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Il calcio come passione e riscatto sociale

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Recensione di Liucs a “Ilva Football Club” di F. Colucci e L. D’Alò

Quasi tutti noi, sin da bambini, abbiamo solcato i classici campetti di quartiere o di paese. Quasi tutti noi su quei campetti ci siamo formati: chi è diventato un calciatore professionista, chi continua a solcarli da semplice amante del calcio, chi ha smesso del tutto e chi è diventato un tifoso. Nel quartiere Tamburi di Taranto un semplice campetto di quartiere ha assunto un significato diverso, diventando sinonimo di riscatto, di libertà, di lotta sociale e di crescita.

Fulvio Colucci e Lorenzo D’Alò con Ilva Football Club (edizioni Kurunumy, 2016) ci parlano di queste lotte e quella voglia di riscatto contro e verso quella chimera chiamata ILVA, illusione di ricchezza che ha portato e continua a portare via intere generazioni.

Tre storie, tre testimonianze che ci parlano di vita reale, di quel rapporto “forzato” del quartiere Tamburi con la fabbrica posizionata al di la di un muretto e alcune montagne “ecologiche”, e di quei campetti di calcio ormai quasi tutti chiusi e inagibili a causa del forte inquinamento.

Campisolcati da tanti calciatori e le gesta di un’ipotetica squadra, l’Ilva Football Club, con quella maglietta grigia color siderurgico a intensificare il rapporto tra questi giovani e il “Mostro”; campi e spalti che per molti saranno un killer invisibile, impregnati delle polveri rosse assassine, ma allo stesso tempo saranno un luogo di riscatto e lotta.Giovanie non, con un destino segnato dalla Fabbrica Ilva. Chi entrerà nella sua pancia e non ne uscirà più vivo. Chi ne sarà perseguitato per tutta la vita e chi ne sarà colpito per osmosi.

«Il parroco dotò di una divisa i giovani figli del quartiere. Era grigia e qualcuno disse: Don frà potevi scegliere un altro colore? Il siderurgico già lo respiriamo, pure sulla pelle lo dobbiamo portare?»

Un muretto che segna un confine ideale con il quartiere Tamburi, superato solo per recuperare i palloni usciti dai campi di lotta e resistenza. Un cimitero dove spesso ci si ritrovava a recuperare quei palloni calciati con troppa forza. Anch’esso inquinato, dove i fumi e la polvere rossa continuano a perseguitare pure i morti. Ilva Fooball Club nella sua interezza è un libro carico di emozioni. Emozioni che pagina dopo pagina alternano rabbia, odio, orgoglio, e voglia di lottare.

Rabbia per tutte quelle morti. Odio verso chi, consapevole delle cose, ha ucciso intere generazioni e illuso una fantastica città.Orgoglio verso ogni singola persona che, attraverso il calcio, ha provato e prova le vie del riscatto e della ribellione a tutto ciò.Voglia di lottare per continuare in quei percorsi di lotta contro soprusi di questo genere.

«Al Tamburi vecchio, lo sappiamo, si respira di tutto e il prezzo pagato è stato altissimo. I giovani correvano, ma qualcosa di invisibile spezzava le loro gambe, metteva i sogni in fuorigioco ed era proprio ciò di cui avevano più bisogno: l’aria. Se penso che l’aria era lì ad assassinare ogni giorno un po’ me, i ragazzi, il quartiere, a spegnere a poco a poco il sorriso di tutti, io ,che avevo combattuto per tornare a respirare, tremo di rabbia per l’ennesima ingiustizia».

Alla fine, però, quello che rimane è rabbia. Perché il ricordo di quelle terre vissute in prima persona, gli sguardi della sua gente e la loro voglia di riscatto contro quel mostro è ancora vivo e impresso nella memoria, e questo libro ha riportato a galla quelle immagini ed emozioni. Perché se quelle terre non le vedi e non le tocchi con occhi e mani, tutte le storie su Taranto, il quartiere Tamburi e l’Ilva potrebbero sembrare pura fantascienza.

Purtroppo è tutto vero e questo importante libro ha il merito, attraverso le sue testimonianze, di capire e narrare la vera realtà di quella terra.