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Cartografia delle lotte – ciclo di autoformazione (Bologna 2013-2014)

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La crisi e le pratiche di resistenza che attraversano il capitalismo contemporaneo assumono temporalità e geografie inedite. Siamo sempre di più attorniati da eventi per lo più inattesi e sorprendenti che mettono a dura prova le categorie teorico-interpretative e i saperi pratici a nostra disposizione. Da un lato di fronte all'incalzare degli eventi diventa forte la tentazione di ripiegare l'analisi all'interno di grammatiche interpretative consolidate ma teoricamente sclerotizzate, dall'altro cogliendone piuttosto intuitivamente la sterilità e la rigidità si rischia invece di abbandonarsi, a rovescio, a letture "sradicate" dalle dinamiche storiche legate a doppio filo all'evoluzione dei rapporti sociali di produzione. Entrambe le direzioni evidentemente rischiano di essere fuorvianti.

L'assetto politico-economico globale è scosso nelle sue fondamenta e non pare poter trovare in tempi brevi nuovi assetti stabili. Da un lato l'esercizio dei poteri forti, delle tradizionali egemonie politiche, le loro modalità di articolazione geografica e di esercizio militare assumono configurazioni ed alleanze inedite. Dall'altro si aprono, in seno alla crisi, nuovi e all'apparenza molto diversificati orizzonti di lotta e di resistenza che ridisegnano i profili geografici ma anche di composizione sociale della lotta sociale e politica.

Cosa accumuna la “primavera araba” con le rivolte brasiliane? Qualcosa lega le acampadas spagnole, piazza Syntagma, Occupy con la Turchia? Se assumiamo un campo di osservazione troppo largo, astratto e di grana concettuale, o anche, al contrario troppo stretto empirico e territorialmente determinato, probabilmente non sarà possibile comprendere e stimolare l'emersione delle complesse trame che li attraversano e capire quindi se sia possibile tracciare delle linee che si muovono verso un orizzonte comune. Occorre tentare di tenere assieme e provocare invece la loro reciproca tensione conoscitiva. In altre parole è solo dalla comprensione delle forme di soggettività, dalle pratiche sociali di resistenza, dalle linee di fuga e dalle diverse singolarità che si producono nei singoli contesti di lotta che crediamo possibile tracciare una feconda riproposizione dei nostri saperi critici e quindi rilanciare attraverso di essa una prassi che abbia come finalità la produzione transnazionale del comune.

Per queste ragioni il terzo ciclo di Commonware a Bologna quest'anno sarà dedicato a quella che definiamo cartografia delle lotte. Più specificamente gli incontri programmati avranno l'obiettivo di incrociare e mettere in tensione una serie di categorie di analisi del post-operaismo (composizione di classe, lavoro vivo, modello antropogenetico di produzione, fabbrica sociale, precarietà generalizzata, processi di soggettivazione, governamentalità, ecc.) con alcuni specifici contesti di lotta per tentare di comprendere la loro attualità o inattualità, per misurarne la fragilità teorica o al contrario rilanciarne la potenzialità concettuale e politica. In tale tensione naturalmente non rinunceremo all'intento di pedagogia militante che fin dalla prima edizione ha caratterizzato il cantiere dei saperi di Commonware. Anzi la nostra intenzione è quest'anno proprio quella di sollecitare tale vocazione. In primo luogo creando le condizioni di una comprensione anche determinata e attuale dei concetti astratti che durante i precedenti cicli di Commonware sono stati proposti e presentati, ma soprattutto aprendo laboratori permanenti di autoformazione che accompagnino da un lato la preparazione e definizione degli incontri pubblici e dall'altro permettano il confronto tra i partecipanti, la discussione critica e la sedimentazione di un certo stile di militanza e di cooperazione del general intellect.

Insomma, il nostro obiettivo è anche quello di continuare a iscrivere pratiche autonome di formazione e di produzione dei saperi nel cuore delle rovine sempre più decadenti dell’università pubblico-privata. Commonware è infatti declinabile in primo luogo dentro la progettazione e la costruzione di una "formazione del comune", che si ponga all'altezza della nuova composizione sociale del lavoro e delle sue inedite forme soggettive, immersa, come azione viva, nella materialità dei processi di sfruttamento e di esercizio della violenza tutt'altro che edulcorata del capitalismo biopolitico e cognitivo.

Si tratta allora di guardare, toccare, cantare, apprezzare, comprendere, articolare, nominare, provocare ciò che nel corpo simbolico e materiale del Capitale si fa urto, colpo, discontinuità, infedeltà, perché in questi tagli si può inscrivere la nostra resistenza e la nostra insistenza soggettiva nel desiderare l'orizzonte del comune.