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“Se c’è il desiderio e il coraggio, possiamo mettere in difficoltà le èlite neoliberali”

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Intervista di Lola Matamala a Veronica Marchio e Simona de Simoni (pubblicata su “El Salto”)

Presso il Museo Nazionale Centro d’Arte Reina Sofia questo maggio si è svolto il seminario “La politica contro la storia”, un seminario internazionale attorno al pensiero del principale referente teorico dell’operaismo italiano degli anni ’60 e ’70, Mario Tronti. Veronica Marchio e Simona de Simoni sono state tra le invitate a partecipare al workshop “Classe operaia e intelligenza politica”. Queste due ricercatrici e attiviste italiane sono state intervistate per il giornale di contro-informazione “El Salto” su tematiche come la classe operaia, il femminismo e il pensiero trontiano.

Nel workshop al quale avete partecipato si è parlato di classe media impoverita e precarietà, come definite il confine che le separa?

Simona de Simoni: Il rapporto tra le due è ambiguo nei termini delle possibilità della ricomposizione. I precari di oggi sono i figli di questa classe media impoverita e usano i suoi risparmi per affrontare la loro disoccupazione e quella dei loro figli, nonché la vecchiaia dei loro genitori non più assistiti dal welfare. Usano la ricchezza accumulata per far fronte al neoliberismo.

Veronica Marchio: Nel mio caso, la famiglia ha investito nel mio ipotetico futuro universitario, ma come in tutti i casi, non si sono prodotte le aspettative che avevano le generazioni anteriori perché, per esempio, spendere soldi per gli studi non offre più le stesse possibilità di prima, l’università non è più un ascensore sociale.

Qual è l’impatto di questa situazione nell’attuale contesto politico?

De Simoni: La classe media impoverita lotta per tornare ad essere classe media. In generale, il profilo dell’impoverito è quello di un vecchio proletario bianco che non capisce la precarietà, che ancora ha qualcosa da difendere e che, in molti casi, sta creando un blocco reazionario e conservatore con il quale vuole mantenere i suoi privilegi. La destra di ogni paese europeo sta approfittando di questa situazione, e stiamo vedendo la sua capacità di dare sfogo a questi sentimenti attraverso la xenofobia e la mobilitazione attraverso le contraddizioni, ad esempio quando parlano del welfare come una spesa per lo Stato.

Marchio: Inoltre, in teoria si apre una possibilità, ma il problema è come ricomporre la precarietà, la povertà e l’impoverimento nelle prime e nelle seconde generazioni per evitare di lasciare il campo al nemico.

Potrebbe trattarsi di una delle risposte al perché il Fronte Nazionale francese ha più capacità di attrazione della sinistra?

Marchio: Sì, da una parte è dovuto alla diffusione di sentimenti di anti-politica rispetto alla sinistra, perché quest’ultima ha tradito le promesse fatte nei suoi programmi elettorali e, in molti casi, ha provocato parte della crisi da cui deriva l’impoverimento diffuso.

De Simoni: La sinistra istituzionale si sta burocratizzando e non ha avuto nessuna volontà o capacità di generare un minimo conflitto contro questa Europa dell’austerità. Al contrario, la destra ha costruito la finzione di essere alternativa con il suo lessico capace di parlare agli “stomaci”. Inoltre, questa sinistra istituzionale è diventata snob mentre gli altri non hanno avuto paura a sporcarsi le mani con l’ambiguità.

Per mettere in relazione quello di cui stiamo parlando con il seminario al quale avete partecipato, sono venuti alla luce i concetti trontiani rispetto alla forza della maggioranza, l’organizzazione e l’autonomia della classe operaia degli anni ’60 e ’70 in Italia. Dalla situazione attuale che state descrivendo come si può difendere il pensiero di Tronti?

De Simoni: Dal mio punto di vista, non c’è una tradizione diretta della teoria di Tronti ma è certo che esiste un elemento centrale della sua opera che costituisce un grande strumento nell’attualità: il conflitto. Questo concetto può essere di grande aiuto nel panorama del movimento europeo, che per non rompere il consenso, sta avendo un atteggiamento molto debole nelle sue differenti manifestazioni: le sue rivendicazioni sono minime nel senso di una gestione dell’esistente. Il compito è come inventare il modo per arrivare a quel punto: ma c’è bisogno di desiderio e coraggio per radicalizzare le posizioni contro i poteri forti e le èlite neoliberali mettendoli in difficoltà.

Marchio: Oltre alle questioni di cui parla Simona, durante queste giornate è stato accennato ciò che Tronti considera un “rovesciamento” nel pensare al rapporto tra operai e capitale, ovvero come sia la classe operaia a provocare il movimento del capitale e non il contrario. Per questo egli considera il conflitto e il protagonismo delle lotte come elementi che pongono problemi al nemico. Questa visione è ancora perfettamente applicabile.

L’attivismo conosce il pensiero di Tronti per poterlo mettere in pratica?

De Simoni: Tronti è conosciuto tra gli attivisti formati nelle lotte degli operai in Italia, comunque è vero che il suo pensiero non è di massa e quindi è necessario tradurre queste teorie nel contesto attuale e aggiornare il linguaggio per le persone che non vengono da questa tradizione. Non succede solo con l’opera di Tronti, ma anche con opere che provengono da fuori dall’Europa. Adattarle potrebbe offrire un quadro teorico più potente.

Infatti, durante il mio soggiorno in Francia, ho partecipato ad un seminario tenutosi a Parigi sul movimento operaio. In quel seminario c’era un buon numero di giovani degli istituti che reclamavano la necessità di strumenti teorici da poter usare durante le mobilitazioni. Questo è il fatto importante: questi ragazzi sono i protagonisti delle grandi manifestazioni contro la Loi Travail.

Marchio: Il discorso si basa sulla necessità di riflettere su come affrontare queste idee oggi e quali difficoltà contengono. E in effetti una soluzione potrebbe essere quella di tradurre questi discorsi soprattutto in pratica politica perché, da militante politica, mi capita di incontrare le nuove generazioni che nella maggior parte dei casi hanno rimosso o non hanno un immaginario rivoluzionario ed è difficile parlare di grandi autori, non solo dei rivoluzionari del movimento operaio.

Quindi questa “orfanità” teorica può essere uno dei fattori che hanno minato la mobilitazione politica e sociale?

De Simoni: È molto difficile determinarlo in tutto questo contesto sociale pieno di sofferenza, di depressione, ma in cui è presente una forte domanda di mobilitazione e dove la realtà ci parla della necessità di un cambiamento. Come trasformare questo bisogno in capacità politica e collettiva? Coloro che vogliono dedicarsi alla politica attiva devono tradurre la realtà sociale attuale attraverso la ricerca della composizione di classe e per il bisogno di tornare a rapportarsi con le esperienze del passato.

Marchio: Un’altra questione riguarda come analizzare oggi il nodo dell’organizzazione, vale a dire il rapporto tra la spontaneità e l’organizzazione. Ad esempio, in Italia, abbiamo avuto organizzazioni più radicate che negli altri paesi, ma non abbiamo avuto la stessa capacità di direzionare e leggere fenomeni spontanei e quindi di per sé ambivalenti. Collocarsi al centro di queste due polarizzazioni, aiuterebbe nella generalizzazione delle lotte. Nell’attualità esiste la rabbia sociale e il punto è arrivare a comprendere dove dirigerla. Tronti nell’operaismo parlava del partito come forma organizzativa per formare individualità che si confrontassero, quale forma organizzativa oggi?

Un altro tema toccato negli interventi è stata la lotta di Ni Una Menos. Per voi, soprattutto Simona, è un esempio di un nuovo spazio tra lotte femministe latino-americani ed europee? Qual è la cerniera che le collega?

De Simoni: Ni Una Menos è la rappresentazione di come il terreno comune dell’esperienza unisce il movimento argentino a quello più internazionale. È stato intelligente mostrare, dal punto di vista della violenza di genere, quella che esercita anche la società neoliberale tramite la povertà, la negazione del diritto alla casa o alla salute. Anche questa è violenza. Questi sono stati i temi dai quali si è aperta la possibilità di parlare dell’aggressione diretta del capitalismo alla vita delle persone dentro una realtà sociale molto diversa. Si è data la possibilità di stare in ambiti politici differenti e osservare, a partire dalle esperienze femministe personali, come si è rotta l’idea che lo Stato sia il difensore contro la violenza, che è sempre sistemica. Il movimento Ni Una Menos ha colto questo mandato e lo ha trasformato in una autodifesa che nasce dalla ristrutturazione dei rapporti a partire da noi stesse aprendo così una nuova possibilità per il femminismo.

Marchio: Oltre a quello che dice Simona, il discorso di Ni Una Menos è connesso all’idea dello sciopero come risposta alla violenza del sistema.

Quindi, in questa situazione sistemica, pensate che le lotte devono avere caratteristiche proprie in ogni territorio o è il contesto internazionalista che deve aprire il cammino?

Marchio: Nel mio caso, e dall’esperienza del nostro lavoro di ricerca nell’Università di Bologna, ci siamo posti il problema del dove andare. Nello stesso tempo sappiamo che il capitalismo divide l’urbano e ciò che sta fuori da lui, abbiamo visto da una parte come ogni territorio abbia una sua specificità, dall’altro ci interroghiamo su come costruire uno spazio che crei una rapporto tra le persone dei quartieri in cui si produce la precarietà o la disoccupazione e tra coloro che vivono altri luoghi della città, come i centri gentrificati e l’università. Credo che bisogna comprendere le relazioni tra i luoghi per non settorializzare le individualità e connettere laddove il capitalismo vuole dividere.

Durante e dopo il 15 -M molti autori, tra i quali Toni Negri, dissero che il laboratorio delle idee di azione politica si trovava in Spagna. Nell’attualità come deve essere e dove dovrebbe trovarsi?

Marchio: Non so dove sia né dove dovrebbe essere, certamente credo debba partire dal presente e non dal passato: ormai non è possibile tornare indietro.

De Simoni: Sì, il laboratorio deve partire dal presente e dovrebbe essere un luogo di condivisione di esperienze e pratiche collettive. Non credo che sia importante dove, l’importante è discutere, il dibattito e il dialogo.

 

* Traduzione di Dario Lovaglio.