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Il corpo ribelle e i roghi in Europa

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Recensione di Anna CurcioCalibano e la strega di Silvia Federici

“Come le recinzioni espropriarono i contadini dalle terre comunali, così la caccia alle streghe espropriò le donne dal proprio corpo, ‘liberato’ (…) a funzionare come una macchina per la produzione della forza-lavoro”. Questa in sintesi l’ipotesi teorica che Silvia Federici propone in Calibano e la strega. Le donne, il corpo e l’accumulazione originaria, edizione riveduta e aggiornata di Il grande Calibano – classico del femminismo marxista che Federici scrisse con Leopoldina Fortunati negli anni Ottanta – finalmente anche in traduzione italiana (Autonomedia 2014, trad. it. Mimesis 2015, pagine 234, euro 30,00). Ripensare lo sviluppo del capitalismo da un punto di vista femminista, considerando cioè l’accumulazione e riproduzione della forza-lavoro. Non solo dunque accumulazione di “lavoro morto” come beni espropriati con la recinzione delle terre o attraverso la razzia coloniale che Marx considera, seppur con peso tra loro differente, ma anche accumulazione di “lavoro vivo” sotto forma di esseri umani, resi disponibili allo sfruttamento dal controllo esercitato sul corpo delle donne. E qui, la critica si fa puntuale: nell’assumere il proletariato industriale salariato quale protagonista dell’accumulazione originaria Marx ha perso di vista le profonde trasformazioni che il capitalismo ha introdotto nella riproduzione della forza-lavoro e nella posizione sociale delle donne.

Intorno a questa ipotesi Federici intreccia una trama narrativamente ricca. Un racconto prezioso delle molte, spesso taciute, lotte che hanno accompagnato la transizione al capitalismo. Donne, contadini, piccoli artigiani e vagabondi, generalmente cancellati dalla storica, assurgono in Calibano e la strega a veri protagonisti. Ne risulta un testo teoricamente denso e al contempo una narrazione estremamente godibile, cha ha il merito di restituire centralità alla lotta delle donne nella nascita del proletariato mondiale a cavallo tra la crisi del feudalesimo e lo sviluppo del capitalismo.

Con questo obiettivo il volume ripercorre la storia della caccia alle streghe nel Medioevo, evidenziando i processi di criminalizzazione e degradazione sociale che colpirono le donne, il loro lavoro, i loro saperi e pratiche all’indomani della crisi demografica seguita alla Peste Nera in Europa. Allo stesso tempo, intreccia i destini delle streghe in Europa a quello dei sudditi coloniali nel Nuovo Mondo, insistendo sui processi di inferiorizzazione e sulla costruzione di gerarchie razziali che accompagnano l’espansione coloniale. Cosicché l’esplicito riferimento al Calibano shakespeariano de “La tempesta”  permette all’autrice di portare in primo piano le ansie e le paure che affollavano l’immaginario della classe dominante tra le due sponde dell’Atlantico, ovvero quelle forme di solidarietà sociale tra donne e uomini in Europa e tra “bianchi, neri e aborigeni” nelle colonie che avevano reso possibile la resistenza contadina all’espulsione dalle terre o la Ribellione di Bacon che, nella Virginia prerivoluzionaria, aveva agitato i sonni dei coloni britannici per alcuni anni.

Da questa angolazione, l’accumulazione capitalistica che Federici marxianamente indaga è soprattutto “un’accumulazione di differenze”, di ineguaglianze e gerarchie costruite sul terreno del genere e della razza; processi di segmentazione sociale costitutivi del dominio di classe. Per questo Federici non ha dubbi: la caccia alle streghe è “guerra di classe portata avanti con altri mezzi”. Un’iniziativa politica di vasta portata (dalla politica alla filosofia fino alla medicina) per minare le attività cooperative alla base della società contadina e mutare l’antagonismo di classe in antagonismo tra donne e uomini.

Due secoli di “terrorismo di stato”, tra il XVI e il XVII secolo, avrebbero dunque insegnato agli uomini a temere il potere delle donne, soprattutto il controllo esercitato sulla funzione riproduttiva. Mentre la donna “prodotta” come essere sui generis, “lussuriosa e incapace di governarsi” fu sottoposta al controllo maschile. E Federici può così ribadire il carattere artificiale dei ruoli sessuali nella società capitalistica. La stessa sessualità femminile fu sanzionata, criminalizzando quelle attività non orientate alla procreazione e al sostegno della famiglia. La prostituzione, fino a quel momento funzione sociale, fu svalutata perché non procreativa. Finanche la nudità e le danze furono proibite e la sessualità collettiva al centro della vita sociale nel medioevo divenne “l’orgia mostruosa”, “incontro politico sovversivo” del sabba. Le nuove coordinate della femminilità si orienteranno allora tra “lavoro di servizio all’uomo e all’attività produttiva”, monogamia e una nuova concezione della famiglia “con il marito sovrano e la moglie suddita del suo potere”, mentre il corpo della donna diventava macchina della riproduzione.

In questo senso, la caccia alle streghe è soprattutto “lotta contro il corpo ribelle”: il tentativo messo in atto da chiesa e stato per trasformare le capacità dell’individuo in forza-lavoro; cosa che mistificherà, da lì in avanti, il lavoro orientato alla riproduzione come destino biologico. Il corpo – l’utero in particolare – si fa dunque “macchina da lavoro”: bestia mostruosa da disciplinare da una parte, involucro e “contenitore” della forza-lavoro dall’altra, salendo alla ribalta del pensiero politico del tempo (da Hobbes a Descartes) come prerequisito per l’accumulazione capitalistica. Non sorprenderà allora che ogni pratica abortiva o contraccettiva sarà condannata come maleficio, mentre le donne saranno espulse da quelle attività come l’ostetricia o la medicina che avevano fin lì esercitato sulla base di saperi tramandati nel tempo.

Una vera e propria “politica del corpo” sottolinea Federici, in cui il corpo non è fattore biologico né il “soggetto universale, astratto, asessuato” della “Storia della sessualità” di Foucault, precisa. Ma è un corpo situato, denso di “rapporti sociali” (non solo di “pratiche discorsive”) fonte di sfruttamento e alienazione e al contempo spazio di resistenza. E nella misura in cui, come Federici tra altri sottolinea, l’accumulazione originaria è un processo che si ripete in ogni fase dello sviluppo capitalistico e dentro le sue crisi, il corpo e le attività legate alla riproduzione restano oggi, come agli albori del capitalismo, un campo di battaglia. E qui si rintraccia l’estrema attualità di Calibano e la strega

 

* Pubblicata anche su "il manifesto", 30 marzo 2016.