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Le primarie americane. Intervista a Bruno Cartosio

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Intervista di Commonware a Bruno Cartosio sulle primarie americane.

Secondo Lei, quale effetto hanno avuto le speranze e le delusioni della presidenza di Obama sulle primarie americane?

Le speranze sono state grandi, e inevitabilmente non hanno potuto essere soddisfatte. Le delusioni sono state anch'esse forti. Tuttavia, credo che le due campagne elettorali di Obama hanno avuto un valore in termini di capacità di mobilitazione indipendentemente e oltre la sua elezione. Gli otto anni di presidenza sono stati portatori di speranze, parole d’ordine e aspettative molto alte, con un leader in grado di toccare nei suoi discorsi politici alcuni punti chiave politico-sociali provenienti dall'esterno dell'agenda politica istituzionale.

Ma Obama non avrebbe potuto parlare tanto della disuguaglianza negli Stati Uniti, della contrapposizione tra chi ha e chi non ha, della crisi della middle class, se non ci fossero stati i movimenti: Occupy, il movimento dei Latinos, il movimento nero e in alcune città movimenti locali che hanno messo all’attenzione pubblica quelle tematiche.

Quindi Sanders arriva su una realtà che è già stata modificata da tutti questi elementi. Per esempio, quando Obama insiste sulla necessità di innalzare il salario minimo dice una cosa sacrosanta e che in grado di essere sostenuta da tutte le competenti della sociologia e della sinistra politica e sociale negli Stati Uniti; pero non ci riesce, non riesce ad imporre un aumento significativo. Tuttavia, intorno a Obama e ora intorno a Sanders, esiste un movimento di base che ha portato in molte città e in molti stati il salario minimo a quindici dollari, il doppio di quello che Obama era riuscito a ottenere. Quindi Sanders può contare sull’esistenza di questa forza che viene dai movimenti di base.

Pensa che queste lotte aprano la possibilità di un’alternativa che sfidi i Democratici, e anche Sanders, da sinistra e possano andare oltre la politica istituzionale?

C'è da capire cosa si intende per alternativa. Sanders è in se stesso un alternativa. Certamente non ha dietro di sé l’intero partito democratico, esattamente come Obama non lo ha avuto. Sanders è una figura molto innovativa all'interno della politica istituzionale, lui tende anche a qualificarsi come rivoluzionario… Ma anche ammettendo che lui sia una riformatore, che vuole riformare le cose in profondità, questo non rappresenta certamente la linea del partito democratico.

Rappresenta invece una piccola parte dei democratici e una parte, un po’ più grande, della società americana. L’importanza di Sanders è quella di fare appello, di dare a voce, a questa parte della popolazione, e a una parte del movimenti che sta dentro la popolazione. Ma certamente nei confronti della politica istituzionale Sanders è in posizione di rottura, al meno per ora.

In un recente articolo pubblicato su Commonware, Andrew Ross afferma che se Hillary Clinton si muovesse verso sinistra potrebbe assorbire la forza della sfida di Sanders, mentre “la crisi è molto più profonda sull’altro lato, dove di fronte all’imprevista ascesa di Donald Trump, la tradizionale coalizione conservatrice appare cadere a pezzi.” Lei è d’accordo?

Clinton è stata sicuramente costretta a spostarsi un po’ - non tanto - a sinistra, o comunque a modificare la propria retorica introducendo qualche elemento più di sinistra, per contrastare la corsa di Sanders. D'altra parte gli interlocutori economici, sociali e politici della Clinton non sono gli stessi di Sanders. Quando Sanders dice che i rapporti della Clinton con Wall Street sono troppo forti ha perfettamente ragione, ed è per questo che la Clinton ha dovuto dedicare un po’ più di attenzione ai temi sociali. Però, una volta diventata la candidata del Partito Democratico, continuerebbe a usare la propria retorica, e infine come presidente non dovrebbe più rendere conto a nessuno della sua politica centrista. Una politica sulla linea di suo marito, più che di Obama.

Il partito repubblicano è invece in una situazione molto complessa: Ted Cruz è un'altra figura molto poca raccomandabile ed è inaccettabile rispetto alle domande che la società ha posto. La questione è che all'interno della società e al margine dei movimenti c'è una dose di protesta cieca, senza sbocchi, che magari si identifica in una parte dalla classe operaia bianca e maschile. Che il messaggio di uno come Trump possa arrivare a catalizzare una fetta dei lavoratori frustrati, scontenti, incazzati, maschi e bianchi è sintomatico della situazione politica statunitense. Credo che questi lavoratori non sappiano più cosa pensare di se stessi, della loro vita e della società in cui vivono. Sono totalmente sbandati, e questo è pericoloso.

E' noto che anche Sanders ha una base elettorale in grande maggioranza bianca – non raggiungendo la stessa popolarità di Clinton tra gli elettori afroamericani. Quali sono secondo lei i motivi?

Bill Clinton era stato il primo ad aver avuto una grande maggioranza del voto afroamericano. Il quale poi, per ovvie ragioni, aveva continuato a riversarsi sul candidato democratico, cioè Obama. Hillary Clinton, in tutti gli anni in cui suo marito è stato presidente, è stata una figura pubblica di un certo rilievo, fino a ricoprire incarichi importanti anche nell'amministrazione Obama. Una delle sua “qualità” è stata quella di coltivare i propri rapporti politici e le proprie conoscenze, e di usare a proprio vantaggio la macchina del partito e quella delle associazioni vicine al partito democratico, afroamericane e latine.

Si è visto nella sua campagna nel sud, nella facilità con cui la Clinton entrava in contatto con persone rappresentative nelle singole località. Mentre Sanders non ha familiarità con quelle figure, viene dal Vermont, non dall' Arkansas. La sua capacita è stata quella di fare dei discorsi molto avanzati sulla disuguaglianza, sul razzismo, sulla sanità pubblica, ma non può godere dei rapporti storici che la famiglia Clinton si è costruita.

Tanto Sanders come Trump si sono ritratti come un’opzione di protesta proprio contro queste figure da anni parte dell’‘establishment’.

È difficile dire che Sanders non è parte dell'establishment. È uno che ha fatto il sindaco per metà della sua vita e poi è entrato in Senato, cioè ha fatto politica da quando aveva 15 anni. Non è stato a Washington per una buona parte del suo percorso politico ma dire che non è parte dell'establishment è una stupidaggine. Sono semplificazioni giornalistiche che vengono proposte per dare delle esplicazioni semplici e superficiali a delle realtà che invece sono più complesse e richiedono ragionamenti un po’ più complicati. Guai a prendere Sanders semplicemente come una figura anti-establishment portatore di una protesta. Sanders fa un discorso molto serio sulla disuguaglianza sociale, cosa che certamente Trump non fa. Trump è anzi la testimonianza vivente della volgarità, della brutalità e della violenza derivanti dalla disuguaglianza sociale e della capacita dei ricchi di fare quello che vogliono.

Supponendo che Trump sia designato, pensa che sia possibile per lui raccogliere un sostegno abbastanza ampio da vincere la presidenza?

Non credo. Negli stati uniti, i candidati più estremisti non sono mai riusciti a vincere. Da Goldwater in avanti, nelle file repubblicane, c’è sempre stato qualcuno più a destra degli altri, e non ha mai vinto. Credo che Trump non ha quindi possibilità di vittoria, sia contro Clinton che contro Sanders.