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«Cominceremo dallo stadio, ma andremo oltre»

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Liucs e Monta recensiscono “Togliatti Blocks. Frammenti di una sconfitta”

Ci sono storie, racconti, epopee rispetto ai quali non vorresti mai sapere se sono reali o frutto di pura fantasia. Se sei perfino un ultras e un comunista, la lettura di Togliatti Blocks non può che farti sperare e credere che tutto ciò che nel libro è narrato sia vero. Noi vogliamo pensare di sì.

Daniele Vecchi in Togliatti Blocks. Frammenti di una sconfitta (Libreria dello Sport, 2016) partendo dai gradoni dello stadio di Tatabanya, piccola cittadina dell’Ungheria governata dal nazionalista Orban, descrive in maniera semplice e genuina la vita e le gesta di strada degli ultras della squadra di calcio della città, i Togliatti Blocks, l’unica tifoseria comunista in un Paese dove fascisti e neonazisti hanno il controllo delle strade, le istituzioni e la polizia li spalleggiano e la memoria del passato è demonizzata e cancellata. «Questo gruppo ultras così viscerale, istintivo, impazzito e oltranzista coinvolse tutti coloro che erano stanchi di vedere teste rasate in giro come squadristi per le proprie città»: partendo da qui, entriamo con violenza nella situazione politica e culturale dell’Ungheria attuale (ma potrebbe essere benissimo qualsiasi altra nazione dell’est Europa) dove ogni simbolo che ricorda il comunismo è vietato per legge. Di questo i Togliatti Blocks e il loro leader Gorky, protagonista del romanzo, ne sono ben consapevoli: «Nel resto della città, nel resto del paese e nel resto del continente, sei un reietto, sei una merda, sei una zecca e mangi i bambini. I comunisti qua sono come la morte rossa, non bisogna nemmeno nominarli, sono peggio di una merda di cane appena pestata. Non so quale guerra tu vuoi combattere, ma qui di guerre da fare ce ne sono finché vuoi, se sei un comunista come me». E anche su questo aspetto, attraverso un’ organizzazione politico-militare di strada disciplinata, determinata e temprata negli scontri, i Togliatti Blocks faranno parlare di loro nell’intero Paese e non solo. Una crescita che anno dopo anno porterà alla trasferta più temuta e voluta dai cinquecento e più Blocks: quella di Budapest, che li vedrà lottare contro i più temibili neonazisti d’Ungheria, finendo perfino con le spalle al muro in diverse occasioni. Una crescita, però, che non sarà solo ad appannaggio dei componenti del gruppo, ma sarà per l’intera gente di Tatabanya: infatti, «i Togliatti Blocks esistono e resistono per espressa volontà del popolo».

L’autore ci fa ripercorrere per salti temporali e frammenti la vita di Gorky, il deus ex machina dietro i Togliatti Blocks, che vedrà l’Ungheria solo come ultima tappa del suo viaggio, iniziato nella Spagna post-franchista, passando prima per lo Stato-fasullo del Kosovo e poi per l’indomita Palestina. Un viaggio tortuoso fin dalla nascita, con quel sangue zingaro che mischiato al suo essere prima ribelle e poi comunista fino al midollo gli creerà forti problemi nella penisola iberica ultracattolica, dove il fascismo non se ne è mai andato, facendolo fuggire dalla sua terra catalana. Il viaggio di Gorky ci permetterà di capire i reali motivi dietro l’intervento delle “democrazie” occidentali nella guerra dell’ex Jugoslavia, dove sarebbe stata creata artificialmente quella no man’s land chiamata Kosovo: territorio franco e crocevia di tutti i traffici illeciti dell’intero emisfero, oggi base logistica e fucina di jihadisti e islamo-fascisti. Sarà qui che Gorky reperirà i documenti per entrare in Palestina allo scopo di aiutare, armi alla mano e cuore oltre il filo spinato, le popolazioni martoriate dai soprusi dello Stato sionista d’Israele, e sarà sempre a causa di quello che accadrà in questa terra bagnata dal sangue degli ultimi della terra ma non ancora vinta che il destino lo porterà nella cittadina ungherese di Tatabanya. Qui il progetto di ritornare alle base e alle basi.

«Bisognava sempre partire dalla base. Da lì nasceva tutto. L’abc del comunismo. Mai smettere di ascoltare i ragazzi di strada. Nutrirsi di loro e nutrirli con la saggezza popolare acquisita». La base è quel popolo che vive nei quartieri di periferia, nei casermoni operai dell’era sovietica, che tira a campare come può ma non si dà per vinto, dove un proletariato metropolitano giovane e smarrito ma con fame di aggregazione spontanea, lealtà, un ideale in cui credere e un gruppo in cui identificarsi si trova, ogni domenica, sui gradoni dello stadio a tifare e combattere per i colori della propria maledetta città. Dice Gorky: «Cominceremo dallo stadio, ma andremo oltre». Ma per andare dove? È questa la nostra domanda, ed è lo stesso Gorky che ci risponde all’interno del libro:

«Tra poco saranno in grado di essere autonomi, gli stai insegnando qualcosa che non hanno mai visto: lealtà, preparazione, fiducia in se stessi e… gli stai insegnando che uniti e aggregati si può vincere. […] Sembrano cazzate: la preparazione delle trasferte, le formazioni in fila, a cuneo, le consegne ferree, le simulazioni nei parcheggi. […] quello che tu stai dando a loro è molto di più. Loro grazie a te credono in qualcosa e si sentono parte di un grande progetto. Non si sentono disillusi e presi in giro come la stragrande maggioranza di questo paese e di questo mondo. Non stai giocando a nessun gioco. Questo non è un gioco. Questa è la vita vera».

Un bisogno di ritornare alla base che significa riportare il culo ben piantato nelle strade, con umiltà; saperle ascoltare, saperci parlare, saperle attraversare rispettando le sue regole non scritte, saperle organizzare e poi, all’occorrenza, guidare contro il nemico che spadroneggia attraverso fascisti e polizia. Stare con il popolo dei senza volto, piantare le radici tra la gente comune, mettersi a sua disposizione e mai offenderne la profonda dignità. Partendo da dove quel popolo si riunisce, soprattutto la sua parte più giovane e ribelle: dallo stadio, da una realtà vera, spontanea e non ancora completamente contaminata come gli ultras di Tatabanya.

Ed è quando la battaglia si fa più dura che il metodo, l’attitudine pragmatica e la schiettezza d’intenti di Gorky e dei Togliatti Blocks fa la differenza, rispetto alla restante galassia del “movimento”, dei compagni e degli antifascisti ungheresi. Perché quello dei Togliatti Blocks è davvero il ritorno alle basi:

«Erano pochi, frastagliati, divisi in mille correnti e assolutamente non organizzati. In queste situazioni, invece che rimanere uniti, si scadeva sempre, malgrado tutto, in piccole guerre tra poveri, in divisioni infinitesimali e in assurde micro-guerre interne, facendo il gioco del potere, il classico divide et impera: più le fazioni erano minuscole e agguerrite, e più facilmente erano controllabili, comandabili e manipolabili. Nelle realtà problematiche a ristretta diffusione popolare, di solito chi porta avanti ideali che non provengano dalla base diventa giocoforza forzato, forzante ed esasperante. Questo accadeva cronicamente agli Antifa di Debrecen e ungheresi in generale: nessuna radice nel popolo, nessuna attenzione al malcontento vero che proveniva dalla base. Agli occhi di coloro che non erano comunisti ma nemmeno si riconoscevano in un governo fantoccio in mano ai poteri forti dell’estrema destra, gli Antifa apparivano solo come una manica di medio-borghesi benestanti figli di papà che si facevano il viaggio di “combattere” i fascisti. Sena nessun appiglio popolare, senza nessuna credibilità, senza nessuna presenza sul territorio, senza nessun lasciapassare storico politico da sfoderare in caso di necessità. Per questo motivo non riuscivano a fare breccia nella gente».

Nessun “successo”, nessuna “fama”, nessuna “notorietà” da social, nessun gioco di potere, nessuna volontà di emergere o dirigere, nessun personalismo per i Togliatti Blocks, considerati da loro – e a ragione – solo cazzate: li muove solo l’oltranzismo ideologico e mentale di combattere i fascisti sugli spalti e per le strade, colpo su colpo, insieme, senza lasciare indietro nessuno, e di prendersi così il riscatto per la gente di Tatabanya.

Un libro davvero completo, quello di Daniele Vecchi, dove non c’è traccia di minima paura a raccontare, attraverso la narrazione, fatti, dinamiche, prospettive tristemente reali. Un libro, e non ci vergogniamo a dirlo, a tratti commovente ma al contempo sempre esaltante e coinvolgente, grazie alla minuziosa descrizione degli scontri tra i Togliatti Blocks, le tifoserie naziste e la polizia.

Un libro che ti pone le basi per approfondire contesti, situazioni e storie reali come quelli del mondo ultras o quello ungherese. Un Paese, l’Ungheria, che potrebbe sembrarci geograficamente lontano, ma che politicamente e culturalmente sta diventando incredibilmente vicino. Un modello che se non affrontato con le giuste tempistiche e metodologie, attraverso un cambio di passo, di atteggiamento e di visione d’insieme, potremmo ritrovarcelo in casa nostra senza accorgersene. 

“Noi siamo la gioventù più colorata della nostra grigia nazione. Noi siamo il cuore rosso e indipendente di un corpo clinicamente morto. Noi siamo i figli del popolo e i padri della rivoluzione. Noi ci rivolgiamo al nostro nemico con la fronte alta, con la mazza in una mano e con il martello nell’altra. Noi siamo leali con i nostri amici e spietati con i nostri nemici. Noi siamo l’avanguardia di ciò che era e gli esploratori di ciò che sarà. Le nostre azioni sono degne della nostra storia. Togliatti Blocks, Comunisti, Combattenti. Appartenenza, aggregazione, kaos. Quando finirà la nostra storia inizierà la nostra leggenda.”

(Manifesto ideologico dei Togliatti Blocks)