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Guerra civile in Medio Oriente

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Articolo di Otonom* su guerra, contesto turco e movimento di liberazione curdo

Stiamo attraversando una terza guerra mondiale, che al contrario delle guerre mondiali precedenti non appare nella forma di una guerra generalizzata interstatuale. Assomiglia di più a una guerra civile tra “micropotenze sovrane”. Risiede principalmente qui il carattere postmoderno della nuova guerra mondiale.

Questa guerra civile postmoderna si distingue per due particolarità. La prima è la debolezza delle forze libertarie nella resistenza (fa eccezione il movimento di liberazione curdo), rispetto alla prevalenza di partiti fascisti. La seconda caratteristica è che ogni soggetto coinvolto nella guerra sta attraversando al contempo una guerra al proprio interno. In altri termini, sono tutti immersi nella propria guerra civile. Inutile dire che questa guerra è un complesso di conflitti religiosi, settari ed etnici esacerbati. La terza guerra mondiale assume la forma di un’infinita ed estesa guerra civile condotta attraverso una molteplicità di guerre civili.

La risposta di Lenin alla prima guerra mondiale è stata di trasformare la guerra imperialista in guerra civile. In questo momento la nostra risposta potrebbe essere di “trasformare le guerre civili in rivoluzioni”. Tuttavia, le nostre aspettative in questa direzione sono piuttosto basse. L’attuale composizione di forze non offre prospettive rivoluzionarie, soprattutto perché la guerra odierna è insistentemente percorsa da conflitti tra le forze controrivoluzionarie e al loro interno. Non ci aspettiamo che da questa guerra civile sorga una rivoluzione, dato che il ruolo dell’opposizione e della resistenza è occupato dall’Islam jihadista perfino in Palestina, che ha una lunga tradizione di resistenza rivoluzionaria. Il fatto insopportabile è che questa guerra è prodotta dal basso e il fascismo è desiderato ovunque, come si vede chiaramente nella provocazione delle guerre civili da parte delle forze controrivoluzionarie. Tra i soggetti che partecipano a questa guerra, al di là del movimento di liberazione curdo non vi sono altre forze libertarie.

Per offrire una visione generale della guerra globale in corso, affrontiamo lo stato attuale delle cose analizzando cinque questioni e dalla prospettiva di tre tendenze antagoniste. A seguire, ci concentreremo quindi sulla sinistra, sull’Islam, sulle varie potenze imperiali e regionali, sul movimento di liberazione curdo, infine sui migranti siriani in Turchia. La distribuzione antagonista dei poteri nelle tendenze moderniste, post-moderniste e alter-moderniste ci guideranno nell’esplorazione della scena globale della guerra tra molteplici attori.

1. La sinistra

Come ribaltare questa guerra barbara in un’opportunità rivoluzionaria? Quali possono essere le tendenze creative che vengono fuori da questa crisi generalizzata? Purtroppo, da questo punto di vista lo stato presente della sinistra non dà troppe speranze. La tradizione di sinistra nei paesi islamici del Medio Oriente e del Nord Africa non è fortemente radicata, così come è carente il retroterra di una sinistra socialdemocratica. Non abbiamo qui una tradizione radicale di resistenza contro la religione e contro lo Stato. Seguendo le orme della tradizione modernista, la sinistra in generale è dominata dall’apologia dello Stato-nazione, che è una continuazione del suo carattere anti-imperialista ma anti-democratico.

Il modernismo non si è mai tramutato in un potere sociale consolidato nel Medio Oriente. Gli stati-nazione sono sempre e ovunque stati vissuti come il dominio di una forza politicamente reazionaria e coercitiva. La Turchia, che si presume essere il primo e solo Stato “laico e democratico” nella regione, è un esempio distintivo di questa tensione. Il kemalismo, l’ideologia fondante della Repubblica turca, si è già dissolto. Per dirla in breve, il modernismo è stato un fallimento totale, in cui è stata coinvolta anche la sinistra. Identificata con l’Occidente e il modernismo, la sinistra è sempre stata denunciata dalle persone come una sorta di ateismo. La società islamica non sembra adattarsi a nessuno dei valori occidentali, escluso il valore di scambio, cioè il denaro. La volontà di democrazia o libertà è stata schiacciata dalla volontà di sovranità.

La concomitante dissoluzione del modernismo e degli stati-nazione nella regione si accompagna all’ascesa di nuove potenze. Il rovesciamento e l’impiccagione di Saddam Hussein e la presa del potere dell’AKP in Turchia sono stati i due momenti cruciali nell’accelerare tale dissoluzione. È ancora difficile prevedere quali forze occuperanno gli spazi vuoti. L’Islam politico sembra fin troppo potente con la sua base sociale. La sinistra, immersa in una sorta di sciovinismo sociale dovuto alle sue radici politiche e alle aspettative fortemente legate al modernismo e allo Stato-nazione, è incapace di offrire un’alternativa.

Tra i paesi islamici, la Turchia sembra essere il luogo principale su cui investire ancora le nostre speranze, date le crescenti prospettive per una nuova ondata di sinistra legata al prevalere del movimento di liberazione curdo, insieme ai successi registrati in Rojava. Qui siamo passati attraverso la costituzione di una nuova sinistra, che è cominciata con la resistenza di Gezi ed è stata rafforzata dal crescente potere del Partito Democratico del Popolo (HDP). Le possibilità di una sinistra alter-modernista si incarnano nel movimento di liberazione curdo. Questo è il motivo per cui ci si può aspettare il ritorno di Gezi, ma stavolta ancora più forte.

Perciò si può dire che la sinistra è divisa in due tendenze principali: la sinistra modernista, che ancora afferma il primato dello Stato-nazione, e la sinistra alter-modernista, caratterizzata dal rifiuto dello Stato-nazione e rappresentata dal movimento di liberazione curdo. È attorno a questa divisione che si combatte la guerra civile all’interno della sinistra stessa.

2. L’Islam

La terza guerra mondiale è anche una guerra civile all’interno dell’Islam. La storia dell’Islam è in gran parte priva di quei potenti momenti di rinnovamento che abbiamo visto nella storia mondiale con la Grecia antica, durante il Rinascimento, l’Illuminismo e la nascita della modernità, o più tardi della post-modernità. È una religione da sempre strettamente legata allo Stato. In questo senso, il movimento salafita non è un fenomeno recente dell’Islam: l’Islam è per sua natura salafita, in quanto non tollera le riforme ed è privo di qualsiasi capacità di riformarsi. La tradizione politica dell’Islam è in larga misura fondata sul califfato e sul sultanato o gli emirati. La cultura politica è quella di un’alleanza. L’unico decisore è un califfo, un sultano o un emiro. Il bene e il male appartengono al giudizio del sultano.

Ci sono tre momenti di crisi politica nella storia dell’Islam: il primo è la divisione tra sette sunnite e sciite come risultato dell’uccisione di Ali (il genero del profeta); il secondo, l’abolizione del califfato all’indomani della prima guerra mondiale e la conseguente dissoluzione dell’unità politica dell’Islam; infine, la repressione e il controllo della crisi attraverso l’istituzione degli stati-nazione. La terza guerra mondiale ha condotto al ritorno dell’esplosione di queste tre crisi. L’ordine degli stati-nazione non può essere più sostenuto in Medio Oriente.

Come è noto, più della metà della popolazione irachena è composta di sciiti arabi. Anche il numero dei curdi è considerevole, anch’essi divisi al proprio interno tra sunniti e sciiti. In contrasto con la composizione della popolazione, il regime di Saddam in Iraq era di origine sunnita. È ciò che è esploso in quel paese. Al contrario, la maggior parte della popolazione in Siria, tra cui i curdi, è sunnita, mentre il regime di Assad è di origine sciita. Anche questa contraddizione è esplosa. Pure l’Egitto e la Turchia sono di origine sunnita. Siamo stati testimoni di come anche l’Egitto sia esploso.

Tra le altre cose, la terza guerra mondiale ha offerto all’Iran sciita l’opportunità di un predominio senza precedenti all’interno dell’Islam in Medio Oriente. Il blocco sciita è adesso al potere sia in Iraq che in Siria. Lo Yemen e i paesi del golfo sono divisi al loro interno. Come risultato, il blocco sunnita non è mai stato così debole nella storia islamica. Ciò spiega anche perché l’Isis si affermi come la sola potenza in grado di mantenere l’unità politica dell’Islam attraverso la ricostruzione del regno del califfato. L’Egitto è costretto a guardare in silenzio. I Fratelli Musulmani, radicati in Egitto e in Turchia come consolidata tendenza nell’Islam, e l’Arabia Saudita che rappresenta il wahhabismo, sono in uno stato di panico dovuto al collasso dell’Islam politico sunnita.

L’Islam è precipitato in una guerra civile tra i blocchi sciita e sunnita, aggravata dalla guerra civile all’interno dello stesso blocco sunnita.

3. Le potenze regionali-globali

L’intera storia risale alla strategia globale messa al lavoro con l’occupazione dell’Iraq. L’intenzione era di integrare l’Islam nell’Impero attraverso una protestantizzazione dei settori sunniti. La Turchia è stata il principale attore nella riforma dell’Islam, che ha permesso anche l’ascesa al potere dell’AKP. L’espansione della rivoluzione iraniana poteva essere impedita negli anni ’80 da una guerra di otto anni con l’Iraq, anch’essa sostenuta da Turchia, Arabia Saudita ed Egitto. Tuttavia, l’occupazione del Kuwait da parte di Saddam è stata la dichiarazione di una volontà di leadership dell’Islam sunnita. Ecco perché Arabia Saudita, Egitto e Turchia, insieme agli Stati Uniti, hanno deciso di rovesciare Saddam.

Però l’occupazione dell’Iraq ha condotto all’emergere di una potenza sunnita incontrollabile, che ben presto ha trasformato l’Iraq in un Afganistan. Allora l’AKP in Turchia e i Fratelli Musulmani in Egitto hanno insieme preso l’iniziativa per integrare l’Islam nell’Impero. Se funziona sarebbe perfetto, hanno pensato. La maggioranza sunnita in Siria era sotto il controllo dei Fratelli Musulmani, che avrebbero potuto abbattere il regime di Assad. La partecipazione di Hamas alle elezioni è stata parte di questa strategia. Il regime di Mubarak è stato rovesciato dalle primavere arabe, che avrebbero potuto estendersi alla Siria. I Fratelli Musulmani in Egitto, esitanti all’inizio della rivoluzione, sono stati capaci di catturarla attraverso le elezioni. Tuttavia, quando hanno preso il potere, si sono radicalizzati per diventare un Hamas dell’Egitto, reprimendo l’opposizione senza pietà. Le cose si sono ulteriormente complicate quando gli jihadisti hanno messo le mani sull’opposizione islamica in Siria. L’Isis è nato all’interno di questo scenario di conflitti di potere. Alla fine, la strategia imperiale doveva essere rivista.

Gli sforzi per reintegrare l’Iran nell’Impero e l’abbandono della strategia di rovesciamento del regime di Assad sono stati i risultati immediati della revisione della strategia imperiale. Ciò che è seguito è il colpo di stato in Egitto e il sostegno della Russia all’Iran e alla Siria. Con la revisione della strategia imperiale, però, gli sforzi della Turchia e dell’Arabia Saudita sono stati cancellati. Non a caso in entrambi i casi sono cominciate le guerre civili interne: l’Arabia Saudita è intervenuta nello Yemen e la Turchia ha dichiarato guerra contro i cittadini curdi.
In questa Terza Guerra mondiale vediamo delinearsi chiaramente il profilo dell’Impero. Abbiamo a che fare con una guerra lanciata contro gli stati-nazione islamici e la dialettica della guerra postmodernista è racchiusa in queste guerre civili prolungate. É sempre la stessa dialettica ad aver generato l’Isis in quanto organizzazione di microfascismo nemica della vita stessa. Osserviamo anche come modernismo e stato-nazione siano ancora capaci di resistere e mantenere il loro potere, viste le posizioni prese da Russia, Iran, Egitto e Siria in questo conflitto. Sono proprio questi ultimi gli attori che decideranno cosa uscirà fuori da questi rapporti di forza virtuali.

Una volta il termine “guerra civile” aveva un significato rivoluzionario, ma oggi è stato completamente svuotato e la guerra reazionaria tra potenze sovrane ci appare oggi sotto forma di guerra civile. Poteri imperialisti, stati-nazione e forze microfasciste postmoderne coinvolte hanno tutte una cosa in comune che ha trasformato questo conflitto in una guerra civile: un latente desiderio di fascismo. L’unica forza che in questa barbarie continua ad affermare incessantemente il valore della vita e della libertà è il movimento di liberazione curdo che rappresenta l’unica forza alter-modernista in opposizione alle forze fasciste postmoderniste e moderniste.

4. Il movimento di liberazione curdo

Il processo di negoziazione tra il movimento di liberazione curdo e lo stato turco, al contrario di quanto annunciato ufficialmente, non è cominciato tre anni fa ma risale a delle trattative segrete tenutesi ad Oslo nel 2011. La strategia portata avanti dall’AKP una volta al potere, nel 2002, é stata di indebolire il potere politico tradizionalmente nelle mani dell’esercito e di cercare il sostegno politico dell’Unione Europea, aprendo così la strada alla dissoluzione della prima repubblica. Per rendere questa strategia effettiva era però necessario sospendere il conflitto armato con il PKK, visto che non sarebbe stato possibile ridurre il potere dell’esercito finché persisteva il bisogno di una forza armata. Non appena l’AKP riuscì a destituire l’elite kemalista, ottenendo il completo controllo del paese, il processo di Oslo fu interrotto e le negoziazioni ripresero solo dopo l’inclusione di Abdullah Ocalan nelle trattative.

Gli sviluppi in Rojava divennero il nodo centrale dello scontro di potere durante tutta la durata delle negoziazioni. Inizialmente, lo stato turco cercò di influenzare gli sviluppi del Rojava nel tentativo di strumentalizzare i curdi contro il regime di Assad. Speravano che il PYD (Partito dell’Unione Democratica) curdo si alleasse con l’opposizione siriana islamica, ma il PYD non accettò di far parte di questa strategia e la tensione nel processo di negoziazione aumentò.

Come risposta, venne messa in atto una seconda strategia basata sulla convinzione che gli attacchi dell’Isis avrebbero sconfitto la resistenza di Kobane. Questo patto di sangue tra la Turchia e l’Isis ha invece fatto esplodere la resistenza in Turchia nell’ottobre del 2014 e la definitiva vittoria dei curdi in Rojava ha cambiato nuovamente le carte in tavola. I curdi, finora repressi e osteggiati dallo sciovinismo arabo, si sono trasformati in un attore importante sia nella regione che sul piano internazionale, dando il via all’incubo turco sull’eventuale creazione di una regione autonoma in Siria, così come in Iraq. Inoltre, i curdi sono diventati l’unica forza ad aver sostituito l’opposizione islamica sia sul piano politico che su quello militare. Gli effetti del cambiamento nei rapporti di forza a favore del PYD si è manifestato anche nell’aumento delle tensioni tra il PYD e Barzani (leader del Partito Democratico del Kurdistan, PDK), con quest’ultimo che collaborava con lo stato turco nel cercare di circoscrivere la continua espansione del PYD. La strategia della Turchia per cercare di indebolire il PKK e prendere il sopravvento nelle negoziazioni non ha funzionato, interrompendo così il processo stesso.

In seguito, come parte di una terza strategia, l’AKP è tornado ad accordarsi con l’esercito per lanciare una guerra totale contro il PKK dentro e fuori i confini turchi e per mettere pressione sui curdi del Rojava. L’accordo prevedeva la liberazione degli ufficiali imprigionati a seguito del processo Ergenekon e l’apertura della base militare di Incirlik alle forze della coalizione internazionale era mirata ad aumentare la pressione sul PYD.

La vittoria elettorale senza precedenti dell’HDP nelle elezioni del 2015 ha rappresentato un momento importante di questo stesso processo dal punto di vista delle forze libertarie ed è stato uno dei risultati più importanti raggiunti fin’ora. L’HDP, la cui creazione fu suggerita da Ocalan stesso, assomiglia più ad un progetto politico cosciente dei movimenti sociali da un punto di vista globale che non ad un partito “classico”. Nonostante venga denigrato in continuazione, il movimento di liberazione curdo non limita la sua azione unicamente alla soluzione della questione nazionale e il paradigma di una nazione e di un’autonomia democratica sviluppati dal movimento non si applica alla sola Turchia ma anche al Medio Oriente e al mondo intero. Da questo punto di vista, l’HDP non è una mera alleanza tra il movimento curdo e la sinistra turca ma è un’organizzazione di autodifesa e cooperazione di una moltitudine di singolarità politiche. L’HDP è l’epifenomeno dell’unione tra la resistenza di Gezi e il movimento curdo e rappresenta l’ascesa di una nuova sinistra. Come era prevedibile, l’ingresso del movimento curdo all’interno del panorama nazionale tramite l’HDP si è rivelato essere la vera minaccia a cui lo stato ha dovuto rispondere. La ragione principale dietro la guerra in corso che lo stato sta portando contro le forze libertarie è la necessità di smantellare il nuovo soggetto politico delle forze di sinistra nel paese.

Prima della rielezione di novembre, molti edifici dell’HDP sono stati dati alle fiamme, sono stati fatti attentati dinamitardi alle manifestazioni e molti di noi sono passati a miglior vita. Nonostante questo stato di terrore diffuso, l’HDP è riuscito a ripetere il proprio successo e a superare lo sbarramento elettorale. Tuttavia l’effetto demoralizzante del conflitto in corso e un crescente senso di disperazione sono stati tradotti come la percezione di una tensione tra le posizioni dell’HDP e quelle del PKK, e l’inizio del conflitto armato, ancora una volta senza tenere in considerazione l’influenza e la legittimazione politica dell’HDP, hanno generato forti discussioni anche all’interno della sinistra stessa. Questo però ha facilitato gli scopi dello stato che inseguiva costantemente una strategia di marginalizzazione dell’HDP nel tentativo di avere la meglio in questa guerra psicologica tramite attacchi ed insulti pesanti all’HDP. In realtà si è rivelata una strategia vincente, anche se solo per poco.

L’autorità statale pensava che avrebbe potuto sconfiggere militarmente il movimento curdo nel giro di pochi mesi, ma gli attacchi sono stati respinti da una lotta senza precedenti e la resistenza urbana nelle trincee e sulle barricate di molte città si è unita alla resistenza del Rojava. Questa resistenza curda in continua espansione è intrinsecamente globale, in quanto la resistenza nel Rojava è come la resistenza per la Comune di Parigi nel XXI secolo. Siamo perfettamente coscienti di quanto violenta e spietata possa essere una controrivoluzione, ma abbiamo forti difficoltà a riuscire ad ammettere che il 60% della società turca auspica il fascismo. Stato e società si sono ampiamente sovrapposte su molti ambiti e l’Islam e lo stato si sono asserragliati in un blocco senza precedenti storici che la sinistra non riesce ancora a smantellare. Sembra che questo blocco storico possa essere messo in difficoltà solo da un’opposizione interna all’Islam stesso o da una strategia di sinistra che, si spera, venga formulata presto. Purtroppo siamo continuamente messi alla prova dalle morti che ci impediscono di prendere una posizione chiara, non solo contro la guerra ma anche al di fuori della guerra stessa. Siamo stanchi di dover sopportare gas lacrimogeni, pallottole, indagini, arresti e decessi. Siamo stanchi di essere uccisi! Non accetteremo mai la resa ma questo non ha alcun significato per gran parte della società turca. Quando si parla della questione curda, il nazionalismo diventa un ostacolo reale e il principale nemico della vita. Siamo assaliti dalla disperazione nel vedere come la vita venga continuamente ritorta contro se stessa in nome di quegli stessi principi che dovrebbero invece sostenerla.

5. I migranti siriani

Storicamente, la Turchia è sempre stato un paese di migrazioni. Tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo le popolazioni non-musulmane furono espulse dal paese e sostituite con cittadini musulmani. Visto che i migranti presenti oggi in Turchia sono prevalentemente musulmani, vengono accolti come “fratelli e sorelle” e lo stesso avviene verso i migranti siriani. Eppure, questo aspetto viene usato contro i migranti stessi in una strategia governativa. Il fatto che i migranti non vengano materialmente rinchiusi nei campi non significa che gli venga offerto uno standard di vita uguale a quello degli altri cittadini ma anzi, nella vita di tutti i giorni, vengono sottoposti a condizioni di vita e di lavoro più dure. Per questo motivo lo stato turco non si pone nemmeno il problema di inserire la questione dell’integrazione dei migranti nella propria agenda politica. Nonostante le strade siano piene di migranti senza alcun riparo, non si è generata una tensione sociale potenzialmente esplosiva, vuoi per il crescente numero dei migranti o perché gli sforzi dei gruppi di attivisti per costruire meccanismi di solidarietà non sono ancora sufficienti.

Sono tre i motivi che hanno spinto l’AKP ad accettare i migranti nel paese. Primo, l’AKP strumentalizza i rifugiati siriani, in maggioranza sunniti, come manifestazione della crudeltà del regime di Assad che viene a sua volta usato come giustificazione per un intervento militare in Siria, per la creazione di una no-fly zone e per aiutare le organizzazione jihadiste ad aumentare la pressione contro il PYD. Secondo, l’AKP cerca di consolidare la sua posizione diplomatica e militare di protettore dei migranti sunniti che gli permetterebbe anche di avanzare pretese sulla Siria. Terzo, come già sapete, l’AKP usa i migranti come minaccia contro l’Unione Europea. Attualmente, sembra che solo questa terza strategia si stia rivelando vincente. Quando l’AKP dichiarò guerra ai curdi si espose alle critiche e alle sanzioni da parte della UE e, per ridurre questo rischio, cominciò subito a lasciare che i migranti fluissero liberamente in Europa. Avendo recepito il messaggio, la UE è rimasta a guardare mentre lo stato turco compiva massacri. Alla fine anche i liberali turchi hanno perso la fiducia che avevano nella UE.

Piuttosto che un’analisi approfondita, abbiamo voluto offrire alcune riflessioni per allargare il punto di vista sullo scenario di guerra globale. Speriamo che possano servire come base per ulteriori analisi.

Vogliamo vedere la libertà prima di morire!

Vogliamo tutto!

 

* Pubblicato anche sul sito di Dinamopress. Traduzione a cura delle redazioni di Commonware e Dinamopress.