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Un coniglio aguzzino. Razza e lavoro nell’Europa della crisi

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di ANNA CURCIO

1. Nel 2011, ha destato molto clamore in Germania la pubblicazione di Schinderhasennachmittag oder Die Kinder vom Mauerpark (di Eugen Geetz, illustrazioni di Martina Wildner) letteralmente Il pomeriggio del coniglio aguzzino o i bambini di Mauerpark, un libro illustrato, apertamente ironico e provocatorio, non solo per bambini. Il protagonista, un coniglio malvagio con capelli a la Hitler e grossi denti bianchi, terrorizza i bambini nel parco dove correva il muro, nel quartiere di Prenzlauer Berg a Berlino. In un dialetto berlinese stretto, che difficilmente si sente ancora parlare in città, il coniglio aguzzino si lamenta per la crescente presenza nel parco di bambini non berlinesi: i figli delle giovani coppie provenienti in gran parte dall’Europa del Sud che vivono e lavorano in una delle città europee economicamente più vivaci. A dispetto della crisi in Germania i tassi di disoccupazione toccano i livelli minimi dagli anni Novanta (5,4% dati Destatis) con Berlino che fa da locomotore. Qui, un ampio patrimonio immobiliare a buon mercato ha negli anni attirato anche la forza-lavoro cognitiva low-wage impiegata a Londra o Amsterdam. E la capitale tedesca si è rapidamente trasformata in un apparente “paradiso” per i precari cognitivi di mezza Europa un po’ hipster e un po’ bohemien, specchio della composizione “tecnica” del lavoro vivo contemporaneo. A Prenzlauer Berg l’età media dei residenti è intorno ai 30 anni, si spiega così l’effettivo alto numero di bambini a cui il coniglio aguzzino rivolge le sue attenzioni.

Sulle pagine di “Süddeutsche Zeitung” (del 12 gennaio 2012), Tanja Dückers notava come il libro avesse un “evidente sottotono reazionario”, espressione di un sentimento di crescente intolleranza verso i sempre più numerosi lavoratori stranieri che, complice la crisi dell’eurozona, hanno letteralmente preso d’assalto la capitale tedesca. Colpisce però, a questo punto, che tale “nuova cultura dell'odio reazionario di sinistra” faccia il paio con precise politiche governative, sul piano nazionale e continentale, che puntano ad attrarre nel paese figure produttive altamente scolarizzate e specializzate in settori ad alta innovazione quali l’informatica, il marketing, l’ingegneria. Quelle stesse figure del lavoro letteralmente spinte fuori a calci da Spagna, Italia, Portogallo e Grecia, i paesi dell’Europa del Sud in cui la crisi economica ha fatto più danni.

Detto questo, però, non si tratta qui di contrapporre i tedeschi “cattivi” e razzisti agli “infelici” lavoratori del Sud dell’Europa sfruttati e discriminati, né tantomeno sul piano inverso, avallare quel “clima reazionario” che cresce a Berlino sostenendo la tesi della pigrizia e dell’indolenza degli ultimi da contrapporre alla produttività lavorativa, alla serietà e precisione dei primi, come faceva l’antropologia positivista di inizio Novecento. Si tratta piuttosto di guadare alle dinamiche che oggi attraversano e organizzano il mercato del lavoro sul piano europeo e leggere la costruzione di gerarchie sul terreno della razza, come dispositivo che accompagna storicamente la riorganizzazione del lavoro capitalista.

Più precisamente, a guardare l’Europa della crisi, ciò che emerge, con una certa chiarezza è una nuova declinazione del razzismo al passo con i tempi. Perché si sa, assunto a partire dalla sua matrice indiscutibilmente materiale che è la razza – e non dunque come vizio ideologico – il razzismo mostra ampie capacità mimetiche e adattive. Oggi, la posta in palio dei processi di razzializzione sono con tutta evidenza i giovani precari cognitivi, tanto preziosi al funzionamento dell’economia capitalistica contemporanea. E, dentro l’ipotesi del capitalismo cognitivo occorre dunque mettere a fuoco l’articolazione della razza con quella risorsa chiave della produzione contemproanea che è il sapere. È qui, a partire da questa articolazione, che diventa possibile cogliere le nuove coordinate del mercato del lavoro in Europa e le sue gerarchie, squadernando la nuova composizione del lavoro vivo nell’Europa della crisi.

2. La crisi dell’eurozona ha, con tutta evidenza, accresciuto e accelerato i flussi di lavoro dal Sud al Nord dell’Europa. A spostarsi sono soprattutto giovani lavoratori e lavoratrici altamente scolarizzati, artisti, ricercatori, esperti informatici e creativi di vario genere che costituiscono quel proletariato cognitivo di cui, dentro la crisi, abbiamo da alcuni anni cominciato a leggere i processi di declassamento, precarizzazione e profondo impoverimento. Nella sola Germania – vera e propria calamita d’Europa – si sono trasferiti nel 2012 un milione ottocentomila persone e l’incremento di quanti arrivano dai paesi del Sud dell’Europa è stato imponente: +42% di greci e portoghesi, +45% di spagnoli e +40% di italiani (dati Estasia 2013); un vero e proprio “boom” rispetto all’anno precedente. Gli italiani, in particolare, sono stati quarantaduemila, come esito della progressiva dismissione di ricerca e università, cultura e innovazione, e dei tagli draconiani imposti dalle misure di austerity a partire soprattutto dalla fine del 2011. Ma già nel corso del 2011, oltre cinquantamila persone avevano lasciato il paese, invertendo per la prima volta in anni recenti il saldo tra emigrazione e immigrazione (dati Ismu 2012). In un flusso continuo che sembra tutt’altro che destinato ad arrestarsi nel breve periodo, lasciano il paese soprattutto giovani sotto i quarant’anni, con un titolo di studio medio-alto, che svolgono professioni di livello elevato prevalentemente in condizioni di precarietà (fonte Svimez 2012). A spopolarsi sono proprio le città che maggiormente avevano attratto negli anni precedenti il cosiddetto lavoro creativo e cognitivo, prime fra tutte Bologna e Milano (dossier data giovani 2013).

Analogamente, i dati più complessivi sull’immigrazione intraeuropea verso la Germania descrivono un’immigrazione prevalentemente giovane d’età e qualificata, che sceglie per la gran parte (tre quarti del totale) di trasferirsi nei cinque Länder economicamente più dinamici: Baviera, Nordreno-Vestfalia, Baden-Württemberg, Assia e Bassa Sassonia (dati Destasis 2013). La ministra del lavoro tedesca, Ursula von der Leyen, ha di recente definito l’imponente flusso di giovani lavoratori e lavoratrici qualificati verso la Germania “una manna”: i nuovi arrivati sono di circa dieci anni più giovani rispetto alla media tedesca e hanno un livello di istruzione più elevato, contribuiscono dunque a ringiovanire il paese, rendendolo più creativo e internazionale (“Der Spiegel” febbraio 2013).

Non stupirà allora che la Germania si stia affrettando a creare una serie di outreach programs rivolti ai giovani residenti nei paesi del Sud Europa. Il ministro delle finanze Wolfgang Schäuble, noto falco nelle relazioni tra Germani e resto d’Europa, promette prestiti alle imprese portoghesi che si faranno carico della formazione di giovani disoccupati, mentre la ministra von der Leyen sta lavorando a un training program con l’omologa spagnola Fatima Banez Garcia, che punta a collocare nel mercato del lavoro tedesco cinquemila giovani spagnoli nei prossimi quattro anni (“Der Spegel International”, maggio 2013). In Italia è soprattutto l’iniziativa delle università private a stimolare e incentivare i giovani laureati a spostarsi fuori dai confini nazionali sponsorizzando stage e tirocini all’estero per soddisfare la domanda delle molte multinazionali che si presentano ai career day, offrendo un periodo di lavoro nei paesi del Nord Europa (soprattutto Germania, Belgio, Francia e Inghilterra).

Proprio sul piano di stage e tirocini da offrire a giovani laureati si gioca, evidentemente, una partita importante. E, dentro le linee guida dello “Youth Opportunity Initiatives“ dell’Unione Europea, i paesi membri si impegnano a costruire un sistema di garanzie per i giovani disoccupati sotto i venticinque anni (è il programma European Youth Guaranthee), con l’obiettivo di migliorare l’occupazione giovanile attraverso stage e tirocini in altri paesi europei. Le politiche di attrazione di forza lavoro giovane e qualificata dal Sud dell’Europa passano dunque attraverso l’erogazione di lavoro gratuito, uno straordinario spazio di valorizzazione a tutto vantaggio delle economie europee più dinamiche. La produzione di lavoro qualificato gratuito è dunque, soprattutto nella crisi, un importante dispositivo di valorizzazione. Detto altrimenti, i processi di razzializzazione che interessano oggi i paesi dell’Europa mediterranea – tra retorica dei Pigs e “odio reazionari di sinistra” – incrociano le dinamiche di cognitivizzazione del lavoro, ovvero processi di subordinazione e regolazione salariale in cui il sapere si fa strumento di segmentazione e produzione di gerarchie. E ciò mostra quanto l’”articolazione” di razza e sapere costituisca un nesso inscindibile per la valorizzazione capitalista nell’Europa della crisi.

3.I paesi del Nord Europa, Germania in primis, stanno dunque mettendo in atto politiche spinte di attrazione di forza lavoro qualificata dai paesi dell’Europa mediterranea. Nella città di Amburgo, ad esempio, il “Welcome Center” accoglie e indirizza i newcomer soprattutto verso gli ambiti produttivi del management e del marketing, delle tecnologie informatiche, della grafica e del web design. Mentre gli uffici per l'impiego in tutte le città tedesche sono soprattutto interessati ai profili professionali di italiani, spagnoli, portoghesi e greci ai quali offrono – solo a loro – specifici benefit per stimolare il trasferimento. Ma, come si è visto, nelle città tedesche e soprattutto a Berlino, il clima sociale in cui vivono questi lavoratori e lavoratrici si è fatto negli ultimi anni più ostile. Il recente rapporto dell’Organization for Economic Cooperation and Development (2013) rileva come in parallelo al crescere delle presenze di lavoratori stranieri soprattutto provenienti dal Sud dell’Europa, si sia sviluppata una crescente intolleranza rivolto in particolare verso i giovani “creativi” provenienti da Spagna, Italia e Portogallo, considerati i responsabili della rapida trasformazione dei quartieri e per questo non graditi. L’apertura di bar e gallerie che accompagnano il loro insediamento ha avviato processi di gentrification e una crescente speculazione edilizia con il conseguente aumento dei prezzi immobiliari. Ed è contro questa rapida trasformazione urbana che oggi, insieme al coniglio aguzzino di Eugen Geetz, si scagliano gli abitanti storici dei quartieri popolari come Prenzlauer Berg a Berlino.

Quella che viene definita una “manna” per l’economia tedesca porta dunque sul piano sociale lo stigma della condanna delle forme di vita del precario cognitivo: mancanza di orari di lavoro fissi, grossa attenzione alle relazioni e dunque necessità di spazi di socialità spesso notturni, spazi per la riproduzione fuori dalla classica dimensione domestico-familiare. Mentre trovano rinnovato vigore mai dismessi stereotipi e immaginari essenzialisti sugli europei del Sud (pigri, dediti al vizio, sporchi, con molti figli). È da questa angolazione dunque che Schinderhasennachmittag è ben più che una metafora del nuovo clima che si respira nelle città tedesche. Fa parte di una precisa narrazione che accompagna e gestisce la mobilità intraeuropea e la riorganizzazione del mercato del lavoro nell’Europa della crisi.

Spostandosi da un paese all’altro, i giovani precari cognitivi – come già detto target dei processi di razzializzazione quando il sapere si fa risorsa centrale della produzione – fanno esperienza della dequalificazione e devalorizzazione del proprio lavoro. Non tanto nei termini di una penalizzazione dal punto di vista della possibilità di negoziare salari e garanzie, come era avvenuto, dentro un paradigma produttivo differente, negli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento, quando in migliaia lasciarono l’Italia per il Nord Europa. Se in un mercato del lavoro fortemente deregolamentato come è oggi quello tedesco, la morsa della precarietà e il ricatto della discontinuità di reddito sono un’evidenza che incide profondamente sul forme di vita e esperienza lavorativa, è anche dal punto di vista del contenuto del lavoro che si danno i processi di dequalificazione e devalorizzazione. E non poteva essere altrimenti, data la centralità di risorse e attitudini cognitive nella produzione contemporanea. Ad un creativo, ad esempio, viene continuamente ricordato di guardare il mondo con lenti tedesche, ovvero nei termini della chiarezza e dell’efficacia, e di dismettere quello sguardo un po’ romantico e un po’ naïf proprio ai paesi dell’Europa mediterranea. Questo almeno è quello che raccontava di recente un grafico di Madrid che da alcuni anni lavora a Berlino. Si pensi anche, su un piano differente, a una delle start-up che ha avuto maggior successo a Berlino nell’ultimo anno: un servizio di catering a domicilio per organizzare cene o rinfreschi in stile rigorosamente italiano. In entrambi i casi sono chiari i processi di essenzializzazione e razzializzazione che lavorano sui newcomer in Germania, segno ineludibile dell’attualizzazione della mai dismessa frattura tra Nord e Sud dell'Europa che ha storicamente contrapposto un Nord efficiente e produttivo ad un Sud romantico, pittoresco e arretrato.

4. I processi di razzializzazione che interessano i giovani lavoratori e lavoratrici cognitive nella crisi dell’eurozona, hanno dunque un origine storica ma non per questo appartengono al passato. Al contrario, la riorganizzazione del mercato del lavoro e la stessa riproduzione del modello capitalista nell’Europa della crisi passa per – e si alimenta di – quella frattura che alle origini della modernità ha fondato la narrazione europea e costruito la sua identità in termini dualistici. Se infatti con la nascita dell’Europa moderna, capitalista e coloniale, la frattura Nord-Sud doveva confermare la superiorità di un Nord dell’Europa economicamente dinamico e tecnologicamente avanzato guidato dalla Gran Bretagna della prima rivoluzione industriale rispetto a un Sud indolente e arretrato, in bilico tra Europa e Africa, oggi nell’Europa della crisi, tale narrazione ha l’obiettivo di segnare la superiorità di un Nord dell’Europa a guida tedesca, che tiene testa alla crisi perché adotta le riforme economiche e fiscali all’insegna del rigore e dell’austerity gradite alle elite neoliberiste (sono i paesi dove si spostano i giovani lavoratori cognitivi del Sud), rispetto a un Sud (da cui quegli stessi giovani partono) che la stampa internazionale descrive come “corrotto” e “spendaccione”, e – per dirla con il tink tank neoliberista di J.P. Morgan (nel Rapporto 2013 sull’Europa) – si presenta incapace di gestire la crisi perché bloccato da quella che viene definita una “influenza socialista” che avalla o permette nientepopodimeno che “il diritto di protestare se vengono attuate riforme non gradite”.

Su questo terreno, dunque, quello di un’Europa di seria A e una di serie B, la prima gradita, la seconda sgradita alle elite neoliberiste, viene riattualizzato lo storico dualismo intraeuropeo quale campo dell’accumulazione contemporanea. Ovvero, arretratezza e sottosviluppo nel Sud dell’Europa – al centro di una narrazione che come abbiamo visto va dai racconti per bambini alla stampa internazionale e ovviamente ai rapporti economici – non rappresentano il “non ancora” dello sviluppo, costituiscono piuttosto il terreno della valorizzazione del capitale, lo spazio attraverso cui oggi la Germania e altri paesi del Nord Europa traggono vantaggio dalla crisi nell’Europa mediterranea (qui ho discusso le dinamiche sul terreno della mobilità del lavoro, ma analoghe considerazione attengono anche al piano degli scambi commerciali e della politica monetaria). Arretratezza e sottosviluppo sono, detto altrimenti, una funzione specifica dello stesso sviluppo capitalista; quella “funzione materiale e politica” intrinseca al processo di socializzazione capitalistica che Luciano Ferrari Bravo leggeva nel dualismo italiano degli anni Cinquanta e Settanta e che ha storicamente accompagnato e sostenuto il progetto capitalista.

Il dualismo Nord-Sud si presenta dunque, ancora oggi, quale cruciale dispositivo per la messa a valore di differenze costruite sul terreno della razza e per la gestione dell’organizzazione sociale e del lavoro. In questo senso, la costruzione materiale e discorsiva di un’Europa dei Pigs – sistemi politici arretrati, corruzione e stagnazione economica – funziona, per quello che qui più ci interessa, come dispositivo per la costruzione di un ampio bacino di forza lavoro razzializzata e in quanto tale devalorizzata, destinata ad alimentare il più complessivo mercato del lavoro europeo e a disporne la sua riorganizzazione nella crisi.