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Riportare l’antirazzismo sui piedi

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Un commento di Anna Curcio sullo Ius solie i limiti dell’antirazzismo di sinistra

Lo stop alla legge sullo Ius soli non è solo una battuta d’arresto nel riconoscimento della cittadinanza ai tanti giovani “stranieri” che crescono nei nostri quartieri, frequentano le nostre scuole e parlano i nostri dialetti, come se poi bastasse una legge per cambiare nei fatti le condizioni materiali di vita di questi giovani (permettetemi di dire che non ci credo, ma questo è un altro piano). Il dietrofront di Gentiloni è prima di tutto la cartina di tornasole dell’antirazzismo del PD, un antirazzismo umanitario, dei diritti, un antirazzismo di facciata direi, per nulla interessato a intervenire sul piano materiale dei bisogni, delle risorse e della loro allocazione. Che poi è lì, sul piano delle condizioni materiali che si sta giocando l’intera partita politica. Con le destre che hanno gioco fin troppo facile.

L’antirazzismo strumentale del partito di Repubblica, un antirazzismo da ceto medio politicamente personificato da Matteo Renzi che ne fa terreno di campagna elettorale, ha indubbie responsabilità sulle becere recrudescenze razziste con cui ahimè conviviamo tutti i giorni. Voglio dire che nel concentrarsi sui diritti, eludendo il piano materiale fondante e costitutivo del razzismo, il Pd, Repubblica e la pelosa sinistra italiana hanno lastricato di umanitarie, ancorché inefficaci intenzioni la strada dell’inferno razzista. In un paese in cui la crisi ha metodicamente eroso le risorse per il welfare, in cui la disoccupazione ha raggiunto livelli da paese in via di sviluppo, con decine di miglia di giovani disoccupati o costretti a lasciare il paese, e con una pressione costante di altri, nuovi “stranieri” lungo i confini, hanno gioco facile le destre ad infiammare la guerra tra poveri costruita lungo la linea del colore. Quando in ballo ci sono le condizioni materiali di esistenza, quando le poche risorse per l’accoglienza sacrosanta dei migranti sono ricavate dalle già scarse risorse destinate al sociale e facile innescare la scintilla dell’odio razziale e la “scelta di realismo” di Gentiloni, che mette nel cassetto lo Ius soli in attesa che passi la tempesta, è il segno chiaro che al PD le condizioni materiali dei soggetti, razzializzati e non, interessano ben poco.

È per questo che il razzismo materialista di Salvini e delle destre vince a mani basse sull’antirazzismo umanitario di sinistra che ha dismesso le condizioni materiali dal suo lessico e dalle sue politiche. Un antirazzismo che ha rimosso la razza e le gerarchie sociali e produttive a cui questa da vita. Che ci intima a non nominarla perché si sa le razze non esistono e nel nominarle ne facciamo una realtà, quando invece è proprio nella realtà che tutti i giorni vediamo quanto la razza (come dispositivo di segmentazione e gerarchizzazione sociale, non certo come distinzione biologica) pesi sulla materialità delle condizioni di esistenza, sulle aspettative e le opportunità di vita dei soggetti. È un antirazzismo disincarnato figlio di quel progetto educativo che da altre cinquant'anni ci dice che il razzismo può essere disimparato: l’antirazzismo di Debora Serracchiani che ha disimparato il razzismo così bene che mentre spinge per l’approvazione della legge sullo Ius soli si prodiga in atroci distinguo sugli orrori di uno stupro. È l’antirazzismo culturalista e ben pensante della sinistra italiana che ne fa mero vizio ideologico da correggere come una qualunque patologia sociale o invocando il piano dei diritti. Ma la storia e un approccio materialista alla realtà ci hanno insegnato che il razzismo, al pari del sessismo, è un elemento costitutivo dei rapporti sociali e produttivi nel capitalismo ed è solo agendo sulle condizioni materiali di esistenza che si può intervenire. È il piano materiale quello che fa la differenze, ed è per questo che le destre vincono e la sinistra perde la partita.

Che fare? È al solito l’annosa questione. Riportare l’antirazzismo sui piedi si potrebbe dire parafrasando Marx. Riportare cioè il materialismo al centro del discorso antirazzista. Se nel corso degli ultimi venti anni l’antirazzismo militante aveva insistito sull’ipotesi già dubbia di incrociare sul terreno dei diritti l’antirazzismo umanitario della sinistra, all’ottavo anno della crisi, con il costante e inesorabile ridursi della ricchezza collettiva e le destre sociali agguerrite, disposte a tutto pur di scatenare la guerra tra gli ultimi, l’opzione diventa deleteria, pericolosa, e apre il campo, come si è visto, al dilagare del razzismo più becero. Al contrario, l’antirazzismo radicale dovrebbe saper prendere le distanze dal razzismo dal volto umano al centro della retorica del partito di Repubblica, del PD o dell’”umanissimo” Papa Francesco. Non solo perché è oggi perdente rispetto all’aggressivo razzismo materialista incitato delle destre, ma perché è solo sul piano materiale che è possibile combattere il razzismo. È solo interrompendo i meccanismi di segmentazione sociale e la produzione di gerarchi costruite sul terreno della razza che il razzismo, le sue retoriche e la sua violenza, possono essere messi in discussione. E, interrompere i meccanismi di gerarchizzazione sociale vuol dire ancorare la razza a un discorso sulla classe. Vuol dire costruire campagne di mobilitazione e lotte capaci di mettere a fuco il problema reale: il costante e progressivo peggioramento delle condizioni di vita di fette sempre più consistenti della popolazione, in modo assolutamente trasversale alla razza. Da questa prospettiva, il nemico cessa di essere l’altro povero, nero o bianco che sia, permettendo di mettere a fuoco i reali responsabili: le elite capitaliste, senza distinzione tra destra e sinistra, che nella crisi continuano a erodere la ricchezza sociale, mettendo gli impoveriti gli uni contro gli altri, distogliendo l’attenzione dal reale obiettivo di una lotta per migliorare le condizioni di esistenza: i rapporti sociali capitalistici e le politiche di austerity nella crisi.  

È un antirazzismo materialista e di classe quello di cui oggi dovrebbero dotarsi i movimenti antirazzisti radicali. Un antirazzismo capace di ricomporre sul terreno della classe, cioè a partire dalla condizioni materiali di esistenza, ciò che il capitale divide e segmenta lungo la linea del colore. Un antirazzismo che dismette i panni umanitari, assistenzialisti e pauperistici, con cui spesso si guarda ai migranti per valorizzarne la soggettività, per costruire percorsi di lotta in comune, tra razzializzati e non, a partire dalle specifiche condizioni di esistenza, oltre le scivolate caritatevoli e vittimizzanti dell’antirazzismo umanitario ancora troppo presente anche in ambiti di movimento. Perché finché la rappresentanza dei migranti continuerà ad essere affidata all’antirazzismo umanitario dei diritti (che mette inevitabilmente in competizione i diritti degli “italiani” già erosi dalla crisi e quelli degli “stranieri”) nessuna ricomposizione sarà possibile, lasciando dilagare l’odio razziale e la guerra tra poveri. Insomma, è di un antirazzismo materialista che sappia mettere a critica il razzismo aggressivo delle destre e l’antirazzismo buonista della sinistra (anche dei movimenti a volte) quello di cui sembra oggi esserci più bisogno. Lo Ius soli è solo uno specchietto per le allodole.