Stampa

Sud America anno zero

on .

Articolo di Bruno Cava e Jeudiel Martínez sulle sfide politiche dopo l’esaurimento della parabola dei governi di sinistra

Non c’è nulla di peggio del rimanere intrappolati nei sogni degli altri. L’avvertimento di William Burroughs venne lanciato nel contesto di una transizione verso una società integralmente mediatizzata dove i sogni non mancavano: il problema consisteva nel riuscire a sognare i nostri propri sogni. Durante il ventesimo secolo gli interpreti della formazione nazionale nel Sud sognarono il programma di modernizzazione che avrebbe reso dei Paesi sottosviluppati con le loro masse di miserabili dei paesi forti di classe media.

In questo impero dei sogni della civiltà e dello sviluppo la legione dei poveri è sempre apparsa come una variabile in più, una materia prima per delle politiche organizzate a partire dai centri di potere, dalle alleanze delle élites e dai leaders populisti. I sogni di prosperità ed emancipazione di questa legione erano racchiusi dentro i sogni di grandezza dei dirigenti, secondo un’appropriazione ambigua che loda il popolo nello stesso tempo in cui lo pone sotto la propria tutela. La povertà avrebbe dovuto essere sradicata ed i favelados[1] avrebbero dovuto essere convertiti in seguito in proletari, gli umili Paesi periferici trasformati in nuove potenze.

Ciò mutò all’inizio del nuovo secolo, con il ciclo dei governi progressisti dell’America del Sud. Per la prima volta una rete di governi della regione pose i poveri al centro di politiche all’insegna della partecipazione. In questo periodo la massificazione del credito, del consumo e la distribuzione del reddito condussero alla formazione di un nuovo tipo di proletariato, al quale l’arte di governare conferiva un margine di libertà sino ad allora sconosciuto. All’interno di tale settore cominciarono ad entrare in funzione le strategie di potere basate sull’inclusione e sull’empowerment[2]. I poveri del Sud non avrebbero più abitato il paesaggio politico alla stregua di una massa inorganica e passiva di figuranti, bensì in quanto partecipi di un mondo in effervescenza dove avrebbero potuto divenire coadiuvanti e addirittura protagonisti di segmenti specifici della rappresentanza politica, grazie a tecnologie di potere partecipative che stabiliscono nuove geometrie modulari del rapporto tra attività e passività dei poveri del Sud, grazie alle quali il capitalismo si espande e si approfondisce, incorporando le qualità affettive, cognitive ed intellettuali nella forza-lavoro immateriale. Dal produttivo capitalismo aymara[3]allo sterile neoclientelismo venezuelano, la fase progressista porta a compimento il processo di integrazione dal basso, mentre nei decenni precedenti il neoliberalismo veniva gradualmente insediato in quanto programma di modernizzazione dall’alto. Il ciclo progressista degli anni 2000 ha avuto successo nel realizzare l’assetto biopolitico di un neoliberalismo che, nel diffondersi capillarmente attraverso la camera oscura della produzione, trovava soltanto ostacoli ed impedimenti.

Finanziarizzati[4] attraverso la carta di credito ed elevati alla condizione di consumatori, i poveri costituiscono la carne della soggettività neoliberalista a partire dalla quale sono incitati a parlare, a prendere iniziativa, ad apparire, a farsi vedere. Esempi significativi di ciò sono stati il chavismo e il lulismo i quali, come nei giochi di piattaforma o industrie cosmetiche, includono i poveri per convertirli in una comunità produttiva attraverso una seria de interfacce, ricorsività e tracciabilità. A questa altezza non sono più semplici produttori o consumatori di merci, ma di culture, stili e mondi, formando così un ambivalente consumitariato.

Si distribuisce il reddito e si includono i poveri nello stesso tempo in cui evolvono i dispositivi di biocontrollo, al fine di modulare la vita dentro ai flussi di moneta, di indebitamento e di produzione delle immagini. I progressismi fabbricano un mondo dei poveri per i poveri e fanno del loro divenire visibili e del loro empowerment degli slogan e delle parole d’ordine: si tratta di sostituire l’esclusione, con i suoi minimi di consumo e di mobilitazione politica, con un’inclusione che è ad un tempo modulazione della libertà e produzione di nuovi livelli di consumo. Il ciclo progressista ha accelerato la metropolizzazione delle periferie, delle situazioni al margine e delle sacche di miseria, attraverso l’inclusione digitale, della telefonia cellulare e dei saperi tecnici ed universitari, nello stesso tempo in cui ha posto in atto una serie di controlli e meccanismi interni alla soggettività emergente.

Da ciò risulta che la popolazione delle periferie urbane e rurali cessa di essere una massa di lavoratori manuali per trasformarsi sempre più in una di micro-imprenditori, imprenditori familiari, autonomi, freelancers, commercianti informali e lavoratori qualificati a progetto o a tempo determinato – in una parola: per trasformarsi sempre più in un’intellettualità di massa.

I progressismi possono elaborare un nuovo tipo di “albume” politico che presenta i tratti intrecciati tanto dell’attivista e del fan della cultura pop, quanto del lavoratore flessibile del settore dei servizi. Media comunitari, micro-imprese, organizzazioni sociali, consigli comunali ed altre istanze semi-autonome saranno gli spazi in cui i poveri appariranno ora come soggetti dell’enunciato nel discorso degli amati leaders convertiti in Soggetto dell’enunciazione.

Tutto ciò ci porta ad attualizzare una teorizzazione fatta dal filosofo Michel Foucault a proposito del neoliberalismo. Come descritto nel Corso del 1978-1979[5], si tratta del movimento ambivalente dell’empowerment, il quale implica una nuova relazione tra l’attività e la passività dei poveri: da un lato gli si chiede di parlare, fare, mobilitarsi, organizzarsi, attivarsi, dall’altro si definiscono condizioni e percorsi per tale attività. Che i poveri prendano la parola per auto-rappresentarsi in una società civile in sé molteplice non impedisce che li si converta in costanti spettatori del processo di auto-rappresentazione mediatica della governance che asprira a fare di questa società civile un sub-sistema.

Se per decenni l’inclusione dei poveri nelle reti della comunicazione sociale è stata una costante in America Latina – prima con la radio e la televisione e poi con internet –, se questi hanno formato parte dei mondi virtuali della pubblicità in generale e della propaganda governativa in particolare, per la prima volta le maggioranze sociali hanno altresì avuto accesso alla visione prospettica di un futuro. Ciò si è dato all’interno della monetarizzazione del tessuto sociale, giacché moneta ed immagine vanno insieme nel metabolismo della neoliberalizzazione del sociale. Il flusso della moneta, del credito e di beni materiali o immateriali consente un certo grado di attualizzazione di questi mondi virtuali mediante la partecipazione al mercato – ivi incluso quello della rappresentazione – così come l’incontro con oggetti del desiderio che per molto tempo sono stati riservati all’esile strato delle classi medie dell’America del Sud.

In questo modo la socializzazione della moneta provoca il rigonfiamento di un’economia desiderante che poggia sull’economia politica. Quando il futuro è capitalizzato dalla finanziarizzazione integrale della vita comune, la strategia del conatus si ritrova ad essere inglobata nella divisione e nell’effetto moltiplicatore del denaro. Ma, a differenza di coloro che hanno una visione escatologica di tale processo, l’antagonismo sussiste e viene elaborato non in forza di un quantum di indebitamento o della relazione quantitativa tra salario e valore, ma a causa di un differenziale tra futuro espropriato e tendenza all’autonomia – in relazione ai circuiti finanziari dell’espropriazione del comune della vita.

D’altro canto nella grammatica neoliberale la parola “antagonismo” è strategicamente sostituita da “protagonismo”, mentre l’emergere della classe è incasellato nel quadro degli interessi propri di segmenti identitari della nuova società mobilitata.

Venne poi la crisi del 2008-10, che scatenò nel mondo intero – compresa l’America del Sud – una crisi di realizzazione del valore, quando la smisuratezza della finanziarizzazione totale fece precipitare il sistema in un vortice di scompensi. Se fino ad allora si era sognato il sogno dell’imprenditore, della società-impresa e dell’homo oeconomicus di cui parlava Foucault, ora era tempo di riattivare il ricordo del vecchio sogno del progresso e delle sue speranze millenariste, come per esempio in Venezuela, dove i luoghi comuni del progressismo e dello sviluppismo mettono capo al pastiche di una mitologia messianica del comandante quale redentore dei poveri e salvatore della nazione.

Fino all’inizio del decennio attuale la strategia di inserimento dei governi progressisti nella globalizzazione si dava secondo i criteri interrelati delle bilance commerciali nella logica dell’interdipendenza e delle opportunità di sviluppo associate all’aumento della domanda cinese e dei prezzi delle commodities. Con l’esplodere della crisi i governi progressiti giunsero alla conclusione che era giunta l’ora di trarre il bene dal male, ponendosi in controtendenza rispetto alla recessione nel Nord.

In questo frangente si tornò a sognare il sogno dei salti modernizzatori e dei loro piani di accelerazione della crescita. Se nell’immaginario di un potere irrequieto di fronte alla congiuntura il sogno dei poveri sarebbe dovuto rimanere confinato all’interno della megalomania neo-sviluppista, quest’ultima non fu altro che un tentativo di sognare un sogno (il nazional-sviluppismo) all’interno di un altro (il neoliberalismo) – come nel film Inception di Christopher Nolan.

Ma la vertigine delle distruzioni creative della crisi mondiale fece riprendere l’ebollizione dell’antagonismo, il quale fece irruzione decisiva inizialmente con la Primavera Araba nel dicembre del 2010. Nel Sud il nuovo ciclo globale di lotte si amalgamò con l’apparizione della nuova classe senza nome che, a differenza del proletariato organico dei sogni fordisti, nacque già dispersa nelle reti e disseminata lungo tutto il continuum sociale[6]. La misteriosa curva della soggettività neoliberale[7], quando i poveri tecnicizzati si appropriano dei mezzi di espressione, non si risolve nel protagonismo e in un qualche luogo di enunciazione, mentre ripropone l’enigma della resistenza con sollevazioni di tipo nuovo in Brasile nel 2013, ma anche in Cile (2014), Equador (2015) e Venezuela (2017). In tali occasioni i governi progressisti si sono rivelati dei controrivoluzionari, venendo a far parte di quel Partito dell’Ordine che ha promosso una restaurazione violenta[8].

‘Perché si rivoltano?’ domandano gli ideologi progressisti, quando invece la domanda da porre sarebbe: ‘perché non si rivoltano tutto il tempo?’. Le sollevazioni affermano la visione chiara del fatto che il cielo del progresso era in realtà l’inferno dei poveri, in seguito divenuto l’incubo generale della regione. Il ritorno della destra non è stato la causa della fine del sogno, ma la conseguenza di un mutamento di percezione: si trattava in verità di un brutto sogno. Il risultato è che tutti abbiamo fatto ritorno al sogno contenuto della governamentalità neoliberale. La marea rosata rifluisce e giunge alla fine, sia con la vittoria elettorale dell’opposizione (Argentina), sia con insiders dello stesso governo nella successione al comando (Brasile e Ecuador), o – nel mezzo della crisi destituente – con una militarizzazione spettacolarizzata e con la viseificazione plasmata sulla figura del comandante, alla maniera dello slogan ‘ama la patria o lasciala’[9] (Venezuela)[10], o ancora con una riorganizzazione interna al fine di danzare al ritmo della globalizzazione interdipendente (Bolivia)[11].

Il ripiegamento della marea rosata non ha significato l’ascesa delle opposizioni politiche. I relativi successi dei fronti anti-progressisti in Brasile, Venezuela, Bolivia ed Ecuador non hanno sortito conseguenze durevoli, non essendo questi capaci di recuperare il consenso perduto. Allo stesso tempo non vi è una relazione meccanica tra insoddisfazione e rivolta, giacché se fino al 2013 i governi sud-americani organizzavano il sogno dello sviluppo, quando poi abbiamo aperto gli occhi e questo sogno si è rivelato un incubo, gli epigoni di quei governi hanno cominciato a dirigere la nuova organizzazione generale della miseria e a vivere di una politica dall’orizzonte ristretto e caratterizzata da un’utopia negativa (kathecon).

Nel mentre le élites politiche di tutte le sfumature si divorano tra loro, forme più antiche di biopotere assumono la gestione diretta della povertà, come il neoclientelismo disegnato da Chavez e Maduro o l’imbarbarimento della lotta per il territorio tra fazioni rivali del commercio locale dei generi più svariati, sempre su quei limiti flessibili nei quali agiscono gruppi armati, narcotraffico ed economia poliziesca delle illegalità. Si tratta di una tanatopolitica o di una necropolitica, il converso dell’assetto biopolitico, che trascina la società in un divenire-mafioso del quale il caso più evidente è lo Stato venezuelano.

Quanto alle alternative, esse sono tanto più forti dove erano più deboli i governi progressisti nel ciclo che finisce. È il caso del Cile e del Perù, dove alle ultime elezioni un Frente Amplio, in parte risultante rispettivamente dalle proteste studentesche di massa e dalle lotte anti-estrattiviste di Cajamarca, ha spezzato il bi-partitismo ostinato[12]. In Brasile e in Argentina, le leaderships di Lula e di Cristina Kirchner hanno ancora la forza di sabotare la riorganizzazione di fronti politici, perfino su scala municipale. Le iniziative nascenti trovano ancora difficoltà nell’acquisire una velocità di fuga per uscire dal brutto sogno nel quale sembriamo catturati, come in un limbo dell’immaginazione. Le proposte della nuova sinistra che sta sorgendo assomigliano di più ad annunci di nuove marche di sapone, poiché le nuove sinistre, così come le destre, rimangono le stesse.

Alla fine del ciclo il culto del leader è sopravvissuto come moneta circolante residuale tra le sinistre e più in generale tra i progressismi, nell’arena dei protagonismi e delle culture wars, laddove la retorica è tanto più radicale quanto più impotente è l’azione concreta e la capacità di contagio. La cartografia e la conricerca delle resistenze dà luogo a manuali discorsivi del politicamente corretto. L’azione politica si confonde con grida identitarie in un’atmosfera di panico morale e di sottomissione ad un sistema di giudizio sull’Altro – un tribunale che decide della moralità dell’azione politica ed insieme un meccanismo volto a distinguere le identità buone da quelle cattive. Le categorie di analisi cadono sotto il peso della normatività dei giudizi. L’effetto concreto è l’insediamento della governamentalità neoliberale come ragione unica – e questo non in forza di un qualche totalitarismo onnicomprensivo dello spettacolo, ma di un’assenza di opposizione efficace[13].

Cinque anni fa si parlava di “lulismo selvaggio” per descrivere l’eccedenza biopolitica messasi in movimento nel Giugno del 2013 in contrapposizione al “lulismo di Stato”[14], ma il dato concreto che permane è quello di una terza figura, un lulismo surrogato (Ersatz). Quest’ultimo si circonscrive ad un amore preconfezionato per la Pasqua, ad un’esaltazione sentimentale del ritorno del leader che porrà fine all’interregno della privazione e della sofferenza. Pertanto non basta più soltanto obbedire alle sue presunte ricette per il recupero dell’egemonia, è necessario amarlo, servirlo come un soldato, dotandosi di quella buona coscienza dell’ingranaggio felice problematizzata nei libri di Leonardo Padura.

Questa tecnologia di potere, basata sul culto della personalità, sulla viseificazione messianica dei leader e sulla saturazione del campo sociale con la loro immagine ed i loro simulacri, ha toccato il suo massimo grado in Venezuela, un Paese dove la debolezza delle istituzioni e dei dispositivi democratici insieme alla posizione di grande proprietario dell’industria petrolifera dello Stato ha fatto sì che le tendenze staliniste della sinistra neo-sviluppista giungessero a degli estremi che non sarebbero stati possibili in altre parti del continente.

Se la logica neoliberale del protagonismo ha trovato un punto di sostegno confortevole in congiunture super-ideologizzate, il lavoro degli antagonismi sembra muoversi per sotterranei non-congiunturali. La loro organizzazione si è ancor più ramificata attraverso livelli intermedi e gradi distinti di tensione, nel mezzo di strati storici sovrapposti: nelle reti, nei territori, nelle metropoli violente. La diagnosi della sconfitta non può significare la sconfitta delle diagnosi. Invece di interrogarsi, non sarebbe preferibile agire su una realtà che non si dà a chi la contempli, ma a chi è capace di immergersi in essa? Tuttavia anche il vedere è un agire. Come diceva F. Novalis, quando sogniamo di sognare, è perché siamo prossimi al risveglio.

 

* Traduzione di Graziano Mazzocchini.



[1] Letteralmente: abitanti delle favelas [N.d.T.]

[2] Ho tradotto qui il termine empoderamento con il suo corrispettivo nella lingua inglese, maggiormente noto, in quanto una qualsiasi scelta in italiano (“auto-rafforzamento”, “crescita della consapevolezza di sé”) ne avrebbe inevitabilmente tradito il senso polisemico. Con tale termine si vuole significare qui un insieme di tecniche volte al rafforzamento della consapevolezza di sé e ad un tempo della propria capacità di agire di soggetti tradizionalmente esclusi ed ora inclusi secondo i moduli specifici del biopotere progressista. [N.d.T.]

[3] Termine che designa la nuova classe capitalista boliviana [N.d.T.]

[4] Traduco in questa maniera il termine (comune al portoghese e allo spagnolo) bancarizados, con il quale s’intende la sussunzione dei soggetti delle operazioni economiche quotidiane sotto la forma prevalente delle operazioni eseguite mediante servizi bancari [N.d.T.]

[5] M.Foucault, La Naissance de la biopolitique. Cours au Collège de France (1978-1979), Gallimard, Parigi 2004.

[6] H.Albuquerque, A ascensão selvagem da classe sem nome [L’ascesa selvaggia della classe senza nome], <<O Descurvo>>, settembre 2012, consultabile all’indirizzo: http://descurvo.blogspot.com.br/2012/09/a-ascensao-selvagem-da-classe-sem-nome.html

[7] B.Cava, La misteriosa curva della retta lulista, «Commonware», 3 dicembre 2014, consultabile all’indirizzo: http://commonware.org/index.php/cloe/521-curva-retta-lulista

[8] B.Cava, Il progressismo preso in contropiede, «InfoAut», 29 settembre 2016, consultabile all’indirizzo: https://www.infoaut.org/approfondimenti/il-progressismo-preso-in-contropiede

[9] Letteralmente ame-o ou deixe-o (“ama [il Brasile] o lascialo”) in portoghese, si tratta di uno slogan originariamente utilizzato dalla dittatura militare brasiliana (1964-1985) [N.d.T.]

[10] J.Martinez, La sociedad de la ilusión. Para un diagrama del Chavismo (II)[La società dell’illusione. Per un diagramma del Chavismo (II)], «UniNômade Brasil», 6 dicembre 2017, consultabile all’indirizzo:http://uninomade.net/tenda/la-sociedad-de-la-ilusion-para-un-diagrama-del-chavismo-ii/ ; Idem, Chavista (I): la biopolítica de la deuda y el consumo. [Chavista (I): la biopolitica del debito ed il consumo], «UniNômade Brasil», 1 ottobre 2017, consultabile all’indirizzo: http://uninomade.net/tenda/para-un-diagrama-de-la-megamaquina-chavista-i-la-biopolitica-de-la-deuda-y-el-consumo/

[11] D.Machado, La nueva disputa por el poder en Ecuador [La nuova lotta per il potere in Ecuador], 19 agosto 2017, consultabile all’indirizzo: http://www.sinpermiso.info/textos/la-nueva-disputa-por-el-poder-en-ecuador

[12] S.Schavelzon, O novo quer nascer e o velho não quer morrer [Il nuovo vuole nascere e il vecchio non vuole morire], «Cidadanista», 6 dicembre 2017, consultabile all’indirizzo: http://cidadanista.com.br/o-novo-quer-nascer-e-o-velho-nao-quer-morrer/

[13] Walkover nel testo originale: si tratta pertanto di una “facile vittoria” della governamentalità neoliberale dovuta ad un’ “assenza di opposizione”. [N.d.T.]

[14] G. Cocco-B. Cava, Vogliamo tutto! Le giornate di giugno in Brasile: la costituzione selvaggia della moltitudine del lavoro metropolitano, 21 ottobre 2013, consultabile all’indirizzo: http://www.euronomade.info/?p=173