Stampa

Pronti al servizio: il reddito di sussistenza in Gran Bretagna

on .

Un articolo di Sarah Jones sulla storia e il presente dei sussidi di disoccupazione britannici

“Il piano non è di dare qualcosa a tutti senza che facciano niente e senza problemi, o dare qualcosa che liberi per sempre i beneficiari dalle responsabilità personali. Il piano è di assicurare un reddito di sussistenza in cambio del servizio, per tenere gli uomini pronti al servizio”. Beveridge Report, 1942

“I diritti vanno di pari passo con le responsabilità. Da oggi in poi non ci sarà più l’opzione di rimanere a casa senza fare niente percependo un sussidio pieno. Qualcosa per qualcosa, non qualcosa senza fare niente”. Gordon Brown, Cancelliere dello Scacchiere, al lancio del “New Deal”, 1998

Alla luce dell’introduzione del “reddito di cittadinanza” su proposta del M5S, basato sulla volontà di lavorare e le spese morali, sembra opportuno vedere come funzionano questo tipo di misure in Gran Bretagna, un paese con un’esperienza di più di un secolo nell’assicurare che la gente si senta in debito con lo stato e personalmente responsabile per la propria disoccupazione.

Come ci hanno detto dagli albori del welfare state britannico, non puoi avere qualcosa senza fare niente. I sussidi di disoccupazione non esistono perché allo stato britannico importi qualcosa, esistono per tenere la forza lavoro “pronta al servizio”, che significa non semplicemente in forma fisicamente per tornare a lavoro, ma con un sentimento di responsabilità a farlo. Questo esercito industriale di riserva aumenta la competizione per i posti di lavoro, mantenendo i salari bassi e i lavoratori produttivi e politicamente deboli.

Il sistema attuale dei sussidi non è, come suggerito nel film Io, Daniel Blake, un segno dell’abbandono da parte dei conservatori dei principi originari del welfare state britannico, ma è il suo adeguamento al mercato del lavoro contemporaneo. La figura di Daniel Blake, un operaio bianco stakanovista, moralmente ineccepibile e colto che muore sul pavimento di un’istituzione statale aspettando il suo sussidio, è una buona metafora per la morte della vecchia classe operaia e dell’eroe romantico del British social realism. E l’abbandono da parte dello stato di chi è incapacitato a lavorare riflette l’esperienza di tante persone. Ma Daniel Blake non è per niente il caso tipo dei Job Centre, gli uffici di collocamento britannici. Anche se il rifiuto di chi non può essere “pronto al servizio” è fondamentale in questo sistema, è solo un sottoprodotto del soggetto che si vuole produrre: un eternal job seeker, sempre in cerca di lavoro. A partire dai disoccupati, in special modo giovani e in proporzione soprattutto neri, che non hanno mai avuto un posto fisso e non hanno l’etica del lavoro di Daniel Blake, il Job Centre prova a creare individui isolati mantenuti al livello di sussistenza, che alternano continuamente periodi di occupazione a periodi di disoccupazione, che accettano salari bassi e contratti precari, per essere ricacciati nuovamente nella disoccupazione mesi dopo. Anche se questa “porta girevole” dei Job Centre è spesso considerata come un segno del fallimento del sistema, in realtà è la prova che il sistema funziona bene.

Prima di fare riferimento alla mia esperienza del Job Centre per dare un’idea di come l’eternal job seeker è prodotto, traccerò una breve storia del “reddito di cittadinanza” in Gran Bretagna. Basata sui consigli del Beveridge Report 1942, il National Insurance Act del 1946 ha esteso il sussidio di disoccupazione a quasi tutti (significativamente escluse le donne sposate), basato sulla precondizione di assumersi la responsabilità personale di cercare lavoro, lo si poteva avere solo 30 settimane all’anno e dopo un certo periodo eri obbligato a partecipare a corsi di aggiornamento. Tuttavia, a causa della bassa disoccupazione, incoraggiata dalle politiche di piena occupazione keynesiane, la gran parte della gente non raggiungeva quel limite: più dell’80% di quelli che ottenevano il sussidio lo prendevano per meno di tre settimane all’anno e solo il 2% per più di 6 mesi.

Negli anni ’70, mentre saliva la disoccupazione, i lavoratori britannici hanno cominciato a chiedere più di quanto gli era stato offerto dal compromesso del dopoguerra. Lo sciopero dei minatori nel 1974 ha fatto cadere il governo conservatore e durante il successivo governo laburista gli scioperi nel settore pubblico del 1978/79, conosciuti come “The Winter of Discontent”, hanno bloccato il paese. È stato grazie a questi scioperi che Thatcher ha vinto le elezioni del 1979, con lo slogan “Labour isn’t working” (con il doppio senso, il partito laburista non funziona e i lavoratori non lavorano). La lady di ferro ha subito imposto leggi antisindacali che sono state così efficaci che nel 1983, al successivo turno elettorale, gli scioperi si erano ridotti al livello più basso degli ultimi 30 anni. Thatcher vinse quelle elezioni con una maggioranza schiacciante, chiuse le miniere e sconfisse una volta per tutte gli scioperi dei minatori. Inoltre provò a indebolire gli operai e ridare respiro all’industria britannica attraverso l’abbandono delle politiche di piena occupazione del dopoguerra: far decidere al mercato il tasso di disoccupazione significava far salire la competizione nel mondo del lavoro, abbassando i salari e alzando la competitività della Gran Bretagna a livello mondiale. Nel 1982 i disoccupati erano 3 milioni e i numeri rimasero gli stessi fino al 1987. Mentre Thatcher parlava di tagli al welfare, e riduceva la cifra pro capite del sussidio, il livello record di disoccupazione significava che le spese per i sussidi in realtà erano aumentate durante il suo governo.

Ma c’era una contraddizione anche più cruciale nel suo programma: chi prendeva il sussidio veniva visto non semplicemente come disoccupato ma come un “inoccupabile”. Lungi dall’essere un esercito di riserva industriale erano percepiti come una massa di fannulloni, incapaci di alzarsi dal divano, figuriamoci di avere competenze ed etica del lavoro per affrontare una giornata lavorativa. In breve, anche quando erano in forma fisicamente, queste persone erano considerate non “pronte al servizio”. Nei fatti fu sotto Thatcher che i lavoratori non lavoravano. Questa gente era fuori dal mercato del lavoro e le aziende dovevano farsi concorrenza l’un l’altra per assumere lavoratori già impiegati, per cui i salari rimasero alti e restò difficile per l’industria britannica competere sul piano internazionale. “La trappola della disoccupazione” non era solo una trappola per i disoccupati ma anche per l’industria britannica.

Per riattivare l’esercito industriale di riserva bisognava aprire una porta tra disoccupazione e occupazione. Perciò nel 1996 fu introdotta la Job Seekers Allowance, che diede più responsabilità ai beneficiari, costringendoli a sostenere colloqui ogni due settimane per verificare se stessero effettivamente cercando lavoro e sanzionandoli se non lo facevano. Questo nuovo sistema è stato ereditato entusiasticamente dal New Labour che ha imposto il “New Deal”, costringendo i giovani disoccupati che prendevano il sussidio per più di sei mesi a lavorare o a fare volontariato a tempo pieno. Anche se “New Deal” era un riferimento esplicito al keynesismo, il governo laburista non aveva intenzione di creare posti di lavoro, aveva piuttosto un approccio che mirava ad alzare il numero dei potenziali lavoratori disponibili, forzando la gente a cercare lavoro e quindi aumentando la competizione per i posti di lavoro, perciò abbassando i salari.

Inevitabilmente, senza nuovi posti di lavoro, questa porta verso l’occupazione era girevole: spingere alcuni fuori dal Job Centre significava spingerne altri dentro. Nel 2013 il 40% degli ex beneficiari prendevano di nuovo il sussidio di disoccupazione dopo 6 mesi e il 60% dopo 2 anni: venivano cacciati dai Job Centre e poi riportati di nuovo dentro quando i loro lavori precari si interrompevano. Questa porta gira sempre più velocemente: tra il 2012 e il 2017 la percentuale di persone che hanno preso il sussidio per meno di 13 settimane è aumentata, e anche il numero di lavoratori con contratti precari, che adesso comprende il 40% dei lavoratori giovani, e il 20% dei lavoratori complessivi. Non c’è continuità né nell’occupazione né nella disoccupazione, per cui la competizione è feroce, i salari rimangono bassi e gli operai restano deboli.

Facendo riferimento alla mia esperienza proverò a dare una breve spiegazione di come il Job Centre fa di te un eternal job seeker. Il sentimento di responsabilità personale di cercare lavoro è inculcato dal primo momento che chiedi il sussidio, quando ti fanno firmare un “Job Seekers Agreement”. Questo è il tuo contratto personale con lo stato, in cui dici quale tipo di lavoro preferisci trovare e come lo cercherai. Essendo tua la responsabilità di cercare lavoro, devi sentirti personalmente colpevole se non lo trovi. Se sei ancora disoccupato dopo 13 settimane, il contratto viene modificato e devi sostenere un colloquio più lungo. Qualsiasi illusione che avevi di trovare un lavoro che ti piace deve essere abbandonata e devi passare fino a 35 ore settimanali a cercare lavoro nei settori sottopagati e precari. Nel 2010, poco dopo l’insediamento del nuovo governo di coalizione conservatori/liberali, ho avuto il piacere di partecipare a uno di questi colloqui. Le cose andarono così:

- C’è stato un cambio di regime al Job Centre. Il mio computer dice che qualche anno fa hai già preso il sussidio per due anni! Non si può più. Come mai non hai lavoro adesso?

- Non c’è lavoro.

- Se non trovi lavoro il mio capo mi chiederà perché.

- Gli dica che non c’è lavoro.

- Hai una laurea. La gran parte della gente qui ha più denunce che qualifiche. Non troveranno mai lavoro. Tu invece, sì.

- Se la gran parte delle persone qui non troveranno mai lavoro, perché il Job Centre li punisce quando non lo cercano?

- Non ha niente a che fare con me. Questa è la politica. Non mi interessa la politica. Sto solo provando a farvi uscire da questo posto. Comunque, qui c’è scritto che vuoi essere un’artista.

- Già.

- Hai una qualifica in merito?

- No.

- Come so se sei brava a designare?

- Le potrei designare qualcosa.

- No, grazie. Non puoi essere un’artista. Hai cinque opzioni: pulizia, sicurezza, edilizia, cure alla persona o amministrazione. Scriviamo amministratrice.

- Ma non ho una qualifica in merito.

- Non importa. Quante volte a settimana farai una richiesta per un lavoro amministrativo? Cinque è eccessivo?

- Sì.

- Tre?

- Sempre eccessivo.

- Va bene. Metto tre.

E così vai avanti per un’altra settimana durante la quale devi scrivere quello che fai nel tuo “job search diary”, che assomiglia tanto al diario dei compiti di scuola. Ogni due settimane bisogna incontrare un “work coach” diverso, che sottopone il tuo diario a vari livelli di esame: alcuni ti tengono sotto torchio prima di farti firmare, altri gli danno un’occhiata e poi ti chiedono di firmare, altri ti fanno firmare senza neanche guardarlo. Una volta ho chiesto a un coach che mi aveva permesso di firmare senza esaminare il mio diario perché fosse più simpatico degli altri e mi ha spiegato che prima della crisi tanti lavoratori dei Job Centre erano stati licenziati perché con un basso livello di disoccupazione non c’era più bisogno di loro. Per cui hanno passato un periodo cercando lavoro e hanno capito come ci si sente dall’altro lato della scrivania. Quando la crisi ha aumentato la disoccupazione li hanno richiamati a lavorare. Tornati a lavoro, hanno rifiutato di partecipare al gioco dei Job Centre, in solidarietà con i disoccupati. Era sempre un sollievo quando incontravo un coach così, ma dopo un po’ di tempo si trovano modi anche per affrontare quelli più antipatici. L’errore di Daniel Blake è stato non sapere stare al gioco, era troppo onesto. Impari presto che, se cerchi lavoro o no, non dici la verità al coach, loro lo sanno, tu lo impari. Devi fare finta di fare tutto quello che il “Job Seekers Agreement” ti chiede e per quanto ti possano tormentare non c’è niente che possono fare per confutare le bugie che scrivi nel tuo diario. In realtà i compiti impossibili non sono imposti per essere davvero realizzati ma per aumentare il tuo senso di colpa.

Ovviamente anche se dici che hai seguito il contratto alla lettera, hanno altri modo per boicottarti. E alla fine vincono sempre. Ti possono costringere a fare domanda per qualsiasi lavoro che hanno trovato o costringerti a fare un corso di formazione (tipo un corso per insegnarti a scrivere un curriculum che non ti insegna niente, la cosa più importante per l’azienda che fa il corso è che tu firmi per dire che sei andato ogni giorno, in modo che l’azienda prenda i soldi dallo stato) o un programma di workfare (sotto i conservatori altri programmi hanno sostituito il “New Deal” che include lavori a tempo pieno non pagati: a quel punto è meglio prendere qualsiasi lavoro, se ci riesci. E ovviamente i lavori non pagati abbassano i salari di tutti.)

Se non fai quello che ti dicono di fare ti sanzionano, il che significa che a seconda della gravità della tua infrazione, il tuo sussidio è sospeso per un periodo che può durare da 4 settimane fino a 3 anni. C’è molta pressione sugli staff dei Job Centre per sanzionare più persone possibili – alcuni coach hanno detto che avevano come target sanzionare almeno 3 persone a settimana. Ti possono anche punire per violazioni minori, come un errore nella compilazione dei moduli o perché sei arrivato in ritardo a un appuntamento. Una volta, senza preavviso o spiegazione, ho scoperto che non mi avevano accreditato il sussidio. Quando li ho chiamati per avere spiegazioni, mi hanno detto che il motivo era che il mio indirizzo non coincideva con quello associato al mio conto bancario. La mia sospensione è stata annullata, ma la situazione mi ha ricordato che ti guardano e ti trattano come un sospetto.

Anche se la minaccia di sanzioni tocca tutti, esse sono sproporzionatamente subite da persone con disabilità mentali, problemi di salute mentale o con un basso livello di inglese: non è una sorpresa, queste persone sono meno capaci di “stare al gioco” ed è anche meno importante che rimangano dentro al sistema. Questo tipo di persone sono costrette all’aiuto delle banche alimentari per sopravvivere o per prendere il “sussidio per l’incapacità”, che ha il vantaggio che queste persone non siano più considerate come disoccupate, migliorando le statistiche sulla disoccupazione. L’altro gruppo sociale che prende più sanzioni sono i giovani che sono invece spinti verso lavoro sottopagati.

Non è semplicemente la paura di essere costretti al lavoro non pagato o di essere sanzionati a farti accettare qualsiasi lavoro, ma anche i modi sottili in cui sei umiliato e colpevolizzato. Una volta, aspettando il mio colloquio, ho sentito un ragazzo dire al suo coach, “Smetta di chiamarmi idiota” e il coach gli ha risposto: “Non prenderla sul personale, chiamo tutti gli utenti idiota”. Questa tattica si riflette nella struttura dei Job Centre: il design open space fa in modo che tutti ti possano guardare mentre i coach ti vessano e ho notato che noi utenti avevamo sedie considerevolmente più basse rispetto alle sedie dei coach – eravamo letteralmente sminuiti. Dopo sei mesi mi hanno mandata al secondo piano del Job Centre dove si svolgono colloqui più intensivi ogni settimana invece che ogni due come in precedenza e sempre con lo stesso coach. La strategia del mio coach con le donne giovani era contraddistinta da un livello basso ma costante di molestie sessuali. Alla fine non ce la facevo più e ho deciso di smettere di prendere il sussidio. Ovviamente i colloqui personali consentono al Job Centre di usare tattiche specifiche modulate sulle debolezze del soggetto per costringere il disoccupato ad accettare qualsiasi lavoro.

Il governo attuale sta modificando ancora il sistema dei sussidi, nel nuovo sistema “Universal Credit” (UC) vari sussidi vengono pagati insieme. Tutti i disoccupati saranno obbligati a cercare lavoro per 35 ore a settimana e quelli che lavorano per meno di 35 ore a settimana e prendono il sussidio per l’affitto devono anche far vedere che stanno cercando lavoro per tutte le 35 ore in cui non lavorano. Anche i genitori single e un maggior numero di persone con disabilità dovranno partecipare ai colloqui ai Job Centre per “prepararsi” al lavoro. In alcune parti del paese dove questo nuovo sistema è già stato introdotto le sanzioni sono triplicate e sono applicate non solo al sussidio per la disoccupazione, ma anche a quello per l’affitto, per le disabilità, per i figli ecc. E il 70% dei sanzionati con il nuovo sistema sono giovani. L’altro cambiamento fondamentale è che il sussidio è pagato a mese invece che a settimana e il primo pagamento ti arriva solo dopo sei settimane, perciò il 40% di quelli che prendono la UC sono indietro con le proprie spese e tanti stanno venendo sfrattati.

Questi cambiamenti dovrebbero portare la gente a resistere, ma i tentativi di organizzarsi politicamente sulla questione dei sussidi di disoccupazione in Gran Bretagna non hanno avuto molto successo nel passato. Nonostante la presenza di alcuni sindacati dei beneficiari, la stigmatizzazione e l’isolamento della disoccupazione hanno reso difficile la resistenza contro l’introduzione del Job Seekers Allowance (JSA) nel 1996. Anche chi ha contato sui sussidi per finanziare la propria attività politica – come Reclaim the Streets – ha fatto poco per resistere alla fine della “borsa dei piantagrane”. In realtà la resistenza all’introduzione del JSA ha avuto più successo laddove i coach stessi si sono ribellati alle nuove misure più restrittive che erano costretti a imporre. I cambiamenti che il JSA ha portato hanno reso ancora più difficile organizzarsi, isolando ancor più i disoccupati. Oltre al fatto che i colloqui minano la tua autostima, facendoti sentire isolato e debole, i Job Centre sono pensati per prevenire la socialità con gli altri beneficiari. La famosa fila per il sussidio è un’immagine romantica del passato: l’orario del tuo appuntamento cambia ogni volta, il che significa che non vedi la stessa gente quando ci vai e invece di aspettare in una sala d’attesa, le sedie sono sparse dentro l’ufficio, quindi sei seduto con massimo altre due persone, circondato dallo staff del Job Centre. Aspetti silenziosamente il tuo colloquio e qualche volta vedi qualcuno portato fuori dalla security.

Una volta mentre uscivo dal Job Centre, un ragazzo è stato portato via dalla security. Era fuori di sé. Mi dice che per la seconda volta gli hanno tolto il sussidio e che non sa che dire a sua madre, che sarebbe meglio tornare a spacciare, era più facile, guadagnava di più. Gli dico di stare attento perché c’è un poliziotto alle sue spalle e mi dice “Non me ne frega niente. Loro sono dal lato sbagliato della legge, io invece sono dal lato giusto”. Abbiamo parlato un po’ e ha concluso così: “Andrò a casa a parlare con mia madre. Poi troverò una bottiglia e la riempirò di benzina. Tornerò qui e la lancerò contro questo posto di merda. E spero che siano tutti dentro quando brucia”.

Sono tornata due settimane dopo. Quel posto di merda era ancora in piedi.