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Gilets Jaunes: in carrozza!

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Traduzione di Massimiliano Cappello dell’articolo scritto da Rouen Dans La Rue prima della mobilitazione del 17 novembre

Non si sa ancora se il 17 novembre sarà un successo dal punto di vista dei famosi «Gilets Jaunes», che hanno lanciato l’appello o di coloro che contano di partecipare alla manifestazione. Saranno in migliaia a bloccare i punti nevralgici il 17? Sarà l’inizio di un movimento almeno un po’ singolare? Oppure lo stato di estrema agitazione sui social si sgonfierà, non traducendosi in atti reali ed effettivi nella «vera vita»?

Comunque vada, il movimento nato attorno al 17 novembre ha già rivelato numerose tendenze di questo nostro tempo.

E non è il minore dei meriti della giornata che viene: condividiamo post di sostegno o di critica, ma soprattutto ne discutiamo e ci massacriamo a riguardo: è il vero argomento da cenone di Natale, con un mese di anticipo (prima era «La Francia e quanta-povertà-a-questo-mondo-purtroppo-non-possiamo-accoglierli-tutti, oppure il riscaldamento globale, o i ragazzini inchiodati ai loro schermi per tutta la serata).

Ciò che colpisce di primo acchito è l’acredine che anima chi si oppone a questo tentativo di mobilizzazione a partire da una posizione comunque critica nei confronti del governo e dello stato di cose presente. E generalmente questi individui adducono due ragioni a loro sostegno. Primo: che all’origine di questo appello ci sarebbe l’estrema destra (non torneremo su questa falsa convinzione), o che comunque l’estrema destra lo abbia intercettato e diffuso (e questa volta è vero, sia per opportunismo che per un riflesso «populista»); e che in ogni caso, al di là di ogni apparato politico, le lamentele contro il peso eccessivo delle tasse sono tipiche della mentalità del piccolo commerciante fascistizzante.

Poujadismo

L’anatema è scagliato. Una prima critica vira dunque sulle tonalità politiche che animano questa rivendicazione.

La seconda critica riguarda la mancanza di senso ecologico. All’epoca in cui l’evidenza della catastrofe eponima si generalizza, così come si generalizza l’assenza di qualsivoglia azione concreta all’altezza della situazione, c’è qualcosa di squilibrato, di indecente, di illogico nel chiedere un ribasso dei prezzi del carburante. Seconda grande condanna: «quelli» del 17 novembre reclamano di fatto il loro diritto di inquinare, quando le lotte che si potrebbero condurre sono tante (riscaldamento globale, sesta estinzione di massa, accoglienza dei rifugiati, aumento dei salari, rivalorizzazione del salario minimo e di disoccupazione, ecc. ecc.) e tanto migliori!

Dunque, poujadisti e inquinatori indifferenti al futuro del pianeta. Niente male come biglietto da visita.
Non c’è bisogno di essere sociologi per capire che questo tipo di critica proviene da ambienti «laureati», cittadini, di sinistra, che si proclamano ecologisti, più inclini a spostarsi in bici, a favorire il sistema di trasporto pubblico, ad acquistare prodotti ecologici nei mercati del centro da produttori locali per privilegiare le filiere corte.

In verità, lo spettacolo di questo accanimento rivela un certo odio di classe, ma indica soprattutto che questi mondi sono inconciliabili e poco comunicanti tra di loro, in ogni senso: è difficile tradurre i modi di fare e di sentire da una lingua all’altra. È la caricatura del conflitto Bobo vs. Prolo. O il contrario. Un vicolo cieco, in ogni caso.

Ci sono tuttavia numerose ragioni 1. Per smontare le critiche sul 17 novembre 2. di seguire positivamente e con interesse questo gesto politico senza impantanarsi in queste facili critiche.

Che cos’è un O.P.N.I.?

Di fronte all’assenza di una reazione generale alla somma — letteralmente allucinante — di misure cautelari da parte di questo governo, c’è comunque qualcosa di gioioso nell’immaginare che un OPNI (Oggetto Politico Non Identificato) così bizzarramente codificato possa rappresentare un reale pericolo per un governo che sta già cercando un equilibrio d’emergenza a colpi di bollette.

Politicamente, questa pratica lo è. Sicuramente. Ecco gente che si organizza, comunica, si ritrova per davvero, e discute, elabora, inventa spontaneamente segnali di guerra e prepara un’azione che potrebbe essere largamente seguita. A Rouen ci sono state due discussioni preparatorie al parcheggio di Bois-Cany, di fronte al bowling: entrambe hanno riunito più di un centinaio di Gilets Jaunes.

Ma ecco cosa turba di questo OPNI: chi si organizza non è un «professionista» della contestazione pubblica, sia essa sindacale o radicale. Un ospite inatteso si è seduto al tavolo delle casacche rosse e dei K-way neri. E la cosa più assurda è che ignora finanche che ci sia, un tavolo del genere. L’ho chiamato Bernard, il Gilet Jaune: sono i nostri zii, i nostri cugini, quelli che stanno pensando di unirsi ai blocchi e che in vita loro non sono mai stati a una manifestazione.

Ecco perché sembra così poco pertinente criticare questa iniziativa «perché non è come la fa un partito dell’estrema sinistra». E così su Facebook, Poutou (il candidato alla presidenza per il Nuovo Partito Anticapitalista nel 2012 e nel 2017) vedrebbe meglio «un movimento sociale» e politico che miri al ribasso di tutte le tasse, e in fine «una rivolta generale» (Ndr: cosa auspicabile, siamo d’accordo) chiamata dai partiti e dai sindacati contro «i possidenti» per «condividere le ricchezze e reimmetterle nel servizio pubblico». Insomma, ricondurre le pecore all’ovile, ciò che è ignoto verso ciò che è noto, troppo noto. Un filosofo diceva che gli uomini bisogna prenderli come sono, e non come vorremmo che fossero. Diciamo che è più o meno lo stesso per i divenire politici.

E non sono nemmeno più le piazze dei centro-città quelle occupati, né le vie del centro assordate dagli impianti audio. L’obiettivo sono le rotonde, gli allacciamenti autostradali, le tangenziali, i pedaggi, le zone industriali. Un’intuizione consolidata da qualche anno: in questo mondo di flussi (di dati, di corpi, di veicoli, di merci) qualsiasi gesto efficace deve attaccare questa circolazione e tentare di bloccarla.

Rossi e gialli: dalle bestie a corna alle vacche da latte...

Altro fatto singolare: non si tratta questa volta di contestare una legge che riguarda direttamente forme e condizioni dello sfruttamento salariale (Contratto di Primo Impiego, riforma delle pensioni, Loi travail ecc.), grande classico del movimento sociale. L’esperienza ripetuto di questi ultimi anni mostra a sufficienza come le strutture sindacali siano impotenti e incapaci di lanciare mobilitazioni del genere (e, d’altro canto, hanno accuratamente evitato di diffondere l’appello al blocco logistico per il 17 novembre — e invitando anzi in un primo tempo a non andare).

Ridurre ogni contestazione di stampo fiscale al poujadismo è un’aberrazione storica, come provano le numerose rivolte e le atri sollevazioni popolari che hanno accompagnato determinate misure fiscali nel corso della storia — dal medioevo fino alla seconda repubblica. Se è vero che migliaia di Gilets Jaunes sono determinati ad agire il 17 novembre, non è solo perché il costo della benzina è sempre più gravoso per le loro finanze. In questo preciso istante, una collera che generalmente sublima per la propria stessa impotenza trova finalmente una forma d’espressione. Non è cosa da poco.

Questo non significa tuttavia che questo movimento, come ogni contestazione di stampo fiscale, non sia assolutamente confuso. Esattamente come lo era quel movimento dei Bonnets Rouges pilotato dalle imprese di trasporti su rotaia e dalla FNSEA (ndt: la Coldiretti francese). Diverse formazioni razziste hanno surfato su quest’onda per clientelismo. E infatti troviamo di tutto in questi appelli per il 17 novembre, anche se gli amministratori di certe pagine Facebook cercano di evitare i militanti fascisti. A bloccare ci saranno senza dubbio elettori del Front National e — distinzione importante — gente che ha votato almeno una volta per questo partito.

È sufficiente a dire che bisogna evitare i Gilets Jaunes? No. Francamente: pensiamo davvero che tra quelli coi quali ci è capitato di bloccare delle strade o dei depositi petroliferi nessuno avesse mai votato FN? Ignoriamo davvero fino a questo punto l’importanza del voto per il Front National da parte dei membri della CGT — anche se in misura ridotta rispetto al numero di votanti?

Bernard il Gilets Jaune: episodio II

Tentiamo un’ipotesi, tenendo saldo ogni tipo di antirazzismo morale e astratto. Nella sua forma principale, il razzismo inteso come razzismo di Stato designa la matrice ideologica propria della civiltà occidentale; una civiltà che si incarna, a partire dalla colonizzazione fino all’attuale gestione dei flussi migratori, nelle istituzioni politiche repubblicane (polizia, leggi, centri di detenzione, impieghi riservati nel servizio pubblico, ecc.) e in tutti i partiti di governo che ne sono stati e ne sono oggi emissari: Parti Socialiste, Rassemblement pour la République, Union pour un Mouvement Populaire, La République, La République en Marche!, ecc.

Poi c’è il razzismo «in atto» del piccolo nazi che bastona i sans-papier o che fa il polizietto alla frontiera: un razzismo che sa assumere anche forme più istituzionali in partiti come il Front National, che hanno fatto della xenofobia il loro avviamento aziendale.

Pure se problematico, l’eventuale razzismo di Bernard il Gilet Jaune — ovverosia di ogni persona atomizzata e inasprita, la cui impotenza l’ha spinto a infilare, nel segreto dell’urna, una scheda marchiata FN — non va messo sullo stesso piano dei razzismi sopra elencati. Il razzismo non è più il Male che ci sta davanti: esiste una forma di razzismo strutturale e diffuso che ha plasmato il nostro immaginario e che ci attraversa nostro malgrado. In ogni caso, se vogliamo rifiutare il conforto ideologico delle strutture politiche alle quali ci aggrappiamo, bisogna abituarsi all’idea che mettere il naso fuori di casa comporta sempre correre il rischio di frequentare le persone sbagliate e scommettere su un’idea: e cioè che «non sono le lezioni di morale antirazzista che cambiano le persone». Disertare il 17 novembre a causa di questa confusione (marchiando tutti i partecipanti di «sospetta simpatia per il Front National») non è in ogni caso la soluzione giusta.

Fottuto 17 novembre

Ultima critica: un movimento del genere non sarebbe all’altezza della necessità di agire contro il riscaldamento globale. Sarcasticamente, il governo stesso ha presentato il rialzo delle tasse sul carburante come un segnale contro il riscaldamento globale, invitando le persone a non utilizzare l’auto — o disincentivando fortemente la cosa. I fondi raccolti permetterebbero di finanziare la «transizione ecologica».

Certi ecologisti sembrano prendere sul serio questa giustificazione.

All’epoca in cui l’inadempienza dei paesi UE ai (ridicoli) impegni assunti in occasione del COP21 è ormai ufficialmente riconosciuta — e in cui questi sgravi fiscali si incanalano verso i grandi patrimoni — una presunzione del genere fa venir voglia di sorridere... o di bloccare tutto. O in alternativa di spaccare tutto.

Siamo più o meno tutti d’accordo: la situazione è catastrofica, e il consumo di energie fossili è la causa. Ma non ha molto senso scaricare la colpa su quelli che non possono fare a meno dell’auto, per i quali il caro-carburante è un affronto in più. Continueremo a guidare l’auto, che il prezzo del gasolio sia 1 euro al litro o 1 euro e 80. A meno che non si rimanga chiusi in casa.

L’ironia della sorte vuole inoltre che la mobilitazione dei Gilets Jaunes cada due giorni dopo il 15 novembre, data scelta da un collettivo per la sfida #oneestprêt, nel corso della quale ciascuno potrà impegnarsi a mangiare bio per un mese, a consumare meno carne, o non produrre rifiuti o a non guidare l’auto — rendendo tutti partecipi della propria esperienza attraverso i social.

In carrozza!

Estraneità e avvicinamento dei mondi, dicevamo. Questa tipo di gesto, che esprime anch’esso un reale sgomento, lascia intuire che occorre cambiare le proprie pratiche — di consumo, ad esempio — per cambiare il mondo. Da questo assunto, partecipa integralmente alla concezione liberale che individualizza sistematicamente la responsabilità, mascherandone al contempo i meccanismi sociali e storici. Ad esempio: l’auto, il suo utilizzo e la sua generalizzazione non riguardano per nulla le scelte personali, contrariamente all’ideologia che veicola (risate dalla platea). L’insieme della metropoli, dai centri urbani alle zone periferiche, dalle zone commerciali ai padiglioni, è calibrata attorno all’automobile, che produce solo il 25% delle emissioni di GHG — trasporti su rotaia inclusi. L’auto (come il petrolio) è un rapporto sociale, l’incarnazione di una civiltà. Il problema è capire come uscirne (ci ritorneremo su).

Parteciperemo dunque al movimento del 17 novembre a fianco dei Gilets Jaunes. «Vedo», come si dice giocando a Poker. Non in maniera «esterna» o passiva, ma per vedere come le carte in tavola possono permettere di continuare a giocare. O, in alternativa, di lasciare. Viva il 17!