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Ricomporre la ragione con la rabbia

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Un commento di Marco Rizzo sulla vicenda di Torre Maura

Tante cose giuste sono state dette e scritte in questi giorni su Simone, il suo coraggio, la sua intelligenza, la capacità di mantenere la calma e la sicurezza nel sostenere una verità tanto semplice eppure così scandalosa oggi, e di farlo in faccia ai nemici. Il rischio che si sta materializzando oggi è però ancora una volta di rimanere inchiodati a una lettura etica dell’episodio e di tutta la vicenda. Così presi dal duello verbale tra il ragazzo e i fascisti, passa quella che è la realtà fuori dallo spazio di quel video. La realtà è che con la consueta schizofrenia elevata a strategia politica, la sindaca Raggi nel mentre attacca a mezzo social le strumentalizzazioni di Casa Pound e Forza Nuova ed elogia Simone, di fatto accoglie in pieno le loro rivendicazioni. "Via i rom", grida un pezzo del quartiere spalleggiato dai soliti sciacalli, e i rom vanno via per davvero. In meno di 24 ore.

Questo è il gigantesco problema che abbiamo davanti. Oggi le lotte con contenuti di destra vincono, strappano risultati e lo fanno in tempi brevi, ridanno un senso di potenza e forza decisionale a pezzi di popolazione e di territorio sempre più marginalizzati e abbandonati dallo Stato. E' un senso di potenza illusorio, molto limitato, ma dannatamente reale per chi lo prova.

Se ne può ricavare che il razzismo è del tutto compatibile col perpetuarsi delle disuguaglianze strutturali della nostra società, che anzi le rafforza e ne istituisce di nuove fra chi sta in basso. Ma ciò non elimina affatto l’ostacolo che si pone nel momento in cui si vuole passare dall’analisi all’azione: in un contesto in cui le aspettative sono depresse, in cui la maggior parte delle lotte che hanno tentato di portare lo scontro sociale sul piano di un conflitto di classe più o meno esplicito sono state quasi sempre sconfitte (e non solo a causa della repressione, anche per limiti politici intrinseci che, come militanti attivi dentro queste lotte, spesso non interroghiamo a sufficienza), le fasce popolari vogliono comunque portare a casa dei risultati, anche piccoli. Se non riescono a ottenerli da una certa parte in tempi ragionevoli (i “tempi biblici della rivoluzione” interessano poco a chi non arriva alla fine del mese, o vive in contesti dove ogni giornata si affronta col desiderio che venga presto la sera per addormentarsi), proverà da altre parti, anche quelle ai nostri occhi più riprovevoli.

"E' una guerra tra poveri!" si dice. Giusto, ma chi lo dice poi è davvero pronto a sostenere (e magari non solo a parole) un altro tipo di guerra, ben più faticosa e spesso lunga, contro i ricchi, contro le istituzioni, contro i motivi reali del disagio e del malessere sociale? Perché limitarsi a dire "ci vuole tolleranza", specie se chi lo predica si trova ben al riparo da certe contraddizioni, senza fornire un'alternativa, suona purtroppo come un irricevibile "devi sopportare": una mancanza di solidarietà, comprensione ed empatia che non può che suscitare reazioni rabbiose animate da frames distorti, fallaci e avulsi dalla realtà ("sempre loro e non noi", "ma agli italiani chi ci pensa?", "pensiamo ai terremotati, non agli immigrati" ecc.) ma che paiono essere l'unico mezzo per dare forma a un disagio collettivo, ad esprimere un senso del “noi”. Per tornare a sentirsi forti, finalmente ascoltati, al centro della scena.

Di fronte alle immagini raccapriccianti della guerra tra poveri di Torre Maura, a una cattiveria così sprezzante e a una inumanità così ostentata che i fascisti cavalcano ma certo non inventano, conviene chiedersi - perché di Torre Maura ce ne sono mille nel nostro paese -: che cosa è stato fatto per evitare che certe persone diventassero così orrende, deformate da un odio così miserevole? Perché il disgregarsi della coesione sociale prende queste forme e non altre? Ci siamo interessati a sufficienza di certi contesti, del disagio che vi prendeva piede, prima che raggiungesse il livello d'allarme? Siamo stati presenti per accorgercene, per dare un contributo pratico alla sua risoluzione, ad animare tentativi di lotta che ne dessero un'altra interpretazione, altri obiettivi, altri "noi" e "loro"?

O proviamo con umiltà e spirito di autocritica a porci questi interrogativi, a partire dai contesti in cui viviamo, a capire dove si è sbagliato o mancato, oppure ci rassegniamo al fatto che arriviamo spesso troppo tardi, che giochiamo di rimessa e stando sulla difensiva dentro uno scontro in cui le coordinate ideologiche e le forze materiali in campo sono sempre quelle dei nostri nemici. Non è vero che le periferie sono in mano ai fascisti, questi ultimi non sono migliaia come a volte anche finiamo per dipingerli. A volte sono pochi, ma dannatamente presenti. Loro usano questi contesti per farsi propaganda, un pezzo degli abitanti usa loro come detonatore mediatico. Non è troppo difficile da capire. Il punto è: dove sono gli altri - noi -?

E' necessario capire che, piaccia o no, come è spontanea la pacata e coraggiosa voce della ragione di Simone, così lo è la rabbia di quelli abitanti, sia pure momentaneamente indirizzatasi contro obiettivi mistificati. Ricomporre quella rabbia e quella consapevolezza in processi di lotta - invece di acuirne la contrapposizione, come fanno con finalità diversa tanto le destre razziste che le sinistre falsamente antirazziste – dovrebbe essere il compito di chi vuole sovvertire il presente, di chi vuole costruire un’alternativa politica a questo stato di cose. Pur nella consapevolezza che affermare ciò è ancora molto poco, questo poco occorre pur sempre ribadirlo, affinché la speranza di un “mondo salvato dai ragazzini” non sia l’ennesima forma in cui si presenta la morte della politica, e specie di quella rivoluzionaria.