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Primo Maggio e la gioia della militanza operaista

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Federico Chicchi recensisce il numero speciale di “Primo Maggio”

La primavera di quest’anno ci ha portato, sciolta la neve, una sorpresa insperata e a dir poco gradevole. Una delle riviste più importanti della storia dell’operaismo italiano e più in generale della cultura operaia, nazionale e internazionale, uno dei prodotti militanti più significativi che siano mai stati editati, la rivista Primo Maggio, è uscita con un numero speciale, a quasi trent’anni dalla sua ultima apparizione (disponibile però, purtroppo, solo in formato digitale).

Per chi conosceva già il suo spessore e il suo formato è un vero e proprio déjà vu: stessa grafica, stessa impaginazione, alcuni dei più importanti protagonisti di quella esperienza che tornano a scrivere l’uno accanto all’altro. Stessa grana e stessa tempra di quella originale, che fu ideata, promossa e diretta prima da Sergio Bologna e poi da Cesare Bermani.

L’occasione della uscita imprevista è sacrosanta: ricordare e rendere omaggio al suo primo editore: Primo Moroni (per il Collettivo Editoriale Calusca di Milano), scomparso prematuramente il 30 marzo di vent’anni fa. Così motiva Sergio Bologna l’operazione editoriale: “Noi che abbiamo fondato questa rivista, dato che siamo ancora in circolazione, malgrado i decenni che ci portiamo sul gobbo, per ricordare Primo abbiamo chiamato a raccolta persone che lo avevano conosciuto – ma anche giovani che ne hanno solo sentito parlare – per costruire con loro questo “numero speciale” con tematiche che avevamo già affrontato con lungimiranza 40 anni fa o tematiche di oggigiorno”. A questo primo omaggio si aggiunge poi un secondo ricordo carico, commosso e plurale, e soprattutto necessario, a Lapo Berti, collaboratore storico della rivista, scomparso improvvisamente mentre il numero speciale era in lavorazione.

Questa doppia tragica occasione non rende però questo numero un numero meramente o prevalentemente commemorativo. I testi che ne compongono le budella, sono bellissimi e ricchissimi e per nulla trascinati in un movimento retrò. Tornano, al contrario, a parlare, in modo militante, del presente capitalistico senza rinunciare a denunciarne le storture e le violenze. Un presente che mai come oggi, mai prima di oggi, abbisogna di riprendere a immaginare e a indicare l’orizzonte di possibilità di una storia di classe. Leggendo i numerosi e diversi contributi che ne compongono l’indice, pur essendo questi redatti sia da intellettuali di riconosciuta fama (da Sergio Bologna a Christian Marazzi, da Mario Tronti a Karl Heinz Roth) sia da compagni più giovani, si ha prima di ogni altra cosa la piacevole impressione di muoversi dentro una continuità di stile. Lo stile della militanza operaista. Questo è davvero un lascito prezioso, incurabile, unico, inattuale che non può andare perduto e che qui torna a farsi tangibile. Qui tra queste pagine, quello stile, lo si recupera metodologicamente ed esteticamente. Non so davvero quanto Sergio Bologna ne avesse chiara e consapevole intenzione quando ha pensato di realizzare il nuovo numero, ma un primo risultato certo di questa operazione editoriale è proprio quello di ravvivare il fuoco vivo di questa militanza così peculiare, preziosa e speciale. Il numero ne è letteralmente intriso. E questa gioia nel ritrovarla è il sentimento più preciso che si prova leggendo i diversi contributi proposti, che, secondo me, è anche il modo più autentico per ricordare Primo Moroni e la sua incredibile, indimenticabile per chi l’ha conosciuto e visto all’opera, genialità (messa stupendamente in luce dalla riproposizione della sua autobiografia e da un commento, tutt’altro che solo cronachistico, di Bermani).

Come anche l’editoriale esplicita e mette subito in evidenza, si tratta di costruire una feconda continuità tra i temi “storici” della rivista (che hanno animato con frequenza e continuità le pagine dei primi numeri) e quelli che costituiscono invece le riflessioni sulle “miserie” del presente. La cosa che sorprende subito è l’intensità delle analisi che i primi testi qui presentati, quattro riflessioni in forma di intervista, sono in grado di esibire sfacciatamente. Intensità che letteralmente ti inchioda sullo schermo, mentre leggi, su quattro temi di grande attualità: Michele Pacifico analizza le trasformazioni del lavoro nel settore dell’informatica, Christian Marazzi argomenta sulle monete digitali e in particolare ci spiega cosa sono e come funzionano i bitcoin, Benedetta Tobagi ci parla del fenomeno Casa Pound, due ricercatori dell’Università di Linz ragionano sul tema delle relazioni industriali in Germania, Austria e Italia a partire dal recente accordo IG Metall. Quattro temi chiave del nostro tempo che in modo diverso convergono nel consegnarci uno spaccato interpretativo importante sulla qualità della composizione di classe nel capitalismo europeo contemporaneo. Si, perché il concetto operaista per eccellenza, composizione di classe, ci pare essere uno dei protagonisti indiscussi di questo numero speciale.

Ricostruire il ciclo produttivo odierno quindi, comprendere dove la soggettività viene interpellata e secondo quali condizioni messa a valore. Comprendere il ciclo all’interno del quale il valore proprietario, la sua estrazione, la sua distribuzione, si concretizza e realizza. E soprattutto mappare il modo e le forme sociali e soggettive attraverso cui l’operosità sociale da un lato viene oggi tenuta agganciata, comandata, dentro i processi produttivi (nel senso più largo possibile) del valore, e dall’altro come la stessa tenta di disarticolarsi e resistere alla cattura.

Ecco sono queste in fondo le questioni fondamentali che attraversano questo numero speciale di Primo Maggio.

In tal senso, in questo tentativo di rilanciare le vocazioni fondative della rivista, non poteva mancare una riflessione importante di Christian Marazzi, che come solo lui sa fare, permette di comprendere il fenomeno sempre più diffuso delle valute digitali. La moneta era stato infatti uno dei temi centrali su cui la rivista aveva lavorato tra gli anni settanta e gli anni ottanta, guidata e coordinata in questo importante obiettivo di analisi, proprio dal compianto Lapo Berti. Scrive Marazzi: “Il Bitcoin è infatti l’espressione monetaria di una rivoluzione antropologica che si è consumata in questi ultimi decenni di digitalizzazione della produzione, della comunicazione e delle relazioni interpersonali”. Capire come le criptovalute impattano sulle dinamiche della vita economica e sociale attuale e come si articolano nei rapporti con le istituzioni del governo economico mondiale pare essere un passaggio obbligato per capire come funziona oggi il capitalismo neoliberale e quali sono le sue principali contraddizioni interne. Proprio a questo riguardo voglio segnalare l’articolo di Gigi Roggero e Anna Curcio dedicato alle lotte nel settore della logistica in Italia. Questa loro riflessione, se da un lato rappresenta un importante contributo di analisi teorica sulla centralità della logistica nel funzionamento e nella logica del capitalismo contemporaneo, dall’altro (e soprattutto) permette di evidenziare l’importanza di aprire laboratori di inchiesta militante capaci di aumentare e fertilizzare il peso specifico della lotta. Questi laboratori sono significativi perché sono spazi in grado di promuovere la convergenza e quindi la composizione di istanze e interessi conflittuali differenti, che se solidali e uniti possono agitare le paludi stagnanti dello sfruttamento capitalistico. Come scrivono in un passaggio del loro contributo: “studenti e lavoratori precari hanno preso parte ai picchetti, agli scioperi e alle mobilitazioni dei facchini della logistica non solo e non tanto in chiave di solidarietà, ma come possibilità di costruire uno spazio comune di lotta. Non si tratta, ovviamente, di rimuovere ideologicamente le evidenti differenze che segnano le forme di vita e di lavoro di soggetti differenti. E tuttavia, per un certo periodo di tempo queste differenze hanno trovato un terreno di combinazione virtuosa, nell’individuazione di comuni nemici e di una lotta contro una più generale deprivazione del presente e del futuro”. Personalmente sono convinto che ogni agitazione nei prossimi anni debba prendere sul serio la questione che Roggero e Curcio chiamano qui metodo della combinazione virtuosa. Il lavoro politico in tal senso deve seguire e scommettere su questo obiettivo, come obiettivo centrale della sua legittimazione a-venire, pena la sua inevitabile marginalità sociale. Lavorare sui corpi in frammenti dell’azione politica antagonista e militante, da un lato, ma soprattutto per scrivere, senza nessuna volontà egemonica da calare dall’alto, nel corpo e nella soggettività delle nuove generazioni in formazione, il desiderio della lotta per l’autonomia e l’autodeterminazione. L’inchiesta, la produzione di un sapere condiviso sui territori, sulle comunità, sui legami sociali, sulle diverse modalità dello sfruttamento che li attraversa, può essere allora, ancora oggi, uno strumento politico fondamentale, come lo fu allora. Però solo se opportunamente realizzato e rinnovato con passione militante e con quella preziosa lungimiranza che gli operaisti hanno sempre portato fieramente in seno.

È mio dovere, dunque e in proposito, segnalare la qualità e la perizia con cui Davide Gallo Lassere e Frédéric Monferrand hanno ricostruito nel loro contributo, contestualizzandolo a partire dalle diverse prospettive teoriche in gioco, l’attualità del metodo operaista. Ci sentiamo di condividere appieno la loro riflessione e cioè che “una volta abbandonata la ricerca di una soggettività centrale, siamo spinti a investigare con l’inchiesta le modalità pratiche attraverso le quali coalizzare una pluralità di soggettività viventi ognuna, da un lato, delle esperienze specifiche di dominio/sfruttamento e, dall’altro, delle potenzialità autonome di liberazione. Senza alcuna pretesa di esaustività, ci pare infatti che tale ipotesi permetta di sondare delle piste per dischiudere dei processi di soggettivazione ampi e trasversali, dai quali soltanto potrà scaturire una prospettiva atta a ricomporre le fratture che solcano le società attuali”.

I contributi da citare, che meriterebbero di essere nominati e discussi, di questo numero speciale di Primo Maggio sarebbero davvero tanti. Pressoché tutti. Non ci è possibile evidentemente farlo qui. Per quanto mi riguarda io mi fermo, sperando di aver toccato e sottolineato le questioni che mi parevano fondamentali. Credo però davvero che valga la pena di invitare ancora una volta chi ci legge a scaricare gratuitamente il pdf e a leggerselo per intero. Questo numero di Primo Maggio sono persuaso possa infatti essere un importante punto di partenza per aprire un nuovo ciclo di riflessione sul capitalismo neoliberale. Sta per arrivare maggio, cinquant’anni dopo, facciamo in modo che la neve non si sia sciolta invano. La vita è altrove.