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L’ecologia politica di André Gorz

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Introduzione a “Ecologia e libertà” di A. Groz scritta da Emanuele Leonardi

[Pubblichiamo l’introduzione a Ecologia e libertà (Orthotes Editrice, 2015) scritta da Emanuele Leonardi, curatore del volume.]

In Italia, a quasi dieci anni dalla sua morte, di André Gorz si parla ancora troppo poco. Sebbene il grande successo della struggente Lettera a D. Storia di un amore[1] – in parte dovuto alle tragiche circostanze del suicidio di Gorz e della moglie Dorine, avvenuto il 22 settembre 2007 – abbia permesso ad una nuova generazione di studiosi e attivisti di accostarsi per la prima volta al pensiero gorziano, il suo impatto sul dibattito pubblico, accademico o politico, è rimasto limitato. Si tratta in realtà di un destino singolare, dato il rapporto profondo intrattenuto da Gorz con la sinistra italiana sia nella seconda metà degli anni Sessanta, in cui è significativa l'influenza del marxismo anti-stalinista di Lelio Basso,[2] sia nel corso del decennio successivo che lo vede imporsi nel movimento francese come “il capofila intellettuale della tendenza 'italiana' della nuova sinistra”.[3]

In Francia, naturalmente, la situazione è diversa: non solo sono stati promossi convegni e pubblicate opere sull'eredità della produzione filosofica,[4] sociologica[5] e giornalistica[6] di Gorz – nonché sulla sua vicenda personale[7] – ma il confronto serrato con le sue posizioni rappresenta un esercizio politico che ricorre con una certa frequenza soprattutto nell'elaborazione della galassia écolo transalpina (tra gli altri il movimento della decrescita, le formazioni antinucleariste ed il partito Europe Écologie Les Verts).

1. Lo sviluppo generale della ricerca gorziana

L'intento primario di questa nuova traduzione di Écologie et liberté, apparso in italiano con il curioso titolo di Sette tesi per cambiare la vita pochi mesi dopo l'uscita dell'originale francese (1977),[8] è dunque quello di favorire il rilancio del dibattito italiano sull'opera di André Gorz, con particolare riferimento alla sua fase ecologico-politica, temporalmente breve ma assai duratura nei suoi effetti.[9] Il riferimento ad una 'fase ecologico-politica' del percorso gorziano potrebbe sollevare malintesi: è quindi opportuno soffermarsi brevemente su questo passaggio. È certamente lecito affermare che dagli anni Settanta in poi la riflessione di Gorz non abbia cessato di cimentarsi, in un modo o nell'altro, con il rapporto tra questione ambientale, trasformazioni del lavoro e tendenze dello sviluppo capitalistico. Eppure, in assenza di precisazioni puntuali tale affermazione finirebbe per adombrare più che illuminare gli scarti, le deviazioni, i ripensamenti che scandiscono l'originale evoluzione della sua analisi. Occorre infatti, specialmente a partire dal discusso Adieux au prolétariat. Au de là du socialisme (1980), giustificare i nessi interpretativi che articolano la relazione tra i tre elementi poc'anzi menzionati: al di là dell'evidente – e tuttavia generica – continuità rivendicata dallo stesso Gorz,[10] la sua eredità si carica di accenti contrastanti proprio a partire dall'enfasi relativa che si decida di porre sull'una o l'altra delle tre questioni, nonché sulla modalità specifica del loro rapportarsi.

È evidente che una trattazione approfondita dell'interazione tra questione ambientale, trasformazioni del lavoro e tendenze dello sviluppo capitalistico nel pensiero di Gorz è obiettivo molto ambizioso che trascende gli scopi di questa Introduzione. Ciononostante, ci premeva quantomeno porre il problema perché questo ci permette di ragionare sulla fase ecologico-politica (ed in particolare su Ecologia e libertà) a partire dalla centralità che essa riveste nell'esperienza di ricerca di Gorz. In generale – e a fini puramente espositivi – si può ipotizzare la seguente sequenza dei suoi temi di indagine: ad un primo, fondamentale incontro con l'esistenzialismo di Jean-Paul Sartre[11] seguirebbe un periodo di rinnovato interesse per alcune problematiche classiche dell'analisi marxista (tra le altre, nodo riforma/rivoluzione e ruolo politico del sindacato);[12] l'onda lunga del Maggio francese aprirebbe la fase ecologico-politica propriamente detta (1973-1978), che discuteremo a breve; successivamente si assisterebbe ad una serie di innovative riflessioni – talvolta apertamente critiche – dedicate al concetto di lavoro sia dal punto di vista teorico che empirico,[13] seguite a loro volta da alcune delle più raffinate e pionieristiche ricerche sul capitalismo cognitivo e sulle inedite opportunità di liberazione offerte dallo sviluppo globale della rete Internet.[14]

A scanso di equivoci è il caso di ripetere che il senso di questa suddivisione è esclusivamente euristico:[15] essa ci permette infatti di enfatizzare la centralità del periodo 1973-1978 mostrandone i due aspetti maggiormente rilevanti. Da un lato l'originalità rispetto a quasi tutte le anime della sinistra del tempo, e dall'altro la funzione di perno, di elemento fondativo della riflessione a venire: Gorz rappresenta infatti uno dei pochi intellettuali influenti della sinistra – 'vecchia' o 'nuova' che sia – che abbiano compreso la portata epocale della crisi ecologica e ne abbiano fin dal principio pensato la sfida in termini sociali.[16] D'altro canto, non può sfuggire quanto profonda sia stata l'influenza del pensiero ecologista sul suo processo di messa in discussione di alcuni fondamenti del marxismo. In effetti, la civiltà del tempo liberato, finalmente vissuto in piena autonomia individuale e collettiva – cioè l'utopia gorziana, eco-socialista per eccellenza – non è che l'autolimitazione cosciente indotta dal rispetto dei limiti biosferici unita alla gestione non capitalistica dell'automazione dei regimi produttivi (cioè della riduzione del lavoro socialmente necessario).

2. La fase ecologico-politica

La fase ecologico-politica della ricerca di Gorz si apre nel 1973 con la pubblicazione di due testi che, benché in modo diverso – l'uno più approfondito dal punto di vista teorico, l'altro più sbilanciato sul versante giornalistico[17] – cominciano ad assumere l'emergere della questione ecologica come una sfida fondamentale ed ineludibile per il ripensamento di una strategia socialista concretamente efficace e politicamente desiderabile. Tali testi sono Critique de la division du travail[18]e Critique du capitalisme quotidien.[19] Non è difficile riscontrarvi un'eco dell'impatto sull'opinione pubblica del rapporto del Club di Roma sui limiti della crescita[20], pubblicato nel 1972 , ma va sottolineato che Gorz postulò la cruciale rilevanza del deterioramento ambientale per via autonoma, come dimostra uno scritto del 1971 indirizzato al sindacato metalmeccanico della Repubblica Federale Tedesca (IG Metall).[21] In esso si sostiene che il principale fattore di crisi vada riscontrato nel “rincaro dei costi di riproduzione”[22] dovuto alla dispendiosa necessità di salvaguardare (ex ante) o bonificare (ex post) l'ambiente, circostanza da cui discende per il sindacato l'obbligo di impegnarsi in un progetto di civiltà incentrato più sulle “rivendicazioni extra-economiche dette 'qualitative'”[23] che non sul conflitto salariale.

Nel 1975 esce Écologie et politique,[24] fondamentale raccolta di articoli scritti per Le Sauvage e Le Nouvel Observateur nel biennio precedente, che approfondisce e raffina l'approccio specificamente gorziano alla crisi ecologica, cioè una chiave di lettura socio-politica della devastazione ambientale. Riferendosi allo shock petrolifero del 1973, scrive nella Presentazione al volume:

I limiti fisici, ecologici della crescita non sono stati la causa principale della crisi. Ma l'hanno accelerata ed aggravata dal punto di vista economico, evidenziando inoltre l'assurdità di un sistema in cui la crescita della produzione andava di pari passo con quella della disuguaglianza e del disagio. L'importanza dei limiti fisici della crescita non risiede nelle nuove costrizioni che essi impongono al capitalismo – il capitalismo ne ha sopportate ben altre senza soffrirne – ma nelle scelte di civiltà che essi impongono: democrazia dei produttori associati o irregimentazione planetaria; socialismo o eco-fascismo.[25]

Nel 1977 Gorz dà alle stampe Écologie et liberté, senza dubbio l'opera fondamentale della sua fase ecologico-politica, un saggio di ampio respiro che gli permette di focalizzare alcuni nodi teorici al di là dei limiti strutturali dell'articolo giornalistico e che si presenta dunque come uno sforzo di sistematizzazione, come una sorta di bilancio concettuale che consentirà all'autore di cesellare una prospettiva autonoma e originale attorno alla quale costruire nuove indagini critiche su questioni cruciali quali il lavoro – il suo senso, la sua funzione, i suoi limiti – ed il nesso tra reddito di esistenza e autonomia individuale e collettiva – la loro necessaria compresenza, la questione del tempo liberato come modo della loro articolazione. Con la ristampa accresciuta di Écologie et politique nel 1978[26] – comprensiva anche di Écologie et liberté – possiamo dunque ritenere conclusa la fase ecologico-politica del percorso gorziano, benché sia sufficiente richiamare il titolo della postfazione a Adieux au prolétariat (1980), 'Crescita distruttiva e riduzione produttiva',[27] per rendersi conto una volta di più di quanto una particolare sensibilità verso le problematiche ambientali sia alla base anche delle fasi successive della ricerca di questo autore.

3. Attualità dell'ecologia politica

Torniamo ora a Écologie et liberté: leggendolo si ha la strana sensazione di trovarsi di fronte ad un testo al contempo straordinariamente anticipatore e drammaticamente antiquato. Antiquato perché, sebbene con estrema parsimonia, anch'esso non si sottrae alla moda ambientalista della chiaroveggenza. Un esempio: “Sappiamo che il nostro attuale modo di vita non ha futuro; che i figli che metteremo al mondo non useranno più, in età matura, né alluminio né petrolio”.[28] Dalla prospettiva del Febbraio 2015 – momento in cui scriviamo e in cui un'ipotetica figlia avrebbe quasi quarant'anni – segnata dal crollo del prezzo del petrolio dovuto all'effetto combinato della crisi globale (riduzione della domanda), degli investimenti in nuove tecnologie di estrazione (la cosiddetta fratturazione idraulica [fracking]), dell'esplorazione di nuovi giacimenti (sabbie bituminose [tar sands] e gas da argille [shale gas]) e da inedite tensioni geopolitiche (basti citare il caso della Libia); da questa prospettiva, si diceva, tali predizioni potrebbero far sorridere. Sarebbe tuttavia sbagliato dedurne un'erroneità senza appello. In primo luogo perché è opinione corrente che il picco del petrolio sia già stato raggiunto e che, quindi, un ipotetico scenario post-crisi riproporrebbe lo stesso problema in forma aggravata. In secondo luogo perché la crisi ambientale ci si presenta oggi in forme talmente evidenti che eventuali imprecisioni al ribasso delle ipotesi passate sono più che compensate dall'emergere continuo di nuove criticità. In terzo luogo perché in Gorz l'analisi di una situazione ecologicamente drammatica è spesso necessaria ma mai sufficiente a definire la strategia politica che si propone di affrontarla.

Ecco dunque la dimensione anticipatrice di questo libro: la crisi della natura non è esterna all'economia, alla società, alla politica; ne è semmai il volto estremo, il sintomo inaggirabile, l'ingiunzione cui non ci si può sottrarre procrastinando. Gorz è dunque tra i primi a chiederci di pensare la questione ambientale nella sua non-autosufficienza, nella sua impossibilità a spiegarsi da sé: essa dischiude infatti una crisi del produttivismo occidentale e del capitalismo industriale che possiede un'origine storica e che richiede una soluzione politica. Tale soluzione, peraltro, non fornisce alcuna garanzia sulla desiderabilità o meno del suo esito: il testo torna a più riprese sul rischio concreto di una deriva tecnofascista, cioè di una risposta autoritaria alle sfide ecologiche.[29] Il degrado degli equilibri biosferici schiude infatti uno scenario fortemente polarizzato: alla tentazione dispotica deve far fronte un progetto sociale complessivo capace di coniugare la sostenibilità ambientale e l'autonomia individuale e collettiva: “Rigettare il tecnofascismo non può dipendere da una scienza degli equilibri naturali; al contrario, deve derivare da una scelta politica e culturale”.[30] Il nesso tra ecologia e libertà, dunque, non si dà in natura – non sta nelle cose: bisogna produrlo, curarlo, difenderlo.

Come ha giustamente rilevato Catherine Larrère, è con Gorz che l'ecologia diviene propriamente politica:[31] in precedenza, la parola indicava o una scienza naturale – quella delle relazioni tra gli esseri viventi ed il loro ambiente – o un settore specializzato dei rapporti tra gli esseri umani ed il loro ambiente – in particolare la protezione della natura o la prevenzione dei rischi. Ben diversamente, Gorz ha reso l'ecologia politica un progetto globale di trasformazione della società, capace simultaneamente di succedere al capitalismo e di ridefinire il socialismo, cioè di liberarlo dai suoi limiti produttivistici. Insomma: l'ecologia politica gorziana è un anticapitalismo, una ricerca attiva dei punti di rottura della logica del capitale, uno sforzo utopico di mettere in atto – qui e ora – ciò che forza e infine scardina le compatibilità del sistema tecnico-economico. Su questo punto Gorz non arretrerà di un millimetro. Ancora nel 2005, quasi trent'anni dopo il saggio che stiamo introducendo, scriverà:

Prendere in considerazione un'altra economia, altri rapporti sociali, altri modi e mezzi di produzione, altri modi di vita, passa per 'irrealista', come se la società della merce, del salariato e del denaro fosse insuperabile. In realtà, una folla di indici convergenti suggerisce che questo superamento è già innescato e che le occasioni di un'uscita civilizzata dal capitalismo dipendono anzitutto dalla nostra capacità di distinguere le tendenze e le pratiche che ne annunciano la possibilità.[32]

L'ecologia politica di Gorz è, dunque, immaginazione pratica di un futuro non segnato dall'imperativo capitalistico della massimizzazione del profitto ad ogni costo. Sta in questo, crediamo, la sua più profonda attualità.

4. Ecologia e marxismo

Abbiamo visto come l'analisi gorziana della crisi ecologica privilegi il suo versante sociale rispetto a quello ambientale. Ciò non significa affatto che quest'ultimo sia considerato irrilevante. Semplicemente, si ritiene che il modo migliore di affrontare il tema ineludibile dei limiti fisici alla crescita non sia quello di divinizzare la Natura, di renderne il concetto immediatamente normativo, bensì quello di sviluppare una teoria del rapporto tra modo di produzione capitalistico e ambiente circostante. Scrive Gorz:

La Natura [...] non è intangibile. Ed il progetto 'prometeico' di 'dominarla' o 'addomesticarla' non è necessariamente incompatibile con il pensiero ecologico. Ogni cultura (nel duplice senso del termine) usurpa la natura e modifica l’ambiente. Il problema fondamentale posto dall’ecologia è soltanto di sapere:

1) se i trasferimenti che l’attività umana impone o estorce alla natura tengono in debito conto le risorse non rinnovabili;

2) se gli effetti distruttivi della produzione non superano gli effetti produttivi a causa di prelievi eccessivi operati sulle risorse rinnovabili.[33]

In questo senso, ecologia e marxismo sono perfettamente compatibili: laddove il secondo studia e critica i limiti interni dell'attività produttiva, la prima si occupa di registrarne i limiti esterni, e di denunciarne l'oltrepassamento qualora ciò si verificasse. In questo modo Gorz può elaborare una duplice teoria della crisi capitalistica degli anni Settanta: da un lato, a partire da una sostanziale accettazione dell'indicazione marxiana della caduta tendenziale del saggio di profitto – cioè dell'impossibilità sul lungo periodo di sostituire la funzione valorizzante del lavoro vivo operaio con il lavoro morto cristallizzato nelle macchine – si delinea una situazione di sovrapproduzione cui il capitale fa fronte ricorrendo ad alcuni fattori di controtendenza, tra cui l'obsolescenza programmata delle merci e la creazione di bisogni indotti, cioè slegati dal valore d'uso in esse incorporato. Dall'altro lato, Gorz individua una crisi da riproduzione dovuta ai costi crescenti che il capitale deve sopportare per rigenerare l'ambiente (fino ad allora utilizzato come discarica 'gratuita') di modo da poterlo nuovamente inquinare – con un rincaro dei prezzi finali come inevitabile riflesso. Leggiamo in un passo di particolare importanza:

Quel che importa notare è che questa fuga in avanti [obsolescenza programmata e bisogni indotti] si è conclusa con lo shock petrolifero. Quest'ultimo non ha causato la depressione economica; ha piuttosto rivelato una depressione che covava da parecchi anni. Soprattutto, ha fatto toccare con mano il fatto che lo sviluppo capitalistico abbia generato delle scarsità assolute: nel tentativo di superare gli ostacoli economici alla crescita, lo sviluppo capitalistico ha fatto nascere degli ostacoli fisici.[34]

Ecco dunque spiegata la complementarità possibile tra ecologia e marxismo.[35] Con due avvertenze, però: in primo luogo, nel sistema gorziano tale schema funziona solo a patto che per marxismo non si intenda la sua versione volgare e che esso venga depurato da ogni elemento profetico: fin dagli anni Cinquanta, infatti, Gorz si era mostrato assai scettico nei confronti di ogni filosofia della storia, ed in particolare delle tendenze storicistiche del materialismo dialettico.[36] Del resto, e qui passiamo alla seconda avvertenza, è proprio ad una lettura automatica, lineare e progressiva della successione dei modi di produzione (feudale – capitalistico – comunistico) che si può imputare l'adesione del movimento operaio 'ufficiale' (grandi sindacati e partiti comunisti) al paradigma produttivista. Gorz mostra con maestria insuperata come il socialismo, per essere all'altezza della propria ambizione emancipatrice, debba necessariamente rompere l'egemonia del capitale sulle politiche economiche e sugli strumenti di produzione. Propugnando la crescita come panacea di tutti i mali, tali politiche non solo mostrano il proprio carattere mistificatorio (dal momento che la forbice sociale non ha cessato di allargarsi), ma inchiodano l'immaginazione politica sul terreno solo apparentemente neutro della quantità.

5. L'influenza di Illich e l'utopia dell'autogestione

Per sottrarsi a questa falsa neutralità del quantitativo Gorz si rivolge alle analisi di Ivan Illich – pensatore eclettico ed iconoclasta[37] – ed in particolare alla sua formulazione del concetto di convivialità come critica qualitativa al produttivismo e come prospettiva politica di autonomia nel rapporto tra l'uomo (individuo e collettività) e lo strumento tecnico. Scrive Illich:

Intendo per convivialità il contrario della produttività industriale. Ognuno di noi si definisce nel rapporto con gli altri e con l'ambiente e per la struttura di fondo degli strumenti che utilizza. Questi strumenti si possono ordinare in una serie continua avente a un estremo lo strumento dominante e all'estremo opposto lo strumento conviviale: il passaggio dalla produttività alla convivialità è il passaggio dalla ripetizione della carenza alla spontaneità del dono [...] Il rapporto industriale è riflesso condizionato, risposta stereotipa dell'individuo ai messaggi emessi da un altro utente, che egli non conoscerà mai, o da un ambiente artificiale, che mai comprenderà; il rapporto conviviale, sempre nuovo, è opera di persone che partecipano alla creazione della vita sociale.[38]

Da Illich, inoltre, Gorz recupera il tema cruciale della controproduttività, cioè della tendenza delle istituzioni moderne a superare una soglia critica oltre la quale non solo non sono più in grado di raggiungere lo scopo per cui erano state create, ma finiscono addirittura per frapporre ostacoli al suo raggiungimento, così che “al di là di un certo grado d’intensità, la medicina produce impotenza e malattia”,[39] l'istruzione dissemina ignoranza e l'automobile comporta congestione del traffico.[40] Similmente, Gorz sottolinea come lo sviluppo capitalistico nel secondo dopoguerra, benché abbia giustificato la propria incomprimibile sete di accumulo con la necessità di soddisfare i bisogni primari delle popolazioni, abbia invece finito col produrre da un lato nuova povertà (cioè scarsità relativa) e dall'altro un irreversibile deterioramento della biosfera (cioè scarsità assoluta).

Si comprende dunque agevolmente come, per Gorz, l'ecologia non sia soltanto fredda scienza dei limiti esterni dell'attività economica, ma anche e soprattutto un modo di vita che abbraccia l'autonomia individuale sia all'interno del mondo vissuto delle comunità (minacciato dalla razionalità colonizzatrice del capitale) che nel suo rapporto con l'ambiente circostante (messo a repentaglio dall'espandersi dei processi di mercificazione). È vero che, come ha mostrato efficacemente Catherine Larrère, il legame tra l'autonomia che struttura l'ecologia politica el'interdipendenza che caratterizza l'ecologia scientifica resta problematico e deve dunque essere continuamente ripensato.[41] Tuttavia, ciò non comporta che la soluzione prospettata da Gorz sia priva d'interesse, anzi: a suo avviso la crisi ecologica deriva dalla nefasta combinazione tra la logica economicistica del capitale e la razionalità amministrativa degli apparati di Stato, cioè da una compressione simultanea di autonomia comunitaria e interdipendenza sistemica. Ad essa si deve dunque rispondere con un progetto politico complessivo – autogestione – e con uno strumento pratico-comunicativo atto al suo innesco – utopia.

Per 'autogestione' Gorz intende il recupero delle capacità creative sussunte dal capitale e atrofizzate dallo Stato. Non un rifiuto della dinamica storica che ha sancito l'unione di capitalismo e sovranità, dunque, bensì un suo riorientamento in direzione della società conviviale. Il punto è espresso con chiarezza:

In breve, l'autogestione presuppone l'uso di strumenti che possano essere autogestiti. Tali strumenti sono possibili da un punto di vista tecnico. Non si tratta di tornare all'artigianato, all'economia di villaggio e al Medio Evo, bensì di subordinare le tecniche industriali allo sviluppo permanente delle autonomie individuali e comunitarie invece di subordinare queste autonomie allo sviluppo permanente delle tecniche industriali.[42]

Si nota in questo passaggio la critica gorziana all'atteggiamento prevalente dei sindacati europei, la cui attenzione era (ed è, in molti casi) focalizzata esclusivamente sulla rivendicazione salariale – dunque sulle modalità distributive del valore – e non sulla composizione della produzione – cioè sulla definizione qualitativa di ciò che si deve produrre, e pecrhé.

Per rendere l'idea di autogestione concretamente visualizzabile – e quindi politicamente agibile – Gorz non esita a servirsi di uno strumento spesso malvisto dalla tradizione marxista: l'utopia.[43] Le ultime pagine di Écologie et liberté, infatti, portano il titolo di “Un'utopia possibile fra tante altre”.[44] Esso è significativo perché indica immediatamente la dimensione pratica del processo utopico: non si tratta infatti di immaginare un futuro astratto cui la realtà dovrebbe presto o tardi conformarsi, di una lista asettica di prescrizioni cui attenersi rigorosamente. Al contrario, Gorz invita i soggetti cui si rivolge – cioè gli attori che a vario titolo compongono la galassia multiforme della 'sinistra' – a condividere il tentativo di delineare attorno ad alcune rivendicazioni-chiave i contorni di una società desiderabile che già si mostra negli interstizi del sistema capitalistico in decadenza. Nell'utopia gorziana il Presidente della Repubblica francese non esita ad individuare tre parole d'ordine immediatamente realizzabili: “Lavoreremo meno”, “consumeremo meglio”, “integreremo la cultura alla vita quotidiana di tutti”.[45] È questa fattibilità incompatibile – cioè la giustapposizione sorprendente di ragionevolezza politica dell'autogestione e di violenza istituzionale dello Stato capitalistico – che squarcia il velo mistificatorio dell'ideologia e mostra il duplice carattere dell'utopia di Gorz: critica immanente dello stato di cose presenti e prefigurazione materiale di una nuova, possibile struttura sociale. In termini temporali, il riferimento ad un futuro auspicabile innesca potenziali critici già esistenti in modo tale che una data opposizione allo status quo attivi immediatamente la costruzione di nuove forme di organizzazione sociale, precedentemente inimmaginabili. Inoltre, il nesso tra la dimensione decostruttiva e quella creativa dell'utopia gorziana si materializza attraverso l'emergere di nuove forme di socialità che, al medesimo tempo, ratificano la natura obsoleta dei rapporti di produzione capitalistici e prefigurano un nuovo modello di autogestione inclusiva.

Non c'è dubbio che Gorz abbia mantenuto viva la tensione rivoluzionaria tra progetto utopico e pratica dell'autogestione per tutto l'arco della sua avventura intellettuale. Nel suo ultimo articolo, inviato alla rivista EcoRev' nel gennaio 2007 – pochi mesi prima di morire – conclude un'illuminante riflessione sui movimenti legati al free software sottolineandone la potenziale valenza ecologica: “I mezzi di autoproduzione high-tech rendono la megamacchina industriale virtualmente obsoleta”.[46] Non rimane – compito certo non semplice – che portare ad attualizzazione tale potenza: prepariamoci dunque a fare la nostra parte in questa lotta fondamentale. L'impressione è che frequentare criticamente il pensiero di André Gorz sia un ottimo modo per attrezzarci al meglio.



[1] A. Gorz, Lettera a D. Storia di un amore, Sellerio, Palermo [2006] 2008. Al marzo 2015, il libro è stato ristampato ben tredici volte.

[2] A. Münster, André Gorz ou le socialisme difficile, Lignes, Paris 2008.

[3] M. Contat, Illustres inconnus et inconnus illustres: André Gorz, “Le Débat” 50 (1988) 243. Contat si riferisce una tendenza originale del movimento operaio incarnata da sindacalisti eterodossi (per esempio Sergio Garavini e Bruno Trentin) e formazioni politico-culturali posizionate a sinistra del PCI (quali il PSIUP e Il Manifesto).

[4] E. Lesourt, André Gorz. Portrait du philosophe en contrebandier, L'Harmattan, Paris 2011.

[5] C. Fourel (cur.), André Gorz. Un penseur pour le XXI siècle, La Découverte, Paris 2009; A. Caillé – C. Fourel (cur.), Sortir du capitalisme. Le scénario Gorz, Le borde de l'eu, Lormont 2013.

[6] A. Barbin, André Gorz. Travail, économie et liberté, Scéren- CNDP, Paris 2013; si veda inoltre l'ottimo sito [http://www.perspectives-gorziennes.fr/index.php – ultimo accesso 3 Marzo 2015].

[7] C. Fourel (cur.), André Gorz en personne, Le borde de l'eu, Lormont 2013.

[8] Sette tesi per cambiare la vita, Feltrinelli, Milano 1977.

[9] J. Zin, André Gorz, pionnier de l'écologie politique, in Fourel (cur.), André Gorz. Un penseur..., cit.

[10] In un'intervista del 2005 rilasciata alla rivista EcoRev', Gorz rivela di non essersi mai allontanato dall'approccio sartriano alla questione del soggetto, cioè dall'esigenza morale di contrapporre l'autonomia dell'individuo al dominio della megamacchina sociale. Per questo interpreta l'ecologia politica e l'etica hacker come agenti di liberazione. Si veda L'ecologia politica, un'etica della liberazione, in Ecologica, Jaca Book, Milano [2008] 2009.

[11] Si vedano per esempio Il traditore, Il Saggiatore, Milano [1958] 1966; La morale della storia, Il Saggiatore, Milano [1959] 1960.

[12] Si vedano per esempio Stratégie ouvrière et néo-capitalisme, Le Seuil, Paris 1964; Réforme et révolution, Le Seuil, Paris 1969.

[13] Si vedano per esempio Addio al proletariato. Al di là del socialismo, Edizioni lavoro, Roma [1980] 1982; Metamorfosi del lavoro, Bollati Boringhieri, Torino 1988.

[14] Si vedano per esempio Miserie del presente ricchezza del possibile, Manifestolibri, Roma [1997] 1998; L'immateriale, Bollati Boringhieri, Torino 2003.

[15] Del resto, come si vedrà, i confini tra le varie fasi sono sfumati ed in certa misura arbitrari.

[16] Non mancano tuttavia illustri eccezioni. Limitandoci al caso italiano, tra le figure più significative a questo proposito occorre menzionare Laura Conti (per quanto riguarda il PCI), Virginio Bettini, Sergio Bologna, Giorgio Nebbia e Dario Paccino. Per una panoramica, si vedano S. Barca, Lavoro, corpo e ambiente. Laura Conti e le origini dell'ecologia politica in Italia, “Ricerche storiche” 3 (2011) 541-550; M. Citoni – C. Papa, Marxismo ed ecologia : prove di avvicinamento nella 'stagione dei movimenti', in M. Boyer (cur.), Karl Marx (in pillole), Ediesse, Roma 2010; E. Leonardi, L'ecologia come frontiera mobile della questione operaia, "La società degli individui" 45(1) (2013) 15-26. Per una riflessione a più ampio raggio, si veda S. Barca, Labouing the Earth: Transnational Reflections on the Environmental History of Work', “Environmental History”, 19(1) (2014) 3-27.

[17] La distinzione ricerca teorica / indagine giornalistica è rilevante poiché l'autore in questione (nato con il nome Gerhart Hirsch nell'Austria del 1923, poi modificato in Gérard Horst nel 1930 in seguito alla conversione del padre al Cattolicesimo, probabilmente dovuta al contesto profondamente antisemita) ha scelto lo pseudonimo di André Gorz per firmare le opere teoriche, riservando quello di Michel Bosquet per le opere giornalistiche. Non è un caso, crediamo, che Écologie et liberté sia stato il primo volume a riportare la doppia firma. Si veda Infra p. 35.

[18] Critique de la division du travail, Le Seuil, Paris 1973.

[19] Critica al capitalismo di ogni giorno, Jaca Book, Milano [1973] 1978.

[20] D. Meadows et al., I limiti dello sviluppo, Edizioni Scientifiche e Tecniche Mondadori, Milano 1972.

[21] Movimento operaio e progetto di civiltà, in Ecologia e politica, Cappelli, Bologna [1975] 1978, pp. 69-88.

[22] Ivi, p. 70.

[23] Ivi, p. 72.

[24] Ecologia e politica, Cappelli, Bologna [1975] 1978.

[25] Ivi, pp. 15-16.

[26] Écologie et politique, Le Seuil, Paris 1978.

[27] Addio al proletariato, cit., pp. 129-134.

[28] Infra, p. 38.

[29] G. Azam, L'aube d'un nouvel humanisme?, in Caillé – Fourel (cur.), Sortir du capitalisme, cit.

[30] Infra, p. 45.

[31] C. Larrère, André Gorz (1923-2007), in L'écologie politique d'André Gorz, AAVV-Fondation de l'écologie politique, 2014, disponibile on-line [http://www.fondationecolo.org/activites/publications/Dossier-Gorz – ultimo accesso 3 Marzo 2015].

[32] A. Gorz, L'uscita dal capitalismo è già cominciata, in Id. Ecologica, Jaca Book, Milano [2008] 2009, pp. 33-34.

[33] Infra, p. 51.

[34] Infra, p. 55.

[35] Tale complementarità rappresenta senza dubbio uno degli esiti più rilevanti dell'elaborazione gorziana. Tuttavia, una contestualizzazione storica che la renda adeguata allo scenario contemporaneo ci sembra necessaria, anche al fine di riannodare il dibattito tra marxismo e pensiero ambientalista (in particolare con i movimenti che si richiamano all'idea di decrescita). Dal canto nostro, abbiamo ipotizzato altrove che tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta del secolo scorso si sia verificata una radicale cesura nell’ambito dei rapporti tra il concetto di natura e l’armamentario categoriale dell’economia politica (tra ambiente e valore, per così dire): ad una fase che schematicamente possiamo definire 'liberale' (il cui apice è costituito dall’organizzazione fordista della produzione) ha storicamente corrisposto un’idea di natura come limite (non contabilizzato) del processo di valorizzazione – ambiente come componente gratuita sia dell’input (materie prime) che dell’output (smaltimento rifiuti). Una fase successiva, 'neoliberale' e tuttora in corso, vede invece la natura fungere da elemento fondante della creazione di valore – protezione/bonifica ambientale come profittevole opportunità di business piuttosto che come fastidiosa ma inevitabile necessità. Si vedano E. Leonardi, La dimensione ecologica della crisi economica globale. Note per una critica ecologica del capitalismo, in Lavoro in frantumi, cur. F. Chicchi – E. Leonardi (cur.), Ombre corte, Verona 2011; E. Leonardi, Per una critica della green economy neoliberale, "Culture della sostenibilità" 9 (2012) 30-46.

[36] La morale della storia, cit.

[37] Si veda F. La Cecla, Ivan Illich e la sua eredità, Medusa, Milano 2013.

[38] I. Illich, La convivialità, Mondadori, Milano 1974, p. 34.

[39] I. Illich, Storia dei bisogni, Mondadori, Milano 1981, p. 60.

[40] J.P. Dupuy, Gorz et Illich, in Caillé – Fourel (cur.), Sortir du capitalisme, cit.

[41] C. Larrère, cit.

[42] Infra, p. 72.

[43] Anche in questo caso esistono lodevoli eccezioni, per esempio E. Bloch, Lo spirito dell'utopia, Rizzoli, Milano 2009.

[44] Infra, p. 81.

[45] Infra, p. 84.

[46] A. Gorz, L'uscita dal capitalismo è già cominciata, cit., p. 41. Lo stesso concetto viene sviluppato in un testo di pochi mesi precedenti, dove si legge: “La totalità dei prodotti necessari ad una 'vita attraente' può […] essere fabbricata localmente in laboratori di quartiere o in botteghe mobili con una spesa di lavoro largamente inferiore e una produttività molto superiore a quelle della produzione industriale. E ciò senza parlare delle economie che esercitano la disintermedizaione, la rilocalizzazione, la semplificazione estrema della gestione. La principale forza produttiva messa in opera nell'autoproduzione hi-tech è universalmente disponibile, gratuitamente accessibile e indistruttibile: è l'inventiva umana messa continuamente a disposizione di tutti sotto forma di free software”. A. Gorz, Pensare l'esodo dalla società del lavoro e della merce, “Millepiani”, 33 (2008) 7-22.