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Per un rilancio del processo di liberazione

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di VALERIO GUIZZARDI

L’annunciato invio di un messaggio alle camere di Napolitano in tema di amnistia e indulto, prerogativa costituzionale del Presidente della Repubblica, ha agitato i soliti: fascisti, leghisti, pentastellati, manettari, mozzaorecchi, giustizialisti assortiti. Si uniscono alla triste brigata gli immancabili probi cittadini terrorizzati dal clima securitario organizzato dai professionisti della paura in cerca di facili consensi sul mercato elettorale. Allo stato non sappiamo che fine farà quel messaggio né se ci sarà un Parlamento disposto ad ascoltarlo e agire di conseguenza.

Anche altri si agitano, e forse sono quelli più pericolosi poiché spesso si definiscono di “sinistra”: chi ha fatto dell’antiberlusconismo una bandiera dietro la quale nascondere il proprio fallimento politico, il vuoto pneumatico d’idee, la strenua difesa d’interessi corporativi, l’istanza scellerata di “giustizia” utile solo a provocare negli anni l’ipertrofia di strumenti penali e l’incarcerazione di massa. Essi non vogliono né amnistia né indulto perché «potrebbero favorire Berlusconi e i colletti bianchi indagati». E poco importa loro se il circuito carcerario italiano è diventato una mattanza di corpi a perdere. Un dispositivo regolatore dei rapporti tra lavoro vivo e capitale. Una discarica sociale in cui non si compie null’altro che l’incapacitazione e la neutralizzazione di ampi settori di classe altrimenti riottosi, propensi per condizione all’economia illegale.

E allora l’imposizione di un provvedimento generale di amnistia, definito per pena prevista e per titolo di reato, che arrivi a includere anche tutti i reati connessi con l’organizzazione delle lotte sociali, e un provvedimento d’indulto generalizzato di almeno tre anni che riguardi tutti i detenuti senza esclusioni, sono necessari. Questo obiettivo diventi perciò patrimonio dei movimenti, nei loro interessi e di tutta quella vasta area, in costante crescita, dell’esclusione sociale generale in ogni sua specificità. Da chi agisce le lotte sui territori ai migranti, nomadi, precari, disoccupati, consumatori di sostanze ecc.

Ma imporre significa costruire prima i rapporti di forza per poterlo fare, e ciò non è possibile se non si comprende appieno che il carcerario è uno dei terreni dello scontro di classe. Che siamo tutti a rischio di carcerazione perché la punizione non insiste più solo sul reato ma sull’individuo per le sue caratteristiche. Ri/aprire il fronte carcerario è una delle tante premesse che costruiscono il processo di liberazione dal modo capitalistico di produzione e dalla sua degenerazione neoliberista.