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Appunti sulla manovra giallo-verde

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Una riflessione a caldo sul Def con Salvatore Cominu

 

  1. Lasciando da parte i preamboli e dando per scontate, almeno qui, alcune questioni di principio (come la necessità di contrastare il razzismo o la consapevolezza per cui i Cinque Stelle non sono gli “amici del popolo”, diciamolo subito per evitare di doverlo precisare ogni due minuti), per entrare in media res, mi sembra che per la prima volta da tantissimi anni, l’oggetto del contendere e le stesse tensioni che attraversano la coalizione che governa, sono incentrate sul dove distribuire le risorse piuttosto che sul dove tagliarle. È chiaro che distribuire e tagliare sono aspetti collegati (e di tagli dovranno pur farne), ma non si può non notare, ci piaccia o meno, una discontinuità rispetto alle politiche di austerity dei governi precedenti. Questa è la prima valutazione, quella da cui partire. Non ho ancora avuto modo di leggere i dati della manovra, però mi sembra che questa valutazione sia condivisa anche da economisti non allineati alla logica TINA del pilota automatico. Si potrebbe semmai osservare che il deficit al 2,4% non è poi così coraggioso. Insomma, le reazioni mi sembrano informate più che altro dal posizionamento dei commentatori. Poi, ci sono misure che in qualche modo sono almeno in parte condivisibili, altre decisamente no, ma non mi sembra il nocciolo della questione. Credo che vasti settori della società si attendessero in realtà proprio un segnale di “disobbedienza” (per quanto all’atto pratico non così significativa) e una manovra (al di là delle smargiassate sulla “manovra del popolo”) contenente una parvenza di redistribuzione.

  2. La seconda big issue riguarda lo schema di cooperazione competitiva alla base del patto di governo, capire quanto è solido ovvero fragile e le sue possibili evoluzioni. Ma anticipo, senza il retro pensiero per cui l’eventuale rottura di questa coalizione riaprirà i giochi per le forze di “sinistra”, cosa che peraltro non accadrà. È chiaro che i 5 Stelle siano in un cul-de -sac. Sono stati sospinti al governo – e forse neanche se lo aspettavano - da un’ondata senza dubbio confusa e composita di interessi e sentimenti, in cui erano ben rappresentate le aspettative di vasti settori popolari, di ceto medio in declassamento ma anche settori neo-proletari; chiaramente non possono disattendere questa matrice perché, in un certo modo, la loro ascesa (l’atto di nascita, certo, ma sopratutto la loro successiva crescita di consensi) porta questo segno, è marchiata da questa spinta. Inoltre sono imprigionati nella dialettica, reale o meno che sia, tra le diverse anime che da sempre convivono (oggi malamente) al suo interno: fino a quando erano all’opposizione sono riusciti a consolidare il fatturato, ma è chiaro che è differente farle convivere quando sei al governo. Il loro gruppo dirigente, va detto, è del tutto incapace di confrontarsi con questa potenziale forza d’urto, forse anche di riconoscerla. Inoltre, dal giorno del voto in poi, hanno inanellato una serie di errori anche tattici, se vogliamo di bassa cucina politica, che però testimoniano anche una certa estraneità alla grammatica del governare. La mediocrità e l’ansia di potere fanno il resto: chi è il genio che ha consegnato a Salvini il palcoscenico dove può raccogliere molto (in termini di consenso) tenendosi per sé quelli in cui figuracce e accuse di “tradimento” del programma sono praticamente assicurati? Le proposte dei 5S rischiano, per forza di cose, di sbattere contro un muro o comunque di essere fortemente ridimensionate nell’impatto reale. Alcuni settori del M5S, penso a Davide Casaleggio – anche se bisognerebbe capire quanto conti oggi realmente – sono portavoci di una svolta che si potrebbe definire “tecno-neoliberale”, altri hanno curvato ulteriormente in senso “sovranista” (uso il termine per velocità, non mi piace, penso sia usato spesso a sproposito e in ogni caso senza interrogarsi troppo sui suoi fattori sottostanti) il discorso, in generale hanno dovuto annacquare gli aspetti più “radicali” del loro programma, fornendone una versione compatibile. Facendo ciò, però, devono prestare molta attenzione perché non è questo il mandato che hanno ricevuto, non sono queste le aspettative che malgrado tutto hanno contribuito a suscitare. Di Maio è chiaramente in difficoltà: lo stesso atto di costituzione del governo con la Lega lo ha posto in una situazione di debolezza rispetto al suo partner e competitor.

  3. I pezzi del programma leghista, peraltro, sembrano più realistici e tutto sommato digeribili anche dal mondo imprenditoriale. C’è da tener conto che la Lega ha addentellati più solidi col mondo economico: per esempio in Lombardia e in Veneto, grandi regioni che, insieme all’Emilia, sono tra le più forti economicamente, e che amministrano ormai da anni. È chiaro, perciò, che risultino più credibili sia per pezzi del mondo imprenditoriale che per pezzi di élite (nota: l’endorsement del presidente di Confindustria Boccia, successivo a questa conversazione, potrebbe essere anche interpretato in questo senso; checché ne pensino quanti a sinistra sognavano una modernizzazione insieme tecnologica e “sociale” trainata dall’imprenditoria più “evoluta”, questi all’opposizione non sanno stare neanche tre mesi). Poi ovviamente anche nel loro programma ci sono aspetti indigesti alle élite culturali, ma restano comunque più credibili rispetto a quelle del M5S. Dal punto di vista dei conti pubblici, una delle grandi questioni sarà la riforma della legge Fornero: nonostante le promesse, non so se riusciranno a fare realmente la famosa “quota 100”, o se si fermeranno a quota 101-102 oppure se ridurranno sostanziosamente l’assegno. Ad alcuni settori del mondo del lavoro, nell’immediato, andrebbe bene anche in questo caso: se oggi hai 62 anni, hai maturato i contributi col vecchio sistema e ti aspetti un assegno abbastanza solido, puoi permetterti di accettare un taglio in cambio della possibilità di andare in pensione 4/5 anni prima. Le proposte leghiste, in ogni caso, mostrano molte meno potenziali ambivalenze, sebbene sulle tasse si aprirebbe tutto un campo di ragionamento; l’innalzamento a 65mila euro della soglia per il regime forfettario potrebbe anche venire incontro a determinati settori di neo-proletariato con la partita Iva (sarebbe in fondo l’equivalente degli 80 euro di Renzi per il lavoro autonomo) ma la flat tax su larga scala sarebbe nell’essenza un trasferimento da chi ha meno a chi ha di più.

  4. I 5 stelle, malgrado loro stessi, sono interpreti di questioni che, in altre forme e contesti, potrebbero essere più radicali. È inutile ripeterci che non sono e non saranno loro a portarle avanti in tal senso. Nelle loro proposte convivono senza soluzione di continuità elementi di workfarismo e di moderato anti-lavorismo, basti pensare alla proposta delle cosiddette “pensioni di cittadinanza” che indigna i commentatori mainstream, penso ad un editoriale di Pierluigi Battista, perché romperebbero il nesso tra contributi versati e importo dell’assegno, in una direzione in cui non è il lavoro a dare la misura dell’assegno –statalismo e liberismo, e così via. Il gruppo dirigente di Di Maio “sa” di essere stato portato al governo da una confusa ma comunque materiale spinta popolare contro l’impoverimento e il declassamento che non può tradire del tutto; questa matrice prova a piegarla in chiave sovranista, cerca di renderla compatibile (impresa impossibile, va da sé) con i conti dello Stato, agita velleitariamente slogan a cui non può dare seguito: insomma, rimane il M5S l’interprete involontario di tensioni che possono essere agite anche contro loro stessi, ma sono comunque spinte che l’ambivalenza la contengono. E che proprio per questo sono meno digeribili per i gruppi dirigenti.

  5. Allo stesso modo non va commesso l’errore di aspettare l’autocombustione: se non vogliamo inventarci campi che non esistono, dovremmo semmai prendere sul serio una parte di quelle proposte e farne campo di mobilitazione. Il reddito di cittadinanza, per citare una delle promesse che ha suscitato molto interesse tra chi ha votato 5 stelle, sarà probabilmente il grande sacrificato dalla manovra nei suoi esiti finali. Formalmente sarà presente in qualche modo perché, al momento, tutti gli attori vogliono tenere in vita questa coalizione: ma il giorno in cui Salvini deciderà di romperla, Di Maio resterà col cerino in mano. Già alle regionali del prossimo anno Salvini e la Lega si presenteranno nelle liste del centro-destra: è chiaro che il loro è un uso tattico del governo, da cui liberarsi al momento opportuno, cercando nel frattempo di capitalizzare questa temporanea posizione di forza, sia ai danni del partner di governo sia per ridurre definitivamente a satelliti ciò che resta del Centro-destra, da accontentare nel caso con qualche Regione o – in caso di futuro governo – con qualche pagamento collaterale.

  6. Sul reddito di cittadinanza, nonostante le attese e le speranze suscitate, la platea degli eventuali beneficiari sarà ridotta. All’opposizione i 5 stelle hanno portato avanti una proposta per molti aspetti mutuata dai movimenti: è questa ad esempio l’origine della misura dei 780 euro coincidenti più o meno con la soglia di povertà. Poi hanno aggiunto la condizionalità nel poterne usufruire (disponibilità ad accettare un lavoro, a fare lavori “utili”, ecc.), hanno limitato la platea dei potenziali beneficiari ai soli cittadini italiani, ora si parla dei soli non proprietari di abitazione; però resta una misura insostenibile politicamente, prima che economicamente. Dopo di che, nonostante le limitazioni nell’ammontare e nella platea dei beneficiari, in qualche modo il reddito di cittadinanza, seppur al di sotto delle aspettative, dovrà essere presente nella manovra perché è una delle condizioni per mandare avanti il governo. Ci saranno, perciò, delle aspettative deluse, ma dove si riverseranno? La risposta non è così scontata: anche (supponiamo) 400 euro a chi vive situazioni di disagio fanno comodo, ho in mente la situazione di tantissime parti d’Italia ... Dobbiamo ragionarci: facendo attenzione ad aspettarci il tradimento tout court delle promesse perché, mentre alcune sono incompatibili, altre potranno esser soddisfatte; bisogna capire.

  7. La sinistra, o quello che ne rimane (ovviamente non sto parlando delle minoranze estreme), contesta la manovra in sostanziale continuità con sé stessa e il proprio operato degli ultimi anni, ma dovremmo dire decenni. Alcune affermazioni o prese di posizione sono paradossali. Prendiamo le accuse di irresponsabilità rivolte dal presidente dell’Inps verso la proposta di riforma della Fornero e l’eventuale introduzione di “quota 100”, prontamente rilanciate dai maggiori quotidiani; Boeri afferma che la retribuzione media di un neo-pensionato sarebbe oggi 36mila euro, mentre un giovane a tempo indeterminato ha una retribuzione di 18mila euro, e servirebbero dunque due giovani per pagare una pensione. Stando a questo ragionamento fino a quale età occorrerebbe lavorare, visto che i salari calano sempre? Il dubbio che il problema risieda nella retribuzione dei giovani non viene a nessuno? In generale, leggiamo nei commenti di sinistra l’evergreen della sempre annunciata rivolta dei giovani contro i privilegi dei vecchi, auspicata proprio da chi ha fatto di tutto per tagliare salari e reddito ai giovani in primis. Poi vediamo che i giovani non votano, o se votano lo fanno proprio per gli irresponsabili. O prendiamo ancora il caso Casalino, in cui difende strenuamente la posizione dei tecnici del MEF, in un’epica in cui i funzionari di Stato diventano ultimo argine contro il populismo. L’argomento utilizzato è che solo i regimi totalitari mettevano in discussione i tecnici. Ci si ferma, così, ad un aspetto completamente avulso da ogni dinamica concreta. Diceva Giulio Sapelli in Tv qualche giorno fa che in nessun paese la Ragioneria di Stato dispone di una così alta discrezionalità, in cui esiste un così elevato grado di autonomia rispetto all’input della parte politica. E’ paradossale: si è sempre rimarcato (eminenti storici di sinistra hanno insistito su questo punto), quando il Pci era condannato all’opposizione, il ruolo degli apparati statali nel bloccare le riforme strutturali o la modernizzazione del paese (fin dai tempi di Togliatti e Berlinguer, passando per la stagione del centro-sinistra degli anni Sessanta). Una volta sentii un dirigente storico della sinistra dire che esistono 30/40 burocrati in Italia, che vivono tutti nel raggio di 3-4 km a Roma, con il potere di bloccare ogni progetto. Parlava ovviamente dei grandi commis di stato, dell’apparato tecnico. Ancora pochi anni fa, all’epoca del governo Monti, Repubblica denunciava la “casta dei mandarini” con il potere di bloccare o svuotare qualsiasi iniziativa. Ecco: per la sinistra questo potere dei burocrati era un baco nel funzionamento della democrazia italiana, ora gli stessi tecnici diventano l’argine all’onda populista. Gli esempi sarebbero infiniti, e qui sarebbe anche superfluo insistere su questo tasto; mi preoccupa tuttavia sentire conoscenti sinceramente schierati riportare o postare queste argomentazioni.

  8. Noi al momento non contiamo nulla nel dibattito pubblico e nel radicamento sociale, ma occorre evitare di rimanere invischiati in questo discorso, rischiando di fare la coda dell’opposizione al governo giallo-verde. È evidente che non sarà il M5S a rovesciare il tavolo: dovremmo semmai porci il problema di come forzare il programma dei grillini senza consegnarci al frontismo (di chi poi? quello di Calenda?). Mi rendo conto di entrare in un terreno scivoloso, ma penso che se le forze soggettive (che una volta chiamavamo per velocità i movimenti, oggi non saprei come definirle) si attestano sulla sola questione dell’antirazzismo, questa insignificanza sarà destinata a protrarsi. E’ ovvio che occorre opporsi alle politiche razziste di questo governo, tutto sommato in continuità con quelli che l’hanno preceduto. Proprio su queste pagine si è più volte spiegato come il razzismo sia consustanziale al capitalismo (lo dico così per brevità), il che non ci esime naturalmente dal contrastare i razzisti sul campo. Penso però anche che le forze al governo, una più furba l’altra preda delle sue contraddizioni, con la manovra stiano mettendo sul piatto questioni che interessano la larghissima maggioranza di quei settori sociali con cui dovremmo connetterci. Per essere espliciti e non nascondersi le difficoltà, ritengo irrealistico pensare di capovolgere e dare un’altra direzione all’onda sociale che ci ha portati a questa situazione, che non considero comunque peggiore di quella che abbiamo vissuto negli scorsi anni. A ben vedere, l’assenza di gruppi sociali mobilitati a sostegno delle richieste di cui i giallo-verdi si fanno loro malgrado interpreti, è parte del problema piuttosto che qualcosa che dovrebbe rassicurarci. E’ proprio la folla solitaria a produrre i Salvini e in fondo anche i Di Maio, laddove penso che sarebbe molto meglio doverci confrontare con un tessuto attivo, anche se con contenuti e immaginari diversi dai movimenti sociali con cui siamo stati abituati a confrontarci: è un problema che non ci siano mobilitazioni ambigue, perché dove non c’è niente è difficile orientare alcunché e, inoltre, la soggettività politica non si mette alla prova, non si confronta con la materialità dei processi sociali.