. Quindi la residenza è certamente il documento più importante. C’è persino un mercato nero. Nel senso che è possibile acquistare la registrazione della residenza e c’è che chi la vende per duecento euro. È terribile, perché dopo la registrazione occorre che trascorrano almeno tre mesi prima di maturare il diritto all’assistenza sanitaria. Ma, nel frattempo, può accadere che la persona che ti ha registrato in casa sua, dopo essersi fatta pagare, ti scarica per un altro o un’altra che offre più soldi. È così che funziona il mercato nero delle registrazioni della residenza, perlomeno a Barcellona. A questo poi si aggiunge che oggi i comuni sono diventati molto più fiscali e attenti alla documentazione necessaria alla registrazione della residenza, perché sanno che questo rappresenta l’accesso a qualsiasi sorta di aiuto socio-sanitario. E ottenerla è divenuto molto complicato. Per questo di recentemente è sorto un movimento sociale chiamato ‘Salviamo l’ospitalità’ il cui obiettivo è la registrazione della residenza dei migranti, così che questi possano accedere al mercato del lavoro, alla sanità, ai sussidi, ecc. Ma il ministro della giustizia ha già preso le contromisure: per tutti quelli che aiutano i cosiddetti extra-comunitari a permanere in territorio spagnolo con fine di lucro, anche ad esempio affittandogli una casa o una stanza, si è passati da una sanzione civile ad una penale e si rischia fino a due anni di carcere. Vuol dire che se do a un migrante in affitto una stanza per 300 euro, non dunque per fini di lucro ma ad un prezzo equo, posso finire in galera.”

Oltre all’accompagnamento e al lavoro per reperire i documenti, svolgete anche altre attività?

“Ci occupiamo anche di chi è senza documenti. Ci sono differenti opzioni. Prima c’era la possibilità di regolarizzare la propria posizione attraverso la coppia di fatto, era estremamente facile. Tutti sceglievano di diventare coppia di fatto, c’è stato un vero boom. Ma oggi non si può più. La regolarizzazione si ottiene solo con il matrimonio certificato nel registro civile. La verità è che il potere è continuamente alla rincorsa delle pratiche alternative che funzionano e si diffondono, per impedirle. Tra le altre attività correlate all’accesso alla sanità gratuita, ci occupiamo anche di fare informazione. Dopo il primo anno di vita del Real Decreto molte ONG e associazioni che gli si oppongono hanno realizzato dei dossier. Anche noi abbiamo prodotto alcune note stampa pubblicate prima su carta poi online in una rivista autoprodotta. Stiamo cioè lavorando perché si conosca quello che facciamo e perché chi ne ha bisogno venga allo sportello. Ma siamo attenti anche al livello politico. Ci interessa che il governo percepisca la pressione e si adoperi per ammorbidire o modificare il Real Decreto.”

Lavorate in rete con altre realtà impegnate sullo stesso terreno?

“A gennaio, in parallelo alla nascita di questo collettivo, altre associazioni – dal profilo più istituzionale – che si occupano di salute e migranti hanno creato una piattaforma. Per un periodo abbiamo interagito con loro e adesso siamo parte di questa piattaforma. Quindi sì, ci sono altre esperienze che come noi fanno ‘accompagnamento’, anche se la piattaforma, per la maggior parte, è composta da associazioni legalmente riconosciute che affiancano al lavoro di strada la relazione con la politica istituzionale e con i comuni al fine di modificare la legge, agiscono cioè nello spazio di autonomia del governo delle regioni autonome. Un altro piano di relazione è aperto anche con Madrid dove c’è un movimento molto forte che si chiama ‘Yo Sì, Sanidad Universal’ che è stato molto attivo nel primo periodo di applicazione del Real Decreto. Oggi hanno in ciascuno quartiere uno o addirittura due centri di accompagnamento. Ed è una struttura che si è estesa anche ad altre città.”

Esiste quindi una campagna nazionale per l’accesso alla salute?

“Sì. La piattaforma è presente in più di una comunità autonoma. E la pratica dell’‘accompagnamento’ è partita da Madrid per poi svilupparsi oltre, ma mantenendo la stessa struttura e modalità di lavoro. C’è un ottimo livello di coordinamento. Si tengono regolarmente riunione tra esperienze nelle varie città e c’è persino un manuale che si può scaricare da Internet in cui si leggono le pratiche, le procedure e le modalità dell’‘accompagnamento’.”

Piani per il futuro?

“Qui nel Raval, dopo l’entrata in vigore del decreto, abbiamo proceduto a ritmi serrati. Il Real Decreto è stato applicato a partire da settembre 2012. A novembre abbiamo occupato e a gennaio è partito lo sportello, siamo appena all’inizio dunque. Il piano per il futuro è coinvolgere più gente possibile sia come parte integrante del collettivo sia come utenti. Nello stesso tempo la prospettiva è proseguire il processo di denuncia pubblica. L'obiettivo finale è abolire il Real Decreto e cessare di esistere. Come dicono gli zapatisti: l’obiettivo è scomparire.”

 

* Traduzione di Ivan Bonnin (@ivnbkn).