Stampa

15M: Nuit Debout partout

on .

Intervento di Davide Gallo Lassere sul movimento francese in occasione di un dibattito presso Piano Terra a Milano

Inizierei col sottolineare il fatto che intrattengo un semplice rapporto di semi-internità rispetto a Nuit debout, nel senso che dal 31 marzo vado regolarmente a Place de la République, tra le 3 e le 5 volte a settimana, seguo i dibatti nelle AG – in particolare i momenti di restituzione e di sintesi –, partecipo a delle commissioni (economia politica, azione collettiva, internazionale ed Europa), organizzo dei dibattiti, per esempio sul reddito di base assieme alla Cip, e prendo parte a delle iniziative di blocco, di disturbo o di solidarietà che partono da Place de la République per andare aldilà di Place de la République.

Ma non sono il referente o il porta-parola di nessuna commissione o sotto-commissione, così come non mi sono implicato direttamente e in continuazione all’interno di una commissione in particolare, anche se poi magari, se volete, possiamo parlare dell’organizzazione degli incontri del weekend scorso con gli internazionali. Tutto ciò per dire che mi limiterò ad apportare, questa l’intenzione perlomeno, qualche elemento di riflessione generale, in modo da poter affrontare al meglio la discussione, che, immagino, finirà per concentrarsi soprattutto sull’Italia e sul lancio di Nuit debout a Milano e altrove questo weekend.

Mi pare che la prima cosa da porre in risalto per comprendere la mobilitazione in corso in Francia – con tutte le sue specificità, in particolare, e insisterò molto su questo punto, per quanto attiene all’articolazione tra le proteste contro la legge-lavoro (che vedono implicati in prima linea studenti, lavoratori e sindacati) e Nuit debout (la cui composizione è più mista) – per comprendere questa mobilitazione è importante ricostruire le coordinate spazio-temporali della crisi globale scatenatasi nel 2007-08 e del ciclo di lotte che l’ha accompagnata (sequenza greca, primavere arabe, Indignados, OWS, proteste brasiliane, turche, etc.). Bisogna cioè contestualizzare la mobilitazione in un quadro più largo, mostrando come “il lungo marzo francese”, se vogliamo chiamarlo così riprendendo una formula di Giovanni Arrighi, è tale non solo perché si prolunga aldilà del 31 marzo, ma anche perché affonda le proprie radici in una storia recente che lo precede. In particolare, per quanto riguarda la Francia, credo che i due fenomeni seguenti abbiano giocato un ruolo davvero cruciale nel “prima Nuit debout”: le rivendicazioni sindacali dello scorso autunno, e la cappa che ha soffocato lo spazio pubblico nazionale – e parigino in particolare – in seguito agli attentati di gennaio e novembre 2015.

Da un lato, mi pare che le quattro manifestazioni che hanno scandito la fase espansiva del mese di marzo (il 9, il 17, il 24 e il 31 marzo) hanno fornito una forma collettiva e quasi-unitaria ai conflitti settoriali di Goodyear, Continental, Air France, etc., dando luogo a una sorta di climax ascendente culminato con la giornata del 31 marzo – giornata in cui prima sono scese in strada un milione e mezzo di persone, di cui un milione a Parigi, e giornata che ha inaugurato la Nuit debout. A tal proposito, l’entusiasmo con il quale è stata sottoscritta la petizione online contro la proposta di legge El Khomri tra fine febbraio e inizio marzo costituisce un momento emblematico di giunzione. Dall’altro, ciò che è veramente notevole con Nuit debout è la trasformazione che è riuscita ad imprimere al dibattito e allo spazio pubblico francese. Jacques Rancière, un filosofo allievo di Althusser, l’ha sottolineato chiaramente in un’intervista tradotta in italiano da Dinamo Press e rilanciata da Euronomade: Place de la République è passata da luogo della sofferenza e del lutto collettivo, da luogo di una gioventù ferita ed impotente, a spazio di discussione e di azione politica, a punto sociale e geografico di una soggettivazione politica che mira a rimettere in causa non solo la legge EK, ma delle fette intere del mondo esistente (e, di nuovo, questa sensazione di debordamento del quadro era già molto presente nelle AG universitarie e “interlotta” che hanno costellato il mese di marzo). Mi sembra che anche qua il sito http://www.onvautmieux.fr/, messo in atto dal collettivo omonimo e divenuto virale verso la metà del mese di febbraio, costituisca una sorta di ponte (di nuovo, quindi, come con la petizione online, metà febbraio come momento di passaggio…), costituisce un ponte il sito #onvautmieuxqueça nella misura in cui, in linea con la crescita della contestazione nei luoghi di lavoro, ha impresso il passaggio da una narrazione delle esperienze vissute ruotanti attorno al dolore per le vittime, al cordoglio e alla paura del terrorismo verso il racconto delle discriminazioni quotidiane sul luogo di lavoro: maltrattamenti e i soprusi vari, richieste extra-contrattuali, orari eccessivi, vessazioni, paghe irrisorie, discriminazioni razziste e sessiste, etc. etc. scatenando così quella presa di parola, così diffusa sulla piazza, che ha provocato un’affettività e una volontà di azione comuni.

Questa piccola doppia premessa semplicemente per dirvi come l’effervescenza di questi ultimi due mesi non nasce dal nulla, che vi erano già lì diversi tasselli che non configuravano ancora una trama, ma che hanno senz’altro preparato l’atmosfera. Anche il film stesso di Ruffin, Merci patron!, ha cominciato ad essere proiettato a metà febbraio. E questo documentario assieme alle vertenze sindacali e ai video di #onvautmieuxqueça rappresentano a mio modo di vedere degli episodi di riscatto, ciascuno paradigmatico a modo suo, che hanno iniettato un desiderio di rivincita capace di allontanare al contempo il sentimento d’impotenza.

Ricordare questi elementi di continuità (per quanto riguarda il mondo del lavoro) e questa evoluzione della Piazza e del sentire cittadino (dall’unità nazionale soffocante del dopo CH e dalla buona accoglienza riservata allo Stato d’emergenza alla disillusione nei confronti del sistema politico in vigore), ricordare questi elementi, l’ascesa della conflittualità sindacale e la politicizzazione di una parte della cittadinanza, non è innocuo in quanto la specificità della mobilitazione francese rispetto a quanto successo nella maggior parte degli altri contesti nazionali dopo il 2011, a parte forse la Grecia, comporta la messa in evidenza dell’azione reciproca, molto forte a mio avviso, che sussiste tra lotte salariali e rimessa in causa più generale dell’esistente, tra critica dello sfruttamento e critica del dominio, se volete, in fondo, tra critica del capitale e critica dello Stato, nella sua duplice forma di critica della delega e di critica delle violenze poliziesche, che è proceduta in parallelo con l’inasprimento della repressione – poi se volete ci ritorniamo, in quanto è un tratto sempre più distintivo. (Se ne parla forse di meno, delle manifestazioni, ma sono a mio parere, e non solo mio ovviamente, davvero centrali, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo: ve ne sono state otto tra il 9 marzo e il 1° di maggio, ve ne è stata una oggi, non all’altezza delle attese, da quanto mi è stato detto, e già altre due sono annunciate per la prossima settimana).

Questa azione reciproca, appunto, è in opera anche tra il carattere di massa e via via più risoluto delle manifestazioni (è davvero interessante considerarle politicamente nella loro evoluzione) e l’occupazione (simbolica o meno) delle piazze – a Parigi, per esempio vi è accordo con la prefettura, non si tratta quindi di un’occupazione vera e propria (poi, se volete, ne discutiamo). Le manifestazioni rappresentano a mio modo di vedere una delle condizioni politiche decisive della durata e della riproduzione di Nuit debout, mentre Nuit debout si configura come la principale condizione materiale della ripresa delle manifestazioni (soprattutto a Parigi, dove c’è carenza di spazi sociali condivisi); Nuit debout, dunque, come luogo sociale e geografico verso cui convogliare le energie per continuare a incontrarsi, a dibattere, a confrontarsi, a organizzarsi e a lanciare delle iniziative ulteriori.

Allora, per capire bene cosa sta succedendo in Francia credo che bisognerebbe insistere su diversi elementi, ne menziono quattro in modo molto lapidario, e poi vediamo un po’ assieme se cominciare a discutere o se effettuare qualche considerazione sul weekend scorso coi compagni e con le compagne milanesi che erano a République sabato 7 e domenica 8.

Rapidissimamente i quattro altri fattori da tenere a mente per capire la mobilitazione francese, e che possono fornire degli spunti per il dibattito:

1. la centralità che il salariato e il sistema welfaristico classico mantengono tutt’ora in Francia come istituti attraverso i quali avviene l’inserzione sociale (questa è una specificità tutta francese, la quale cela senz’altro un razzismo strutturale, perché ad essere esclusi dal salariato e dal welfare classico sono proprio i soggetti post-coloniali);

2. la crisi del Partito Socialista dopo le promesse elettorali tutto sommato galvanizzanti del 2012 e la strategia pericolosa di Valls di un neoliberalismo sempre più autoritario, disastrosa nell’immediato e terribilmente inquietante per il futuro prossimo, che può rivelarsi masochistica per il Partito Socialista a breve termine, ma che deve invece essere considerata e valutata come una strategia di medio raggio;

3. la presenza trainante di giovani e giovanissimi durante le manifestazioni, che hanno toccato punte di conflittualità di un’intensità decisamente elevata, e che sono ciononostante riuscite a contagiare positivamente settori normalmente più restii della popolazione e della sinistra tradizionale a certe forme di manifestazione del dissenso;

4. la fondamentale assenza, pesante e sintomatica, dalla mobilitazione della gioventù segregata e razzializzata dei quartieri popolari e delle cités, che costituisce il vero nodo da districare in Francia da oltre un decennio ormai e che rappresenta il vero filo conduttore tra le rivolte delle banlieue del 2005 e gli attentati del 2015.

Se siete d’accordo, per il momento io mi fermerei qua, lasciando magari la parola appunto ai compagni e alle compagne che hanno preso parte alle giornate del 7 e dell’8 maggio che si sono svolte a Parigi.

Pubblicato anche su Effimera