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Prefazione di “Reincantare il mondo”

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Anna Curcio presenta la nuova raccolta di saggi di Silvia Federici

Il lavoro teorico-politico di Silvia Federici è molto noto in ambito internazionale, un po’ meno in Italia dove solo negli ultimi anni ha cominciato a circolare con continuità la traduzione di alcuni suoi lavori (si ricordano Il punto zero della rivoluzione del 2014, per ombre corte, e Calibano e la strega del 2015, per Mimesis, nuova edizione di un libro che negli anni Settanta è stato di fondamentale importanza nel dibattito femminista e di movimento). Tuttavia, non servono presentazioni particolari, che peraltro richiederebbero ben altro spazio di approfondimento; il pensiero e la pratica politica di questa pensatrice militante di lungo corso (dagli anni Settanta ad oggi senza soluzione di continuità) sono un riferimento importante per intere generazioni di femministe, anche in Italia. In questa breve nota mi soffermerò su alcuni elementi che, tra molti altri, interrogano il perché di questo libro, ovvero perché il lavoro di Federici si presenta estremamente attuale e utile nel nostro dibattito teorico-politico, mentre assistiamo ad un consistente attacco sul piano delle capacità riproduttive delle donne, fatto di tagli al welfare, violenza di genere e ulteriore mercificazione dei corpi; e, soprattutto, in una fase in cui in Italia come altrove, un movimento di donne articolato sul piano transnazionale sta prendendo forma.

Il lavoro di Federici offre in questo senso spunti preziosi, proponendo una posizione femminista immediatamente materialista, cioè militante e tesa alla trasformazione dei rapporti di potere tra le classi e, al suo interno, tra i generi. Da questa angolazione è particolarmente significativa la sua lettura di Marx, in un continuo corpo a corpo che porta Marx oltre se stesso e forgia proficue chiavi interpretative, dalla inconclusa “accumulazione originaria” fino alla centralità della riproduzione, dalla critica del soggetto astratto universale all’impossibile automazione del lavoro riproduttivo. Non da ultimo, il riferimento al metodo marxiano le permette – come dal titolo di uno dei saggi pubblicati ne Il punto zero della rivoluzione – di riportare il femminismo sui piedi, ovvero nel suo alveo materialista, incarnato nei soggetti e nelle lotte reali. È questo il primo elemento dirimente della centralità e attualità del pensiero di Federici. La sua analisi, cioè, pone radicalmente a critica le spinte emancipazioniste di un femminismo istituzionale tanto ben saldo quanto problematico e consente al contempo di sgomberare il campo, se ancora ce ne fosse bisogno, dai residui identitari e differenzialisti che hanno dominato il dibattito italiano nel corso almeno degli anni Ottanta e Novanta.

L’altro elemento altrettanto centrale del lavoro di Federici riguarda l’oggetto specifico di questo libro: la politica dei commons, o più precisamente la lettura femminista dei commons proposta dall’autrice. Reincantare il mondo è un libro sui commons, che al contempo non esita a confrontarsi con i nodi aperti e i punti di blocco di quel dibattito. Pur muovendosi spesso all’interno del problematico rapporto tra micropolitica e possibilità di rottura, tra anti-modernità e lotta sullo sviluppo, per Federici i commons sono sempre un terreno concreto di produzione di soggettività, nel senso che il fuoco costante della sua riflessione è l’agire delle donne nella costruzione o difesa dei commons. Tale contributo è di straordinaria importanza in un dibattito, mi si lasci dire, ormai un po’ usurato o addirittura abusato, in quanto sempre più spesso attraversato da retoriche e ideologie sganciate dalla materialità delle condizioni di vita, dei conflitti e dei rapporti di forza. Il merito di Federici, al contrario, è proprio quello di evitare retorica e ideologie per proporre un’analisi immediatamente incarnata nella materialità delle lotte e dei processi di soggettivazione. I commons di cui parla non sono mai astratti, ricette intellettuali o strumenti di improbabili statuti giuridici, tutti elementi utili per l’accademia ma non certo per le lotte, che ritornano insistentemente nel dibattito più recente. Per Federici, del resto, i commons non sono una moda passeggera: il suo impegno su questo terreno risale alla fine degli anni Ottanta, come mostrano i saggi raccolti nel volume. E, come lei stessa precisa nell’introduzione, si aggancia immediatamente alla sua esperienza in Africa, mentre i piani di aggiustamento strutturale distruggevano i commons e le lotte, soprattutto delle donne, proponevano importanti ed efficaci momenti di resistenza.

Allo stesso tempo, la sua riflessione sui commons non è semplicemente in linea con un movimento che ha messo il commoning al centro delle sue pratiche e dei suoi discorsi, quel movimento che dall’argentina sta rilanciando nelle piazze di mezzo mondo il grido di rabbia “Ni una menos”. In modo ben più ampio, la sua analisi politica intreccia e tesse insieme i discorsi, gli immaginari e le pratiche di un movimento di natura immediatamente transnazionale di cui Federici, nella sua duplice e inscindibile veste di teorica e militante, è parte integrante. Basti pensare al fatto che negli ultimi dieci anni ha trascorso lunghi periodi di studio, ricerca e intervento politico al fianco delle donne in Argentina, Messico o Bolivia, così come in Europa e negli Stati uniti, discutendo e imparando da loro e diventando per tutte un punto di riferimento importante.

È questa, io credo, la straordinaria ricchezza del lavoro di analisi e ricerca di Silvia Federici, mai racchiudibile sul mero piano dello sforzo intellettuale, perché sempre coraggiosamente pronto a sfidare lo spirito dominante del tempo. In questo senso, “reincantare il mondo” vuol dire “reinventare la vita”, costruire pratiche e relazioni collettive affettivamente dense e non lavorizzate, ovvero contro la logica del lavoro e la sua violenza. Una vita oltre il “disicantamento” della razionalità capitalista, capace piuttosto di mettere al centro la sfera riproduttiva e “rivalorizzarla” quale ambito primo e imprescindibile della nostra capacità di autonomia e “autogoverno”. Questa, scrive Federici è “la condizione perché la crisi del capitale non si trasformi in una crisi dei nostri progetti di trasformazione sociale”, per divenire al contrario possibilità di liberazione. Ed è ciò che rende questo volume ben più di un libro, ossia un’arma da usare contro un sistema che continuamente tenta di impoverire le nostre vite, le nostre menti, le nostre relazioni.