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Carne fatta numeri e ancora carne

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di PAOLO CAFFONI

“Non posso dunque concordare con un vigoroso scrittore,
il Dr. Le Bon, che afferma che la nostra epoca sia ‘l'era delle folle’.
È l’era del pubblico o dei pubblici, cosa ben diversa.”

G. Tarde

Questa sintesi di un passaggio epocale, scritta da Gabriel Tarde nel lontano 1898, metteva a fuoco il pubblico come entità prioritaria da un punto di vista teorico e storico, la cui definizione implica una ridiscussione di alcuni dei tratti fondanti del rapporto fra singolarità e soggettività collettive. Seguendo Tarde, la “tendenza a trasformare tutti i gruppi sociali in pubblici” è il tratto caratterizzante dell’età moderna a partire dalla Rivoluzione francese – e non solo potremmo dire oggi – e si pone come centro di una riflessione che ha nella produzione di pubblico e di opinione pubblica il paradigma delle forme di organizzazione del visibile come anche del sociale. Ma possiamo ancora considerare attuale un’intuizione vecchia ormai più di un secolo?

Con l’apertura della settimana del Salone del mobile di Milano, si inaugura il lungo anno di preparazione a Expo 2015 che vede la città trasformarsi in un “santuario” del pellegrinaggio al feticcio merce, sia questo prodotto gastronomico o di arredamento. In data 6 aprile, il Sole 24 ore riporta i numeri delle stime della Camera di Commercio di Monza e Brianza sul giro d’affari connesso all’evento 2014: 18 milioni di euro spesi per aperitivi e cene, 160 milioni tra alberghi e alloggi in affitto, trasporti in città per 3.8 milioni, 19 milioni per lo shopping, 120 milioni di euro fra allestimenti e catering nei quartieri del Brera Design District e Ventura Lambrate. Sono invece 300.000 i visitatori attesi al polo fieristico di Rho-Pero.

Ricorda Ciccarelli su Doppiozero come l’allora ministro Tremonti sostenesse che “con la cultura non si mangia”, mentre ora “la cultura si mangia e si beve” per l’imprenditore del “made in Italy” Oscar Farinetti che apre nell’ex-Teatro Smeraldo l’ennesima vetrina per il turismo “culturale”.

L’operazione di Farinetti riafferma che anche l’alimentazione è una questione culturale (turistica), mentre il Salone misura la cultura sul valore dell’economia, ed è su questo doppio asse che si preannuncia l’articolazione economica e semiotica dell’esposizione universale che aprirà il primo maggio dell’anno prossimo con il titolo di “Nutrire il pianeta”.

Non è per niente casuale che l’esposizione scelga una data tanto simbolica per l’inaugurazione, essa costituisce piuttosto un riferimento diretto sia alla sua stessa storia nondimeno che alla nostra attualità. “Le esposizioni universali […] sono precedute da esposizioni nazionali dell’industria, di cui la prima ha luogo nel 1789 sul Campo di Marte [Parigi]. Essa nasce dall’intento di ‘divertire le classi operaie e diventa per loro una festa di emancipazione’. La classe operaia è in primo piano come cliente” (Benjamin). Lo spettacolo offerto dalle esposizioni universali è uno strumento prestigioso e potente che il ceto dirigente di un paese possiede per l’educazione del pubblico: “Durante le visite festive i lavoratori ammirano come spettacolo ciò che essi conoscevano come lavoro” (Abruzzese).

Guardando ai numeri dell’odierno salone, non sorprende che l’articolazione fra pubblico e lavoro precario sia sempre complessa e meno discernibile. L’assimilazione operata dal capitale fra spettacolo e lavoro raggiunge un massimo di integrazione proprio nel settore culturale, per cui è “il pubblico a farsi spettacolo di sé stesso”, cioè a farsi valore economico. Come scriveva Benjamin, “Proprio le esposizioni sono state l’alta scuola in cui le masse escluse dal consumo hanno imparato a immedesimarsi nel valore di scambio”.

Il filosofo tedesco anticipava la stretta interdipendenza tra pubblici e finanza, cioè tra la dimensione soggettiva e quella economica. Non a caso l’unico elemento per comunicare il successo di una manifestazione è rintracciabile nei programmatici report alfanumerici in cui sono evidenziati i flussi dei visitatori e la frequenza delle loro visualizzazioni.

Su di un altro versante, lo sgombero e le accuse rivolte agli occupanti dell’Angelo Mai Altrove di Roma non rappresentano un segno opposto e contrario alla promozione dei pubblici milanesi, quanto piuttosto l’intolleranza per la proliferazione di forme di vita e organizzazione che rompono con questo regime di assoggettamento, che rifiutano cioè di farsi capitale umano. La repressione di forme di soggettivazione che siano “altre” e che eludono l’alienazione e sfuggono alla cattura dei pubblici, riafferma la disciplina imposta ai corpi nei modi di abitare l’urbano e di pensare la produzione culturale. Paradossalmente, nel momento in cui sempre un maggior numero di persone (migranti, precari, disoccupati, ecc.) affrontano l’espropriazione del diritto all’abitare, ci muoviamo all’interno della più grande messa in scena della città come spazio domestico (da arredare). Ciò che si presenta come apologia dell’ospitalità sottende le forme più violente di segregazione.

Di questi temi e di altro ancora si è discusso anche a Macao sabato 12 e domenica 13 aprile durante il seminario Fare pubblici. Forme di rappresentazione e nuove cartografie della città-esposizione. www.macao.mi.it

Il seguente contributo – elaborato in collaborazione da Falke Pisano e Paolo Caffoni per la mostra Constellations of one and Many all’arge/kunst di Bolzano – tenta un’analisi dell’articolazione fra i “modi di esposizione” e i “modi di soggettivazione” dei pubblici attraverso l’uso di una serie di diagrammi. Il diagramma rappresenta qui più una forma “aperta” di argomentazione del discorso che un’affermazione conclusa in se stessa. Proprio per la loro natura di comunicazione visiva, e non rappresentativa, i diagrammi tendono a porre delle questioni più che a elaborarne le risposte. Si è ritenuto comunque opportuno, visto anche la complessità dell’argomento, aiutare la lettura dei segni attraverso la compilazione di brevi testi che, in ogni modo, non costituiscono altro se non una delle possibili interpreazioni del diagramma stesso.

MODI DI ESPOSIZIONE

1. Coefficiente del valore

In un’economia che si basi sul cosiddetto “modello espositivo”, sia questo una biennale, una mostra, un giornale, online o cartaceo, un festival o un sito web, ecc., il “valore di esponibilità” di ciò che è in mostra si calcola con la formula “numero di visitatori/tempo di esposizione”. Nel diagramma il numero dei visitatori aumenta spostandosi verso l’alto, mentre il lasso di tempo preso in considerazione si riduce progressivamente spostandosi verso destra. L’angolo dove l’intrecciarsi delle linee si va infittendo e la superficie dell’area che esse delimitano diminuisce, rappresenta il coefficiente di valore maggiore d’esposizione. Questo non può essere fissato in un suo punto limite, ma si posiziona su di un vettore la cui progressione è virtualmente infinita, come la suddivisione della superficie in particelle molecolari. L’unico vero limite è quello imposto dall'immagine stessa o dalla nostra capacità di percezione dell’immagine.

2. Modulazione dell’attenzione

Il costituirsi del pubblico avviene nelle intensità del tempo piuttosto che nelle dimensioni dello spazio. Alla sua forma di soggettivazione aleatoria, dispersa, corrisponde una regolazione che non può più agire attraverso forme di contenimento, distanza o limitazione, come nel caso della folla o della popolazione, organizzate nello spazio, ma piuttosto colloca i pubblici in serie temporali, ne definisce la propria frequenza. L’azione di governo costituita dal “qui” e “ora” viene così esercitata attraverso la modulazione dell’attenzione. Infatti, il pubblico può essere controllato soltanto in uno spazio aperto, in cui si effettua la regolazione dei flussi di informazione e degli elementi che lo costituiscono: il tempo, la velocità, l’azione a distanza.

3. Suggestione inter-spirituale

Il legame che forma il pubblico è di natura radicalmente diversa rispetto a quello della folla. In esso il fascio di contagi psichici non è la risultante dei contatti fisici, ma si definisce come “azione a distanza di uno spirito sull’altro” (Tarde). Mentre le tecnologie della comunicazione individualizzano e separano i corpi, simultaneamente, attraverso l’azione a distanza, esse mettono in campo un legame spirituale di tipo “nuovo”. Il legame dei pubblici, costituitosi nel tempo, è rappresentato dalla convinzione di ciascun individuo che una specifica idea o volontà sia condivisa nello stesso istante da un gran numero di altre persone. Per esempio: leggiamo con avidità una notizia su di un giornale o una pagina web, poi ci si accorge che questa è di un mese fa o del giorno prima e l’interesse che ci aveva attratto verso di essa improvvisamente sparisce. Questa specifica dimensione e forza temporale, chiamata “attualità”, mette in campo un’articolazione del rapporto fra l’uno e i molti che è il tratto distintivo del pubblico come gruppo sociale: maggiore è il numero del pubblico di una certa notizia, evento o fatto, maggiore sarà anche la sensazione o il suo grado di attualità.

MODI DI SOGGETTIVAZIONE

1. Articolazione dei pubblici

Diverse declinazioni del concetto di pubblico sono state sviluppate nel corso della storia: “uditorio” dei poeti o dei letterati nell’antica Grecia; “spettatori” del cinema o della televisione nell’era moderna; la definizione inglese prosumer (produttore-consumatore), emersa in epoca post-fordista con lo sviluppo delle reti di servizio e la “messa a valore” delle azioni di feedback degli utenti; fino a quella di “pubblici produttivi” delle reti informatiche e della network society. Questi diversi gradi di passività/produttività nella costituzione dei pubblici possono essere associati alle trasformazioni tecnologiche che ne hanno segnato l’avvento: l’apparato uditorio e visivo del corpo come tecnologia della percezione, la stampa, il cinema o la televisione, le reti informatiche. In questo senso si potrebbe disporre ai due estremi di una linea che scandisce il progresso tecnologico per gradi le forme di costituzione del pubblico come “prodotto” e come “produttori”. Resta tuttavia ancora da affrontare l’articolazione della relazione pubblico-tecnologia e pubblico-società da una prospettiva che incontri il valore economico e quello soggettivo (produzione di soggettività), dal punto di vista delle intensità e delle modulazioni del tempo. In questo caso, il pubblico potrebbe apparire non più come un a fatto storico, con un inizio e una fine, ma come un fatto dinamico e in divenire, cioè come un “evento”.

2. Gradiente di espansione e inclusione

L’estensibilità virtualmente illimitata dei pubblici deriva 1. dal loro grado di deterritorializzazione; 2. dall’azione portata dalle tecnologie della comunicazione a distanza; 3. dalla presenza e la costituzione dei pubblici nel tempo piuttosto che nello spazio. Si può, in effetti, partecipare a una sola folla alla volta, a una sola popolazione, a una sola assemblea, mentre si può essere partecipi di più pubblici contemporaneamente. Il pubblico non sostituisce i gruppi sociali pre-esistenti, ma vi si sovrappone grazie alla sua potenza e velocità di espansione. Mentre il territorio e lo spazio giocano un ruolo fondamentale per quanto riguarda la definizione delle striature del sociale, nei pubblici è il numero, e quindi la statistica, le curve del tempo, a definire il grado di valore discriminante. In questo senso assistiamo all’immedesimazione dei pubblici con il valore economico, seguendo W. Benjamin potremmo dire con il “valore di scambio”. Non per nulla le statistiche che riportano il numero delle visite e dei contatti online sistematicamente prodotte alla chiusura di un grande evento o di una kermesse, sono l’unico modo dato agli organizzatori e agli sponsor di attestarne il successo nei termini economici.

3. Processo di reversibilità

La tendenza verso la reversibilità fra la realtà e l’immaginario, l’oggetto e l’immagine, l’essenza e il fenomeno, è stata studiata dai situazionisti e teorizzata nella forma di una “società dello spettacolo”. Il limite posto da questa analisi risiede però nell’interpretare la possibilità di ribaltamento dei segni e delle forze solo come subordinazione di tutto il reale allo spettacolo, cioè al capitale. Il punto di contatto fra i segni e il reale delinea invece anche la soglia di mondi possibili, dove l’assoggettamento e l’invenzione politica sono due variabili opposte e contrarie della stessa tendenza.

4. Legami visivi e uditivi

Nel 1926 Dziga Vertov teorizzava una piattaforma per la decodificazione (comunista) delle relazioni mondiali istituita a partire dai legami visivi e uditivi che la nuova macchina “cine-occhio” era in grado di costituire. La fondazione di questi legami era il presupposto a un comune percepire del proletariato mondiale che avrebbe creato le condizioni per il successo della rivoluzione. In questo senso Vertov già sottolineava il potenziale sovversivo implicito nella produzione del pubblico. Prima ancora di Vertov fu Gabriel Tarde ad avere la stessa intuizione, interpretando la diffusione massiccia dei giornali a Parigi come il “fatto nuovo” che aveva permesso il prevalere dell’opinione pubblica sulle tradizionali forme di governo appena prima della Rivoluzione del 1789. La circolazione delle immagini a bassa risoluzione sul web (file sharing, youtube, camere di cellulari, ecc.) è stato una degli elementi caratterizzanti il nuovo ciclo di lotte iniziato col 2008 (Brasile, Turchia, Grecia, Spagna, Egitto). Come ci ricorda l’artista Hito Steyerl, in un certo senso il sogno di Vertov si è oggi avverato, anche se per lo più “sotto il dominio di un’informazione globale capitalista il cui pubblico è legato quasi in senso fisico da un’eccitazione reciproca, da una sintonizzazione affettiva e dall’ansia”. Da un punto di vista storico, la circolazione (o il suo opposto, il blocco) dei segni, delle immagini, delle enunciazioni, e i legami sociali e percettivi che essa istituisce, può essere tradotta sia come la forza prima delle organizzazioni politiche alternative, tanto quanto della codificazione e del controllo capitalistico sul reale.