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Logiche e forme dello sfruttamento contemporaneo - Oltre la sussunzione? Un cantiere di analisi

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Ciclo seminariale (Bologna, marzo-giugno 2015)

Le classi non sono entità statiche, date una volta per tutte. Al contrario, esse si trasformano incessantemente, con più o meno rapidità a seconda delle fasi storiche e dell'intensità dell'antagonismo. Nel capitalismo, motori e poste in gioco di questa trasformazione sono lo sfruttamento, cioè l'indebito e forzoso prelievo di valore imposto dai padroni ai lavoratori, e la lotta di classe.

Comprendere i modi attuali delle pratiche di sfruttamento è fondamentale per organizzare la rivolta contro di esse. A questo tema Commonware dedica quindi il Cantiere di quest'anno, basandolo su un'ipotesi preliminare riguardo il concetto marxiano di sussunzione, concetto che si intende tornare ad interrogare – ovviamente con approccio critico e nessuna intenzione apologetica.

Nel Capitolo VI inedito del Capitale, Marx introduce la categoria di sussunzione al capitale sdoppiata in sussunzione formale e sussunzione reale. La nozione di sussunzione come tale è tratta originariamente da Aristotele, ed in seguito dalla Critica del Giudizio di Kant, dove la parola (die Subsumtion, derivata dal verbo subsumieren, cioè inquadrare in una classificazione) indica la riconduzione di un termine al rapporto insieme di inclusione e di subordinazione che gli è proprio rispetto ad un termine più esteso. Marx utilizza la nozione al di fuori dell’ambito della logica, per cui è stata concepita, riformulandola in modo da inquadrarvi i termini, storico-sociali e non logici, di capitale e lavoro.

Marx individua due tipologie di sussunzione del lavoro al capitale: quella formale implica che il capitale sottometta a sé, vale a dire includa nel rapporto sociale che lo definisce, modi di essere del lavoro umano che si sono costituiti prima e indipendentemente da esso, e che esso piega ai suo interessi senza modificarne il contenuto.

Diversamente, la sussunzione reale del lavoro al capitale rimanda alla determinazione del modo stesso di essere del lavoro da parte del rapporto sociale capitalistico che lo ingloba. Il capitale si appropria quindi, secondo Marx, non soltanto del prodotto del lavoro, ma anche della sostanza del lavoro, che viene così riplasmata. La produzione che ne nasce è dunque specificamente capitalistica, in quanto è il suo stesso contenuto lavorativo che è disciplinato dal capitale.

Non c'è dubbio che l'apice della sussunzione reale sia costituito dal fordismo, cioè dall'epoca capitalistica dispiegatasi nel secondo dopoguerra ed entrata in crisi a partire dagli anni Settanta. La sussunzione reale tipica del fordismo letteralmente impone un’omogeneità spaziale, temporale e soggettiva invariabilmente fondata sulla grammatica del lavoro salariato e sulla successione rigida delle sue fasi (formazione – apprendistato – erogazione effettiva di manodopera - pensionamento). Nel momento in cui, invece – ecco la nostra ipotesi preliminare – l’investimento del capitale sul processo lavorativo non può che validarsi in buona misura ex post, vale a dire retrospettivamente, le modalità del comando capitalistico mutano drasticamente: l’azione di controllo finisce per situarsi nel cuore stesso dei processi di soggettivazione, nella loro molteplice dinamicità, in una spirale perversa che in ogni momento sollecita i soggetti in divenire ad una norma di inclusione differenziale. Per visualizzare con un esempio questo passaggio, si pensi alle tipologie contrattuali in vigore durante il periodo fordista e alla loro “liquefazione” in seguito alla deregulation neoliberale.

Come cambia – ammesso e non concesso che cambi – lo sfruttamento in questo nuovo scenario? Assistiamo ad un ritorno di pratiche di sussunzione sostanzialmente formali, oppure ad un approfondimento della sussunzione reale? O ancora, non potrebbe essere necessario rivisitare questo armamentario concettuale in cerca di nuove categorie analitiche, complementari e non sostitutive alla sussunzione?