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Everything is “rissa” - Note sui processi di costruzione mediatica della devianza

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di PASQUALE SCHIANO

I fatti della recente cronaca napoletana si prestano ad alcune riflessioni in ordine alle dinamiche di funzionamento dei processi di etichettamento e di costruzione mediatica della devianza, così come ai meccanismi eminentemente politici di controllo e disciplinamento sociale che tali processi tendono a dissimulare ed occultare nell'ambito del discorso mediatico.

Nella notte tra il 12 ed il 13 febbraio piazza Bellini – cuore del centro storico napoletano e da tempo oggetto di interesse da parte di quel complesso affaristico camorristico accresciutosi con il progressivo intensificarsi dei processi di gentrificazione – è tornata, nuovamente, agli onori della cronaca. Poco dopo la mezzanotte un gruppo di circa 50 persone armato di mazze e caschi si è scagliato contro alcuni giovani di origine africana, ritenuti responsabili delle gestione del mercato della cannabis nella zona compresa tra via Port'Alba e via San Sebastiano, costringendo almeno due di essi al ricorso alla cure mediche. La notizia, ripresa dalla stampa locale e rapidamente circolata attraverso i social network ed alcuni blog di informazione, sembra aver dato luogo ad un ampio dibattito, come dimostrato dagli oltre 300 commenti al post dedicato all'accaduto da Roberto Saviano, instancabile commentatore delle vicende della cronaca partenopea. In questo senso, quel che appare prioritario sottolineare è come la mobilitazione di elementi emotivi in ordine alla costruzione del frame narrativo proposto risulti del tutto funzionale alla attivazione di meccanismi di allarme sociale e panico morale che, se da un lato mostrano un gradualmente crescente livello di autonomia rispetto alla realtà, tale da acuire la già considerevole divaricazione tra insicurezza effettiva ed insicurezza percepita, dall'altro si rivelano quali idonei catalizzatori, in termini tanto concettuali quanto pratici, di una diffusa domanda securitaria destinata evidentemente a dilatarsi in tempi di crisi, instabilità occupazionale e precarietà sociale.

Da questo punto di vista, particolarmente significativo risulta essere il ricorso, quasi ossessivo, alla categoria omogeneizzante e ''spoliticizzante'' di rissa che, operando un'espulsione dell'evento dal suo concreto contesto storico-sociale, determina una eguale ripartizione di responsabilità fra gli attori che a vario titolo ne sono coinvolti. Rissa – dal latino rixa, derivante probabilmente da radice indoeuropea che rimanda all'attività di rompere, strappare – è ''zuffa tra due o più persone con scambio di epiteti ingiuriosi e percosse''[1], ma anche ''confusione improvvisa di persone vocianti che si agitano'' e come tale, quindi, concetto che si presta a continui slittamenti semantici da un contesto giuridico ad un contesto etico.[2] In questo modo ''rissa'' – delitto previsto dall'articolo 588 del codice Rocco che si configura all'interno dell'ordinamento italiano come fattispecie di reato comune e plurisoggettiva – così come altre categorie ad essa affini[3], funge da elemento mistificante in grado di legittimare, all'interno del discorso pubblico, una rappresentazione della questione criminale come questione etico-estetica.

Lungi dal violare il campo semantico in questo modo rigorosamente perimetrato dalla narrazione mainstream, ma anzi muovendosi agevolmente al suo interno, Saviano – dopo un quanto meno inopportuno parallelismo fra Secondigliano e piazza Bellini – evoca scenari bellici.

A 10 anni dalla faida di Secondigliano, in piazza Bellini, nel pieno centro di Napoli, nella piazza simbolo del Rinascimento bassoliniano che ha poi gettato la città in un nuovo e peggiore Medioevo, è guerra. È guerra vera, guerra tra gli immigrati che spacciano prevalentemente hashish e marijuana, ma anche cocaina ed eroina, e i pusher che fanno capo agli storici clan del centro. È guerra violenta fatta di pestaggi, ritorsioni e risse. Il prossimo passo sarà portare in piazza le armi, in una piazza frequentata ogni giorno da centinaia di persone, di famiglie, di ragazzi, di universitari, di turisti.[4]

Pur non ignorando la centralità del ruolo ricoperto dagli apparati camorristici, infatti, lo scrittore ripropone una cornice narrativa alla cui scarsa verosimiglianza descrittiva corrisponde una sostanziale inconsistenza analitica. Ed invero, pur nell'impossibilità di addentrarsi nella questione, sarà sufficiente notare come ben più drammatica appia essere la dialettica connaturata alla forma guerra, rispetto al semplice susseguirsi di ''risse'' e ''pestaggi''. Così come scarsamente realistico appare il ricorso alle metafore militari, per delineare la geografia di un paesaggio che, stando alle parole di Saviano stesso, è attraversato ogni giorno da centinaia di famiglie, ragazzi, studenti e turisti.

Sembra essere evidente, a questo punto, che, pur distanti dall'impostazione dell'autore di Gomorra, dagli assunti da cui egli muove così come dalle conclusioni cui troppo spesso sembra essere pervenuto, eccessivamente semplicistico risulterebbe attribuire una certa lettura degli eventi alla mera superficialità. Ancora una volta il dispositivo Saviano sembra offrirci alcuni validi spunti di riflessione in ordine ai meccanismi di funzionamento dei processi di costruzione mediatica del fenomeno deviante ed alla sua rappresentazione nell'immaginario sociale.[5] In questo senso potrebbe risultare opportuno verificare se ed in quali modi l'ordine del discorso entro cui questi processi tendono a radicarsi, di cui rappresentano un effetto, ma sul quale d'altra parte retroagiscono, incessantemente rinnovandolo e riproducendolo, possa trovare la propria condizione di possibilità in una complessa serie di tecnologie discorsive di selezione, esclusione, rimozione ed occultamento dei discorsi e delle rappresentazioni altre. La retorica punitiva ed il lessico moralistico sottendono la volontà di dissimulare la desolazione sociale ed economica ridefinendola come suscettibile di essere compresa, amministrata e risolta solo ed esclusivamente in termini di politica criminale e del controllo sociale ed innescando complessi processi di erosione e di ''neutralizzazione'' dell'agire pubblico[6].

Vien da sé che tale ''rimozione'' opera nel senso di lasciare del tutto irrisolti i nodi della questione: i terribili costi umani e sociali dei rapidi processi di trasformazione dell'economia globale nel quadro dello scellerato progetto neoliberale.

Possibile, dunque, che Saviano non veda che dietro quella che viene descritta come una faida tribale tra ''gli immigrati che spacciano'' e ''i pusher degli storici clan'' si nasconda una realtà ben più complessa ed intricata? Possibile che Saviano ignori la profonda frattura che attraversa il ''sistema''[7], riarticolandolo al suo interno e dividendolo tra gruppi e strutture ancora legate alle antiche logiche criminali di gestione e controllo del territorio da un lato, ed organizzazioni ormai apertamente ispirate al paradigma neoliberale tendenti a configurarsi come vera e propria imprenditoria armata dall'altro? In tal caso potrebbe risultare utile provare ad individuare alcune possibili traiettorie di ricerca, ipotesi a malapena abbozzate che potrebbero però, se coerentemente formulate ed empiricamente verificate, rivelarsi funzionali ad una più adeguata ricostruzione del quadro teorico entro il quale veniamo a muoverci. Stando così le cose si dovrà preliminarmente considerare come i già menzionati processi di gentrificazione che stanno interessando negli ultimi decenni l'area del centro storico napoletano, con l'uso predatorio dello spazio pubblico e la sua consacrazione agli interessi speculativi della rendita immobiliare e fondiaria[8] abbiano imposto, tra le altre cose, un radicale ripensamento delle modalità di distribuzione e consumo delle sostanze stupefacenti in un'area storicamente deputata – nell'ambito del più ampio progetto urbanistico di gestione degli illegalismi e di definizione delle relative soglie di tollerabilità – al contenimento delle attività di consumo ludico e sociale delle droghe leggere.[9] Da questo punti di vista, quindi, quello che oggi sta interessando Napoli sembra ricalcare la logica di un processo che, negli scorsi decenni, ha riguardato diverse metropoli europee, come Londra e Barcellona. In secondo luogo, non sarà superfluo sottolineare come solo in tempi recenti, con consistente ritardo rispetto agli apparati del narcocapitalismo europeo, le organizzazioni di matrice camorristica abbiano cominciato a maturare una più profonda consapevolezza dei vantaggi derivanti dallo sfruttamento della manodopera straniera irregolare. Una forza lavoro a basso costo, iperflessibile e, naturalmente, sprovvista di qualsivoglia forma di tutela o garanzia, la cui dislocazione dal mercato del lavoro nero o sommerso verso il mercato del lavoro illegale se da un lato sembra offrire inedite occasioni di profitto, rende dall'altro indispensabile il ricorso a nuovi, più o meno violenti, dispositivi formali ed informali idonei alla sua gerarchizzazione ed al suo disciplinamento. Muovendoci in questa direzione potremmo forse scoprire che gli episodi ciclicamente offerti in pasto alla vorace opinione pubblica dai media mainstream come risse tra balordi incapaci di uniformarsi alle regole, codificate e non, del vivere civile rappresentano in realtà l'altra faccia di quel progresso e di quello sviluppo fatti di privatizzazioni e cemento, commissariamenti e discariche, inceneritori e trivellazioni, che gli ''intellettuali meridionali''[10] continuano ad invocare quale unica strada percorribile per il Mezzogiorno d'Europa.[11]



[1] Lo Zingarelli 2015. Vocabolario della lingua italiana, Zanichelli, Bologna, 2015

[2] A riprova di ciò si consideri l'autorevole dottrina secondo cui la previsione dell'art. 588 c.p. è destinata a tutelare non solo il bene della vita o dell'incolumità personale dei partecipanti, ma anche, in via autonoma e non subordinata, l'ordine pubblico dalla minaccia di turbamento. Si veda in proposito D. Carcano, Manuale di diritto penale. Parte speciale, Giuffrè, Milano, 2010, p. 796

[3] In tal senso si consideri il ruolo analogo svolto nel discorso pubblico dalla categoria di ''degrado'', così come da una serie di categorie stigmatizzanti e stereotipanti come quella di ''clandestino'' o di ''gang''.

[5] Sul punto si veda l'ormai classico contributo di A. Dal Lago, Eroi di carta. Il caso Gomorra e altre epopee Manifestolibri, Roma, 2010

[6] Si veda sul punto S. Palidda, Politiche della paura e declino del agire pubblico, in Un mondo di controlli, ''Conflitti Globali'', n. 5, Agenzia X, Milano, 2007, p. 13

[7] Termine col quale, nel dialetto napoletano, si indicano gli apparati della criminalità organizzata.

[8] Si veda in proposito A. Petrillo, Ombre del comune: l'urbano tra produzione collettiva e spossessamento, in M. R. Marella (a cura di), Oltre il pubblico e il privato. Per un diritto dei beni comuni, Ombre Corte, Verona, 2012

[9] Circostanza che sembra confermata negli ultimi anni dal ciclico ricorso a procedure di stop-and-frisk nella zona compresa tra piazza San Domenico, piazza del Gesù e piazza Monteoliveto..

[10] Per un'efficace lettura gramsciana del dispositivo Saviano si veda F. Festa, Di Saviano e di altre narrazioni tossiche, Euronomade, http://www.euronomade.info/?p=3354

[11] Paradigmatici risultano essere, da questo punto di vista, due recenti interventi di Saviano e Macry rivolti ai movimenti sociali campani, comparsi rispettivamente sul settimanale L'Espresso e sul Corriere del Mezzogiorno.