Stampa

The Circle, ovvero le lacrime di coccodrillo del techno-regime neoliberale

on .

Bi Pi recensisce un film da guardare e demolire

Avvertenze: questa è la recensione di un film che ho detestato. Tuttavia ci sono delle volte in cui spendere due parole per dire ciò che si odia può essere utile per schiarirsi ulteriormente le idee e detestare meglio.

The Circle, di James Ponsoldt, basato sul romanzo del 2013 di Dave Eggers, viene definito come un thriller dalle descrizioni disponibili online sulla maggior parte dei portali di settore. In effetti, nonostante la sequenza degli eventi li veda scivolare l’uno dentro l’altro, la pellicola sembra comunque pervasa da un crescendo inquieto, che proviene dal torbido apparato morale che sostiene la trama. La tensione sta tutta qui: nello svelamento del cuore marcio che pulsa nei sotterranei della gigantesca internet company, da cui il film prende il nome, e nel suo successivo occultamento. A fare questa scoperte è la protagonista Mae, giovane, donna, socialmente invisibile e operatrice precaria di un call center, che vive in acritica simbiosi con il suo smartphone.

Senza entrare nel merito del rapporto che intercorre tra questo film e le serie TV che negli ultimi anni hanno trattato il tema delle implicazioni sociali e politiche dell’innovazione capitalistica, con un occhio di riguardo all’evoluzione di internet e dei social network, credo tuttavia che l’uscita di questo film rifletta (sebbene a quattro anni dall’uscita del libro), al pari dei prodotti televisivi di cui sopra, la stringente necessità culturale e sociale di sottoporre a decantazione le pratiche di socializzazione nate nel grembo di internet degli ultimi quindici anni.

Nello specifico – smetto subito di girarci intorno – credo che film come The Circle (o come The Social Network a suo tempo) siano espressione di una parte del mondo capitalistico, in questo caso si tratta del segmento di società capitalistica rappresentato dall’industria cinematografica mainstream, che riflette su se stesso. A volte ci si dimentica che le metamorfiche capacità di adattamento del Capitale gli derivano soprattutto dalla straordinaria facoltà di porsi delle domande eminentemente strategiche circa i propri ambiti di riproduzione (ancor meglio se le risposte provengono da ambiti produttivi e riproduttivi che non sono sotto la sua giurisdizione, ma al contrario rivendicano autonomia da questa).

The Circle non rappresenta solo un resoconto in chiave distopica delle implicazioni di un mondo senza privacy ma, senza riuscirci, prova a lasciare qualche insegnamento… fallendo clamorosamente. Sarò più incisiva: è un film dall’intento disgustosamente didascalico intriso del peggior “dirittismo” in salsa yankees e neoliberale. Non che ci si aspettasse qualcosa di profondamente diverso da una produzione con un cast altisonante, che può contare sui volti arcinoti di Tom Hanks ed Emma Wattson, i cui personaggi sono insipidi dall’inizio alla fine e rimarranno irrisolti.

Allora perché, nonostante tutto, consiglio la visione (possibilmente in copyriot) di The Circle? Perché nella distopia futuribile disegnata prima da Eggers e poi da Ponsoldt ci ho visto alcune bugie scientemente utilizzate dai padroni della rete per raccontare gli sfrenati orizzonti di libertà, affetto e condivisione rappresentati dai servizi che vendono. The Circle lo fa attraverso quello che questi boss digitali non venderanno mai e hanno molta premura di dirti che non faranno mai.

L’internet company di cui parla il film racchiude in sé buona parte dei servizi di cui disponiamo quotidianamente online. Dalla messaggeria istantanea, alla condivisione di file multimediali, la posta elettronica, al meteo, alla possibilità di poter organizzare i propri spostamenti, ai pagamenti online e alla gestione del proprio conto corrente.

Mae ad un certo punto della pellicola parlerà di includere l’esercizio del voto tra i servizi offerti dalla sua azienda. Bypassando questa ultima invenzione narrativa, talmente assurda da stare male anche dentro un film fantascientifico, l’idea di una pan-istituzione dell’etere cozza con il tendenziale processo di scomposizione delle informazioni che corredano la nostra vita online. A nessun padrone digitale interesserà disporre di più informazioni di quelle che può processare e mettere a valore in quel preciso momento. E in ogni caso perché fare uno sforzo ermeneutico inenarrabile quando si possono, a partire dalle qualità stessi dei dati, istituire delle partnership redditizie fra caporali digitali? Anche il regime dei BigData, così come il capitalismo contemporaneo, è un sistema ad integrazione graduale e controllata delle sue componenti. Un esempio in micro? Prima a Facebook bastava processare i nostri like, ora gli interessano anche la quantità di cuori che immettiamo nel suo ecosistema.

Perché uccidere il selvaggio mercato dei servizi online e dei metadati ad essi correlati? L’idea di un Capitale monolitico non funziona nemmeno come distopia. Vale a dire che questo iperbolico labirinto di comodità in rete non può nemmeno essere usato come monito impossibile, o come scenario limite. Una minaccia che non esiste. La varietà dei dispositivi di governo della rete e di assoggettamento psicofisico invece è già, e da moltissimo tempo, la sua arma più potente e raffinata.

Un altro spunto di riflessione offerto da The Circle riguarda la trasparenza. A Mae viene richiesto di mettersi completamente a nudo, entrando così a far parte di un esperimento aziendale. Ogni momento della vita quotidiana viene raccolto dalle telecamere. Gli utenti di The Circle interagiscono con lei e le rilasciano dei feedback.

Sarà mai possibile che ad un qualche social network interessi tutto di noi e che ci paghi per condividerlo? No. Come dicevo sopra ai social interessa di noi tutto quello su cui può lucrare. Il resto è tutto inutile surplus. Un po’ come una pizza di cui si sgranocchia solo la crosta.

Un problema che verrà risolto in futuro pensando a tecnologie in grado di ammaestrare i corpi molto più a fondo, in modo da poter ricavare il massimo dell’utile dalle nostre vite, che saranno inserite nel circolo produttivo come merce. Dubito come forza lavoro salariata in modo più o meno lineare.

Concludo questa recensione con l’ultimo argomento di The Circle veramente fastidioso. Al netto dell’archetipico viaggio d’iniziazione compiuto dalla protagonista, in cui evidentemente non impara nulla, l’insegnamento principale della pellicola vuole essere che la tecnologia è buona se usata in modo buono e che non si può mai fare il processo alle intenzioni. Come a dire che non esiste un’etica dell’innovazione.

Il problema è qui, al solito, l’ambiguità sostanziale dei concetti di libertà, trasparenza e democrazia dentro la rete e chi ne decide il senso. Se ad esempio trasparenza e libertà di condivisione vengono declinati all’interno di un contesto di tendenziale restringimento degli spazi decisionali in rete, allora la democrazia della verità e dello sharing saranno il cuore stesso di questo rapporto di dominio. Uno dei ritornelli del film è infatti “secrets are lies. I segreti sono bugie. Dipende sempre ovviamente da chi decide dell’utilità dei segreti. Dipende sempre dai rapporti di forza.

La perdita di sé, l’elisione della spontaneità nei relazione umane, la delega totale della nostra quotidianità alla tecnologia e la morte della privacy appaiono tutte come controindicazioni di una terapia, quella dell’innovazione capitalistica, i cui presupposti erano inizialmente buoni. Come a dire che la democrazia neoliberale ha rovinato la vita – per ora – di almeno un paio di generazioni, ma ha fatto anche cose buone.

I protagonisti alla fine di fronte agli effetti deteriori della tecnologizzazione acritica della loro vite sembrano fare spallucce: è il techno-capitalismo bellezza, cosa ci vuoi fare!?

Partono i titoli di coda. Si accendono le luci. Mi guardo intorno perplessa. Non sono la sola.