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Gli alleati invisibili

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Note di Damiano Cason su Star Wars 8

Un attacco kamikaze apre Episodio VIII. Paige Tico sacrifica la propria vita per far esplodere gli ordigni che l’ultimo bombardiere rimasto alla flotta ribelle in ritirata sta cercando di sganciare sulla nave ammiraglio del Primo Ordine. Come lei l’ex presidente Bill Pullman si lancia con un aereo contro il nemico alieno nel sequel di Independence Day e, in senso opposto, i Figli della Guerra dell’ultimo Mad Max si sacrificano per guadagnare gli onori del capo. L’apertura del film segue dunque il solco degli ultimi anni che riconoscono il suicidio come tattica di guerra, riflesso dell’operazione di marketing nefasto dello Stato Islamico. Attenzione, non è la stessa cosa dell’eroe di guerra che rimane per far saltare la bomba (il vice-Ammiraglio Holdo, ultima ad abbandonare la nave per portare a termine il diversivo), qui si tratta di utilizzare tutto il proprio corpo come arma, pilotare un mezzo direttamente contro il bersaglio, come insegnavano i piloti giapponesi al servizio dell’Imperatore. Ma, come già detto a proposito di Mad Max, il suicidio non è che il gesto estremo di una percezione bifronte: il sacrificio di sé in funzione della causa è infatti lo stesso (pur liberato dal gesto estremo) richiesto dalla società liberale. Il lavoro senza orario per l’azienda, l’esperienza di vita come risorsa, le relazioni come produzione di valore, in definitiva la messa a valore del soggetto e non più solamente del tempo di lavoro. E’ una transizione dal potere di far morire al governo dei viventi. Ma in Star Wars questa scena iniziale ha un risvolto circolare che la chiude e la designa come un’esperienza finita o destinata a finire. E’ questa volta Finn, durante la battaglia di Crait, a pensare di immolarsi lanciandosi dritto verso un potentissimo cannone in procinto di liberare tutta la sua energia contro il rifugio dei ribelli. Ma Rose Tico, sorella di Paige, lo salva e pronuncia la frase “non si combatte per distruggere ciò che si odia, ma per salvare ciò che si ama”, che sembra riecheggiare Le Città Invisibili di Calvino. Aprendo un’altra questione filosofica, Rose chiude quella relativa al sacrificio di sé, squalificando il suicidio come tattica. Sebbene l’ultima apparizione di Luke possa essere percepita allo stesso modo, infatti, non è il proprio corpo che egli utilizza, al contrario Luke non è proprio presente su Crait. E’ solamente un distinto modo d’esistere della forza, come già insegnarono Yoda e Obi-Wan Kenobi.

La questione che Rose apre, invece, è difficile da notare perché arduo collegarla al vero nocciolo della questione: la somiglianza tra Kylo Ren e Rey. Della loro differenza che li accomuna rispetto ai propri avi (nel caso di Ren) o miti (nel caso di Rey) abbiamo già detto parlando di Episodio VII. Ebbene questo tratto viene accentuato: nel caso di Ren con l’uccisione di Snooke, nel caso di Rey con il salvataggio in extremis dei libri sacri ai Jedi. Ciò che Ren odia è il passato, con cui non è riconciliato, ed il suo obiettivo è dunque distruggere tutto ciò che ne fa parte, compreso il leader supremo del Lato Oscuro. Se non esistono i due blocchi, se il mondo è uno, se il mercato è globale e se non esistono più la destra e la sinistra perché, allora, non essere signore di tutto piuttosto che solamente di una parte? Anche per Rey, viceversa, il lato chiaro significa poco. Riceve un addestramento approssimativo da un maestro che non l’aveva a sua volta mai completato e confessa di aver tradito sé stesso, non esita a dialogare costantemente col presunto nemico e, oltre a non essere cresciuta tra i militanti della resistenza scopre che anche i suoi genitori erano dei signor nessuno. Tuttavia Rey salva i libri, perché salva ciò che ama. Della resistenza si è innamorata e dunque poco importa se Yoda abbia ragione nel suo ultimo discorso a Skywalker, perché quei libri sono, quanto meno, documenti storici. Il discorso di Yoda è il nocciolo centrale (non a caso anche come minutaggio) dell’intera trilogia. Ha ancora senso parlare di jedi, cioè ha ancora senso affiancare all’organizzazione resistente un’ideologia storica? L’ultimo jedi dimostra come gli insegnamenti che conosce non siano affatto infallibili, a tal punto da aver cercato di assassinare l’allievo che gli sembrava allontanarsi dall’ortodossia. Yoda sostiene che i libri non siano più necessari, perché ciò che vi sta scritto è ormai coscienza comune nella resistenza e i cimeli portano con sé il rischio della sclerotizzazione di ciò che insegnano. In questo vi è la nuova opposizione con il Lato Oscuro (o ciò che ne prenderà il posto): Kylo Ren vuole distruggere tutto proclamandosi come l’unico nuovo (percependo le stesse vibrazioni in Rey) ma di fatto è stato fino ad ora un imitatore e collezionista di cimeli antichi e teorie parascientifiche. La storia come oggettistica. Ecco perché, infine, distrugge anche quelli: come ogni forma di fascismo, se li è presi quando si è trattato di rivendicarli come tradizione, ma non ha esitato a liberarsene (il casco imitazione di Darth Vader) quando anche quelli sono diventati un peso, o nel caso modellarli a piacimento in vista di mediazioni (per esempio con il generale Hux). La bestia di Nietzsche o i simboli runici. Al contrario Rey rimane delusa da ciò che la affascinava dopo essersene avvicinata, come un giovane universitario che si avvicina a un collettivo cercando nuovi stimoli e trova un ambiente ritorto su sé stesso; ma infine decide di non abbandonare ciò che fu importante per la generazione precedente, probabilmente non per seguirne le orme, ma per trarne esperienza. La storia come memoria in movimento. Commemorare come cum - memorare, ricordare insieme: non la sterile cerimonia ma il sentire di avere qualcosa in comune con una resistenza passata, grazie a una resistenza attuale (in atto).

Il cambio di paradigma dal distruggere ciò che si odia al salvare ciò che si ama ha forse a che fare anche con la fine della squalifica morale del nemico? In effetti, nonostante tutti i commenti abbiano sostenuto che la differenza tra Kylo Ren e Rey stia nella loro morale, non sembra così chiaro: Kylo Ren ha sì ucciso il padre, ma a Rey viene per tutto il tempo insegnato ad accettare che un padre non ce l’ha, da ambo le parti (Maz Kanata in Episodio VII). Inoltre lo stesso Snooke fa capire come l’assassinio di Han Solo sia avvenuto per la sua regia, e non per un’idea innata in Kylo Ren, che forse lo riteneva un sacrificio non necessario o inutile. L’evoluzione dei personaggi segue dunque il tentativo di riattualizzazione filosofica di Episodio VII: non più i ribelli molteplici degli anni ‘70, ma pochi, ingenui e confusi spinti dalla paura, da interessi secondari, puro spirito d’avventura o semplice confusione. Ricchezza di stimoli contraddittori ma un’apatia di fondo che nella ribellione trova il suo contraltare nella sempre valida tesi che avere lo stesso stile e le stesse tradizioni non basta per essere amici, mentre viceversa lo stare insieme fonda l’amicizia. Come Desmond Hume nella quarta stagione di Lost, possiamo trovare la costante di Lato Oscuro e Ribellione nelle due risposte alla solitudine: quella reattiva di Kylo Ren, il quale di fatto non ha amici e con il Leader può avere solo dei colloqui cui viene convocato; quella creativa di Rey, parla con i predoni nomadi nel deserto, fa amicizia con un robot, si lancia in una storia che non sapeva le appartenesse, frequenta nuove persone. La solitudine non si può eliminare, come il nulla sartriano che l’essere porta con sé, ma si può affrontare in modi diversi: nel modo del Lato Oscuro o nel modo della ribellione, per esempio. L’equilibrio della forza è nel conflitto tra i due lati o nella pace tra essi, mai nel dominio di uno sull’altro perché il dominio è predicato del Lato Oscuro. Ma la differenza è che la risposta creativa di Rey la fa guardare nel Lato Oscuro, nel suo nulla, per mostrarle che dentro, appunto, vi è nulla, è un contenuto vuoto, specchio di sé che trova nella ferita sull’isola di Ahch-To. La visione del nulla che è causa del suo male ineliminabile dà alla ribellione un vantaggio continuamente decisivo nell’arte della forza: la coscienza di sé. Nessuno risponde dall’Orlo Esterno, Luke Skywalker se n’è andato, Leia non è più in grado di guidare un esercito, Poe (probabilmente il prossimo comandante) richiamato più volte per il suo atteggiamento da macho e a rischio della propria incolumità per aver insubordinato, unica astronave rimasta “un rottame”: i ribelli si contano ora con le dita, sempre più schiacciati dal populismo galattico e dall’apatia. Tuttavia ancora una volta hanno ripreso coscienza di sé e il simbolo della resistenza è il ritornello che riterritorializza e di soppiatto viene canticchiato nei giochi dei bambini.