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L’onda lunga della Brexit

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Commento di Sarah Jones sul voto in UK

Nel Regno Unito, i due partiti principali hanno subito una dura sconfitta, mentre il nuovo partito Brexit Party e i Lib Dem sono stati i partiti più votati. Il 9% dei Conservatori è stato il loro minimo storico. Hanno perso in tutto il paese, soprattutto nelle aree che avevano votato Remain. I Laburisti non sono andati molto meglio e hanno perso sia nelle aree che avevano votato Remain che in quelle che avevano votato Brexit. La somma dei voti di Conservatori e Laburisti raggiunge solo il 23%, perdendo 25 punti (anche in questo caso si tratta del peggiore risultato storico dei due partiti principali messi assieme).

Il Brexit Party, fondato solo sei settimane fa, ha preso il 31,7%, vincendo ovunque escluse la Scozia e Londra, e diventando il partito più grande nell’Ue (alle pari con la CDU di Angela Merkel). La vittoria di un partito minore nelle elezioni europee non è una novità: l’UKIP di Farage aveva preso il 27,5% alle europee del 2014. È per questo motivo che David Cameron ha avviato il processo per il referendum sulla Brexit. Come l’UKIP prima, il Brexit Party ha Nigel Farage come leader, molti degli stessi candidati e tanti dei suoi elettori. Ma, per adesso almeno, è una cosa abbastanza diversa dall’UKIP. Usando le tattiche online del M5S, il partito si dichiara oltre la dicotomia destra-sinistra. Farage ha esplicitamente preso distanza dalla parte di estrema destra dell’UKIP e ha evitato di parlare di immigrazione o di Islam durante la campagna elettorale. I discorsi erano mirati meno contro i politici europei e più contro il parlamento britannico che non ha rispettato i risultati del referendum. Il partito non ha un manifesto programmatico, ma ha fatto la sua campagna attorno allo slogan “Upholding democracy” (sostieni la democrazia), affermando che bisogna uscire dall’Ue senza un accordo entro il 31 ottobre. La natura monotematica del partito lo ha aiutato a prendere voti da elettori sia di destra che di sinistra, e Farage ha concentrato la campagna nelle zone tradizionalmente laburiste, sostenendo anche candidati di sinistra, su tutti Claire Fox, ex-membro del Revolutionary Communist Party, ma anche thatcheristi convinti come Anne Widdecombe, sorprendentemente applaudita dagli ex minatori durante la campagna elettorale. Evidentemente Farage, che ha promesso di scrivere un manifesto programmatico per le prossime elezioni politiche, dovrà tenere assieme queste contraddizioni oppure gli elettori dovranno accettare di votare per un partito esplicitamente di destra.

Anche se il Brexit Party è stato il partito più votato, il numero di persone che hanno votato partiti che hanno fatto la campagna elettorale per un secondo referendum – i Lib Dem e i Verdi – era praticamente uguale a quello che ha votato il Brexit Party. E se consideriamo i voti per i nazionalisti scozzesi e gallesi, i partiti pro-Remain hanno ottenuto più voti.

Con solo il 35,4% di affluenza, chi ha votato era probabilmente chi aveva un’opinione forte sulla Brexit. Nonostante ciò è chiaro che questo voto è una sconfitta delle posizioni di compromesso dei partiti principali, che si stanno già riposizionando verso posizioni più decise e lontane l’una dall’altra sulla Brexit: i conservatori sono più chiaramente per la Brexit, i laburisti per il Remain. Ma il prossimo primo ministro, che potrebbe essere Boris Johnson, avrebbe difficoltà ad avere la fiducia del Parlamento per una Brexit senza accordo con l’Ue. Mentre Jeremy Corbyn andando verso una posizione forte per il Remain, potrebbe conquistare elettori dei Lib Dem e dei Verdi, ma potrebbe perdere lo zoccolo duro operaio del partito che vede il Remain come un tradimento a favore delle élite metropolitane e che perciò potrebbe spostarsi verso il partito di Farage.