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La squadra di un quartiere. Un quartiere per la squadra.

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di LIUCS

Ti approcci a “St.Pauli siamo noi. Pirati, punk e autonomi allo stadio e nelle strade di Amburgo” di Marco Petroni (DeriveApprodi 2015) con lo spirito dell’ultras, cercando quelle conferme che da ultras hai sempre sentito e letto sulla tifoseria del St. Pauli, e che hai visto con i tuoi occhi, in qualche occasione, nelle trasferte a Terni, dove tra feste e partite si è avuta la possibilità di conoscerli e vederli in azione. Poi, pagina dopo pagina, ti accorgi di essere di fronte ad un accurato lavoro di tipo storico, sociologico e culturale insieme, che certamente parla di ultras, ma sopratutto parla di conflitto, di antagonismo e controcultura. Un sincretismo necessario per permettere di capire la realtà del quartiere St.Pauli, della storia di chi lo vive, delle sue lotte, della sua squadra e della sua tifoseria.

Una scelta, questa, molto importante per la struttura della narrazione e azzeccata dall’autore, che affrontando in maniera cronologica gli eventi interessati permette di capire perché proprio quel quartiere e la sua gente siano diventati celebri in tutto il mondo, quasi ad essere una bandiera di antagonismo.

St.Pauli, quartiere di Amburgo legato ad uno dei porti più importati del Nord Europa, da sempre ha ospitato “gli ultimi”della città (operai, prostitute, scaricatori di porto, lumpen, marinai, ecc.) e le sue strade sono state la base e il teatro delle lotte di un’importante sezione delle classi subalterne tedesche. Quelle lotte che, sedimentandosi nel corso del processo storico, hanno permesso una crescita autonoma e di contrapposizione del tessuto sociale, e che, di generazione in generazione, hanno consolidato la conflittualità di questo quartiere operaio: le lotte dei portuali nell’800; la ribellione alle politiche della socialdemocrazia weimariana che ad Amburgo, oltre ad avere una delle sue roccaforti, aveva già abbandonato il proletariato come propria “classe storica”; la resistenza all’avanzare del nazismo anche attraverso la musica, quella musica proveniente dagli Stati Uniti e considerata da “negri” dalle squadracce in camicia bruna; il ciclo di conflittualità e insubordinazione operaia del secondo dopoguerra, che passa il testimone alle successive lotte contro il nucleare; da qui, sulla spinta dell’Autonomia italiana, la nascita degli Autonomen, le occupazioni dei palazzi delle Hafenstrasse agli inizi dell’anni ’80, le successive resistenze ai diversi tentativi di sgombero.

A fronte di tutto ciò, sembra naturale domandarsi cosa c’entri la storia di un quartiere popolare e proletario alla fin fine come tanti, con una squadra di calcio di “perdenti nati” e le vicende di stadio dei propri appassionati sostenitori. Bene, qui sta l’importanza del lavoro svolto dall’autore e dell’esposizione che ne fa nel libro, perché senza i passaggi descritti brevemente in precedenza non si riuscirebbe a capire la specificità della composizione politica e sociale della tifoseria del St.Pauli.

Una tifoseria che è insieme figlia di tutte queste lotte e dell’avvento delle sottoculture Skin e Punk, che nasce in pieni anni ’80 dalla decisione di un ampio settore di giovani kids di riversarsi sui gradoni dello stadio Millerntor e seguire la squadra del proprio quartiere, una squadra senza palmares e definita la squadra dei perdenti, a differenza dell’Amburgo, infoltito da campioni e pluri-titolato.

Proprio rispetto alla composizione giovanile dei tifosi, legata a questi stili e sottoculture provenienti dall’Inghilterra e che in Germania daranno vita ad un originale intreccio con i “politici” Autonomen, il libro permette di capire l’evoluzione del fenomeno del tifo, sia in Germania che più in generale nel resto d’Europa, e di conseguenza tratti comuni e specificità della tifoseria st.paulina. Dall’opera infatti emerge – nel modo che hanno messo in luce numerose altre pubblicazioni – come l’influenza della sottocultura punk e la nascita del movimento Skinhead siano stati determinanti per lo sviluppo del mondo ultras. È anche attraverso quest’ultimo spezzone inquinato e travisato dai neonazisti bonehead, che ben presto nell’ambiente troverà inserimento una componente di estrema destra, che nelle curve riuscirà a radicarsi, fare proseliti e avviare un’opera di reclutamento di manovalanza politica.

Esattamente questa situazione porterà molti punk e skin a uscire della curva dell'Amburgo e a riversarsi appunto sui gradoni del Millerton assieme a molti Autonomen, e a dar vita al nucleo che porterà la tifoseria del St.Pauli ad essere quella che conosciamo oggi.

Citando dal libro: «Per la tifoseria del St.Pauli Fc questo processo segnò la fine del periodo “apolitico”. Nel giro di qualche stagione punk e autonomi, attraverso il loro carisma e il loro pensiero critico, dentro e fuori dal campo riusciranno a creare una “nuova tifoseria” nella quale si identificano moltissimi sostenitori di sinistra. […] Fu un processo molto più naturale per puro divertimento, per tornare a vivere il calcio come esso merita e perché era qualcosa che riguardava il quartiere in cui vivevano.»

La tifoseria nel tempo arriverà a saldarsi con il quartiere, e a creare una preziosa sinergia capace di compattarsi all’occorrenza in un unico fronte di lotta e di resistenza. Tifoseria e quartiere, infatti, negli anni non rimarranno indenni alle profonde trasformazioni sociali, politiche e culturali della Germania, soprattutto dopo la caduta del muro di Berlino. Ne sono esempi l’opposizione ai diversi tentativi di sgombero dei palazzi occupati della Hefenstrasse e contro l’applicazione di classici modelli di gentrificazione neoliberale; la difesa dagli assalti di strada delle tifoserie avversarie, sia che esse fossero ad Amburgo contro il St.Pauli o contro l’Amburgo stesso, in particolar modo dopo che la caduta del muro produsse e accelerò la rinascita di movimenti neofascisti nell’Est, che trovavano negli stadi ampi spazi d’azione (particolare non banale visto che il St.Pauli militando quasi sempre in categorie inferiori nell’ex DDR ci andava spesso!) e che facevano del quartiere a forte presenza organizzata di compagni un obiettivo da attaccare. Lotte che poi dall’esterno si riversano all’interno dello stadio contro tutti i tentativi di commercializzare la realtà del St.Pauli, per mantenere quello spirito e quell’attitudine che hanno fatto nascere la tifoseria e che hanno fatto sì che nello stadio fosse impedito di esporre simboli e cantare cori razzisti, fascisti e sessisti.

La tifoseria nel tempo ha vissuto una serie di evoluzioni, fino ad arrivare alla situazione odierna, con la nascita degli Ultras St.Pauli, che sui gradoni della Gegengerade (l’unica tribuna in Germania ad avere per i tre quarti della sua grandezza posti in piedi) si rifanno al modello ultras italiano, con lancio di cori (anche in italiano), tamburi, striscioni, megafoni e l’immancabile Jolly Roger dei pirati.

Il libro è importante perché, riprendendo la quarta di copertina, “ ...non è solo il ritratto di una tifoseria simbolo internazionale di antagonismo, ma anche la storia di un quartiere da sempre ribelle che, negli anni Ottanta, diventa il luogo di maggior concentrazione della scena radicale tedesca”.

Ma soprattutto un lavoro preziosoperché pone alcuni spunti di riflessione sull'aspetto sociale del mondo ultras allo stato attuale e del ruolo delle curve rispetto ai conflitti sociali, dato che oggi esse vedono riversarsi al loro interno quel concetto di “apoliticità” che altro non è che il viatico ad uno spostamento a destra dei soggetti più o meno organizzati e della composizione che assiduamente le frequenta. Un bacino, quello delle curve, frequentato da un proletariato e sottoproletariato pieno di rabbia (vediamo spesso questa rabbia riversarsi contro Stato e polizia) che andrebbe inchiestato, studiato e presenziato, e perché no ripensato un intervento proprio al fine di non lasciarlo in mano ai tentativi dell’estrema destra di farlo completamente suo e costruire così soggettività a noi avverse e nemiche. Molti compagni, come chi scrive, sono cresciuti politicamente all’interno delle curve attraverso socialità, immaginario e simboli di sinistra, si avvicinavano ai centri sociali e si battevano per lotte civili e sociali. Purtroppo molte di queste curve e situazioni si sono esaurite lasciando un buco enorme che fascisti organizzati e speculatori hanno saputo sfruttare. In parallelo a tutto ciò, alcune di quelle esperienze autonome che dal basso hanno provato a mettere in piedi istanze pratiche di lotta – come i primi Mondiali Antirazzisti di Montecchio o il Raduno Antirazzista Internazionale (R.A.I.) di Terni – si sono viste morire o svuotate dall’interno, diventando luoghi in mano alla “sinistra” istituzionale atti a far sì che questa mantenga una parvenza di sinistra attraverso certi valori etici.

Di fronte a tutto questo, il libro permette di immaginare che un calcio diverso sia ancora possibile, come stanno insegnando tutte le variegate esperienze di calcio popolare che da anni stanno nascendo non solo in Italia ma in diverse parti d’Europa: attraverso lo sport più bello del mondo e l’aggregazione delle generazioni più giovani fanno dell’antagonismo e della lotta un punto fermo, creando nuove soggettività conflittuali proprio a partire dall’antifascismo, antirazzismo e antisessismo, non solo contro un modello di sistema calcio oramai votato al denaro, ma anche contro un sistema di società che non ci appartiene.

Come partecipanti ad una collettività di parte e militante, siamo poi così sicuri che Ultras e Movimento non possano tessere relazioni, confrontarsi, e quando è necessario lottare per fini comuni?

St.Pauli dimostra che questo processo è possibile.