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Note a “L’anima al lavoro” di Bifo

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Considerazioni di Liucs sul libro di Bifo

Non è stato facile l’approccio a questo libro non avendo formazione umanistica e non avendo avuto la possibilità di approfondire molti degli autori, filosofi e studiosi che sono citati. Mi è interessato semplicemente mettere a confronto chi studia il mondo del lavoro e del capitale con chi (me stesso) ogni giorno varca i cancelli di una grande fabbrica. Un metodo che credo bisognerebbe utilizzare con più frequenza per mettere a verifica quello che si teorizza con la realtà di tutti i giorni nei posti di lavoro.

Negli ultimi anni si sente parlare, scrivere e analizzare molto di lavoro cognitivo, questo libro è uno dei tanti, che però nonostante sia stato scritto nel 2008 agli albori della crisi e dell’inizio di un nuovo processo di trasformazione del capitale, rimane molto attuale in ogni aspetto che viene affrontato dall’autore. La domanda che mi sono posto io pagina dopo pagina è la seguente: siamo sicuri che all’oggi è giusto soffermarsi solo a parlare di lavoro cognitivo?

È vero che il capitale nel riformarsi negli anni, nel tentativo di spegnere le lotte e riprendere in mano le redini dello scontro tra capitale e lavoro ha avviato un processo costante di automazione e informatizzazione, ma è anche vero che nei posti di lavoro, quali essi che siano, il “capitale umano” rimane una costante fissa. È vero che per produrre ricchezza (sempre più per pochi) oramai i processi sono automatici e informatizzati e che questi processi richiedono sempre meno risorse umane, ma è anche vero che il “soggetto” umano c’è ed è reale.

Il rischio serio è che concentrandosi troppo sul concetto di “cognitivo”, che esiste ed è reale, si rischi di perdere anche il focus su soggettività che potrebbero essere reali soggetti per un conflitto che troppo spesso teorizziamo ma che non trova sbocchi pratici. Soggettività che si trovano a non esprimere quei saperi – cognitivi – che attraverso un mondo formativo sempre più “industria” li prepara semplicemente a un futuro di sfruttamento.

Assistiamo sempre più a soggetti che finito il loro percorso di studi e di formazione trovano come unici sbocchi posti con contratti a termine, sottopagati e con livelli di sfruttamento che riportano molti luoghi di lavoro ai livelli dei primi decenni del secolo scorso. Un esempio su tutti sono i sistemi cooperativi che vedono molti lavoratori con lauree e master accettare condizioni di lavoro disumane pur di poter tirare avanti; oppure come è successo durante l’Expo del 2015 a Milano, dove si chiedeva manodopera e intelligenza a costo zero con la promessa che quell’esperienza avrebbe fatto curricula e con prospettive di lavoro che poi non sono mai arrivate.

È importante, ripartendo dagli esempi fatti prima e anche dalle analisi che si fanno nel libro L’anima al lavoro, ripensare il concetto di estraneità e riorganizzarla in maniera autonoma. Avere l’umiltà di capire che il mondo del lavoro, qualunque esso sia, è ancora un pezzo importante dove andare ad agire come soggetti rivoluzionari; avere l’umiltà di smettere di pensare al proprio orticello e avere una veduta più ampia di quello che ci si muove intorno, non pensare alle lotte solo per fini personali e pensare alle soggettività come reali componenti di lotta, perché a forza di raccontarcela rischiamo veramente di arrivare ancora una volta non uno ma due o tre passi indietro rispetto ai nostri avversari.

In conclusione ribadisco il fatto che sì il lavoro cognitivo è da pensare, studiare ed è un campo su cui agire, ma ricordiamoci che quella che veniva definita classe operaia c’è ed è reale. Pensare che non esista più solo perché è in mano a soggetti riformisti e reazionari è un grosso errore. Quelle soggettività ripartendo dai fondamentali e dalle basi deve ritornare ad essere oggetto di studio, e agire nostro, un agire autonomo.