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L’autunno catalano, lo Stato e il referendum

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Articolo di Dario Lovaglio sul conflitto indipendentista a pochi giorni dal referendum

Il rumore dell’elicottero in sottofondo è diventato una constante per chi vive a Barcellona. In queste ultime settimane dall’1 ottobre, data in cui viene annunciato il referendum indipendentista, lo Stato democratico ha messo in opera, con un metodo degno della sua genealogia post-franchista, la revoca dell’autonomia della Catalogna con 14 arresti di alti funzionari; ha inoltre centralizzato i poteri della Conselleria d’Economia e la polizia della comunità autonoma, i Mossos d’Esquadra. Un Coup d’Etat dice il presidente della comunità autonoma catalana su The Guardian. Una dozzina di sedi di partito perquisite e occupate senza mandato, oltre alle tipografie e alle testate implicate nella produzione del materiale del referendum; la sospensione di conferenze ed atti pubblici sia a Valencia sia a Bilbao; circa settecento sindaci sanzionati e precettati per aver appoggiato pubblicamente la consulta con le loro dichiarazioni; un impiego massiccio delle forze dell’ordine della Guardia Civil – la polizia statale – con due barche da crociera ormeggiate nel porto di Barcellona.

Mercoledì 20 settembre migliaia di persone sono scese in piazza davanti alle sedi della CUP e la sede dell’ormai commissariato dipartimento d’Economia della Generalitat catalana per chiedere democrazia, libertà d’espressione e il diritto all’autodeterminazione. Il partito di Rajoy aveva già espresso la sua linea dura rispetto al referendum e all’indipendenza catalana, impostando la sua strategia a colpi di legalità e repressione. Una società divisa e plurale dove la bandiera catalana non solo risponde a una questione nazionale, ma si fa carico dell’espressione dei diritti civili e della democrazia contro un governo sempre più chiuso e autoritario, deciso ad imporre il mantenimento della governance della crisi a base di austerità. Sono state diverse le manifestazioni di solidarietà con la situazione catalana: Madrid, Saragozza, Bilbao, Valencia, La Coruña per citarne alcune. Tra chi manifesta in questi giorni a favore del referendum, ci sono persone d’ideologie politiche e classi molto diverse, che scendono in piazza per ragioni molto distinte, spesso contraddittorie.

Come succede per molte esperienze politiche di quest’ultimo decennio in Spagna, anche l’indipendentismo catalano prende forza dall’occupazione delle piazze il 15 maggio 2011. Il movimento di Piazza Catalogna termina la sua esperienza con la votazione plebiscitaria a mani alzate per stabilire se la piazza fosse a favore del diritto all’autodeterminazione. L’anno successivo, la CUP (Candidatura d’Unitat Popular) si presenta per la prima volta alle elezioni come rappresentanza della sinistra radicale indipendentista con uno spot elettorale nel quale, oltre alle immagini della piazza, faceva sue le rivendicazioni del movimento. Nello stesso anno anche la formazione di destra CiU (Convergencia i Unió), dopo una serie di scandali di corruzione fa proprie le istanze indipendentiste[1] vincendo così le elezioni. L’appoggio al governo catalano di destra è dato dalla sinistra repubblicana indipendentista ERC (Esquerra Republicana de Catalunya), grazie al quale sono approvati i tagli alla spesa pubblica più drastici della Catalogna. Catalogna ancora oggi è la comunità autonoma più indebitata della Spagna, ma a governare è la nuova coalizione JXS (Junts pel Sì) in cui partecipano l’area legata ad Artur Mas uscente da CiU nella nuova CDC (Convergencia Democratica de Catalunya), ERC, la CUP e varie entità indipendentiste. Le elezioni anticipate convocate da Mas nel 2015 sono proposte da JXS come elezioni plebiscitarie per il referendum. Questo avviene dopo che venne dichiarato incostituzionale il referendum per l’indipendenza promosso dallo stesso Mas il 9 novembre 2014 (sono ancora pendenti le relative imputazioni). La presidenza attuale della Catalogna è ancora guidata dal CDC (PDeCat dal 2016) con Puigdemont, per ottenere il consenso della CUP nella formazione indipendentista. La Generalitat, il governo della comunità autonoma catalana, non si è distinta dall’anteriore in questi ultimi due anni se non per le leggi approvate quest’estate per regolare il referendum, poi dichiarate incostituzionali mediante procedimenti giuridici assai contestati.

Il 26 settembre Puigdemont ha dichiarato in un’emittente francese che per il suo partito il referendum è solo un elemento per negoziare con il governo le nuove condizioni di una nazione catalana riconosciuta dagli organi internazionali, mentre per altri è un atto di ribellione e disobbedienza al governo di destra di Rajoy. La parola d’ordine è sempre la stessa: democrazia, quella che nasce nella Transizione dopo la morte di Franco con la costituzione del ’78, grazie a un patto tra le forze franchiste e quelle socialiste; quella sovranista dove gli interessi di classe sono sbilanciati su quelli del protezionismo e di un patto fiscale; quella repubblicana, in cui in assenza di mobilitazioni sociali capaci di rimettere su un piano politico le questioni sociali, spera che la mobilitazione indipendentista sia la precondizione per una situazione rivoluzionaria che inizi un processo costituente per un nuovo Stato neoliberale.

Nello stesso tempo la sinistra socialdemocratica, la cosiddetta nuova politica, sta provando a porre le basi per trovare un accordo tra i nazionalismi di destra, quello catalano e quello spagnolo, rivendicando un referendum con garanzie per un governo plurinazionale, con un incontro a Saragozza tenuto questa settimana. Con questo proposito l’incontro invita i socialisti del PSOE a formare una coalizione anti-Rajoy, proprio quando il Partido Popular governa oggi grazie all’appoggio dei socialisti. L’uscita dell’incontro è stata blindata per ore da un centinaio di fascisti. Il governo ha risposto dicendo che tutti gli operativi si trovavano in Catalogna non avevano a disposizione gli agenti per intervenire. Durante lo scontro venne colpita alla testa e ferita alla testa la presidentessa delle Corti di Aragon, aggredita mentre usciva dalla sede dell’incontro per invocare l’aiuto della polizia. Il dialogo auspicato da Pablo Iglesias e dalla Sindaca di Barcellona Ada Colau, eretta a difensora last minute dei 700 sindaci catalani indipendentisti, si sta portando avanti, ma nei termini tracciati dalla controparte.

Uno Stato debole incapace di donare delle soluzioni politiche a un radicamento nazionale forte ha portato alla polarizzazione binaria. Alla campagna monotematica per il Sì all’indipendenza catalana in forma di Repubblica, in Spagna in questi giorni la gente saluta e acclama gli agenti in partenza dalle varie regioni della Spagna per la Catalogna con un coro a por ellos (andiamoli a cercare). La campagna per il No è sostenuta indirettamente dai mezzi di comunicazione mainstream, direttamente dai fascisti che scendono in strada per manifestare per l’unità della Spagna. Questi ultimi sono apostrofati dai media come “cittadini” o “ultras”, rientrando in un fenomeno più generale di normalizzazione del fascismo. I movimenti libertari provano a tirare la corda repressiva appoggiando il referendum e l’indipendenza per rompere con il regime costituzionale del ‘78. In diversi quartieri di Barcellona si organizzano dei Comitati di Difesa del Quartiere per garantire la sicurezza dagli attacchi fascisti e lo svolgimento del referendum, nel porto gli stivatori non fanno attraccare le barche dove sono alloggiati i rinforzi delle forze dell’ordine. Il 3 ottobre la CGT ha convocato uno sciopero generale, cercando di spostare la questione nazionale su quella dei diritti civili.

Piuttosto che dal referendum e dalle sue possibili negoziazioni – i cui interessi sono piuttosto espliciti e i quali esiti in casi analoghi sono stati generalmente negativi – potranno aprirsi dei nuovi scenari solo se lo sciopero catalano riuscirà a trovare delle alleanze che trasformino la lotta per i diritti in Catalogna in quella della generalizzazione dello sciopero, e quindi ribaltare il discorso nazionalista su quello di uno sciopero generale che sia capace di andare oltre le frontiere nazionali e della loro rappresentanza.



[1] http://www.uninomade.org/le-elezioni-catalane-e-il-nazionalismo-della-troika/

 

* Pubblicato anche su Effimera.