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Prefazione a “Rifare il mondo del lavoro”

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Prefazione di Sergio Bologna al libro di Sandrino Graceffa (DeriveApprodi)

Debbo agli amici dell’Università Libera di Bruxelles la fortuna di essere venuto a conoscenza che una società di mutuo soccorso esisteva e prosperava nel secondo Millennio in pieno postfordismo. Erano anni che in Italia e non solo coloro che in una maniera o nell’altra cercano di dare consistenza ad un movimento sindacale dei precari, dei lavoratori autonomi, degli intermittenti, speravano nella rinascita di forme di mutualismo, vista l’inconsistenza delle politiche europee e nazionali di flexsecurity. L’incapacità della classe dirigente europea a progettare sistemi di tutela per la nuova forza lavoro, che non fossero ricalcati su quelli tradizionali per il lavoro subordinato a tempo indeterminato, era evidente ogni giorno di più, mentre lasciava stupiti la sua fervida immaginazione nell’introdurre nuove regole e nuovi concetti di flessibilità del rapporto di lavoro. Anche là dove – a livello nazionale – questa esigenza di immaginare nuove tutele era avvertita, come in Italia con il contratto a tutele crescenti e lo Statuto del Lavoro Autonomo, la nuova regolamentazione arrivava in un momento in cui gli effetti di una crisi prolungata avevano ormai fatto scivolare larghissime fasce di popolazione giovanile e non solo in una condizione di bisogno tale da richiedere politiche d’intervento ben più ampie, più incisive e generose. Ma l’Europa sembra non accorgersene, persiste cocciutamente in una politica dell’occupazione fondata su tre pilastri: la libertà d’impresa, la formazione e gli intermediari. L’occupabilità delle persone è affidata interamente al lato dell’offerta di mano d’opera, a chi sa fare di se stesso un’entità economica imprenditoriale, sa procurarsi tanti attestati di studio e sa rivolgersi agli intermediari di cui pullula il mercato. Come se il lato della domanda non avesse nulla a che fare con il problema dell’occupazione.

Cosa ci si può aspettare da una classe dirigente del genere, da un sistema politico di questa fatta? Da un governo europeo le cui politiche neoliberali hanno sulla coesione sociale e sulla coesione europea un effetto più devastante di mille populismi? È evidente dunque che bisogna di necessità arrangiarsi da soli, riscoprendo forme di mutualismo solidale simili a quelle che all’epoca della seconda rivoluzione industriale sono riuscite a strappare dalla miseria milioni di lavoratori, restituendo a loro una dignità di cittadini. Perché non basta creare un movimento associativo che dia rappresentanza a forme di lavoro costrette al massimo di flessibilità, non basta creare un movimento associativo di lavoratori autonomi in grado di farsi ascoltare dal ceto politico e di convincerlo a introdurre forme di tutela nell’ambito dei sistemi di welfare esistenti e magari a pensare qualche forma di tutela innovativa. Non basta perché l’area del bisogno, del bisogno primario, oggi si è estesa enormemente dopo nove anni di crisi di cui non si vede lo sbocco. Associazionismo e mutualismo debbono andare insieme, il percorso di dare identità ai nuovi lavori deve per forza incontrare nel suo cammino la solidarietà mutualistica. La possibilità per i lavoratori autonomi, i precari, gli intermittenti, gli occasionali, siano essi professionisti digitali o nomadi della gig economy, di uscire dalla condizione di subordinazione e di crescente espropriazione della loro capacità di negoziare condizioni di lavoro dignitose, cammina sulle due gambe dell’associazionismo e del mutualismo.

La prima volta che ho incontrato SMart, Société Mutuelle des Artistes, è stato a Bruxelles, nella loro bella sede di rue Féron, un giorno che mi trovavo nella capitale belga assieme a Francesca Pesce, Vicepresidente di ACTA, per una riunione del coordinamento europeo delle associazioni rappresentative dei freelance. Mi sembrava che avesse un grande valore simbolico il fatto che una società di mutuo soccorso così solida avesse il suo quartier generale nella città sede dello sconsiderato governo europeo, così sbilanciato a favore di chi sfrutta la forza lavoro. Ed avvertivo l’assoluta necessità di impostare un progetto a dimensione europea, se mutualismo ed associazionismo vogliono avere un senso e una prospettiva di successo. La storia di SMart che, attraverso le parole dell’autore di questo opuscolo, il lettore italiano conoscerà, è particolarmente interessante. Il segmento di forza lavoro sul quale concentra la sua attività non è un segmento caratteristico dell’èra digitale ma quello di professioni antiche quanto la nostra civiltà, gli attori di teatro, i musicisti, gente del mondo dello spettacolo, dove i contratti a tempo indeterminato sono rari e il nomadismo è un’abitudine. E’ un universo, quello delle professioni dello spettacolo, che ha dato vita a lotte memorabili, come quella degli “intermittenti dello spettacolo” in Francia nei primi Anni Duemila. Chi ne ha un ricordo non dimenticherà facilmente quel movimento pieno di fantasia, di trovate spettacolari, come appunto si conviene a gente di teatro. La lotta era scaturita dal fatto che attori e musicisti non erano disposti a farsi sottrarre un regime di protezione nei periodi di non lavoro, che si erano conquistati anni addietro con le loro azioni rivendicative ed era diventato un diritto peculiare della loro categoria, mentre invece le solite misure di austerità volevano considerarlo un privilegio ed abolirlo (in nome dell’equità).

Ancor prima di quel movimento SMart, appena costituita nel 1998, aveva cominciato a collaborare strettamente in Belgio con la “Piattaforma nazionale degli artisti” per elaborare uno Statuto dell’Artista. Da qui prende le mosse anche in Belgio un movimento rivendicativo, che porterà nel 2002 all’approvazione di una norma di legge con la quale agli artisti viene assicurata una protezione sociale pari a quella del lavoro dipendente salariato. Il tema della flexsecurity quindi è un tema centrale dell’intervista di Graceffa che qui proponiamo. Egli si rende conto perfettamente che il mutualismo non basta e che ci deve essere una rappresentanza degli interessi in grado di continuare ad esercitare una pressione verso le pubbliche istituzioni, associazionismo e mutualismo quindi come due gambe su cui marciare. Ma ci aggiunge qualcosa in più, qualcosa in cui si è provato, di cui ha avuto esperienza: l’impresa sociale. Una definizione forse troppo generica per esprimere la complessità del discorso che fa Graceffa. Egli parte da una constatazione molto semplice: qualunque miglioramento noi riusciamo ad ottenere nella definizione dei rapporti di lavoro e nella regolamentazione del sistema delle tutele non sarà mai in grado di farci uscire dai meccanismi e dai condizionamenti del mercato capitalistico nella sua fase postfordista. Occorre quindi osare sperimentare forme di attività lavorativa che, oltre ad assicurare la sopravvivenza di chi ci opera, abbiano come finalità la coesione sociale e la difesa dalle innumerevoli pratiche di autodistruzione che gli uomini coinvolti nel mercato capitalistico sistematicamente mettono in atto con il loro cieco perseguimento della cosiddetta “crescita”. Una delle parti più interessanti di questa lunga intervista è quella in cui l’autore racconta la sua esperienza decennale nella regione di Pas de Calais, nel Nord della Francia, una regione colpita da una devastante deindustrializzazione (settore minerario, siderurgico, abbigliamento). Faticosamente i superstiti di questo tsunami cercano di darsi un impiego, incoraggiati dagli incentivi pubblici costituiscono decine di imprese individuali, ma rischiano di entrare in un circolo vizioso, quello che ha portato migliaia di start up a cessare l’attività appena gli incentivi a termine sono venuti a mancare. Le società di servizi, che via via Graceffa ed i suoi colleghi riescono a mettere in piedi, forniscono a questi imprenditori individuali una guida per aiutarli a scoprire ed a praticare una dimensione collettiva, ispirandosi all’esempio delle “cooperative di attività e d’impiego” (coopératives d’activités et d’emploi) che in Francia avevano sperimentato con successo una formula non prevista dal diritto d’impresa. Sono tre dunque gli assi del discorso di Graceffa: flexsecurity, mutualismo e impresa sociale. Tutti e tre riguardano lo stesso soggetto: il lavoro flessibile, precario, intermittente, occasionale, indipendente, nomade, cognitivo o manuale, relazionale o creativo del postfordismo, un lavoro che può essere sommariamente definito come “altro” rispetto al lavoro salariato subordinato. contratti a tempo indeterminato.

Nel nostro piccolo, anche noi di ACTA abbiamo contribuito alla nascita di un movimento associativo del lavoro postfordista, creando legami con altre organizzazioni di rappresentanza sia in Europa che negli Stati Uniti. L’incontro con SMart fa parte di questo percorso. Alcune iniziative comuni sono già state prese, in particolare quella che il 26/27 maggio di quest’anno, presso l’Università di Ca’ Foscari di Venezia, ci ha visti in un confronto molto stimolante con alcuni dei maggiori giuslavoristi italiani per discutere di vecchie e nuove tutele.