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Più sorrisi? Più soldi

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di DAYNA TORTORICI

Pubblichiamo la recensione al libro di Silvia Federici Revolution at Point Zero: Housework, Reproduction, and Feminist Struggle (PM Press, 2012) e all’installazione di Martha Rosler Meta-Monumental Garage Sale al MoMA di New York, 2012. I due lavori costituiscono una riflessione sull’attualità della critica femminista e sul rifiuto del lavoro.

Lo scorso novembre, l’artista Martha Rosler ha tenuto la sua prima personale al Museum of Modern Art di New York, una installazione e una performance dal nome Meta-Monumental Garage Sale. Era infatti un’enorme vendita in garage con cumuli di giocattoli, mobili, vestiti e stoviglie disposti lungo un labirinto ordinato di rastrelliere e complicate tabelle, nell'atrio principale. Al centro dell’esposizione, una scala fungeva da mensola e da questa pendeva inerte una bandiera francese di sghembo con le parole GARAGE SALE scritte sulla striscia bianca. Abiti di seta, lingerie e magliette di cotone sono state riposte in alto sulle pareti come oggetti in un negozio dell’usato. Una ghirlanda arcobaleno con nastri di mostre equestri faceva da proscenio in miniatura ad alcune cianfrusaglie da bambini: pupazzi con teste dondolanti ancora nelle loro scatole, braccialetti luccicanti, case di bambola in legno di balsa e pile di giochi da tavolo usurati da cui probabilmente mancano alcuni pezzi. Volontari del MoMA in grembiule rosso svolazzavano su due registri di cassa posti nel mezzo del pavimento (solo contante). Altrettanto faceva l'artista, che indossava un marsupio di tela di Home Depot fresato tutto intorno. Sulla lavagna di un canestro per bambini un cartello diceva CONTRATTARE e l’artista a volte lo ha fatto. Qualche volta ha venduto le cose. Altre volte no.

La mostra è stata la continuazione di un progetto che Rosler ha iniziato nel 1973 con Monumental Garage Sale, una performance organizzata come studentessa di dottorato alla Univeristy of California di San Diego. Ha ripetuto l’esibizione nel 1977 con Traveling Garage Sale a San Francisco e nei decenni successivi ha ricreato versioni di Garage Sale in altri musei in tutto il mondo. Come le mostre precedenti, Meta-Monumental Garage Sale è stata una riflessione sul valore, ma più “meta” del solito, perché è stata al MoMA e la ricostruzione doveva essere particolarmente attrattiva. Non c’era nessun avviso per strada della vendita in garage (chi va al MoMA sa che sta guardando un’esibizione che ha pagato per vedere) e i 14.000 articoli esposti dovevano prima essere disinfettati, facendo venir meno una parte del rischio specifico che caratterizza i negozi di strada. Data la prossimità al gift-shop del museo, l’esibizione è stata anche "meta" nel senso più familiare all’arte concettuale: da una parte si vendeva una macchina senza motore, dall'altra erano accettate le principali carte di credito. Sia l’istallazione sia il gift-shop hanno emesso scontrini a nome dell'istituzione, ma solo uno di questi ti spingeva a nominare la differenza.

La mostra, in altre parole, ha riportato l’attenzione su note questioni che riguardano l’arte e il denaro: sui criteri di valutazione delle opere artistiche, sul potere di validazione che ancora esercitano istituzioni come il MoMA. Ma Meta-Monumental Garage Sale ha anche cercato, con quel tipico gesto politico che distingue Rosler dai suoi contemporanei la cui critica si rivolge al solo mondo dell'arte, di richiamare l'attenzione sul modo in cui le vendite in garage espongono il lavoro non retribuito delle donne conosciuto come "lavoro domestico". Termine generale che comprende tutto ciò che le donne fanno in casa, il lavoro domestico è un lavoro invisibile. Effettuato a porte chiuse, è senza fine - fatto un giorno per essere rifatto il successivo, senza mostrare altro che il rifiuto materiale della vita ordinaria. Vecchi giocattoli, Tupperware, vestiti per bambini ormai cresciuti, attrezzi da giardinaggio – la cosa dismessa per la vendita in garage offre la cronaca di una vita dedicata al lavoro di cura. Ogni oggetto si riferisce ad un periodo di tempo non visto e non quantificato trascorso per prendersi cura di sposi, genitori e bambini, cucinare, pulire, insegnare e prestare attenzione, preparare se stessi e gli altri, per la scuola e il lavoro. A completare il tutto per il pubblico, la stessa vendita in garage, è un lavoro di routine domestica ("pulizie di primavera") che offre prova del lavoro gratuito delle donne.

Molto è cambiato per le donne in questo paese (gli Stati Uniti N.d.T.) dal quando Rosler ha tenuto il suo primo Garage Sale nel 1973, ma non da questo punto di vista. L'ingresso in massa delle donne nel mondo del lavoro salariato ha trasformato il volto del lavoro domestico, ma il nuovo volto non è quello di un uomo, è quello di un'altra donna – o della stessa donna dopo l’orario di lavoro. Il lavoro domestico non retribuito, la cura dei bambini e l'assistenza agli anziani è rimasto in gran parte invisibile, e in gran parte, se visto, non considerato. Un lavoro come Garage Sale di Rosler fa quello che può per modificare ciò – rendendo inconsuete delle cose di uso quotidiano. Lo scorso anno, la sua esibizione è sembrata arrivare al momento giusto. Sui media il “dibattito” su cura dei bambini e rapporto vita-lavoro era esploso quando la Democratica Hilary Rosen aveva detto che Ann Romney "non ha mai lavorato un giorno in vita sua". E, la questione del "valore produttivo" della casalinga aveva acquisito centralità anche a seguito di uno studio di Forbes che mostrava l’incidenza della "produzione familiare" sul PIL (nel 2010, il lavoro domestico sarebbe stato valutato intorno a 3.800 miliardi dollari, con una crescita del PIL di quasi il 26%).

Lo stesso mese dell’esibizione si Rosler, una relazione della National Domestic Workers Alliance supportata da statistiche confermava quello che molti già sapevano: il 95% per cento del lavoro domestico è affidato alle donne, il 51% sono donne di colore, il 36% migranti senza documenti e la stragrande maggioranza non ha l'assicurazione sanitaria o i congedi per malattia retribuiti. Nel frattempo, mentre le misure di austerità in Europa spostano sempre più il lavoro di cura dai servizi pubblici alla cura individuale in casa, la memoria della campagna Wages for Housework (in Italia Salario al lavoro domestico N.d.T.) – un movimento formato in un'altra Europa, quella degli anni Settanta – veniva resuscitato nella sinistra americana con la pubblicazione di nuovi libri di due delle fondatrici del movimento, Silvia Federici e Selma James.

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La campagna Wages for Housework si formò a Padova, in Italia, nell'estate del 1972 come sviluppo di un’organizzazione composta da una ventina di donne: l’International Feminist Collective fondata da Selma James, Brigitte Galtier, Mariarosa Dalla Costa e Silvia Federici. James, una casalinga a tempo pieno e attivista marxista, aveva vissuto in Inghilterra con il suo compagno, l’intellettuale radicale CLR James. Galtier, in Francia, era stata coinvolta nel gruppo che pubblicava la rivista autonoma “Matériaux pour l'intervention”. Dalla Costa, accademica e attivista in Italia, veniva dall’operaismo, un movimento intellettuale ispirato dal ritorno degli scioperi di fabbrica nel Nord Italia. Nella sua rilettura di Marx, l'operaismo ha sostenuto che erano i lavoratori, non i proprietari della fabbrica, a determinare la forma delle relazioni sociali nel capitalismo, e che i lavoratori stessi avrebbero potuto produrre una crisi del capitalismo attraverso l'azione diretta a sostegno dei propri parziali interessi. L’operaismo vedeva il salario come centrale nella lotta per il controllo operaio: era un modo per restituire il plusvalore al lavoratore, per stabilire quanto uno ha lavorato e per quale paga.

L’enfasi sul salario è stata fondamentale per la formazione di Wages for Housework. Se Selma James tra altre portava la lezioni dei movimenti anticoloniali, dei diritti civili e studenteschi, Dalla Costa portava nella campagna il significato operaista di salario nel doppio senso di compensazione economica e strumento politico. Altrettanto fondamentale per il primo pensiero di Wages for Housework era il concetto di Mario Tronti di "fabbrica sociale". Sui Quaderni Rossi, Tronti sosteneva che poiché i rapporti sociali sono sussunti dal capitale, la società stessa diventa una "fabbrica" che organizza e sostiene la produzione e la circolazione. Dalla Costa e le donne di Wages for Housework hanno desunto da Tronti quello che i loro compagni maschi non avevano: se tutta la società era una fabbrica, non era anche il lavoro domestico lavoro di fabbrica? Se è così, perché non è ricompensato con un salario?

Queste idee non erano del tutto nuove. Le donne avevano discusso di salario per il lavoro domestico almeno dall’inizio del 20° secolo. Crystal Eastman nel suo discorso di apertura al primo Congresso Femminista nel 1919 domandava "una generosa sovvenzione per la maternità prevista per legge ". L'idea che il lavoro di educazione dei figli dovesse essere riconosciuto e remunerato così come qualsiasi altro lavoro, riemerse tra gli attivisti dei diritti sociali americani negli anni Sessanta, che chiedevano che fosse data dignità al welfare con il titolo di "salario". Queste iniziative rimandavano alla considerazione di Engels in L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato secondo cui, mentre la prima storica divisione del lavoro è stato quella basata sul sesso –che ha lasciato alle donne la responsabilità della gestione della casa – fu solo con l'ascesa della proprietà privata e della famiglia patriarcale monogamica che questa divisione è diventata gerarchica, svalutando il contributo sociale del donne. Engels scrisse che con il dissolversi dell’unità familiare “comunistica” il lavoro domestico ha perso il suo carattere pubblico: "E non è più la società in questione … la moderna famiglia nucleare è fondata sulla schiavitù domestica palese o nascosta della moglie". Le rivendicazioni per il pagamento di mamme e casalinghe era un tentativo di liberare le donne dalla "schiavitù domestica" di dipendenza dal salario maschile e per rendere pubblica la lotta privata delle donne.

Ma le osservazioni di Engels erano anche ingannevoli, e la tradizione marxista per tutto il 20° secolo, ha in gran parte mantenuto la moglie "esclusa da ogni partecipazione alla produzione sociale", nel senso che il lavoro domestico non aveva alcuna incidenza sulla produzione – esisteva al di fuori del mercato capitalistico. Wages for Housework ha fatto di questo assunto il suo obiettivo primario. I sostenitori (le sostenitrici N.d.T.) hanno insistito sul fatto che la distinzione binaria tra lavoro e casa, lavoro "produttivo" e lavoro "riproduttivo", non era solo una finzione, ma una finzione necessaria posta a fondamento del capitalismo. L’accumulazione di capitale dipendeva dal lavoro domestico non retribuito: dare alla luce la futura forza-lavoro, sì ma anche nutrire mariti, figli e genitori, fare le pulizie, gestire la frustrazione delle loro ambizioni e così via. Mettendo questo più chiaramente a fuoco rispetto al passato, Wages for Housework ha compreso quanto danno poteva produrre al sistema capitalista il rifiuto del lavoro non salariato. Nel 1970 nel pamphlet Potere femminile e sovversione sociale, Dalla Costa ha scritto, "le donne servono a casa non solo perché svolgono senza salario né sciopero i lavori di casa, ma perché a casa raccoglieranno sempre i membri che le crisi occupazioni di volta in volta espelleranno. La famiglia, questo alveo materno sempre accogliente nel momento del bisogno, è stato per lungo tempo la migliore garanzia che i disoccupati non si trasformassero immediatamente in milioni di outsiders ribelli".

In Rivoluzione at Point Zero, una raccolta di saggi che attraversa il suo percorso politico-militante, Silvia Federici ricorda la prima volta che lesse l'opuscolo di Dalla Costa. "Quando ho letto l’ultima pagina," Federici scrive: "sapevo di aver trovato la mia casa, la mia tribù e me stessa come donna e femminista”. Federici, nata in Italia nel 1942, si trasferì ne gli Stati Uniti nel 1967 per studiare filosofia alla SUNY Buffalo. Ha scritto di teoria e politica spesso dalla prospettiva dell'operaismo; ha contribuito ad un lavoro critico su Althusser in uno dei primi numeri di “Telos” e con lo pseudonimo di Guido Baldi ha scritto insieme a Mario Montano un testo sulla prima ondata autonoma "Theses on the Mass Worker and Social Capital". Ha mantenuto un atteggiamento ambivalente rispetto al movimento delle donne, "probabilmente – dice con ironia – ho per anni puntato tutto sulla mia capacità di passare per un uomo". Ma nel 1972, dopo l'incontro con il lavoro di Dalla Costa, Federici ha aderito al International Feminist Collective e si è impegnata a dare visibilità alle idee di Dalla Costa come leader della campagna Wages for Housework. L'anno seguente, Federici ha avviato Wages for Housework negli Stati Uniti. Nel 1975, l'anno in cui Wages for Housework ha aperto un ufficio a Brooklyn, ha pubblicato "Wages Against Housework", uno dei testi più esplicativi sulle intenzioni del movimento.

Si apre con un canto - o quello che sembra un canto, in versi, scritto per un coro invisibile:

Lo chiamano amore. Noi lo chiamiamo lavoro non pagato.

La chiamano frigidità. Noi la chiamiamo assenteismo.

Ogni volta che restiamo incinte contro la nostra volontà è un incidente di lavoro. . . .

Più sorrisi? Più soldi. Niente sarà più efficace per distruggere le virtù di un sorriso.

Nevrosi, suicidi, desessualizzazione: malattie professionali della casalinga.

È un’apertura strana, senza alcuna spiegazione, ma radica gli argomenti di Federici nel contesto di una protesta vera e propria, di un movimento effettivo. Wages for Housework non era solo un punto di discussione o un esperimento di pensiero. I gruppi avevano domande reali e le canzoni di protesta andavano in questa direzione (come ad esempio “Wage Due Song” – “Canzone del salario dovuto” – scritta da Boo Watson e Lorna Boschman nel 1975: "Cosa pensi che accadrebbe se noi donne scendessimo in sciopero? / Non ci sarebbe

la colazione al mattino, non ci sarebbe nessuna scopata la notte / Non ci sarebbe infermiere per curarvi, non ci sarebbe cameriere per servirvi, non ci sarebbero dattilografe che scrivono per voi-ooo").

Il "noi" fa eco al punto di partenza di James e Dalla Costa in Potere femminile e sovversione sociale - un saggio costruito da un lavoro originale di Dalla Costa, recentemente ripubblicato nel nuovo libro di James, Sex, Race and Class (2012) – secondo cui la casalinga proletaria

è una figura femminile centrale. Wages for Housework diceva: noi, le donne, siamo tutte casalinghe – non per farsi carico di quel lavoro, ma per denunciarlo, per discutere criticamente il ruolo riservato alle donne dal capitalismo, benché alcune riescano letteralmente a fuggirne. È anche una grande espressione dello stile di Federici: l’umorismo privo di humor di un intelletto infuriato, che sferza colpi attraverso battute: Più sorrisi? Più soldi.

Quando Federici scrisse "Wage against Housework”. Wages for Housework aveva già incontrato resistenza sia da parte dei marxisti che delle femministe. Per gli uomini marxisti, una fazione femminista minava l'unità della lotta, una storia abbastanza familiare a quella delle difficoltà del femminismo americano rispetto alla New Left (Dalla Costa ricorda uno

episodio del 1972 in Italia quando alcune donne avevano organizzato un seminario sul lavoro femminile aperto solo alle donne: "La reazione di un gruppi di uomini genericamente auto-identificati come compagni fu quella di impedire che il seminario si svolgesse, con il lancio nella stanza di preservativi pieni di acqua che ruppero le finestre. … Il solo

fatto che le donne potessero incontrarsi da sole aveva provocato una reazione violenta"). Le femministe, da parte loro accusavano alternativamente Wages for Housework di portare in casa la razionalizzazione economica – "l'unico interstizio della vita capitalista in cui le persone hanno la possibilità di prendersi cura reciprocamente per amore" come ha scritto Carol Lopate in Liberation – e di rinchiudere le donne nel lavoro domestico pagandole per questo. Hanno accusato Wages for Housework per non aver sufficientemente glorificare il privato e per aver appiccicato le donne in quell'inferno per sempre.

Federici scrive “Wages agains Housework” per mettere le cose in chiaro. Le ambivalenze del femminismo su Wages for Housework tendono a male interpretare la richiesta di un salario come una richiesta di una cosa, per "quattro soldi" dicono. Il denaro aiuta di certo, ma Wages for Housework è più di una semplice rivendicazione: è anche una prospettiva politica. Con la richiesta di salario per il lavoro domestico, le donne condensano in una sola frase un insieme di domande, critiche e osservazioni da utilizzare per smantellare convinzione assunte circa il loro ruolo sociale. Il gesto di spogliare il lavoro domestico dalla sua naturalità, dal momento che pretendere salario per il lavoro domestico significa "rifiutare il lavoro come espressione della nostra natura – scrive Federici – e quindi rifiutare precisamente il ruolo femminile che il capitale ha inventato per noi". La richiesta è un salario per il lavoro domestico, non per le casalinghe, ed è rivolta allo Stato – non ai mariti o agli uomini – poiché lo Stato, "il rappresentante del capitale collettivo [è] il vero 'uomo' che trae profitto da questo lavoro". Il grande uomo, lo Stato, e il piccolo uomo, il marito, sono legati in modo colluso contro la moglie:

Quanto più l'uomo si mette al servizio ed è comandato, tanto più comanda. La casa di un uomo è il suo castello e la moglie deve imparare ad aspettare in silenzio quando lui è lunatico, tirarlo su quando va giù e impreca contro il mondo, rigirarsi nel letto quando dice "Sono troppo stanco stanotte" o quando va così veloce a fare l'amore che, per come l’ha messa una donna, tanto valeva farlo con un barattolo di maionese.

"Why Sexuality Is Work" pubblicato anche nel 1975, ha lo stesso registro discorsivo. Il sesso – scrive Federici – ci viene venduto come l’”altro” del lavoro, è concepito per rende più sopportabile la disciplina della settimana lavorativa. Ma non è così, in realtà: "Siamo sempre consapevoli della falsità di questa spontaneità. Non importa quante urla, sospiri, ed esercizi erotici facciamo a letto, sappiamo che si tratta di una parentesi e domani entrambi saremo di nuovo nei nostri abiti civili (prenderemo un caffè insieme mentre ci prepariamo per il lavoro)". Il risultato è che" siamo anime senza corpo per le nostre amiche femmine e carne senz'anima per i nostri amanti maschi". La liberazione sessuale non offre molto aiuto, e la situazione si riferisce a donne sposate e non sposate: “Certo, è importante il fatto che non ci lapidate se siamo 'infedeli', o se si scopre che non siamo 'vergini' – scrive – ma la liberazione sessuale' ha intensificato il nostro lavoro". Anticipando preoccupazioni centrali nella riflessione della “terza ondata”, Federici scrive: "In passato eravamo semplicemente tenute a crescere i figli. Adesso che ci si aspetta da noi un lavoro salariato, puliamo ancora la casa e facciamo figli e, al termine di una doppia giornata di lavoro, dobbiamo essere pronte a saltare sul letto e essere sessualmente attraenti".

La strategia comune di questi primi saggi – che si estende per tutto il lavoro di Federici – è quella rilevante: riconsiderando tutte le attività sociali che le donne svolgono come "lavoro", Federici le intende come attività economiche spingendosi in questo fino al punto logico estremo. In realtà non si tratta di mettere un prezzo alla superficialità del sesso coniugale o massimizzare categorie di valore fino al punto di non renderle più utili. Si tratta piuttosto di mettere a fuoco che esistono supposte attività non-capitalistiche che sostengano il sistema economico che struttura e controlla così tanto la nostra vita. È un trucco concettuale per innescare coscienza politica e femminista – e nel 1970, quando gran parte di quello che aveva bisogno di essere rivoluzionato stava in bella vista nella forma delle più intime relazioni, questo innesco sembrava sufficiente.

Nonostante si affidasse a questo innesco per avviare un movimento, Federici sembra riconoscere presto che le sue idee potrebbero soffrire di ambiguità concettuale. Spostando il titolo da salario per a salario contro il lavoro domestico, ribadisce che l'obiettivo non è una riforma ma la rivoluzione: "Chiedere salario per il lavoro domestico non vuol dire che

se saremo pagate continueremo a fare questo lavoro. Significa esattamente il contrario. Dire che vogliamo salario per il lavoro domestico è il primo passo verso il suo rifiuto. "Counterplanning from the Kitchen", scritto con Nicole Cox nel 1975, Federici ribadisce: "Noi non diciamo che ottenere un salario è la rivoluzione. Diciamo che si tratta di una strategia rivoluzionaria perché mina il ruolo che ci viene assegnato nella divisione capitalistica del lavoro e di conseguenza, cambia i rapporti di forza all'interno della classe operaia, in termini più favorevoli a noi e all'unità della classe".

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Molte delle ultime foto, video e performance di Martha Rosler – fra la fine degli anni ‘60 e la fine degli anni ‘70 – furono, come Wages for Houswork, pensate per stimolare la riflessione critica. E come Wages for Houswork, hanno incontrato una sorta di difficoltà interpretativa per cui i messaggi indiretti dell’artista, che dovevano invitare alla riflessione, non venivano recepiti dai fruitori in modo sufficientemente critico. Questo è sempre stato un nodo problematico per Rosler, e per chi fruiva i suoi lavori, tanto da richiedere costanti chiarimenti dall'artista.

Rosler stessa ci garantisce che sin dall'inizio non fece mai mancare spiegazioni. Dal 1973 ogni istallazione di Garage Sale è sempre stata accompagnata da un audio che riportava le riflessioni dell’artista sulle vendite in garage alternando al punto di vista della casalinga californiana quello della studiosa di Marx: "qual è il valore di un oggetto? Cosa mi spinge a desiderarlo? Cosa ti spinge a desiderarlo? Domanda: come gli oggetti diventano merce? Risposta: lo diventano quando sono parte di un sistema in cui gli oggetti sono fatti per lo scambio e non per l’uso, un sistema in cui le persone vendono il loro lavoro ad altre." Nel video Semiotics of the Kitchen (1795) prova a tenere a bada questo suo impulso chiarificatore. Si tratta di un breve video in bianco e nero che ritrae Rosler in una posa aggressiva, seppur inespressiva, e nella quale spiega come se fosse una hostess in uno show di cucina, i differenti usi degli oggetti in ordine alfabetico. "Sbattitore"…e ancora "Grattugia". Fa risuonare piatti metallici sul tavolo, brandisce oggetti come a voler prendere a pugni l'aria: nessun cambiamento d'espressione, nessun altra voce oltre l’analisi.

La necessità di fare chiarezza torna in Vital Statistics of a Citizen, Simply Obtained (1977) in cui Rosler si spoglia davanti una telecamera per essere studiata, in modo scomodo e invasivo, da un gruppo di giovani scienziati. Tre medici in camice fischiano forte, suonano una campana oppure fanno risuonare il suono flebile di un kazoo, per indicare se gli esiti dell'esperimento rientrano o meno nei parametri standard. ("La profondità della vagina, rilassata, è circa sei pollici…è in linea con i parametri!" dice il medico, e una campana tintinna come se avesse vinto un premio). È una critica abbastanza chiara ai tentativi di misurare e valutare il corpo delle donne, ma nel caso il corpo nudo dell'artista dirotti altrove l'attenzione degli spettatori, la voce di Rosler, che sovrasta il video, indica cosa in realtà guardare: "Questo è un lavoro sulla percezione … Questo è un lavoro su come bisognerebbe fare. Questo è un lavoro per imparare a pensare … Questo è un lavoro sulla coercizione". È un lavoro brechtiano, ma al modo di Godard, che invita alla possibilità di godere di un piacere acritico ma per distruggerlo. Tuttavia qui, come in Garage Sales, c'è il rischio che il desiderio – di comprare gli oggetti, di guardare il corpo nudo dell'artista, indisturbati, senza ricevere alcuno sguardo di risposta – abbia il sopravvento sulla carica distruttiva. Si può consumare il godimento e poi sputarlo come una medicina amara.

Con Martha Rosler Reads Vogue (1982), l'impulso alla narrazione dell'opera, si muove – come voce di sottofondo e sottotitolo scorrevole – dalla posizione marginale al centro, nel punto in cui diventa sostanza dell'opera. In un video per il collettivo televisivo Paper Tiger Television, Rosler sfoglia le pagine di Vogue, traccia chiaramente con l'indice i contorni della posa innaturale della modella. La camera riprende tutto da dietro le spalle dell'artista mentre recita un laconico monologo :"Cos’è Vogue? È una rivista per donne, per le donne che desiderano, che vogliono, che sperano…e identificano sé stesse con l'ascesa sociale … Questo è il look, la posa, la pelle della lussuria. È il nuovo volto sotto il vecchio volto, è la posa, la pelle stessa del narcisismo". Il monologo richiama la registrazione in loop che fa da tappeto sonoro a Garage Sales e il commento di Vital Statitics, ma dopo diciotto minuti c'è un brusco cambio: con sottofondo la batteria reggae di "Die Young Stay Pretty" di Blondie, la camera cambia l'inquadratura e riprende per quattro minuti una scena di donne che lavorano a macchina – tingono, vaporizzano e stirano – un tessuto color indaco in una fabbrica di abbigliamento. L'intento è piacevolmente didattico: quasi come se Rosler non sfidi più il pubblico a cogliere segnali ambigui o a sopportare le sue soporifere riflessioni da Scuola di Francoforte. Eppure è stridente quanto basta da convincerci che ha ragione. Le didascalie sullo schermo diventano giornalistiche: OLTRE IL 40% DEI VESTITI VIENE PRODOTTO NEL TERZO MONDO. MOLTI DI QUELLI CHE RESTANO VENGONO PRODOTTI IN ENCLAVE DI PAESI DEL TERZO MONDO A NEW YORK, MIAMI, CHICAGO E LOS ANGELES. AD HAITI GLI OPERAI CHE CONFEZIONANO I VESTITI PER SEARS AND ROEBUCK GUADAGNANO 2,60 DOLLARI PER 12 ORE DI LAVORO – LE MODELLE, NELLE FOTO SU VOGUE, GUADAGNANO FRA I 150 E I 200 DOLLARI ALL'ORA."

Alla fine degli anni 80, la Dia Art Foundation di Soho ha invitato Rosler per una personale. Invece di presentare un suo lavoro, ha organizzato If you lived here … (1989), un'esibizione in tre parti sulla vita di strada a cui hanno contribuito oltre duecento artisti, attivisti e clochards autorganizzati. Ogni mostra aveva una sala di lettura e un forum di discussione, con titoli come "Abitare: gentrificazione, dislocazione e resistenza" oppure "Senza casa: condizioni, cause e cure". L'esibizione accolta male dalla critica ha avuto un grande impatto sulle pratiche estetiche in generale e su la stessa Rosler. L’intento educativo-formativo attraverso la produzione di testi rimane nel suo lavoro. Per Garage Sales al MoMa, Rosler ha pubblicato due numeri di un giornale con articoli su e-wast, feticismo delle merci, mercato del lavoro domestico, obsolescenza e museo; due momenti di discussione con un sensitivo, uno stilista, un collezionista d'arte, artisti, attivisti, antropologi e storici delle vendite in garage. Come prima si può comprare al Garage Sales, ma questa volta non ci saranno dubbi su ciò che si sta facendo.

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Sul femminismo americano negli anni ’80 si dice che dopo le grandi vittorie degli anni ‘60 e ‘70, le femministe che sono diventate maggiorenni durante il Women's Liberation Movement si sono imbattute in una serie di ostacoli. Uno era la presidenza di Reagan, che accoglieva un femminismo simbolico mentre distruggeva sistematicamente ogni tentativo d'organizzazione femminista dal basso –per esempio nominando per la prima volta una donna alla Corte Suprema – e smantellava tutte le iniziative legali e politiche ottenute con le lotte nei decenni precedenti. A quel punto è cresciuto il "post" e antifemminismo. Molte di coloro che avevano beneficiato delle lotte della prima stagione del movimento dipingevano chi le aveva precedute come eccessivamente bigotte, contrarie al sesso, intorpidite dai piaceri della vita domestica, e indebitamente pessimiste sulle promesse del carrierismo. Così è iniziato il femminismo del "vogliamo tutto". Molte delle femministe di vecchia data si ritirarono nell'arte, nella cultura o nel culto separatista di Gaia. Molte altre tornarono sul progetto di costruire un nuovo "femminismo globale". Il femminismo globale era molto ampio e, come categoria singola, ingombrante – bloccare inutile conferenze dell'ONU, preoccuparsi della clitoridectomia ,far proliferare ONG e forme di cooperazione sociale localizzate. C'era anche un ramo del femminismo globale, che nasceva dal lato socialista del movimento, che cercava di connettere la situazione negli USA con quella nel mondo in via di sviluppo e viceversa. Non c’erano differenti femminismi in luoghi diversi ma una situazione globale e ingiustizie che si propagano da una parte all’altra.

Negli anni ‘70 le donne occidentali che presero parte alle battaglie femministe erano donne che facevano lavori domestici. Sapevano direttamente come fosse questo lavoro: quanto questo fosse straniante e noioso, quali implicazioni sociali mettesse in campo, come determinasse la loro posizione in relazione agli uomini. La conoscenza di sé – parlando in una stanza con altre donne – fu fondamentalmente ciò che consentì la presa di coscienza come strumento di potenza: confermava che la personale esperienza del sessismo non dipendeva solo da se stesse. Fornì solidarietà e un orizzonte teorico, una fotografia della realtà sociale, in una scala che – come dissero – rese il personale politico. I primi lavori di Rosler e Federici – e Flo Kennedy, Ti-Grace Atkinson, Shulamith, Ellen Willis, Kate Miller, Valerie Solanas e molte altre –consentirono, subito, alle donne di vedere le loro vite in modo nuovo. Fu come cambiare le luci in una stanza: tutto l'arredo rimane lo stesso ma, osservato in un contesto di luci diverso, nulla sembrò come prima.

Nei decenni successivi, le figlie delle donne prevalentemente bianche del ceto medio che erano state in prima linea nel Women's Liberation Movement non erano mai state schiave del lavoro domestico. Loro stesse ammettono di pagare qualcun altro per questo – e le persone che assumono sono in maggioranza donne provenienti dal Sud del mondo, attratte dalla crescente domanda di lavoro in Occidente e spinte fuori dalla struttura politiche dei loro stessi paesi di provenienza. Questo accade in una scala così larga che ha fatto emergere una divisione internazionale del lavoro: le domestiche, bambinaie e infermiere che lavorano negli USA, in Canada, in Europa e nell'Arabia Saudita provengono dall'Asia meridionale, dal Nord e dall'Est dell'Africa, dall'Indonesia, dalle Filippine, dall'America centrale e dai paesi dell'ex Unione Sovietica. Questo è ed è sempre stato chiaro a chi le assume. Quello che non è chiaro è perché e con quali aspettative queste donne lasciano il paese d'origine.

Alla fine degli anni ‘80, Federici ebbe chiaro che non ci sarebbe stata alcuna improvvisa epifania rivoluzionaria. In "Putting Femminism Back on Its Feet" (1984) ha scritto: "Una delle principali debolezze del movimento delle donne fu la tendenza ad enfatizzare il ruolo della presa di coscienza nel contesto del cambiamento sociale, come se la schiavitù fosse una condizione mentale e la liberazione un atto di volontà". Il Sud del mondo, cui Federici ha poi rivolto le sue attenzioni, è senza dubbio il posto in cui ciò è più evidente. Sin dagli anni 80, le politiche economiche che hanno liberalizzato il mercato globale hanno saputo creare strutture di oppressione decisamente impossibili da sradicare con la forza di volontà. Schiavitù per Federici vuol dire dipendenza dal debito, dal bisogno e dalla precarietà, cioè un condizione immediatamente materiale. La condizione della casalinga è adesso più chiara, come esito anche del farsi più netta della divisione internazionale del lavoro, con le donne del cosiddetto Terzo mondo costrette a riparare i danni causati dal Primo. Le questioni sollevate da Wages for Housework diventano dunque più cruciali e Federici ebbe in questo un ruolo importante. Impose all'esercizio teorico le nuove necessità della pratica politica, abbandonando così la postura riflessiva e concettuale che aveva caratterizzato i saggi scritti fino a quel momento. Rimasero però le note a piè di pagina a fare da corollario riflessivo ai suoi argomenti.

Questo cambiamento di stile e di focus corrisponde ad un vuoto in Revolution at Point Zero, tra il 1984 e il 1999. Per due anni, in quegli anni, Federici insegnò in Nigeria. Sono anni descritti come un "punto di svolta" per quel paese. Ci furono forti pressioni internazionali che costrinsero la Nigeria a chiedere aiuti economici che avrebbero poi destabilizzato e impoverito la maggior parte della popolazione. Il farsi testimone di questo processo ha molto influenzato gli ultimi lavori di Federici e l'urgenza della denuncia ha rinforzato la sua prosa e la sua capacità di analisi. Quando nel 1999 descrive gli effetti degli aggiustamenti strutturali –raccontando come le nuove politiche economiche risolvessero la crisi del lavoro domestico in Europa, negli USA e in Canada “incentivando la migrazione”, strappando donne dall'Asia, dall'Africa, dall'America Latina e dai paesi dell'ex Unione Sovietica per fare i lavori domestici che le donne occidentali si rifiutavano di fare – i fatti parlavano da soli. In un saggio su come gli interventi umanitari e gli aiuti alimentari non creassero altro che governi instabili e dipendenza alimentare, preparando il terreno alle industrie multinazionali, decide di adottare uno stile più giornalistico e volto alla ricerca perché invettiva e riflessione critica si rivelano insufficienti. Federici chiama le femministe all'azione esortandole a dare il loro supporto alla campagna per la cancellazione del debito del Terzo mondo; a chiedere la fine degli aggiustamenti strutturali; ad organizzarsi per combattere la nuova divisione internazionale del lavoro in quanto veicolo della ri-colonizzazione. Non era nuovo per lei dire alle lettrici cosa fare, era nuovo che parlasse di quello che c'era da sapere.

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Federici e Rosler rappresentano casi di studio di grande valore nella militanza femminista dei decenni passati. La loro scrittura e prassi artistica rispecchia il modo in cui le strategia di lotta politica sono cambiate nel corso del tempo: dalla presa di coscienza alla divulgazione oltre ogni barriera, cosa che per entrambe avvenne mentre cercavano la pratica migliore per i loro progetti politici.

Ma perché sono famose solo adesso se i loro lavori migliori sono in circolazione da decenni? Una delle risposte plausibili è che si sono sempre tenute a debita distanza dall'istituzionalizzazione e che c’è voluto del tempo perché potessero vedere i loro lavori circolare. Un'altra risposta è il ruolo giocato da Occupy, che supportato dalle stesse Rosler e Federici, ha riavvicinato molte persone all'autonomia, all'operaismo e allo stesso Wage for Housework.

C'è ancora qualcos'altro che ci può aiutare a comprendere come mai i primi lavori di Federici e Rosler siano oggi sentiti di urgente attualità. In occidente, i giovani che hanno trascorso il loro periodo formativo lavorando come freelance, lavoratori part-time, stagisti e tirocinanti senza salario hanno iniziato a rendersi conto (in netto ritardo rispetto al resto del mondo) che non vengono pagati abbastanza per il lavoro che fanno. Non solo “non sono pagati abbastanza”, non sono pagati affatto e questo da quando il rapido incremento dei servizi, delle comunicazioni e del settore privato della cura alla persona ha in modo crescente richiesto il ricorso a quel tipo di lavoro che le persone ci si aspetti facciano per amore. È in questo senso che la vecchia critica allo sfruttamento delle madri, delle mogli e delle nonne torna a farsi sentire con rinnovato vigore fra una popolazione estremamente più giovane e più ampia fatta di donne e uomini, con e senza figli.

È un passo avanti, benché non tutti gli elementi siano incoraggianti. Il ritardo impiegato dalla cultura mainstream per riconoscere il valore del lavoro non retribuito sembra confermare che la questione femminile diventa rilevante solo quando viene percepita come questione “generale” che interessa anche il genere maschile. ("Il patriarcato colpisce anche i ragazzi", ci viene detto. È così, ma lo è in modo da meritare la nostra attenzione?). È anche un sintomo della politica americana in generale quello di non occuparsi della violenza se non ci riguarda personalmente: una teoria dell'oppressione del tutto complementare alla teoria dell'arricchimento. Per anni il femminismo occidentale mainstream è rimasto bloccato nell'angusta camera della propria politica. Gli stessi dibattiti sono sempre riproposti con piccole variazioni – rispetto al rapporto vita-lavoro, aborto, standard dell’eterosessualità, uguaglianza delle retribuzioni – e il movimento ha sempre come protagoniste donne bianche, etero e ricche, che combattono ancora contro i limiti della loro stessa esperienza; aspettando ancora l'onda che possa portarle al punto di rottura. Nonostante l'impegno, le esperienze delle donne sulle questioni che le riguardano offre ben poche indicazioni su quali debbano essere i punti focali del movimento. Il C-suite femminista più ricco e di successi potrebbe ancora trovare l'oppressione femminile sotto il proprio naso nelle case, ma l'oppressione sarebbe quella delle loro governanti e non la loro. Nel frattempo, il più grande e sistematico crimine contro le donne che affligge le nostre vite quotidiane – e non necessariamente quelle più difficili e complicate – rimane celato.

Cosa accadrebbe se finalmente le donne e in particolare le madri venissero retribuite e regolarmente immesse nel mercato del lavoro per i loro servizi? Innanzitutto verrebbe stabilito, per questo tipo di lavoro, un valore vicino allo zero in modo che a infermiere, domestiche e bambinaie che sgobbano nell'economia del lavoro salariato non venga corrisposta una paga adeguata. Rosler e Federici provengono da una generazione di militanti largamente diffidente nei confronti della razionalità economica, ma perché ciò possa avere una più ampia risonanza le donne devono condurre molto di più di una battaglia per ridurre l’influenza di tale razionalità. Si tratta di mettere un prezzo al lavoro delle donne, dicono che renderebbe immediatamente visibile il costo enorme di questo lavoro. Forse gli uomini, sempre più il sesso senza lavoro, potrebbero anche fare il “lavoro delle donne” ad una paga minore come sin dalla Rivoluzione Industriale le donne hanno fatto con il lavoro degli uomini. E forse le donne, come gli studi fatti dimostrano, potrebbero usare la loro ricchezza per migliorare la qualità della vita dell'intero vicinato e di tutta la società.

Gli economisti hanno riconosciuto già da molto tempo che nel momento del bisogno le donne fanno molto lavoro gratuito. Ciò non toglie che questa evidenza sia sempre stata usata contro le donne quasi fosse la base razionale su cui si sono innestate le manovre neoliberiste di taglio della spesa. Per quale motivo finanziare l’erogazione di servizi statali quando ci sono le donne che lo fanno gratis? Negli anni ‘80 e ‘90 i pianificatori politici lo chiamavano "attraversamento del deserto", una definizione onnicomprensiva per fenomeni come l'inedia materna (in cui non si nutre né sé stesse né i bambini) conseguente al fatto che le donne hanno soricamente portato scorte d'acqua da posti lontani, e più in generale hanno preso in mano la situazione quando servizi statali e istituzioni sono collassati. C'è un altro aspetto di questa tendenza femminile al sacrificio che, tuttavia, non necessariamente compromette la salute e il benessere delle donne. Durante la Prima guerra mondiale, il governo britannico scoprì che le retribuzioni provenienti direttamente dalla donne, contrariamente a quelle degli uomini, miglioravano complessivamente la qualità della vita dell'interno nucleo familiare. Recenti esperimenti di micro-finanza rilevano lo stesso dato. Se l'obiettivo della linea politica neoliberista era quello di infliggere il minor danno possibile alla stabilità del bilancio, si dovrebbe riflettere che tale modus operandi, che legittima i grandi programmi di austerity, giustificherebbe anche l'eventualità di una retribuzione universale per le donne. In altre parole: salario per il lavoro domestico.

 

* Pubblicato su “The Evil Issue”, n. 17, luglio 2013. Traduzione di Benedetta Pinzari.