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Il treno contro la Storia - Per una discussione sui ’17

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La seconda tappa di Se7en - osare fare la rivoluzione (Bologna, 7-10 novembre 2017)

Il ’17 del “vecchio” Novecento, il ’17 del “nuovo” millennio. Due epoche distanti, non tanto cronologicamente, quanto politicamente. Anzi, una grande epoca e un piccolo tempo, il tempo nel quale ci è dato di vivere, il tempo contro cui abbiamo scelto di vivere. Non abbiamo nostalgia di un passato da celebrare, perché è inutile; non abbiamo fascinazione per un presente da enfatizzare, perché è dannoso. Organizzare un seminario sui nostri ’17 significa allora, in primo luogo, utilizzare il passato come chiave genealogica per ripensare il presente. Consapevoli dell’irriproponibilità delle risposte, ripensare la centralità delle domande. È il balzo della tigre nella storia, per afferrare l’inattualità della rottura, per pensare l’attualità della rivoluzione.

I due termini non sono affatto contraddittori. Inattualità della rottura non significa impossibilità; significa, al contrario, un agire contro il tempo, sul tempo e per un tempo a-venire. Significa afferrare la possibilità per interrompere la Storia, la Storia raccontata dal nostro nemico perché ne è il padrone. Attualità della rivoluzione non significa che questa sia dietro l’angolo; significa, invece, porre il problema di ricollocare la rivoluzione al centro dell’agire militante, della nostra prospettiva, della nostra immaginazione.

Il treno che evochiamo nel titolo non è allora quello della teleologia, condivisa dai sudditi del capitale e dagli ortodossi de Il capitale. Non è il treno su cui viaggia il progresso, e che viaggia attraverso il progresso. È un treno partito da una capitale, quella svizzera, e arrivato in un’altra capitale, quella russa. È un treno che attraversa la Storia, quella della prima guerra mondiale, quella del tumultuoso salto in avanti dello sviluppo capitalistico. È un treno che viaggia contro la Storia, che rovescia la guerra imperialista in guerra civile, che spezza lo sviluppo capitalistico e apre lo sviluppo rivoluzionario. Che interrompe la Storia, che apre un’altra storia. La politica rivoluzionaria è sempre un agire contro il tempo scandito dal nemico.

È un treno blindato, anche metaforicamente. Perché la formazione della soggettività rivoluzionaria viaggia su un vagone piombato per attraversare i tempi dentro cui siamo collocati e a cui non apparteniamo, con cui ci rapportiamo con l’obiettivo di capovolgerli. È il treno blindato attraverso cui lo spirito libero erge una fortezza, da cui può dire non ci prenderete mai.

Quando Lenin scende alla stazione Finlandia di Pietrogrado e traduce la complessità della rottura rivoluzionaria in quelle poche parole semplici, tutto il potere ai soviet, viene osteggiato e preso per matto. Viene osteggiato dai socialisti di tutte le risme, quelli che ritenevano che la Russia non fosse il luogo e il ’17 non fosse il momento, quelli talmente fedeli ai compiti loro assegnati dalle leggi della Storia da ritenere che la rivoluzione andasse consegnata alla direzione della borghesia. Viene preso per matto da buona parte dei dirigenti bolscevichi, che ritenevano che non ci fossero i rapporti di forza, che non riuscivano a immaginare la possibilità, e che tutto sommato sì, la Storia aveva sempre ragione. Lenin era in minoranza, lo sarebbe stato fino alla vigilia dell’insurrezione. Lo era stato prima, sarebbe tornato a esserlo dopo. Il pensiero rivoluzionario è in fondo un pensiero di minoranza. Una minoranza non minoritaria. Una minoranza con una vocazione egemonica. E così attraverso il salto della rottura il febbraio diventò Ottobre, il calendario del capitale e della teleologia marxista era stato sovvertito.

Parlare della rottura del ’17 oggi significa l’impossibilità di copiare quelle risposte, così come l’impossibilità di ignorare quelle domande. Un secolo dopo vogliamo allora riproporre l’interrogativo: bisogna sognare? Che siano irriproponibili i contenuti di quella risposta, è fin troppo ovvio per ripeterlo. Che sia indispensabile riproporre l’affermatività di quella risposta, è per noi fondamentale: quando vi è contrasto tra il sogno e la realtà, quando si agisce materialisticamente e tenacemente per attuare il proprio sogno, quando vi è contatto tra il sogno e la vita, tutto va per il meglio. Questo è dunque il problema da cui partire: oggi abbiamo smesso di sognare, e di provare a dargli forma organizzata.

Cosa significa allora osare sognare? Cosa significa oggi ripensare un agire rivoluzionario contro la Storia? Da qui comincia il nostro seminario, un seminario che volge le spalle a un futuro già scritto per tentare di cogliere le possibilità nascoste di un presente tutto da ripensare.

 

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Programma

 

Martedì 7 novembre (Casa del Popolo Venti Pietre, via Marzabotto 2)

h. 20 - cena di autofinanziamento

h. 21 - “Lenin a Zimmerwald” di Franco Berardi Bifo

A seguire - “Parole e suoni tra crisi e rivoluzione” - dibattito e performance con Franco Berardi Bifo, Davide Sacco e Agata Tomsic / ErosAntEros

 

Mercoledì 8 novembre (Gateway, via San Petronio Vecchio 33/b)

h. 18.30 - Presentazione “I quattro anni che cambiarono il mondo” con la curatrice Virginia Pili

h. 20.30 - “Cent’anni dopo: l’altro ’17 in Italia” - reading di “Viva Caporetto” a cura di Giorgio Gattei e Uber Serra

 

Giovedì 9 novembre (Via Belmeloro 14 - Aula P) - Seminario

h. 10-13 - “Per una storia non storicista” con Emilio Quadrelli e Marcello Tarì

h. 15-18 - “La rivoluzione contro la Storia” con Franco Piperno e Valerio Romitelli

 

Venerdì 10 novembre (Via Belmeloro 14 - Aula M) - Seminario

h. 10-13 - “La militanza bolscevica” con Guido Borio e Franco Milanesi

h. 15-18 - “La politica contro la Storia” con Diego Giachetti e Mario Tronti