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Il compito rivoluzionario dell’auto-organizzazione: una nota su Grace Lee Boggs

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di NICOLA PIZZOLATO

Il 5 ottobre 2015 è scomparsa Grace Lee Boggs, militante politica e veterana di epocali movimenti sociali che hanno attraversato il ventesimo secolo. Nel corso di sette decenni di militanza ha sempre mantenuto un profondo impegno contro le divisioni razziali e diseguaglianze sociali. Questa tenacia e costanza sono racchiuse nel titolo della sua autobiografia, “Living for a change" (1988).

Non molto conosciuta in Italia, lo era negli Stati Uniti. Grace Lee Boggs ha ricevuto l’elogio postumo di Obama e un necrologio sul New York Times che loda il suo contributo ai collettivi comunitari nell’ambito di Detroit e alle lotte per i diritti civili in quella città negli ultimi decenni della sua vita (in Italia il Corriere dava breve notizia della sua morte scrivendo che aveva aiutato a organizzare una marcia di Martin Luther King e un comizio di Malcolm X, due episodi minori), questo però a scapito del suo contributo all’“arcano” (scrive il New York Times) dibattito sulla natura del comunismo nel quale si impegnò nella prima parte del suo lungo percorso politico.

Questo breve articolo vuole riportare l’attenzione su quel dibattito “arcano”, e sottolineare come esso costituisca il fulcro del contributo di Grace Lee Boggs ad una lettura del marxismo sia umana sia emancipatoria. Mentre la visione politico-filosofica di Lee Boggs è mutata nel tempo – in continuo dialogo e in risposta al contesto e alle circostanze politico-sociali in cui era immersa – la sua prassi rivoluzionaria maturata tra i primi anni Quaranta e metà degli Sessanta del Novecento, a contatto con un eclettico gruppo di militanti politici, ha consegnato un’eredità importante ai movimenti sociali che ancora si propongono un cambiamento radicale della società, oltre i più circoscritti problemi di organizzazioni che rafforzano le comunità di quartiere.

Negli anni del dopoguerra Grace Lee Boggs contribuì alla teoria marxista all’interno di un ristretto gruppo di intellettuali e militanti politici dissenzienti dalla dottrina ufficiale dello stalinismo prima e del trotzkismo poi: la Johnson Forest Tendency (che in seguito acquisirà il nome di Correspondence). Dal nome dei suoi due fondatori, C.L.R. James (Johnson) e Raya Dunayeskaya (Forest), questa fazione interna al trotzkismo statunitense elaborò un’originale posizione teorica che condusse i fautori ad allontanarsi prima dalla vecchia sinistra e in seguito ad anticipare alcuni dei temi della Nuova Sinistra. Mentre è la figura di James che domina la storiografia su questo gruppo, in realtà la proposta politica era il risultato dell’intenso dibattito interno, al quale il contributo teorico-politico di entrambe le presenze femminili non è spesso messo in evidenza come meriterebbe. Grace Lee fu parte integrante della Johnson Forest Tendency, come lo erano Raya Dunayeskaya e James, e altri distinti membri come Martin Glaberman, George Rawick, Selma James e James Boggs, il quale sposò Grace Lee nel 1953.

Con un dottorato in filosofia e un’ottima conoscenza della lingua tedesca Grace (insieme a Dunayeskaya) curò la prima traduzione inglese del testo del giovane Karl Marx, Manoscritti economici e filosofici risalente al 1844. I Manoscritti, con la loro enfasi sull’alienazione della classe operaia e sull’urgenza di una rivoluzione guidata dall’azione umana invece che da strutturate “leggi” storiche, ebbero un peso decisivo sullo sviluppo del pensiero politico di Lee Boggs e soprattutto forniranno il fondamento alla sua prassi rivoluzionaria per il resto della sua vita. Dopo questo lavoro teorico, Boggs trascorse diversi anni a New York lavorando a Brooklyn come operaia; lì partecipò ad un gruppo di studio, il forum politico del Partito dei lavoratori (Workers Party) di fede trotzkista, e a diverse attività culturali cittadine, specialmente ad Harlem[1]. Accresciuti la sua formazione e impegno marxisti, Boggs firmò come coautrice tre testi che sancirono la visione politica del gruppo, The Invading Socialist Society (1947), State Capitalism and World Revolution (1950) and Facing Reality (1958), e contribuì ad altri testi fondativi della Johnson-Forest Tendency.

A guidare la riflessione della Johson Forest Tendency sulla rivoluzione operaia e sulla trasformazione sociale fu il dibattito teorico intorno ad una questione cruciale per la sinistra degli anni della guerra: quale era la natura dello Stato Sovietico? In linea di massima tre risposte erano a disposizione al di fuori dello stalinismo e mettevano l’uno contro l’altro le due anime del trotzkismo americano: il Workers Party e il Socialist Workers Party:

- Per la prima, la nazionalizzazione dei mezzi di produzione aveva reso l’Unione Sovietica uno ‘stato operaio degenerato’ per l’eccessivo potere acquisito dalla burocrazia di partito. Questa era la posizione di Leon Trotzkij come anche di James Cannon del Partito Socialista dei lavoratori (Socialist Workers Party).

- Per la seconda, l’Unione Sovietica non era più riconoscibile come uno Stato Operaio né come uno Stato Capitalista, ma incarnava una nuova entità che Max Shachtman del Partito dei Lavoratori chiamò, in polemica con il SWP, “collettivismo burocratico”.

- La JFT sviluppò una terza posizione indipendente che interpretava l’Unione Sovietica come una forma di “capitalismo di stato”, dove i mezzi di produzione erano proprietà dello Stato ma l’estrazione del plusvalore dai lavoratori avveniva sotto gli stessi termini della proprietà privata capitalistica. “Per noi” scriverà il gruppo, “la produzione in Russia è soggetta alle leggi che guidano il mercato capitalistico mondiale. La burocrazia è soggetta alle leggi fondamentali del capitalismo come qualsiasi classe capitalista. Le mostruosità della società stalinista sono radicate nelle leggi del rapporto Capitale-Lavoro che in Russia raggiungono la loro massima espressione.”[2]

Grace Lee Boggs e i suoi compagni rivoluzionari riconobbero che il fulcro della critica marxista al capitalismo risiedeva nei rapporti sociali di produzione che esso instaurava (e non nella proprietà), riprodotti ad un livello addirittura di maggiore sfruttamento in Unione Sovietica. Essi identificavano nella burocrazia che soffocava l’insorgenza operaia (il Partito in Unione Sovietica e il sindacato negli Stati Uniti, entrambi “agenti del Capitale”) il comune denominatore di tutto il mondo capitalistico, quale che fosse il tipo di proprietà dei mezzi di produzione, pubblica o privata.[3] Una rivoluzione socialista avrebbe dovuto sorgere dagli operai e rovesciare quello strato di istituzioni oppressive. La Johnson Forest Tenndecy adottò quindi una posizione essenzialmente operaista, caratterizzata dall’enfasi sull’azione autonoma della classe operaia, posizione che avrà un impatto a lungo termine sulla teoria marxista, trovando infine più di un’eco nella posizione degli operaisti italiani negli anni Sessanta.[4]

Mentre una buona parte di queste pubblicazioni consisteva in argomentazioni polemiche nei confronti degli ex-compagni del partito trotzkista, quello che interessava Grace Lee era soprattutto la teoria del Capitalismo di Stato, perché questa la accomunava a chi come lei intendeva la rivoluzione in termini di azione autonoma e auto-organizzazione della classe operaia nelle fabbriche. “Quando Marx rivoltò Hegel ‘nel verso giusto’” lei scrive “egli non abbandonò la visione hegeliana della continua evoluzione dell’umanità verso una maggiore autodeterminazione o l’abilità di assumere maggiore controllo sulle nostre vite”.[5]

La città di Detroit, dove Boggs si trasferì nel 1953, fu fondamentale per il lavoro politico e teorico della Johnson Forest Tendency. Come principale centro manifatturiero, simbolo del movimento sindacale e metropoli in rapida trasformazione in termini di composizione razziale e base industriale, Detroit era indubbiamente un punto di osservazione privilegiato per intervenire nelle questione politiche americane. Città di estremi, la Detroit del dopoguerra abbondava di gruppi politici che sostenevano la rivoluzione, sebbene da differenti posizioni.

In questo contesto, quando, dopo l’ondata di scioperi del 1946, la più imponente della storia degli Stati Uniti, la UAW (United Automobile Workers) e l’industria dell’auto concordarono un modus operandi che normalizzò le relazioni industriali, i johnsoniani (così venivano chiamati) puntarono a sottolineare la perdurante indipendenza e azione autonoma degli operai in fabbrica. Così, promossero “inchieste” come strumento per indagare le condizioni di lavoro della classe operaia, di cui la più famosa fu il resoconto autobiografico di un operaio dell’auto dal nome di Phil Singer (che scriveva con lo pseudonimo di Paul Romano). Nel testo, Singer descriveva accuratamente ogni aspetto del lavoro di fabbrica, dalle condizioni lavorative alle trasformazioni avvenute nella produzione, alle forme di organizzazione e lotta operaia.

Il racconto autobiografico di Singer, “Vita in fabbrica”, insieme ad un saggio teorico di Lee Boggs costituisce l’ormai classico pamphlet del 1947, The American Worker (che arriverà in Italia qualche anno dopo tradotto da Danilo Montaldi dal francese).[6] Nel suo saggio, Lee Boggs, attraverso la storia personale di Singer, inquadra una condizione universale che ha ridotto gli operai ad una posizione degradata, con dirigenti e burocrati nel sindacato che cospirano per mutilare lo spirito e la creatività operaia, senza tuttavia riuscire a schiacciare completamente la loro quotidiana resistenza. Il pamphlet cercò di incanalare quello spirito e prassi militante all’interno del programma di cambiamento rivoluzionario oltre alla questione dell’aumento del salario, unico interesse del sindacato. Gli effetti degradanti del processo produttivo e l’alienazione subita condussero gli operai ad opporsi al sistema capitalistico, indipendentemente dalla loro retribuzione (“sia il salario alto o basso”, con le parole di Marx). L’ “asse del pensiero di Marx” nelle conclusioni di Lee Boggs, era che “una nuova società deve apportare una trasformazione rivoluzionaria nelle vite degli operai”. Significativamente, questo pamphlet ha costituito un illustre antecedente di inchiesta operaia: l’incontro tra un’intellettuale e un operaio all’insegna di un comune progetto politico (quello che successivamente evolverà nella conricerca degli operaisti italiani).

In questi testi della Johnson Forest Tendency, l’evoluzione delle analisi sulle contraddizioni del capitalismo e l’impasse dello Stato Sovietico, condusse ad un’ottimistica aspettativa rispetto alle capacità della classe operaia di produrre il cambiamento rivoluzionario. Questo, si sosteneva, fu particolarmente vero per gli operai americani che, lungi dal rappresentare un elemento arretrato della classe operaia internazionale, stavano resistendo e lottando quotidianamente all’interno delle fabbriche contro il capitalismo. Questa fede nelle capacità rivoluzionarie proprie della classe operaia resterà una costante del pensiero di Grace Lee Boggs e del suo compagno di vita e militante afro-americano James Boggs, così come tra gli altri membri della Johnson Forest Tendency, anche se ciò li condusse a differenti considerazioni strategiche che avrebbero reso impossibile la continuazione della loro collaborazione come gruppo.

C’era tuttavia un’altra questione che ha fatto sì che Grace Lee Boggs unisse per due decenni il proprio destino politico a quello degli altri membri della Johnson Forest Tendency, la questione razziale, la cosiddetta “Negro Question”. In quanto essa stessa vittima della discriminazione razziale verso gli asiatici e sensibile al modo in cui le questioni razziali e la politica si intersecavano sul suolo americano, Grace Lee Boggs condivise l’idea di C.L.R. James che gli afro-americani fossero il segmento della società che più probabilmente sarebbe insorto contro il sistema capitalistico – “una volta presentatasi l’opportunità”, come scrive James.[7] Avendo partecipato al movimento per la realizzazione della abortita Marcia su Washington del 1941, Grace Lee si convinse che gli afro-americani avessero un potenziale rivoluzionario autonomo, non solo come parte della classe operaia, e che le loro specifiche rivendicazioni fossero legittime e da incoraggiare. Questa posizione allontanò ulteriormente la Johson Forest Tendency dal resto dei trotzkisti e degli altri comunisti, i quali si limitavano allo slogan piuttosto banale “Neri e bianchi, unitevi e lottate”. Grace Lee Boggs esortava invece i neri a condurre una lotta e organizzazione autonoma. Nel tempo questa riflessione si sarebbe sviluppata in una direzione tale da creare una frattura all’interno di Correspondence (il nuovo nome della Johnson Forest Tendency).

Senza dubbio il pensiero di Grace Lee sul ruolo politico degli afro-americani si affinò ed evolse in collaborazione con il suo compagno James Boggs e in risposta allo sviluppo dell’attivismo radicale nero concentrato a Detroit. Correspondence, la rivista intorno alla quale il gruppo iniziò a lavorare dopo la totale separazione dai trotzkisti, con Grace nella figura di redattrice a tempo pieno, dedicò una sezione agli afro-americani come uno dei quattro gruppi sociali (di cui gli altri erano gli operai, le donne e i giovani) la cui organizzazione si stava cercando di raggiungere. Correspondence, differiva dalle altre riviste dell’epoca della Vecchia Sinistra nella sua ambizione di essere una rivista scritta, e per la maggior parte diretta, da operai; quello che (almeno) raggiunse fu che la maggior parte dei suoi contenuti erano il risultato della partecipazione degli operai alle discussioni teoriche e politiche.

Anche se questo tentativo riuscì solo parzialmente, Correspondence adottò una filosofia di conricerca con gli operai che risultò in una virtuosa contaminazione tra operai, lettori e intellettuali.[8] Con un nucleo di collaboratori, tra cui James Boggs, Martin Glaberman e Si Owens, che lavoravano in fabbrica, Correspondence fornì un modello per coltivare uno strato di intellettuali organici attraverso relazioni dinamiche e connessioni con le altre forze sociali. Ciò avrebbe avuto risonanza su altri simili progetti politici in Europa e altrove, dal momento in cui i militanti cercarono di diffondere sia concetti teorici che forme organizzative rivoluzionarie, teoria e prassi rivoluzionaria.

Grace Lee e James Boggs utilizzarono la rivista per raccontare le storie dei militanti neri che resistevano e lottavano indipendentemente e a dispetto della leadership progressista del CIO (Congress of Industrial Organizations). Operaio alla Chrysler, James Boggs fu testimone diretto del calo d’impegno dell’Unione dei Lavoratori dell’Auto (UAW) nella lotta alla discriminazione razziale all’interno dell’industria dell’auto, nella quale gli operai afro-americani erano relegati ai lavori più pesanti e degradanti. Quando il movimento per i diritti civili si estese a tutti gli Stati Uniti e Detroit divenne un centro chiave del nazionalismo nero, James iniziò a mettere in discussione la veridicità dell’ortodossia marxista che vedeva nella classe, piuttosto che nella razza, la forza chiave per il cambiamento rivoluzionario.

Quando i Boggs ipotizzarono che di fatto la prossima rivoluzione avrebbe visto emergere da protagonisti forze sociali al di fuori della base degli operai industriali stabilmente impiegati, presero le distanze da James che, sostenevano, dopo il suo rimpatrio in Inghilterra nel 1953 aveva perso contatto con l’esplosione degli afro-americani sulla scena politica statunitense. La loro posizione, in sintonia con il Nazionalismo Nero, dipartiva dalla linea di un gruppo che ambiva a tornare alle radici del Marxismo.[9] James da Londra rispose che i Boggs necessitavano di lezioni di marxismo.[10] Curiosamente, James, il quale aveva sempre sostenuto l’importanza di un’autonoma lotta dei lavoratori neri, non era pronto a sostenere l’idea che le masse nere, piuttosto che la classe operaia industriale, avrebbero consentito il superamento della società capitalista. Infatti James in una lettera privata di questo periodò considerò l’idea di ritenere i neri l’avanguardia nella lotta per il socialismo un “serio errore teorico”.[11] Quando apparse nel 1963 The American Revolution: Pages from a Negro Workers Notebook (che trovò anche una traduzione italiana) di James Boggs la spaccatura si era ormai consumata. Il testo attingeva ampiamente dalla economia politica marxiana e dalle argomentazioni sviluppate all’interno di Correspondence, ma considerava l’analisi marxista superata per un “paese a capitalismo avanzato” come gli Stati Uniti dove la protesta di matrice economica non era abbastanza profonda da mobilitare la maggior parte della classe operaia.

Gli afro-americani, secondo James Boggs, vivendo sulla propria pelle l’intersezione di razza e classe, si trovavano nella posizione migliore per portare avanti la lotta e porre "la questione della radicale riorganizzazione sociale del Paese". Oltre al dibattito sul ruolo che gli afro-americani avrebbero dovuto assumere nella rivoluzione socialista, la spaccatura potrebbe essere stata accelerata dal fatto che i Boggs vedevano James tendere verso "lo spontaneismo" e "la mancata assunzione di responsabilità per la creazione di un organizzazione americana rivoluzionaria"[12], come dichiararono in un testo successivo. 

La questione dell’organizzazione fu precisamente quella a cui James e Grace Lee si dedicarono insieme nei due decenni successivi. Per il resto degli anni Sessanta si gettarono nell'allora ascendente movimento del Black Power sostenendone l'organizzazione, gli eventi e le campagne. Sostennero la formazione di molti gruppi che ebbero breve durata, come Organization for Black Power (OBP), l’Inner City Organizing Committee (ICOC), o il Committee for Political Development (CPD); più in generale i Boggs emersero come pensatori, influenti organizzatori e teorici impegnati a trasformare il Black Power – spesso un concetto piuttosto evanescente – in un movimento rivoluzionario a tutti gli effetti. Il numero di attivisti di base che la coppia aiutò, connesse e inspirò è impressionante. Nei soli anni Sessanta questo includeva membri della League of Revolutionary Black Workers, del Revolutionary Action Movement (RAM) (nel quale James inizialmente ricoprì il ruolo di presidente onorario e Grace di segretaria esecutrice) e sua volta, non molto distanti politicamente, le Black Panthers. “Praticamente chiunque fosse stato coinvolto in un movimento politico a Detroit, anche alcuni che non ricordo, si ricorda di essersi seduto sul divano della nostra sala a discutere di problemi e strategie", scrive Grace Lee Boggs.[13]

Immersi nel loro difficile tentativo di consolidare il Black Power, i Boggs iniziarono a sostenere la necessità di un gruppo di militanti che avrebbe dovuto fornire la leadership del movimento, una chiamata contenuta in Manifesto for a Black Revolutionary Party (1969) di James Boggs scritto in collaborazione con Grace Lee. Tale tentativo era profondamente differente dall'enfasi sullo spontaneismo che aveva caratterizzato la Johnson Forest Tendency durante gli anni Cinquanta.

Nei Boggs perdurò la convinzione che il Black Power potesse in definitiva trasformare la società in direzione anti-capitalista in contrasto con l’evidenza di un movimento che, dalla metà degli anni Settanta, rischiava di abbracciare un mero nazionalismo, con tutti i limiti culturali e politici di questo, o di spingere gli afro-americani a convergere come un altro gruppo d’interesse all’interno dell’elettorato dei Democratici. Tuttavia, alla metà degli anni Settanta, l’organizzazione di un partito d’avanguardia che avrebbe fatto leva sullo spirito del Black Power per costruire un’organizzazione rivoluzionaria globale, che i Boggs hanno perseguito con la creazione del NOAR (National Organization for an American Revolution), non appariva più praticabile. In questo contesto Grace Lee e James iniziarono a sostenere una più profonda trasformazione umana, permeata di creatività, consapevolezza, responsabilità sociale e valori comunitari, come precondizione a qualsiasi rivoluzione politica. Questa era una prospettiva che rimarcava la distanza fra i Boggs sia da alcuni aspetti del pensiero di Marx sia dal Nazionalismo Nero. Una evoluzione “umana” era necessaria nel passaggio dalla ribellione alla rivoluzione. La loro fiducia in questo quadro teorico fu spiegata per esteso in Revolution and Evolution in the 20th Century (1974) in cui concludono che “L’umanità sarà sempre impegnata nella lotta perché in effetti la lotta è la più alta espressione della creatività (azione) umana, perché gli esseri umani hanno solo stessi su cui contare nella loro lotta senza fine per diventare più profondamente umani.”[14]

Per via della sua longevità politica, Grace Lee Boogs lascia come eredità un corpus di concetti e pratiche rivoluzionarie legate alle dinamiche e ai cicli di movimento che segnarono la storia del capitalismo negli Stati Uniti. Fu un esempio di una vita dedicata alla militanza, permeata da uno spirito di solidarietà e attenta alle più urgenti questioni del periodo. Probabilmente la sua più grande intuizione fu considerare necessario il ripensamento dei fondamenti teorici rivoluzionari in linea con le trasformazioni della società, che richiedono un cambiamento radicale dell’analisi teorica, delle priorità, della strategia e dei valori. Nonostante il considerevole cambiamento nell’analisi e nelle forme di impegno politico, questa sua intuizione è coerente con i suoi primi anni formativi all’interno della Johnson Forest Tendency. All’interno di quel gruppo mise in discussione l’ortodossia politica imperante per un ritorno alla visione del socialismo di Marx come liberazione dell’autonoma azione degli operai, troncata dalla separazione tra lavoro manuale e intellettuale che il capitalismo aveva creato per il beneficio di pochi. Tale situazione ha richiesto l’invenzione di approcci all’organizzazione politica nuovi e storicamente specifici, il legame tra le differenti figure del lavoro e le altre forze sociali per la costruzione e la creazione di un nuovo soggetto politico collettivo.

 

* Pubblicato su Viewpoint Magazine il 4 gennaio 2016. Traduzione di Marianna Sica.



[1] In questo periodo della sua vita, incontra Stephen Michael Ward “Ours Too Was a Struggle for a Better World’: Activist Intellectuals and the Radical Promise of the Black Power Movement, 1962-1972,” Ph.D. dissertation, University of Texas-Austin, 2002.

[2] CLR James, Raya Dunayevskaya, Grace Lee Boggs, The Invading Socialist Society (Detroit: Bedwick Editions, 1972 [1947])

[3] CLR James, Raya Dunayevskaya, Grace Lee Boggs, State Capitalism and World Revolution (Chicago: Charles Kerr Publishing, 1986). 49.

[4] Harry Cleaver, Reading Capital Politically (Brighton: Harvester Press, 1979).

[5] Grace Lee Boggs, Living for a Change (Minneapolis: University of Minnesota Press, 1998), 50.

[6] Il testo, ad eccezione del saggio teorico di Grace Lee, fu tradotto in italiano nel 1954 da Danilo Montaldi, oggi disponibile in Danilo Montaldi, Bisogna sognare. Scritti 1952-1975 (Milano: Colibrì, 1994), 501.

[7] CLR James, “The Revolutionary Answer to the Negro Problem in the US,” in CLR James and Revolutionary Marxism: Selected Writings of CLR James 1939-1949, ed. Scott McLemee (New York: Humanities Press International, 1994).

[8] Martin Glaberman, introduzione a Marxism for Our Times: CLR James on Revolutionary Organization (Jackson, Miss: University of Mississippi Press, 1999), xviii-xix. 

[9] James and Grace Lee Boggs, “A Critical Reminiscence,” in CLR James: His Life and Work, ed. Paul Buhle (London: Allison and Busby, 1986), 177-179

[10] Grace Lee Boggs, Living for Change, 109. 

[11] CLR James to Marty Glaberman, October 14, 1963, in CLR James: His Life and Work, p. 160. 

[12] James and Grace Lee Boggs, “A Critical Reminiscence,” p. 179.

[13] Grace Lee Boggs, Living for Change, p.91.

[14] James and Grace Lee Boggs, Revolution and Evolution in the 20th Century (New York: Monthly Review Press, 1974), 266.