Stampa

Oltre le occupazioni studentesche

on .

Un bilancio di Alexandre Mendes del ciclo delle primavere arabe e di Occupy a partire dalla situazione brasiliana

Introduzione

L’idea di scrivere questo testo è venuta dalla richiesta degli studenti dell’Università dello Stato di Rio, da una domanda di sostegno alla loro occupazione, iniziata il primo di dicembre del 2015. Ho colto questa richiesta come l'occasione per discutere le recenti esperienze di occupazione studentesca in Brasile seguendo la prospettiva, da un lato, del percorso intrapreso dal ciclo globale di ocupas (sull’onda delle acampadas spagnole e di Occupy Wall Street) negli ultimi cinque anni e, dall’altro, del contesto dell’attuale e gravissima crisi brasiliana. Si tratta così di cogliere le possibilità e le difficoltà che incontrano gli attuali processi di lotta e di dissenso.

Ho finito per scrivere un lungo e ampio testo, forse faticoso, ma che tratta punti che, a mio avviso, possono contribuire ai dibattiti che si stanno svolgendo nelle occupazioni e nelle discussioni sulle possibili alternative al momento politico che stiamo attraversando. Ma è solo una mappa provvisoria, una foto istantanea di ricerche realizzate anteriormente e di altre che sono in corso.

Nel corso del testo ho considerato più vantaggioso insistere sui punti di emergenza di possibili processi istituenti – le occupazioni come "assemblee costituenti contemporanee" (differenti dalle moderne assemblee rappresentative) – piuttosto che concentrare le mie energie sulle false soluzioni che provengono dal potere costituito, in particolare dal potere delle toghe (ovviamente senza legittimità e incapace di aprire processi politici democratici che promuovano un movimento "dal basso").

Ma questa insistenza è accompagnata da molti dubbi, dalla costante ricerca di un po’ di "aria da respirare", in mezzo ad una quantità enorme di situazioni di stallo, di paralisi e di affetti negativi. Un blocco pesante e grigio che mortifica tutte le possibili esperienze e che colpisce e attraversa tutte le generazioni, riducendo l'attività politica ad un'utopia negativa o ad un katechon:[1] la politica di difesa del presunto "male minore", la vittoria della paura sulla speranza.

Il metodo della conricerca,[2] in questo senso, non serve solo per affermare che la produzione della conoscenza è sempre parziale e che, di conseguenza, il sapere è inseparabile dalle relazioni strategiche e dai modi di governare le condotte, ma anche per inserire la ricerca, nello stesso movimento, in un insieme mobile di possibili linee di azione e come parte di forze creative che osino superare le situazioni di stallo e di blocco. Per questo motivo, la conricerca non è altro che una pratica collettiva: un concatenamento tra soggetti localizzati che, con le loro differenze e conflitti, riescono a cooperare.

Detto ciò, l’argomentazione sviluppata nel testo è articolata in 4 punti:

a) Una riflessione sull’attuale fase del ciclo di occupazioni tra il 2010 e il 2015, attraverso il riconoscimento di numerose impasse che si stanno dando, oltre all’evidente esaurimento della dinamica costituente in America Latina che ha avuto inizio nel decennio 2000;

b) La specifica forma che la crisi mondiale del 2008 ha assunto in Brasile e il suo ruolo nel più ampio e durevole contesto dei mutamenti della composizione sociale del lavoro negli ultimi vent’anni;

c) La lettura delle attuali occupazioni studentesche come un possibile strumento di lotta, oggi utilizzato dagli studenti in quanto figure soggettive della crisi (il soggetto indebitato e precarizzato), in stretta relazione con le trasformazioni del mondo del lavoro. Inoltre, analizziamo le occupazioni come spazio contraddittorio tra diverse forme di organizzazione: da un lato, uno spazio attraversato dalla crisi della rappresentanza; dall’altro, le sfide poste a livello di produzione di soggettività (il rapporto tra precarietà e differenza);

d) Il dilemma del potere destituente/costituente come chiave centrale per comprendere lo sciopero studentesco nel suo rapporto con i contemporanei modi di produzione e all'interno dello specifico contesto della crisi. L’incapacità di liberare tutto il potenziale del potere destituente/costituente come possibile ostacolo alla formazione di una mobilitazione sociale (la diffusione delle assemblee) che sia in grado di affrontare la crisi sul terreno della reinvenzione democratica.

Trattandosi di un lavoro ancora in corso, spero di poter discutere questi quattro punti in futuri incontri con gli studenti e di riformularli in funzione di queste discussioni. Dato l'impoverimento della comunicazione che è avvenuto nelle reti sociali, a causa delle false polarizzazioni dell’attuale sistema politico, credo che questo sia il miglior modo per recuperare la capacità di sviluppare un sapere vivo, prodotto come pratica di libertà.

  1. 1.     Il nuovo ciclo globale 2010-2015

Tra il 2010 e il 2015 si è consolidato un nuovo ciclo di lotte globali, che ha definito lo scenario di un complesso gioco fatto di contagi, proliferazioni, emergenze, colpi di scena, passi indietro e il continuo rinnovamento di azioni creative e costituenti. Ciò ha messo in evidenza le nuove possibilità di reinvenzione della democrazia in un secolo che consolida un repertorio infinito di controllo e di gestione della vita basato sulla sicurezza. Che cosa può fare il ciclo delle occupazioni che ha attraversato il mondo?

Può essere tracciato un lungo percorso,[3] pieno di caratteristiche singolari e comuni: in Tunisia, le lotte urbane, scatenate quando il venditore ambulante Mohamed Bouazizi si è dato fuoco dopo la confisca della sua bancarella, hanno portato alla caduta del regime di Ben Ali e a nuove possibilità democratiche; in Egitto, il rovesciamento della dittatura di Mubarak, attraverso l'occupazione permanente di piazza Tahrir, ha dato visibilità a un processo che avrebbe poi contagiato diversi paesi; ispirate dai venti arabi, la proliferazione delle acampadas spagnole[4] nella lunga estate del 2011 (il movimento 15M) e poi Piazza Syntagma in Grecia, hanno sollevato la questione della democrazia in piena crisi finanziaria; in Islanda il plebiscito digitale per non pagare il debito, che ha rovesciato la logica del salvataggio delle banche, inaugura un’esperienza costituente in rete senza precedenti (un crowdsourcing costituzionale); nell'autunno del 2011, la burrasca attraversa l'Atlantico e raggiunge gli Stati Uniti, colpendo il cuore del mercato finanziario rappresentato da Wall Street. Il toro di bronzo è circondato dal movimento Occupy,[5] diventando il fattore scatenante delle ocupas che fioriscono in centinaia di città in tutto il mondo con lo slogan "Noi siamo il 99%" (un vero bull spread dei movimenti); tra la fine del 2011 e il 2013, è la volta dell'America Latina [6] che esprime la lotta degli studenti in Cile, il movimento messicano #YoSoy132 e le giornate di giugno del 2013 in Brasile, con il suo repertorio di proteste di piazza, assemblee orizzontali, occupazioni permanenti e la formazione di una rete attivista di supporto senza precedenti nella recente storia del paese; a loro volta, le proteste iniziate contro l'aumento delle tariffe in Brasile sono state ispirate dall’occupazione, avvenuta un mese prima, del Parco Gezi, che si trova in Piazza Taksim ad Istanbul, dove la moltitudine turca ha sconfitto il progetto urbanistico di costruzione di un centro commerciale che avrebbe distrutto la libera fruizione dello spazio pubblico; nel mese di ottobre dello stesso anno, l'occupazione in Ucraina di piazza Maidan[7] è stato uno degli episodi più sanguinosi dell'intero ciclo, nel momento in cui è stata rapidamente inghiottita dagli interessi geopolitici di macro-regioni e nazioni; nel 2014, a Hong Kong, le occupazioni ritornano con un movimento contagioso e stupefacente in cui migliaia di ombrelli si aprono nelle piazze di Tin Mei Avenue per denunciare il controllo politico di Pechino sul processo elettorale dell'isola; nel 2015 un’articolazione municipalista tra città spagnole[8] dimostra che il ciclo di lotte può produrre confluenze che generano le candidature di cittadini, fondando un nuovo rapporto tra nuove e vecchie istituzioni; non a caso i nuovi comuni democratici sono i primi ad esprimere il sostegno incondizionato a migliaia di immigrati che occupano e attraversano le frontiere con la bandiera dell'Unione Europea in mano, camminando dentro e contro gli Stati nazionali – un reale rinnovamento di un tipo di alleanza che si stava definendo già nel 2010, all’inizio del ciclo di lotta.

Tuttavia, anche se possiamo descrivere un repertorio vivace di pratiche istituenti, gli ultimi cinque anni hanno visto anche una serie di restaurazioni realizzate "dall’alto": la moltitudine dell'Africa del nord è colpita da conflitti militari alimentati dalle élite nazionaliste e da gruppi di estremisti religiosi, oltre a diventare il teatro di importanti operazioni della NATO, della Russia e degli Stati Uniti; nel resto del mondo, le piazze sono state sgomberate senza che si fosse inventata un'alternativa che mantenesse l’apertura democratica (tranne nel caso spagnolo); in America Latina, l'esaurimento politico ed economico dei "governi progressisti"[9] (ora confermato dalle prime sconfitte elettorali) opera come ripristino di vecchie forze conservatrici, ma soprattutto come una fonte di paralisi per i nuovi movimenti e le lotte costituenti; in Brasile, la libertà e la creatività di giugno sono state minate da una miscela di repressione e tattiche di ricatto elettorale, promosse dalla tradizione di sinistra (di governo e non solo), screditando e modificando totalmente il terreno di conflitto e di dibattito prodotto in quelle giornate; in Europa, gli attacchi di Parigi si sono trasformati in un'opportunità per la proliferazione, in modo esponenziale, di discorsi nazionalisti, incentrati sulla sicurezza e contro i movimenti (nonostante ciò, Parigi ha dato dimostrazione di vita e di resistenza, contro la paura, durante l'ultima protesta per il clima).

In questo contesto, l'ondata di ocupas, che ha contagiato il resto del mondo, può essere vista a partire dalle innovazioni irreversibili che sono state prodotte, ma anche dal punto dello stallo e delle sconfitte. Come si inquadrano le occupazioni del ciclo 2010-2015 in Brasile? Come si articola il terreno della composizione sociale e politica in cui ci troviamo? Quali sono i legami esistenti che possono fare in modo che dalle ocupas proliferino molteplici assemblee costituenti di fronte alla profonda crisi politica, economica e ambientale che stiamo attraversando?

  1. Le tre facce della stessa crisi

Il ciclo 2010-2015 non può essere analizzato senza commentare la dimensione globale dell'impatto della crisi finanziaria dei subprime[10] e il suo impatto sul contesto brasiliano. Nel caso europeo, la reazione della Troika ha rivelato che l'unità della Costituzione Europea non riusciva a trovare nessuna base solida, né nelle nuove pratiche partecipative decantate dai teorici della governance, né nella retorica del completamento dei diritti umani, ispirata agli ideali degli anni '90. Dinanzi alla debolezza del riformismo europeo si è mostrato il lato nudo e crudo di un'unità finanziaria fondata sull’ortodossia, sulla severità delle negoziazioni, sulla socializzazione disuguale delle perdite e sulle difficoltà nel realizzare un’efficace programma per i rifugiati.

In Brasile la crisi globale si è manifestata attraverso due aspetti che possono essere compresi solamente prendendo le distanze dalla premessa secondo la quale la crisi sarebbe arrivata appena nel 2015, quando è diventato evidente il peggioramento degli indicatori economici. Al contrario, è necessario comprendere che la crisi globale ha causato, sin dal 2008, una vera e propria inflessione negativa nelle politiche brasiliane, rendendo possibile la chiusura delle timide, ma efficaci, aperture formatesi nel governo Lula riguardo nuovi tipi di sviluppo e di politiche sociali.[11]

La prima faccia della crisi è stata che nella Casa Civil e poi alla presidenza, Dilma Rousseff ha accelerato una tendenza, già presente dal 2003, di rafforzamento di una visione neosviluppista dell'economia,[12] basata su grandi players nazionali che, beneficiati dal denaro pubblico, dovrebbero ampliare la presenza brasiliana nell'economia globale. Il Brasil Maior decolla, promettendo un nuovo protagonismo economico fomentato dall'energia di grandi dighe, dall'esportazione di soia, petrolio e ferro (soprattutto in Cina) e dalla creazione di un mercato interno sostenuto dalla cosiddetta nuova classe media.

Le politiche sociali e di consumo vengono spostate verso un piano "anticiclico", rivolte al rinvigorimento forzato del settore produttivo, attraverso sussidi ed esenzioni (in particolare nel settore automobilistico e dei beni durevoli). La critica dell’urbanista Raquel Rolnik su questo argomento non potrebbe essere più appropriata: "il punto difettoso è che la casa (la città, quindi) non è un frigorifero, non si produce in serie".[13] Ai grandi progetti si aggiungono i grandi eventi: più esenzioni, più investimento di risorse pubbliche e praticamente nessun effetto redistributivo.

Il fallimento del progetto del Brasil Maior,[14] in risposta alla crisi del 2008, può essere illustrato attraverso alcuni episodi ben noti alla cronaca: il fallimento di Eike Batista (l’uomo più ricco del Brasile in questo periodo e “campioncino” di Lula e Dilma: prima di sciogliersi al sole del movimento di giugno, la sua fortuna era costituita da pozzi di petrolio e miniere – figlio del manager storico, nel regime militare, della maggiore compagnia mineraria brasiliana, Vale do Rio Doce), il fiasco della Coppa del Mondo, il fango tossico della Samarco/Vale, l'arresto di Marcelo Odebrecht (Amministratore Generale della più grande impresa di opere pubbliche del Brasile, cresciuta sotto il regime militare) e le conversazioni di Delcídio do Amaral (Senatore del PT, capogruppo del governo al Senato, arrestato dopo una registrazione nella quale tenta di organizzare l’evasione di uno dei dirigenti della Petrobras affinché non collabori con la giustizia). Il processo di riduzione delle diseguaglianze viene interrotto, con previsioni d’inversione degli indici. Il caotico programma di sussidi ai Global Players nazionali mostra il suo effetto contrario richiedendo un aumento generalizzato delle tariffe amministrate dai servizi pubblici privatizzati che ha un impatto diffuso sugli indici d’inflazione. Lo stesso fenomeno è riprodotto rispetto alla caduta "forzata" dei tassi d’interesse nel primo periodo del governo Dilma, che ora ritornano a tassi ancora più elevati rispetto ai precedenti, completando uno scenario di recessione (oltre il 3%), inflazione (oltre il 10,7%) e tassi di interesse reali tra i più alti del mondo.

La seconda faccia della crisi si rivela ora con il programma di austerità chiamato “Agenda Brasil”, la cui realizzazione è l’unica reale fonte di stabilità dell'attuale governo. In stile europeo, la crisi è socializzata in modo ineguale, attraverso tagli ai diritti sociali, riduzione dei diritti previdenziali e delle politiche sociali, aumento delle tasse, sospensione dei concorsi pubblici e riformulazioni salariali, e restrizioni generalizzate del bilancio. Negli Stati e nei Comuni l'impatto è ancora più forte con la minaccia che incombe sulle spese di base, compreso il pagamento dei salari, delle pensioni e dei vitalizi dei dipendenti pubblici.

Nel campo della composizione sociale del lavoro, l’ibridismo tra neoliberismo e neosviluppismo finisce per rafforzare ed approfondire, in modo accelerato, il fenomeno della precarizzazione. Al contrario dell’utopia sviluppista classica, la scommessa su grandi progetti di sviluppo non produce un vasto cumulo di lavoratori impiegati (con accesso a diritti), ma una rapida crescita di tutte le forme di lavoro precario, tra cui il lavoro schiavistico. Per esempio, la rivolta del 2011 nel cantiere della grande diga idroelettrica nella regione amazzonica di Jirau (in Rondônia) rivela in modo immediato come si costituisce la figura del lavoratore contemporaneo: un esercito di lavoratori subappaltati, semi-schiavi, alloggiati in dormitori senza nessuna igiene, alimentati con cibo avariato, privi di sindacalismo efficace che quando si ribellano a causa di queste condizioni, vengono repressi dalla Força Nacional (una forza di polizia di intervento rapido creata dal governo Lula) e chiamati, dall’allora Ministro della Segreteria della Presidenza (Gilberto Carvalho, dirigente storico del PT) “banditi”.

La situazione è lungi dall'essere limitata a luoghi distanti dai principali centri urbani. Lo scandalo, nel 2011, della scoperta del lavoro forzato associato al marchio spagnolo Zara in sweatshops nello Stato di São Paulo,[15] si ripropone nel 2015, nel momento in cui è nuovamente scoperta l’esistenza di una schiavitù legata ai debiti, del lavoro minorile, del lavoro degradante, dell’aumento degli incidenti e della discriminazione nei confronti dei lavoratori immigrati (paradossalmente la "soluzione" per la schiavitù dei lavoratori boliviani non è stata la regolarizzazione, ma l’esclusione completa dalla filiera produttiva, cioè la loro deportazione come lavoratori illegali). 

Sin dagli anni 90, alcuni ricercatori[16] già sottolineavano come le inflessioni del capitalismo contemporaneo, nella cosiddetta fase neoliberale, possono essere spiegate con lo smantellamento della vecchia industria tessile e la svolta verso una catena diffusa e flessibile di fornitori che si spargono nello spazio urbano (soprattutto nei quartieri poveri), reclutando e rendendo precari i lavoratori attraverso molteplici forme di sfruttamento. Zara, perciò, non è un caso isolato, ma l'espressione visibile di un cambiamento avvenuto nel capitalismo stesso e nelle sue tecniche attuali di gestione e sfruttamento di una forza lavoro che ora è espropriata direttamente senza la mediazione del tradizionale e stabile "lavoro in regola”.

Questo cambiamento dovrebbe essere presentato, non come una controversia tra diverse prescrizioni economiche, ma come una trasformazione definitiva delle forme di governo della società,[17] cioè dei modi in cui vengono prodotte e controllate le relazioni sociali e i soggetti stessi. Quindi, si tratta di un terreno materiale che non sarà trasformato dall'esterno all’interno, attraverso un tentativo di ritornare alla formula che garantiva l'unione tra lo sviluppismo e la distribuzione dei diritti (lo stato sociale e la sua costituzione). È partendo da questo punto che possiamo capire il motivo, per prima cosa dell’impasse, e poi del vero e proprio esaurimento delle cosiddette politiche progressiste in America Latina, che partivano dalla premessa di voler rispondere al neoliberismo attraverso la "presenza dello stato" (come abbiamo visto, il massimo che sono riusciti a fare è stato ibridare sviluppismo e neoliberismo).

Sul terreno materiale, che cambia profondamente la composizione sociale del lavoro contemporaneo, possiamo trovare anche una terza faccia della crisi: si tratta della crisi della rappresentanza, già analizzata e commentata da una vasta e variegata letteratura.[18] Qui passiamo in rassegna appena due elementi. In primo luogo, non si tratta solo di riconoscere il carattere "terminale" dei moderni partiti politici dinanzi all’attualità, ma di notare che in piena crisi di rappresentanza finiscono per svolgere funzioni contraddittorie. Quindi, non è un caso che, fin dagli anni '60, abbondino esempi di partiti socialisti o socialdemocratici che implementano l'ortodossia neoliberista e promuovono nuovi dispositivi di controllo dei movimenti sociali.

Non sarebbe adeguato trattare il problema come un "tradimento" semplicemente morale, ma bensì dobbiamo renderci conto che tali partiti non sono in grado, in generale, di esercitare nessun tipo di creatività finalizzata all’invenzione di nuovi meccanismi di welfare e nuovi diritti di fronte alla svolta promossa dalla ristrutturazione produttiva neoliberale. Per questo, ci sembrano o persi dinanzi la dicotomia tra neosviluppismo e neoliberismo o applicatori entusiasti di una gestione neoliberista e finanziaria della società.[19]

Quest’affermazione ci porta al secondo punto. È diventato attualmente impossibile cercare una correlazione di forze basata su grandi attori politici (partito, sindacato e altri enti), dato che il campo del lavoro si è frantumato in una complessa miriade di relazioni contrattuali o neoschiaviste, oltre ad essersi diffuso nelle infinite reti che costituiscono la società contemporanea. Questo non significa che dobbiamo dichiarare la fine della politica (o la fine del lavoro), ma che oggi, per fare politica, è necessario lanciarsi nel campo di una moltitudine in costante evoluzione (mutevolezza che dovremmo riconoscere ragionando della forma-partito).

In questo senso, l'esaurimento della politica brasiliana e, in generale, del ciclo dell’America Latina degli anni 2000 rappresenta, non l'inesistenza di un campo vivo e fertile di sperimentazioni basate sulla molteplicità e sui tentativi di produrre un nuovo welfare (qui ricordiamo tutto il dibattito sul Buen Vivir e sui processi costituenti che hanno alterato le costituzioni nazionali),[20] ma l'incapacità (in senso politico) del sistema tradizionale dei partiti di promuovere un'apertura verso queste nuove sperimentazioni. Il sistema politico è oggi dominato da veri e propri giochi di scena, un circo di mistificazioni per produrre artificialmente l'effetto di una controversia tra diversi gruppi d’interesse.[21]

Le mobilitazioni produttive alternative in America Latina (le alternative al tema dello sviluppo) sono state scartate dall’egemonia neosviluppista (e neoestrattivista) d’impronta neoliberale, i rappresentanti delle alte cariche politiche della sinistra appaiono ogni giorno di più ridicoli e falsamente combattivi. L'effetto non sarebbe così grave se ci trovassimo solo dinanzi a un vuoto. Ma gli ultimi episodi di persecuzione dei movimenti sociali e delle forme alternative di vita, oltre a vere e proprie campagne discorsive contro le nuove lotte, hanno mostrato che non vi è paralisi, ma una pratica attiva di eliminazione di qualsiasi forza politica e sociale che tenti di svincolarsi dal consenso "progressista".

3.  Occupazioni studentesche e nuove assemblee costituenti 

Qui riprendiamo il tema del ciclo di lotte (e ocupas) del 2010-2015. La proliferazione e l'apertura di nuovi spazi e sperimentazioni politiche può funzionare come terreno di invenzione di nuove pratiche democratiche e di attivazione di nuove politiche citoyennesdi costruzione del viver bene nelle metropoli e nelle foreste.

É possibile vedere le ocupas e le nuove lotte come un vero laboratorio di pratiche che possono sfuggire alla trappola e alla falsa dicotomia tra sviluppismo e neoliberismo?

Alla fine del 2015, il ciclo di occupazioni è giunto a più di un centinaio di scuole a San Paolo e università statali e federali (in particolare l’occupazione dell’UERJ, che è ancora in corso). In che modo queste occupazioni possono essere uno spazio di produzione di alternative? Come si inseriscono nel contesto della crisi politica, economica e ambientale in Brasile? Quali sono le potenziali insidie da affrontare? Non c'è dubbio che le risposte (e altre domande) vengono formulate all'interno del movimento stesso. Qui vorrei proporre tre spunti di riflessione e di scambio con gli studenti occupanti:

a) Occupazione e produzione di nuove forme di vita

Quando è nato il ciclo di Occupy, alcuni ricercatori hanno fatto notare che c'era una differenza interessante rispetto alle precedenti forme di lotta, in particolare alle forme altermondialiste degli anni '90 e inizio 2000 (contro l’OMC, il FMI e a favore di altri mondi possibili).[22] Piuttosto che seguire i calendari delle grandi riunioni e dei vertici, promuovendo strategie di shutting down con l’obiettivo di proteggere i beni comuni minacciati dalle decisioni delle agenzie, le occupazioni decidono di sperimentare direttamente la costruzione di un'esperienza in comune, sviluppando in maniera profonda la capacità di gestione dello spazio (pulizia, organizzazione, cura del patrimonio, ecc.), di produzione di beni e servizi vitali (cibo, acqua, servizi igienici, ecc.), di creazione di reti di solidarietà (donazioni, strategie di visibilità, supporto professionale, ecc.), di programmazione culturale (musica, teatro, serate, ecc.) e di ambiti decisionali democratici (assemblee, sondaggi, nuove forme di partecipazione, ecc.).[23]

Il passaggio dalla difesa dei beni comuni (anni '90) alla formazione diretta del comune rivela aspetti interessanti, in particolare la constatazione che questa forma di gestione è qualitativamente migliore e infinitamente più democratica rispetto al solito modo di gestire i servizi pubblici attraverso la dicotomia pubblico-privato, che alterna lo stato come fornitore diretto o vari modelli di decentramento verso il mercato. Le occupazioni, invece, si riappropriano dei servizi per renderli, non statali o privati, ma comuni. Non potremmo testare il modello anche per servizi più complessi e più ampi (ad esempio, i servizi urbani in generale)? Non sarebbe una delle basi per pensare altre forme di sviluppo al di là dell’ibrido neosviluppismo-neoliberismo?

Nel campo delle istituzioni scolastiche, le occupazioni hanno il potenziale per rompere con la pesante tradizione disciplinare che trasforma lo studente in una figura passiva, apatica e obbediente, ostacolandone la creatività e il desiderio di partecipare e collaborare nel processo di apprendimento. "Mia figlia non ha mai avuto così tanta voglia di andare a scuola", ha detto la madre di una studente in un servizio sulle occupazioni di San Paolo. Inoltre, le occupazioni rendono visibili e più dense pratiche che sono già esistenti, principalmente nelle università, di costruzione di reti di auto-formazione e auto-apprendimento ai margini del curriculum obbligatorio e della relazione insegnante-studente.

Le occupazioni permettono anche di sperimentare uno spazio alternativo (un tra) rispetto al rapporto scuola-famiglia o università-impresa, che intrappola la vita quotidiana dello studente e impedisce che accadano un certo numero di interazioni sociali.[24] Vale la pena notare che, nell'orizzonte della crisi e della precarietà, queste rapporti si rafforzano, dato che lo studente, considerata l’impossibilità di mantenersi, deve rimanere più a lungo all'interno della famiglia oppure dedicarsi a varie attività remunerate, con l'effetto di causare una maggiore espropriazione del tempo di vita.

D'altro canto, la pratica collettiva dell’occupazione pone anche numerose sfide, diciamo etiche e politiche, che sono state oggetto di un’ampia e condivisa analisi[25] durante tutto il ciclo Occupy (è chiaro che le osservazioni fatte qui non costituiscono una "expertise politica" da applicare come una tecnica, ma solo uno scambio di esperienze da valutare in ogni messa in pratica), vale a dire: non sostituire la pratica di produzione del comune con una nozione di collettivo che si impone dall’alto e schiaccia le diverse singolarità; non cadere nella tentazione di provare a comandare l’occupazione (tanto meno imponendo ragioni politiche che sono esterne all’occupazione – la logica di partito, per esempio); non trasformare le decisioni in dogmi da imporre e seguire ciecamente; non cadere in una serie di procedimenti infiniti e inefficaci, o in controversie derivate da una pura mistificazione ideologica; non dimenticare che la forza di un’occupazione dipende anche da una serie di relazioni che circolano al di fuori dello spazio fisico occupato; concentrarsi sul contagio affettivo dell'occupazione piuttosto che sulla formazione di un piccolo nucleo, duro e autocentrato; rimanere nel campo dell’autodifesa personale e della disobbedienza pacifica (da non confondere con la passività); non diventare il "proprietario" dell’occupazione, utilizzando le procedure di controllo e di sicurezza che sono tipiche delle attività securitarie (reinventare l'idea di sicurezza); sapere quando è il momento in cui lo sforzo eccessivo per mantenere lo spazio e il suo possibile svuotamento possono significare la necessità di modificare l’esperienza, ecc.

b) Occupazioni, organizzazione e partiti politici

Se il ciclo altermondialista degli anni '90 ha rivelato l'esistenza, oltre ai partiti e sindacati tradizionali, di nuovi movimenti sociali (ambientalisti, culturali, indigeni, ecc.) e di forme d’organizzazione (organizzazione in rete, uso delle nuove tecnologie dell'informazione, innovazioni estetiche, ecc.), il ciclo 2010-2015 riprende la questione ad un altro livello.

Nel primo caso, in molte situazioni si è riscontrato che i movimenti ed i partiti funzionavano secondo logiche diverse, che possono generare alcuni scontri e divergenze, soprattutto nel momento in cui la mobilitazione si rapporta con l’ambiente esterno (per esempio, il sindacato negoziava il suo programma specifico e si ritirava dalla lotta). Nel caso delle occupazioni, il possibile campo di divergenza si sposta dentro lo spazio comune, poiché esiste una tendenza dei partecipanti a rifiutare qualsiasi ragione trascendentale all’occupazione stessa. Ciò significa che i partiti devono abbandonare la loro pratica di congiunzione di forze per un progetto predefinito e lasciarsi andare all'immanenza del processo costruito nell’occupazione stessa.

Siamo in grado di mettere in evidenza due effetti di questo fenomeno: in primo luogo, osserviamo la tendenza del partito a presentarsi, non come un’unità organizzativa formale, ma attraverso diversi collettivi distinti che lasciano da parte i programmi più ampi e agiscono, molte volte, in forma segmentata. Quanto questo si riveli una semplice tattica artificiale o una vera e propria apertura verso processi di produzione di decisioni comuni dipende da ogni effettiva pratica e dalla capacità di dissenso prodotto nelle occupazioni studentesche volto ad evitare qualsiasi tentativo di imporre una logica eterogenea al comune.

In secondo luogo, osserviamo, per esempio, attraverso l'esperienza spagnola, che per competere per le istituzioni i partiti hanno bisogno di integrare confluenze di forze che sono multiple e devono presentarsi come piattaforme che si lasciano attraversare da varie figure di quella composizione sociale del lavoro che abbiamo già descritto (pertanto, sarebbe il caso di reinventare la forma-partito e il suo scopo, per adeguarsi alle nuove forme di lavoro e di vita – il partito come una tattica di lotta tra tante altre, come un "lasciarsi attraversare", una piattaforma aperta che non cerca di essere l’elemento unificatore finale e razionale di una forza sociale omogenea).[26]

Tuttavia, al di là della questione della forma-partito o del repertorio organizzativo, dobbiamo trattare una questione più grave. Riguarda i casi in cui questa trascendenza, posta dai partiti, non si riferisce solo ad un programma politico predefinito ed esterno, ma alle proprie decisioni prese quando partecipano al governo. Il grande rischio è che l'occupazione sia controllata da dentro da organizzazioni che sono portavoce della posizione del governo e cercano di svuotare o sabotare il processo di produzione del comune.

c) Lo studente contemporaneo: condensazione di figure soggettive della crisi e di nuove pratiche di libertà

Che cosa significano le lotte degli studenti oggi? Quali figure soggettive si trovano in queste lotte? Da almeno quarant’anni, il capitalismo subisce una "grande trasformazione" verso la formazione di una forza lavoro cognitiva, in grado di far fronte alle esigenze di innovazione e di creatività schumpeteriane, tradotte dall'idea di capitale sociale.[27] Nel curriculum non è sufficiente dimostrare di aver soddisfatto le tappe fondamentali dell’educazione, ma bisogna dimostrare competenze relazionali, linguistiche e culturali (viaggi, esperienze di vita, competenze musicali, conoscenza delle lingue straniere, ecc.). Nei colloqui, un esercito di psicologi è chiamato a valutare la capacità creativa dei candidati e le loro capacità di rapido adattamento, di apprendimento, di creazione di relazioni sociali e di inventiva, per far fronte alle situazioni dinamiche e flessibili del mercato contemporaneo.

Lo studente, prigioniero delle esigenze di una formazione permanente e sfaccettata, non occupa più quella posizione intermedia tra il mondo dell'infanzia e il mondo del lavoro. Porta con sé la figura stessa del lavoratore contemporaneo. Con sempre più esigenza di tirocini, opportunità, esperienze, corsi, si trasforma rapidamente nella figura dell’indebitato. Sia per ragioni finanziarie (penso allo studente povero delle università private e anche pubbliche), o per il peso di questioni di qualsiasi tipo (documenti, articoli, eventi, attività teatrali, corsi di lingua, ecc.), lo studente deve rendere conto di un debito infinito.[28]

Se prima era pronto per un posto di lavoro stabile, funzionale e monotono (nelle burocrazie statali o nelle imprese fordiste), ora si tratta di lanciarlo il più presto possibile su un terreno di lavoro frenetico che assorbe tutto il suo tempo di vita. Un murales recita: "Il tirocinio gratuito è un aggiornamento della schiavitù". Qui il problema non è quello di identificare un particolare tirocinio, ma rendersi conto che tutto il lavoro contemporaneo comporta elevati livelli di lavoro gratuito, sconvolgendo quella figura classica marxiana del lavoro eccedente, inerente al tempo di una giornata lavorativa. Se non non esiste più una giornata misurabile, se il lavoro occupa tutto il nostro tempo di vita, trasformandosi in un’eccedenza pura, allora esso è rappresentato da una dismisura che rompe con qualsiasi teoria del valore.

L'indebitamento e la precarietà appaiono come dispositivi che sostituiscono il vecchio direttore di fabbrica. L'architettura fisica del panottico e il suo effetto di sorveglianza è smaterializzato e viene interiorizzato come colpa, come esigenza sempre più severa verso se stessi, come infinita ricerca, attraverso lavoretti, di un reddito che possa coprire il costo della vita e di attività che vadano ad alimentare il curriculum. La produzione dello studente indebitato permette la gestione (controllo) di un lavoro che non è più esposto agli agenti della disciplina, con i loro orologi sempre in orario, ma che attraversa e accompagna la vita nel suo complesso, facendo parte della propria soggettività.[29]

Gli effetti nel campo della soggettività vengono trattati da una serie di ricerche sulla cosiddetta "psicopatologia del capitalismo cognitivo", che sono prodotte, sin dagli anni '90, nella cosiddetta prozac-economy.[30] Depressioni, crisi e sofferenze accompagnano lo studente e il lavoratore indebitato, nel momento in cui la loro anima precaria si addentra ed è prodotta, essa stessa, nei circuiti della produzione. Qui il direttore della fabbrica si materializza di nuovo nella figura di farmaci sempre più potenti, una marea di tranquillanti, antidepressivi, sonniferi e tecniche per creare piccole zone di tranquillità, in mezzo alla dismisura del produttivismo senza limiti.

Se la precarietà è efficiente nel produrre tutti questi effetti soggettivi, consente anche che le tradizionali stratificazioni della modernità (razza, sesso e classe) si riconfigurino in maniera diffusa e modulare. Non a caso nelle occupazioni dell’UERJ, per esempio, gli studenti neri e nere rendono chiaro che tagliare le borse di studio e l’assistenza agli studenti colpisce più gravemente gli studenti entrati all’università grazie alle quote e gli abitanti dei quartieri poveri. Inoltre, percepiscono una relazione razziale e di genere tra la precarietà degli studenti e dei lavoratori terziarizzati, colpiti dagli stessi tagli e misure disuguali di aggiustamento fiscale. In una visione più ampia, i corpi precari dell'università (i primi a soffrire per i tagli) sono anche i corpi precari della metropoli, quelli che possono essere soggetti alla violenza dello Stato senza causare considerevole indignazione sociale.

D'altra parte, è in questo stesso campo che possiamo trovare possibilità di far fronte alla precarietà mediante articolazioni sottili e potenti realizzate tra diverse figure sociali (studenti, terziarizzati, impiegati, venditori ambulanti, spazzini, operatori culturali e dei servizi, abitanti delle favelas, ecc.). La precarietà si trasforma, non solo sul terreno della violenza e dell’espropriazione infinita, ma anche sul terreno di una ricomposizione che permette una serie di lotte per nuovi diritti e per un nuovo welfare. E per realizzare questa ricomposizione è fondamentale capire che, di fronte ad una frammentazione del lavoro che rende lo scenario organizzativo complesso e pericoloso, esiste un comune tra tutte queste figure del lavoro contemporaneo.

Le occupazioni studentesche hanno quindi il potenziale per diventare la base di un nuovo sindacalismo sociale dei lavoratori precari, che non trovano più un efficace strumento di lotta nelle tradizionali forme di rappresentanza (partiti, sindacati e movimenti sociali settoriali). Ancora una volta, questo non significa decretare la fine di tali forme, ma affermare che saranno efficaci solamente promuovendo un’apertura organizzativa radicale verso la moltitudine che accompagna il lavoro precario. Nelle università e nelle scuole, non sappiamo se questo sta per succedere, ma la forma-occupazione, senz’ombra di dubbio, è un laboratorio per pensare queste nuove articolazioni.

È partendo dalla costruzione della materialità di queste nuove alleanze[31] che possiamo recuperare il tema del “luogo di enunciazione”, non come una dichiarazione preliminare e trascendente (superiore) fondata sul corpo biologico, sull’individuo astratto o su tipi sociali cristallizzati, ma come il risultato di articolazioni concrete, incontri e spazi discorsivi singolari prodotti in comune. Se le minoranze possono, paradossalmente, riunire più forza che le maggioranze[32] è perché sono in grado di promuovere un’espansione intensiva e contagiosa mediante incontri tra corpi e singolarità (parlando in maniera diretta: evitare la concorrenza tra le minoranze e consentire una politica dell'incontro non basata su individui e gruppi proprietari di se stessi). L'occupazione dello spazio è, così, anche un’occupazione affettiva e performativa: la possibilità di organizzare pratiche di libertà che frantumino i modelli maggioritari delle nostre forme di vita.

4. Occupazioni studentesche e potere destituente/costituente

È tempo di affrontare la questione contenuta nel titolo dell'articolo. Potranno le occupazioni studentesche funzionare come assemblee costituenti di fronte alla crisi politica, economica e ambientale brasiliana? Per definire meglio la domanda e tracciare possibili orizzonti di azione, sarebbe interessante chiarire ciò che intendiamo con potere costituente. Diciamo che l'analisi può essere organizzata su due temi: a) la relazione tra potere costituente e lavoro vivo; b) la relazione tra potere costituente e destituente.

Con il primo, vedremo come il ciclo di occupazioni si può manifestare come costituente, in senso molto diverso da quello divulgato dalla tradizione del costituzionalismo. Con il secondo, tratteremo il tema nel contesto brasiliano, nel quale il fatto di liberare un potere costituente dinanzi alla crisi dipende, più che mai, dal coraggio di dire "No" (quella che noi chiamiamo dimensione destituente).

Si può dire che le prime apparizioni del lavoro vivo in contrapposizione alle relazioni di potere della classe dei proprietari sono state domate attraverso la rappresentanza politica e la conformazione del vincolo tra Stato e Nazione: la nascita del costituzionalismo.[33] Così, l’ingegno dell’abate Sieyès è servito per collegare l’incipiente divisione sociale del lavoro (risultata dall’accumulazione primitiva) alla rappresentanza politica, includendo tagli censitari, culturali e patrimoniali. Il Terzo Stato è la "nazione completa", nella misura in cui è si diluisce in un’ampia divisione del lavoro, e per questo motivo, garantisce libertà politiche nello stesso movimento in cui le limita con forme stabilite e delegate. La democrazia costituzionale nasce già come corruzione della democrazia, in quanto impone una rappresentanza che accompagna la divisione del lavoro.

Il potere costituente, al contrario, non è la forza di un’assemblea già determinata dalla rappresentanza, o una fase precedente e metafisica che scompare o si reprime negli ingranaggi del potere costituito. È un procedimento aperto e vivo di discussione delle relazioni di potere e di costituzione di una pratica collettiva che non si esaurisce con la razionalità di un progetto, uno stato, un’istituzione o una comunità identitaria. È la continuità degli spazi di resistenza, il campo di attuazione del lavoro vivo che rifiuta la sua espropriazione e di condensazione tra libertà e uguaglianza.

Allo stesso modo, anche le costituzioni welfariste del XX° secolo, che cercano di risolvere il carattere eccedente delle lotte del lavoro vivo, attivate dal secolo precedente, non risolvono l’enigma della permanenza del potere costituente. Se all’epoca di Sieyès è stato sufficiente strutturare la costituzione come riflesso formale della divisione del lavoro, nel costituzionalismo sociale la carne e il corpo del lavoro entrano nella costituzione rappresentati da soggetti collettivi che negoziano diritti e regole inerenti all'organizzazione e alla disciplina del lavoro stesso. Ma il lavoro vivo rifiuta di nuovo le limitazioni e si rivolta con lotte sociali che hanno attraversato tutte le nazioni welfariste (si pensi al decennio 1960-1970).

Sappiamo che con il cambiamento della composizione del lavoro contemporaneo e l'indebolimento dello stato sociale, che deriva dal carattere eccedente del lavoro, è la governance[34] che, sempre più, svolge questo ruolo. La crisi della costituzione moderna fa spazio ad una regolamentazione flessibile, costituita da soggetti giuridici internazionali, protocolli di grandi aziende, l'arbitrato, norme di comportamento, uno strato millefoglie di atti normativi e decisioni giudiziarie che corrispondono alla diluizione del lavoro stesso in un numero infinito di forme giuridiche.

E il ciclo di occupazioni che cosa ha a che fare con tutto questo? La nostra ipotesi è che può ancora rappresentare un laboratorio per pensare nuove forme politiche e nuovi diritti di cittadinanza (in senso lato), attraverso il rapporto tra potere costituente (l’eccedenza del lavoro vivo) e la produzione del comune sperimentata in questi processi. Il ciclo di lotte 2010-2015 amplia il terreno stabilito dal ciclo anteriore, altermondialista e latinoamericano, e definisce un quadro di azioni e riflessioni su come produrre un’agenda di diritti relazionati alla protezione e alla condivisione autonoma di sapere, informazioni e linguaggi; all’accesso e all'organizzazione democratica di servizi direttamente legati alla vita (energia, acqua, tecnologia, ecc.); a un reddito garantito, alla mobilità urbana (accesso gratuito ai mezzi pubblici); alla conservazione delle aree comuni della città (parchi, aree d’uso comune, ecc.) e, fondamentalmente, ai diritti classici (politici e sociali) riqualificati come diritto di produrre i nostri spazi di vita e di interazione con gli altri, aspetto che va oltre l’idea civico-repubblicana o deliberativa della partecipazione.

Nel caso delle occupazioni studentesche sembra abbastanza evidente l'idea di una gestione comune delle istituzioni scolastiche, che superi la passività del modello disciplinare e l’indebitamento del modello del controllo. Qui, la tradizionale lotta per le infrastrutture potrebbe andare di pari passo con lo sviluppo di queste esperienze di gestione comune. La lotta per le borse e i fondi di assistenza può assumere un carattere attivo e muoversi verso un vero e proprio diritto al reddito studentesco (che dovrebbe andare di pari passo con un reddito universale). La lotta contro la precarietà dovrebbe servire per immaginare una nuova composizione dei diritti sociali (o la riqualificazione dei precedenti) che unisca i diritti dei lavoratori nelle scuole e nelle università con quelli degli studenti, in una stessa rete di protezione.

La forma-occupazione può diventare un dispositivo politico permanente che supera la crisi della rappresentanza e delle forme di azione dei soggetti tradizionali. In questo senso, si può dire che gli spazi deliberativi (studenti seduti in cerchio in luoghi di grande passaggio) hanno già notevolmente superato le forme tradizionali di deliberazione sindacale (che segue ancora il modello tavolo-platea e rappresentanza di segmenti). Ci sono ancora abbastanza dubbi per quanto riguarda l'uso delle tecnologie per la deliberazione, in particolare a causa dell’insicurezza relativa ai flussi improduttivi e sabotatori, ma a ciò si può far fronte con un repertorio eterogeneo di processi decisionali. Le forme tradizionali, burocratiche e paralizzanti del movimento studentesco sono ancora abbastanza presenti e con grande capacità di catturare i desideri sinceri dei giovani studenti, ma sono già criticate apertamente attraverso la costruzione di alternative.

Passiamo, allora, al secondo punto dell'analisi: il rapporto tra potere costituente e potere destituente[35] e il loro rapporto nel contesto brasiliano. Si divide in due questioni. La prima, riguarda l'uso del potere destituente rispetto alla realtà universitaria dello studente indebitato; la seconda inserisce la tematica in una prospettiva più ampia per cercare di comprendere la relazione tra i problemi della proliferazione dei movimenti post-2014 e l'incapacità di dire "Via tutti". In questo caso, il potere destituente sarebbe l'elemento di sblocco dell'impasse, che prepara l'apertura di un campo intensivo, un kairós, di molteplici possibilità.

Per quanto riguarda la prima questione, l'occupazione delle scuole e delle università, con la conseguente dichiarazione dello sciopero studentesco, sembra esprimere un potere destituente rispetto alle trame disciplinari e di controllo che coinvolgono lo studente contemporaneo. Lo sciopero degli studenti blocca il funzionamento della macchina dell’educazione, sospende il debito infinito, paralizza l’orologio, producendo un'inversione carnevalesca dei ruoli e della logica quotidiana dell'uso regolare dello spazio d’insegnamento. La sospensione radicale di tutte le esigenze quotidiane (prove, consegna di lavori, presenza in classe, ecc.) diventa fondamentale, non solo come importante denuncia della mancanza di fondi per l'assistenza, ma per consentire un’altra temporalità e un’altra sperimentazione dell'ambiente scolastico/universitario.

Ecco il potere destituente con la sua capacità di interrompere gli ingranaggi che vengono naturalizzati nei processi sociali quotidiani, e di inaugurare un dissenso che porta tutti i partecipanti ad una riflessione necessaria. Se il diritto di sciopero, nella società del lavoro disciplinare, rappresenta la dimostrazione della partecipazione dei lavoratori dello stabilimento e una necessaria rinegoziazione della ricchezza prodotta, nella società contemporanea dei soggetti indebitati esso equivale al diritto di insolvenza: è il possibile legame tra il “noi non pagheremo per la crisi” e il “noi non faremo i compiti e le prove”.

Se lo sciopero della società del lavoro nelle fabbriche produceva l'interruzione del processo produttivo, generando perdite per il proprietario della fabbrica, lo sciopero degli indebitati permette che possa essere vissuta un'altra soggettività, al di fuori dei meccanismi di controllo interni ed esterni. Essa può esprimersi e formarsi senza che questa produzione sia catturata dai dispositivi del debito. La sfida, quindi, è duplice: la lotta per la sospensione del calendario accademico (il blocco della macchina) deve associarsi alla produzione di forme di vita che sfuggano alla precarietà e all'indebitamento. A questo punto non possiamo più distinguere tra potere destituente e costituente. Il "No" è la possibilità di un "Sì" multiplo e costitutivo.

Crediamo che in entrambi gli scioperi studenteschi di San Paolo e Rio de Janeiro si possa riscontrare questa doppia dimensione destituente/costituente che si realizza attraverso le occupazioni. Ma qual’è la differenza tra di loro? Perché uno riesce ad espandersi al di fuori delle pareti delle scuole e l'altro, per ora, rimane ancora nel campo di una lotta settoriale? Perché entrambi non innescano processi più ampi di discussione nel mezzo di una crisi generalizzata? Naturalmente non si esige che le lotte degli studenti svolgano il ruolo del Movimento Passe Livre nelle giornate di giugno del 2013. Ma non costa niente riflettere sul fatto che se avessimo più opportunità di espandere e ampliare questo processo individuando uno dei suoi punti di blocco, ovvero quello che riguarda il potere destituente avremmo la capacità di generare un rifiuto sociale in grande scala: quello di cui abbiamo bisogno affinché la crisi sia superata democraticamente.

Ci sono numerosi esempi di messa in pratica di tale potere destituente: si è verificato quando, nel 1955, la sarta Rosa Parks si rifiutò di cedere il suo posto in autobus ad un uomo bianco, scatenando il movimento per i diritti civili; quando, nel maggio del 1968, è stato dichiarato: "Vogliamo tutto, tutto il potere e nessun lavoro"; quando a Seattle un enorme manifesto diceva "Shut Down WTO"; quando in Argentina nel 2001 i cacerolazos erano accompagnati dal motto "que se vayan todos"; quando in Tunisia, anche dopo la fuga di Ben Ali in Arabia Saudita, hanno continuato a gridare "Degage! Degage!";[36] quando il 15M spagnolo diceva "“¡dimisón ya, no nos representan!"; quando il 99% ha detto che "noi non pagheremo per la crisi", quando nel 2013 i giovani utenti del trasporto pubblico hanno decretato "non pagheremo per l'aumento delle tariffe", ecc.

Si può dire che, dal punto di vista degli ampi processi di messa in discussione, il potere destituente in Brasile è completamente bloccato dall’incapacità di dire con fermezza: "Via tutti", "Via Dilma, Temer, Cunha e Renan", "Via il PT, il PMDB e il PSDB", "Non ci rappresenta nessuno". Qualsiasi passo verso l’effettuazione del potere destituente è immediatamente visto come un "colpo di stato", perfino "fascista", da parte della cultura tradizionale di sinistra. Il risultato, come è apparso evidente, è la paralisi politica e l'incapacità di trovare una soluzione alla crisi che parta da una mobilitazione per avere più democrazia.

Questa incapacità di far leva sul potere di rifiutare, lungi dal rappresentare un’esitazione individuale, è costruita ogni giorno con la pratica dei movimenti sociali, tradizionalmente legati al governo (CUT, MST, MTST, UNE, UBES, ecc.), che adottano la strategia di difendere la presidente Dilma, nonostante siano state adottate una serie di misure contro i movimenti, e si ritirano avendo come prospettiva una pressione interna che si è già dimostrata del tutto inefficace. D'altra parte, la componente principale dell’opposizione di sinistra, che dovrebbe essere mobilitata per offrire una alternativa democratica all’impasse, è la prima a indebolire qualsiasi tipo di espansione della contestazione verso un terreno radicalmente destituente/costituente.[37]

A San Paolo, gli occupanti sono stati in grado di riempire i polmoni e gridare "Via Alckmin", "Via il PSDB", incoraggiati e non boicottati dai movimenti filo-governativi (e anche nel Paraná con il movimento "Via Beto Richa"). Ecco la differenza. E questo potere di rifiutare non riguarda specificamente la discussione dettagliata sui meccanismi istituzionali che, in qualche modo, potrebbero rimuovere qualcuno dal potere, ma la capacità di agire come un vero e proprio dispositivo di contagio, proliferazione e auto-valorizzazione del movimento. E da questo che possono emergere tutte le possibili alternative.

Ciò significa che con il "Via!" espresso dal potere destituente, si costituisce una serie di spazi positivi che generano pratiche costituenti fondamentali per continuare il processo di resistenza. Si tratta, ancora una volta, dell'elemento chiave del successo delle occupazioni studentesche di San Paolo e, d'altra parte, spiega le situazioni di stallo e i blocchi affrontati a Rio de Janeiro e a livello nazionale. Non ci è permesso di proliferare, di lottare senza che freni interni esigano prudenza e responsabilità – senza che il movimento si indebolisca e si perda in frammenti paralizzanti. E a Rio de Janeiro, non possiamo fare a meno di commentare che questa situazione tende a peggiorare, a causa della recente decisione dello stato di sollevare un bunker di difesa del governo (con tutte le conseguenze che questa decisione comporta in termini di difesa della stabilità ad ogni costo).

Non siamo di fronte ad un impasse minore. Se questo enigma non sarà risolto con un ampio movimento cittadino che, di fronte alla crisi, proponga un piano di radicalizzazione della democrazia brasiliana, saremo ostaggi, prima, di un sistema politico che oggi opera in modo completamente autoreferenziale, poi di una controversia su chi realizzerà in maniera più efficace il risanamento dei conti pubblici ed infine di piattaforme conservatrici o ultraliberali (MBL, Partido Novo, candidatura di Bolsonaro, ecc.), che assorbono l'indignazione trasformandola in terreno per l’eliminazione di politiche e pratiche di libertà ed uguaglianza.

Oltre all’auto-valorizzazione dei movimenti attraverso il potere di dire "Via tutti", il potere di rifiutare, quando dichiarato senza paura, porta con sé la capacità di inserire le occupazioni in dinamiche politiche più ampie, in un sistema di forze più ampio, che può far cessare l’isolamento politico degli attivisti e inserirli in legittimi spazi di dibattito pubblico sullo stato dell'arte della nostra democrazia. E il famoso ingrediente che può "fungere da collante" e permettere un’articolazione che crei nuovi processi di soluzione democratica della crisi che stiamo vivendo.

La domanda posta nel titolo è ora pienamente giustificata. In Brasile, il ciclo più ampio di ocupas (nelle quali sono inserite le occupazioni studentesche) attraversa un momento di stallo. Le occupazioni potranno svincolarsi dalle insidie stabilite a partire dalle elezioni del 2014, quando la forza creativa del movimento è stata assorbita in una disputa vuota interna al potere? Potranno esercitare un potere destituente, dicendo forte e chiaro: "Via Dilma, Via Temer, Via Cunha, Via tutti"? O si lascerà approfittare delle possibilità costituenti del potere di rifiutare a gruppi ultra-avanguardisti di sinistra, o da piattaforme ultraconservatrici che non puntano a soluzioni democratiche della crisi? Possiamo intendere le occupazioni come vere assemblee costituenti, al di là della limitata dinamica della rappresentanza politica (il peccato originale di Sieyès)? Troveremo un polifonico "Sì, noi possiamo", nato da un potere ampio e contagioso di dire "No"?

Sono domande che sono molto lontane dall’avere una risposta adeguata. Ma sebbene l’interrogativo rimanga, dobbiamo dall’altro lato ringraziare le occupazioni studentesche per averci presentato l’impasse in modo così chiaro e urgente.

 

* Traduzione di Lalita Kraus.



[1] Sulla critica della politica come katechon nei processi di resistenza, si veda Roggero, G., Cinque tesi sul comune in Comune, comunità, comunismo. Teorie e pratiche dentro e oltre la crisi, Verona:ombre corte, 2010. Sulla critica della crisi politica e la paralisi delle sinistre nel contesto brasiliano, si veda Cava, B., “Voto crítico, esquerda e Spinoza” http://www.quadradodosloucos.com.br/5090/voto-critico-esquerda-e-spinoza/; Nunes, R., “A onda conservadora é menos fácil de entender do que se imagina” http://www1.folha.uol.com.br/ilustrissima/2015/08/1674857-ascensao-conservadora-e-complexo-de-katechon.shtml. Sul concetto di katechon nella genealogia del diritto penale moderno (importante per capire la posizione dei “giuristi progressisti” nel contesto della crisi). Barbosa, M. Gonçalves Vasconselhos, “Katechon: o direito entre o sacrifício e o perdão”, Archivo Giuridico – ISSN 2317-918X – Teresina-PI – v. 1 – n. 6 – p. 58-80.

[2] Sul metodo della conricerca si veda il dossier pubblicato dalla Revista Lugar Comum: estudos de mídia, cultura e democracia. Universidade Federal do Rio de Janeiro. LABTEC/ESS/UFRJ. Rio de Janeiro:UFRJ, n. 39 – jan/abril de 2013 Disponibile in download gratuito su http://uninomade.net/lugarcomum/39/.

[3] Devo questa sistemazione a Bruno Cava. Per una versione estesa, si veda: Mendes, A.-Cava, B., A constituição do comum, di prossima pubblicazione. Cfr. anche Cava, B.-Cocco, G.(orgs.), Amanhã vai ser maior: o levante da multidão no ano que não terminou, São Paulo:Annablume, 2014; Castells, M., Redes de indignação e esperança, Rio de Janeiro:Zahar, 2013. Sulle giornate brasiliane Cava, B., A multidão foi ao deserto. São Paulo:Annablume, 2013.

[4] Si veda la serie di ricerche pubblicate da Javier Toret in https://datanalysis15m.wordpress.com/ ; Sanchez, R., “El 15M como insurrección del cuerpo máquina”http://www.rebelion.org/noticia.php?id=145402.

[5] Si veda Writers for the 99%, Occupying Wall StreetThe Inside Story of an Action that Changed America, Chicago:Haymarket, 2012.

[6] Si veda la serie di testi pubblicata da Bernardo Gutierrez in http://codigo-abierto.cc/.

[7] Si veda l'intervista con il filosofo Costantin Sigov di Giuseppe Cocco http://uninomade.net/tenda/entrevista-com-constantin-sigov-filosofo-ucraniano/ e la recensione al film “Maidan”, di Sergei Loznitsa (Ucrânia, 2014) di Pedro Henrique Gomes http://uninomade.net/tenda/maidan-va-veja-e-filme/.

[8] Cfr. Beltran, S. A.-Cava, B. (orgs.), Podemos e Syriza: experimentações políticas e democracia no século 21, São Paulo:Annablume, 2015; Observatorio Metropolitano, La apuesta municipalista. La democracia impieza por lo cercano, Madrid:Traficantes del suenos, 2014. Ho trattato questo tema in “O municipalismo do Barcelona em Comum: da transição a uma institucionalidade constituinte” http://uninomade.net/tenda/o-municipalismo-do-barcelona-em-comum/.

[9] Cfr. Mendes, A.-Cava, B., “Podemos e os enigmas que vêm do sul”, Le Monde Diplomatique Brasil, abril de 2015; Cava, B.-Schavelzon, S., “Podemos y latinoamerica; historia de un desacuerdo”, Lobo Suelto! (Argentina), 19 agosto 2015 http://anarquiacoronada.blogspot.com.br/2015/08/podemos-y-latinoamerica-historia-de-un.html.

[10] Cfr. Fumagalli, A.-Mezzadra S. (a cura di), Crisi dell'economia globale, Verona:ombre corte 2009.

[11] Un'argomentazione completa in Mendes, A.-Cava, B., “A esquerda que venceu”, IHU online, 06 ottobre 2015 http://www.ihu.unisinos.br/noticias/547641-a-esquerda-que-venceu.

[12] Un’accesa discussione sta avvenendo in Brasile sul tema del neosviluppismo. Per testi critici di diversa matrice, si veda Cocco, G., KorpoBraz: por uma política dos corpos, Rio de Janeiro:Mauad, 2013; Gonçalves, R., “Novo desenvolvimentismo e Liberalismo Enraizado. Serviço Social e Sociedade”, São Paulo, n. 112, p. 637-671, ott./dic., 2012; Mota, A. E. (org.), Desenvolvimentismo e construção de hegemonia: crescimento econômico e reprodução da desigualdade, São Paulo:Cortez, 2012; Sampaio, Jr. Plínio Soares de Arruda, “Desenvolvimentismo e neodesenvolvimentismo: tragédia e farsa”, Serviço Social & Sociedade, n.112, v. 1, p. 672, ott./dic., 2012; Fiori, J. L., “A miséria do novo desenvolvimentismo”, Jornal Valor del 29 novembre 2011 http://www.ie.ufrj.br/aparte/pdfs/fioriii.pdf. Per comprendere come il neosviluppismo è concepito come nuova teoria economica, si veda: Pfeifer, M., “Bresser-Pereira e o pacto neodesenvolvimentista. Temporalis”, [S.l.], v. 2, n. 26, p. 11-36, feb. 2014 http://periodicos.ufes.br/temporalis/article/view/6066; Bresser-Pereira, L. C., “Novo desenvolvimentismo: uma proposta para a economia do Brasil”, Nueva Sociedad. Speciale in portoghese. Dic., 2010.

[13] Rolnik, R., Entrevista para o site UOL http://noticias.uol.com.br/cotidiano/2009/04/22/ult5772u3670.jhtm.

[14] Cfr. Cocco, G., “Não existe amor no Brasil Maior” in Le Monde Diplomatique Brasil http://www.diplomatique.org.br/artigo.php?id=1413.

[15] Per un’analisi del caso, si veda Cocco, G., KorpoBraz (2013).

[16] Si veda: Lazzarato, M.-Negri. A., Trabalho imaterial. Traduzione di Mônica Jesus. Introduzione di Giuseppe Cocco. Rio de Janeiro:LP&A, 2001; Lazzarato, M. et al., Des entreprises pas comme les autres: Benetton en Italie, le sentier à Paris. Paris:Publisud, 1993.

[17] Utilizzo qui l’inestimabile lettura di Michel Foucault del neoliberalismo. Il neoliberalismo non come teoria economica, ma come arte di governare, o governamentalità (governo delle condotte) cfr. Foucault, M., Naissance de la biopolitique. Cours au Collège de France (1978-79). Paris:Gallimard/Seuil, 2004.

[18] L’argomentazione segue Revelli, M., Finale di partito. Torino:Einaudi, 2013.

[19] Qui è pertinente ricordare il commento di Foucault sull’assenza di un’arte di governare propria del socialismo, che prenda in prestito le pratiche governative relative alla pianificazione sociale o al neoliberalismo. (Foucault, M. 2004).

[20] Cfr. Camacho, V. O., Errancias. Aperturas para el viver bien. La Paz:Muela del Diablo, 2011 e Schavelzon, S., Plurinacionalidad y vivir bien/buen vivir, Quito:Clacso, 2015.

[21] Analizzo il fenomeno in relazione ai panelaço nel testo: Mendes, A., “O panelaço no Morro dos Cabritos” http://uninomade.net/tenda/o-panelaco-no-morro-dos-cabritos/.

[22] Un ricco insieme di testi di matrice diversa, elaborati a partire dai movimenti globali, si può trovare in Dias-Salazar, R. (ed.), Justicia Global. Las alternativas de los movimientos del Foro de Porto Alegre, Barcelona:Icaria, 2003. Si veda anche Cocco.G-Hopstein S., As multidões e o império: entre a globalização da guerra e a universalização dos direitos. Rio de Janeiro:DP&A, 2002.

[23] Questa idea è sviluppata da Naomi Klein in un discorso fatto agli occupanti di Occupy Wall Street http://www.naomiklein.org/articles/2011/10/occupy-wall-street-most-important-thing-world-now.

[24] Mi riferisco qui al testo di Silvio Pedrosa Por um compromisso bárbaro http://uninomade.net/tenda/por-um-compromisso-barbaro/.

[25] Per citare alcuni esempi, si veda il dizionario realizzato dagli occupanti del 15M spagnolo http://johnpostill.com/research/15-m-dictionary/. Un’anticipazione delle discussioni può essere trovata in Zizek, S., “Discurso aos manifestantes do Occupy Wall Street” http://blogdaboitempo.com.br/2011/10/11/a-tinta-vermelha-discurso-de-slavoj-zizek-aos-manifestantes-do-movimento-occupy-wall-street/. Cfr. anche il racconto di Antonio Negri sul 15M: “Parece incrível, mas, de verdade, ocorreram formidáveis e inovadoras experiências, seja sobre o terreno da cooperação organizacional, seja sobre a elaboração teórica — experiências nunca repetitivas, burocráticas ou inúteis. Há uma maturidade geral que desenvolveu novas habilidades — porém, especialmente, que evitou contraposições dogmáticas e/ou sectárias. Aqueles que já estavam organizados em grupos não foram excluídos, mas implicados no ‘todos juntos’. Não houve necessidade de um ‘savoir faire’ político particular, mas somente de competência e capacidade de participar de um projeto comum”, disponibile su http://www.ihu.unisinos.br/noticias/44050-15m-redes-e-assembleias-por-antonio-negri. Sull’importanza del contagio, si veda il commento realizzato da Eduardo Galeano durante la visita alle occupazioni di Barcellona http://www.esquerda.net/dossier/galeano-o-segredo-das-acampadas-%C3%A9-%E2%80%9Cvitamina-e%E2%80%9D. Analisi della dinamica di OcupaRio del 2011, a Cinelândia, possono essere trovate in Santos, M., “Correa. Pensando o ocupario: encontros, encantamentos, rupturas e abandono” https://daslutas.wordpress.com/2013/06/07/pensando-o-ocupa-rio-encontros-encantamentos-rupturas-e-abandono/; Cava, B., “Produzindo o dissenso na acampada”http://www.quadradodosloucos.com.br/2026/produzir-o-dissenso-na-acampada/. E Cava, B., OcupaRio: os corpos da cidade entre a utopia e a distopia in Silva, G.-Corsini, L., Democracia x regimes de pacificação, São Paulo:AnnaBlume, 2015.

[26] Ho trattato tali idee in Mendes, A., “Lista de desejos para um novo municipalismo”http://uninomade.net/tenda/lista-de-desejos-para-um-novo-municipalismo/.

[27] Qui unisco diverse analisi sul capitalismo contemporaneo che si trovano in: Boutang, Y,. Le capitalisme cognitif: la nouvelle Grande Transformation, Paris:Editions Amsterdam, 2007; Cocco, G., Trabalho e Cidadania. Rio de Janeiro:Cortez, 1999; Lazzarato, M., As revoluções do capitalismo. Rio de Janeiro:Record, 2006; Marazzi, C.,  Il posto dei calzini, Torino:Bollati Boringhieri 1999; Negri, A-Hardt, M., Impero, Milano:Rizzoli, 2002; Negri, A. Interpretation of the class situation today: methodological aspects in BONEFELD. W. et al. (orgs.). Open Marxism, vol. II. Londres: Pluto Press, 2002, pp. 69-105.

[28] La relazione tra lo studente e il lavoratore contemporaneo si trova in AA. VV. Università globale, Roma:Manifestolibri, 2008. Si veda anche: Roggero, G., La produzione del sapere vivo: crisi dell’università e trasformazione del lavoro tra le due sponde dell’Atlantico, Verona:ombre corte, 2009. Sul contesto brasiliano Alexandre do Nascimento http://www.sentimentanimalidades.net/estudos/.

[29] Sul passaggio da una società disciplinare a una società del controllo, si veda: Deleuze, G., Poscritto alle società del controllo in Pourparler, Macerata:Quodlibet, 2000. Sulla genealogia dell’uomo indebitato, si veda: Lazzarato, M., La fabbrica dell'uomo indebitato, Roma:Deriveapprodi, 2012.

[30] Quest’analisi si trova in Berardi, F., L'anima al lavoro, Roma:Deriveapprodi 2016 (di prossima pubblicazione). Cfr. De Boevers, A.-Neidich, W. [eds.], The psychopathogies of Cognitive Capitalism. Part One. Berlin:Arquive Books, 2013.

[31] Per la relazione tra il ciclo delle acampadas e una politica di alleanze tra diversi corpi precari che resistono insieme, invece che competere tra loro, si veda Butler, J., “Bodies in alliance and the politics of the streets” http://www.eipcp.net/transversal/1011/butler/en.

[32] Cfr. Deleuze, G.-Guattari, F., Millepiani, Roma:Castelvecchi, 2014.

[33] Per la relazione tra lavoro e costituzione e per una critica del costituzionalismo, cfr. Negri, A., Il potere costituente, Roma: Manifestolibri 2002 [1992]; Con la stessa prospettiva, dal punto di vista della costituzione sociale del lavoro, cfr. NEGRI, A. Il lavoro nella costituzione, Verona:ombre corte, 2012 [1977].

[34] Cfr. Messina, G., Diritto liquido? La governance come nuovo paradigma della politica e del diritto, Milano:Franco Angeli, 2012.

[35] Non fa parte degli obiettivi del testo affrontare il dibattito filosofico che è stato stabilito tra Antonio Negri e Giorgio Agamben sul concetto di potere destituente. Seguiamo la posizione di A. Negri che non concepisce il potere costituente dentro la tradizione o l’ontologia originaria della sovranità. Con questo proposito Agamben, G., “Per una teoria del potere destituente” http://www.sinistrainrete.info/societa/3401-giorgio-agamben-per-una-teoria-del-potere-destituente-.html; Negri, A., “Giorgio Agamben, quando l’inoperosità è sovrana” http://ilmanifesto.info/giorgio-agamben-quando-linoperosita-e-sovrana/.

[36] Questo episodio è riportato da Manuel Castells in un libro già citato (Castells, M., 2012, p. 28).

[37] Analisi con toni simili possono trovarsi in una serie di interviste della IHU on-line e nel n. 461 della stessa rivista, Brasil. Crises e desafios, n. 461, Ano XV, edição de 23 de março de 2015, disponibile su http://www.ihuonline.unisinos.br/index.php?secao=461. Cocco, G., “O capital que neutraliza e a necessidade de uma outra esquerda”, disponibile su: http://www.ihu.unisinos.br/entrevistas/544222-o-capital-que-neutraliza-e-a-necessidade-de-uma-outra-esquerda-entrevista-especial-com-giuseppe-cocco; Cava, B., “O lastro da crise. O pemedebismo é a lógica que sustenta o PT” http://www.ihu.unisinos.br/entrevistas/539902-o-lastro-da-crise-pemedebismo-e-a-logica-que-sustenta-o-pt-entrevista-especial-com-bruno-cava; Castaneda, M., “Crise política. Não há disputa. Há uma composição” http://www.ihu.unisinos.br/entrevistas/545853-crise-politica-nao-ha-disputa-ha-uma-composicao-entrevista-especial-com-marcelo-castaneda