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Spine e possibilità della lotta alla corruzione: contributi al dibattito #1

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Interventi di Raffaele Sciortino e Adrià Rodríguez

→ Testo di presentazione del dibattito

RAFFAELE SCIORTINO

Come il tema religione è troppo importante per lasciarlo ai preti, così il tema corruzione si sta rivelando troppo pervasivo per lasciarlo ai moralizzatori, a questi preti della politica, e volgersi alle “contraddizioni reali”. Bene fa dunque Commonware a richiamare una discussione meno rapsodica e non ideologica sul tema. Nonostante l’incedere della crisi globale, anche la più articolata delle critiche ai limiti tangibili della lotta alla corruzione non riesce a dissolvere da sé il suo oggetto, il rinvio dai casi singoli di corruzione alla corruzione sistemica non elimina l’illusione diffusissima che eliminando le “mele marce” – in particolare oggi: la casta dei politici – il resto può tornare nei binari del normale funzionamento.

È opportuno dunque, come primo passo, provare a cogliere la differenza specifica che connota oggi la lotta alla corruzione come uno dei tratti fin qui persistenti dei movimenti e degli umori sociali in Occidente. Col beneficio d’inventario di analisi più specifiche su singoli contesti e movimenti, qui si abbozzerà qualche ipotesi generale di lettura per mettere a fuoco quella differenza specifica in prospettiva storica dando per assodato l’assunto materialista che in qualche modo – né nitido né risolutivo – la lotta alla corruzione e la coscienza “populista” che la contiene sono espressione della lotta tra classi, o almeno anche di questa.

Se prendiamo le fasi “alte” e di massa del populismo storico tra fine Ottocento/inizio Novecento fino alle espressioni nazional-popolari del New Deal – non riducibili alla mera critica della corruzione politico-finanziaria, va da sé, né tra di loro omogenee – rinveniamo alcune caratteristiche comuni forse utili per il nostro confronto (anche a rischio di generalizzare un po’ troppo). Lì avevamo: la contrapposizione tra la finanza e corruzione politica da un lato e il lavoro dall’altro, un lavoro in gran parte manuale e spesso ancora contadino; un discorso classista con punte “socialiste” (per composizione e obiettivi) che ricopriva però un interclassismo di fondo nella prospettiva politica; movimenti (e organizzazioni) effettivamente “puliti”, non ancora inseriti cioè nei gangli della mediazione politico-sociale capitalistica; la prospettiva della “popolarizzazione” del potere statale per gestire e nazionalizzare, in varia misura, l’economia “reale” (in analogia, del resto, con il programma borghese di controllare e gestire il capitalismo che andava allora sostituendosi al laissez-faire).

In ogni caso, questi tratti si inserivano in una fase ascendente del movimento di classe, il quale non a caso nel mentre se ne demarcava teoricamente e politicamente (v. Lenin) ne poteva in parte riassorbire la spinta interclassista nei momenti più alti dell’antagonismo al capitale, tra rivoluzione russa e primi anni Venti prima che la spinta anticapitalista andasse a esaurirsi. Qualunque sia il giudizio politico e storico che ne diamo oggi, quella complessa fase ascendente fatta di vittorie e sconfitte è andata a costituire nel conflitto quello che con una formula potremmo definire il passaggio capitalistico dalla sussunzione formale alla sussunzione reale. Passaggio di cui New Deal, stalinismo e fascismo sono varianti assai differenti – e anche opposte quanto a connotazioni di classe – ma pur sempre varianti. (Il che spiega talaltro perché l’esito bastardo della rivoluzione russa, lo stalinismo, abbia “riciclato” molti tratti del precedente populismo. Per l’America Latina il discorso è più complesso).

Insomma, l’anima “populista” della lotta di classe si è dapprima variamente rifusa nell’anticapitalismo per poi cristallizzarsi come residuo/rimosso negli strati profondi delle diverse forme di compromesso conflittuale tra proletariato e borghesia all’uscita dal secondo conflitto mondiale che hanno fatto da base ai “trenta gloriosi”: silente ma non del tutto irriconoscibile nelle battaglie del movimento operaio ufficiale (almeno in Europa occidentale) contro i “monopoli” e le presunte tendenze stagnazioniste del capitalismo “reazionario”, a favore della proprietà cooperativa, nelle espressioni culturali nazionalpopolari, ecc. È la fase che apre alla “lotta di classe democratica”, all’acquisizione del ceto medio occidentale alla democrazia welfaristica, alla prospettiva di un’inclusione sociale e politica progressiva e sempre più ampia delle “masse popolari”. Il farsi nazione del proletariato come premessa del suo ingresso nello stato…

Quel residuo populista (ovviamente assai mutato) e tanto più la composizione di classe complessiva sono però usciti radicalmente trasformati dal nesso lotte/sviluppo capitalistico nel boom economico, dal lungo Sessantotto (unico vero momento di rottura con quel populismo latente) e dalla crisi degli anni Settanta. Il passaggio sussunzione formale/reale verso una compiuta società del capitale si è andato definitivamente realizzando con l’estinzione di quei residui sociali non compiutamente capitalistici cui ancora aveva potuto riallacciarsi, ad esempio, la lettura polanyiana della reazione sociale al mercato.

Facciamo un salto agli ultimi trent’anni. La ristrutturazione della relazione classe/capitale, la globalizzazione e finanziarizzazione, ecc. hanno portato in Occidente alle estreme conseguenze quelle tendenze. Nella con/fusione che ne è seguita tra lavoro-vita e impresa, nella trasformazione dello stato, nel venir meno dell’alternativa “socialista” e di ogni riformismo e classismo, e altro ancora, un nuovo “populismo” è riemerso, neanche tanto paradossalmente se vale quanto detto finora. Ma in un ambiente e con caratteristiche consone al capitalismo relazionale e informazionale, o come lo si vuol chiamare, allo strapotere della finanza e della comunicazione, all’intreccio politica-denaro nella governance, ecc. Un “populismo” (se ancora si vuole usare questo termine a questo punto assai insoddisfacente) della piena sussunzione reale – la fase del capitale come comunità materiale anticipata dal Camatte degli anni Sessanta – che inevitabilmente si incrocia con gli ambienti costitutivamente spuri delle nuove soggettività in formazione (e delle vecchie in via di disfacimento).

Nella fase ascendente della finanziarizzazione il tema corruzione è ricomparso solo a sprazzi, in situazioni che parevano “anomale” (tangentopoli in Italia) in Occidente e da ricondurre nell’alveo del buon corso neoliberista, anche ai margini o fuori. Faceva premio la prospettiva di ascesa legata e subordinata alla finanza e alle nuove tecnologie. Ma con la crisi globale quella speranza è letteralmente esplosa. La lotta alla corruzione è così diventata il discorso comune delle mobilitazioni e reazioni alla crisi che non hanno potuto che partire dal terreno dato.

In questo quadro, quali le criticità passibili di ulteriori sviluppi?

Sul piano degli umori e delle reazioni sociali:

– l’interclassismo dell’attuale lotta alla corruzione non ha oggi il minimo richiamo soggettivo a un discorso classista e anticapitalista, ma al tempo stesso è di fatto collocato in termini assai più stringenti di un tempo dentro la sussunzione dell’intera vita al capitale, ovviamente in forme differenziate a seconda dei contesti;

– come risvolto soggettivo, essa sconta però rispetto a fasi passate una debolezza fondamentale: è la reazione immediata e di massa, quasi disperata, alla sensazione di non avere praticabili vie d’uscita dalla crisi, essendosi esaurito qualunque appiglio “esterno” al mercato, ma è anche una reazione che non sa crescere verso la ricerca di una qualche alternativa sistemica perché si accompagna alla inconfessata percezione di questa stessa massa di essere come invischiata nei dispositivi finanziari cui ha “collaborato” e in cui ha riposto speranze di autonomia; di fronte ad essi si trova oggi come disarmata in un paradossale recupero di consapevolezza che è risultato fin qui paralizzante piuttosto che liberatorio;

– in parallelo, è insieme inevitabile e poco convinto il richiamo allo spodestato primato dell’economia “reale” e del “lavoro”, di cui la coscienza comune percepisce l’intreccio inestricabile con la finanza.

A livello di prospettive politiche:

– quanto sopra rende fragile se non inconsistente non solo una ripresa di qualsivoglia neo-keynesismo di sinistra, ma anche ogni discorso neo-polanyista sui beni comuni che non sia (al limite) discorso per il commoning: per la ricostruzione di una cooperazione non mercantile che non può far leva, almeno in Occidente, su alcun “presupposto” non mercificato, tra comunità di lotta in divenire che non possono far leva su alcuna soggettività “pulita”;

– di qui le difficoltà di risposta alla crisi, e non a caso i movimenti che dalla lotta alla corruzione (dei politici, della rappresentanza, ecc.) sono partiti per porre il nodo della “democrazia reale” hanno dovuto scontare, tra i diversi limiti fondati nella materialità della situazione attuale, proprio la presupposizione “spontanea” di piattaforme sociali già date e utili a democratizzare la società e lo stato, il che ha contribuito a lasciare sullo sfondo, quando non a rimuovere, la necessità di un proprio discorso sul potere, sul modo di produrre, sulla società da costruire.

In definitiva si può forse dire che la generalizzazione della lotta alla corruzione è un po’ la spia e la summa di questo insieme di difficoltà che non sono esterne ma interne alle nuove composizioni sociali. Ciò rende questo terreno al tempo stesso vischioso, persistente e però aperto a possibili smottamenti. Non è oggi ancora il segno dell’egemonia stabile di un discorso complessivo forte (di stampo nazionalista?) con cui il capitalismo possa rivitalizzarsi recuperando i movimenti sociali e le reazioni alla crisi; né è un terreno di per sé linearmente favorevole all’anticapitalismo. È piuttosto il segno della rottura dei precedenti equilibri, aperto a diversi esiti possibili.

La prima fase dei movimenti contro la crisi si è conclusa, le varie forme di lotta alla corruzione – ovviamente non esaustive delle molteplici istanze presenti – ne sono state i cahiers de doléance e il vettore di amplificazione del messaggio presso le più ampie masse con effetto di delegittimazione degli assetti costituiti. La prossima fase, anche alla luce di un auspicabile bilancio di quanto fin qui messo in campo, potrebbe approssimare di più il problema del potere e del modo di produrre. Finora abbiamo provato a “sporcarci le mani”, tra poco potrebbe non più bastare. Una discussione ampia sui nodi di “programma”, e non solo sulla “tattica”, che emergono dalla dinamica delle varie resistenze, anche le più spurie, si rende più urgente.

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ADRIÀ RODRÍGUEZ (@adriaral)

Il 15m e il giustizialismo tattico: tecnopolitica e potere destituente

La questione della corruzione, a partire da quello che possiamo chiamare il processo #15m (che comincia con il sistema-rete #15m, il 15 maggio del 2011) fino ad arrivare a ciò che chiamiamo sistema-rete post-#15m (in cui convivono diverse reti e collettivi), è stata sempre centrale.

Come sappiamo il #15m è nato intorno a uno slogan molto chiaro “No somos mercancía en manos de políticos y banqueros” (Non siamo merci nelle mani di politici e banchieri). Dietro questo slogan c’era una forte critica al sistema della rappresentanza “No nos representan” (Non ci rappresentano), alla gestione politica della crisi, al ruolo delle banche e alla corruzione come elemento strutturale di governo.

In Spagna, prima dal #15m nessuno parlava di crisi della rappresentanza, né di corruzione, porte girevoli e privilegi delle elite. In definitiva, il #15m ha messo sul tavolo l’inesistenza della democrazia da una parte e la necessità di costruire una democrazia reale dall’altra. Da allora tali questione sono state discusse in ambiti sempre più ampi e oggi interessano la società nel suo complesso.

La questione della corruzione ha giocato sin dall’inizio un ruolo ambiguo ma molto importante. Evidentemente la critica alla corruzione può essere utilizzata dalla destra e dalla sinistra, ma con argomentazioni differenti. Può essere una forma semplicemente giustizialista per “giudicare i corrotti” senza mettere a critica le forme di governo e i rapporti di produzione, e quindi essere utilizzata per rafforzare o perfezionare le forme di governo. Oppure può assumere una forma tattica, quello che possiamo chiamare un giustizialismo tattico[1] che considera la corruzione consustanziale al sistema produttivo contemporaneo e usa la critica alla corruzione per canalizzare l’indignazione verso obiettivi concreti, come la critica alle forme di governo, per identificare i nemici e per articolare le lotte. Potremmo dire che il giustizialismo tattico funziona come l’essenzialismo strategico di Spivak, cioè per il funzionamento del sistema-rete post-#15m è stato (ed è) fondamentale individuare obiettivi concreti. E questo lo mostra chiaramente il modo di operare di la PAH: si parte da obiettivi concreti (come bloccare gli sfratti, cancellare il debito delle famiglie, occupare appartamenti) per andare verso (e anche allo stesso tempo) una vittoria più generale (che sappia anche interessare il piano giuridico: il diritto ad avere una casa). La critica alla corruzione funziona in un modo simile. Per provare a spiegare il suo funzionamento userò tre esempi che si sono dati nel corso di questi tre anni post-#15m (il primo dei quali rimanda allo stesso #15m).

@15mPaRato[2]. Rodrigo Rato è uno dei banchieri più conosciuti di tutta la Spagna. È stato direttore del Fmi dal 2004 al 2007 e direttore di Bankia. È anche il responsabile dell’affondamento di Bankia, una delle più grandi banche salvate attraverso l’immissione di soldi pubblici (più di 40.000 milioni di euro). L’iniziativa @15mPaRato è nata durante l’acampada del 2012 a Barcellona. Il suo obiettivo era portare Rodrigo Rato in galera attraverso un percorso in tre tappe[3]. Il @15mPaRato si è organizzato attraverso un gruppo di lavoro online, una rete di respiro nazionale fatta di mediattivisti, avvocati e hacker. Una rete capace di operare in modo agile e veloce per poter raggiungere i suoi obiettivi nel più breve tempo possibile. Questa iniziativa, che a prima vista può essere considerata giustizialista, ha permesso di rendere pubblico il caso Bankia, e mostrare il modo in cui la finanza gestisce la crisi e quindi la dittatura finanziaria e il ruolo del governo. Tramite un crowdfunding che ha raccolto 10 mila euro in 24 ore @15mPaRato ha sporto denuncia penale contro Rodrigo Rato (per la bancarotta di Bankia). E il 20 dicembre del 2012 Rodrigo Rato è stato chiamato a deporre in tribunali. È interessante sottolineare che il partito populista-giustizialista spagnolo UPyD ha presentato un’altra denuncia penale contro Rodrigo Rato, approfittando dell’iniziativa di @15mPaRato che sanciva la legittimità di criticare il banchiere.

Caso Bárcenas. Nel gennaio 2013 viene scoperto uno dei più grandi casi di corruzione della storia recente spagnola: il Partido Popular è stato per anni finanziato illegalmente, e lo stesso partito ha gestito in modo illegale le sue finanze. Nel mese di luglio Luis Bárcenas, il tesoriere del Partido Popular, viene arrestato. Immediatamente dopo viene fuori che il presidente del governo, Mariano Rajoy, è coinvolto nella trama mafiosa che ha gestito le finanze del partito. Il meme #QueSeVayaLaMafia (buttiamo fuori la mafia) diviene un grido destituente contro il governo mafioso e corrotto. Il 18 e 19 luglio le proteste in diverse città, che pure hanno un carattere molto determinato e un vettore destituente molto forte, non sono capaci di portare in piazza la moltitudine. Ciononostante la legittimità del governo e del Partido Popular sono ai minimi storici.

#Gamonal. L’11 gennaio del 2014 la città di Burgos e precisamente il quartiere proletario di Gamonal sono attraversate da forti proteste contro la costruzione di un boulevard. Le proteste diventano sommosse e vanno avanti, in modo crescente, per tre giorni. Poi, la sfera pubblica (soprattutto tramite Twitter) si esprime a sostegno della lotta. Questo avviene soprattutto come esito della pubblicazione e diffusione di un dossier che mostra chi c’è dietro la costruzione del boulevard: una trama mafiosa di cui è leader un costruttore (Méndez Pozo) già arrestato (ha scontato sei anni in galera) per reati di corruzione a Burgos, negli anni Novanta. Questo elemento moltiplica il supporto alla lotte. Così, una rivendicazione apparentemente locale e specifica (contro la costruzione di un boulevard), diventa un elemento di identificazioni per milioni di persone (contro la corruzione e la mafia), permettendo un’espansione dell’indignazione e del sostegno alla lotta. Allo stesso tempo permette di allargare il conflitto e ridirigerlo dal caso specifico di Gamonal (anche) verso il governo. Il 14 gennaio viene lanciato il topic #EfectoGamonal con la convocazione per venerdì 17 di momenti di protesta in più di venti città in tutto il paese. Quando il governo centrale si rende conto della portata e della capacità di diffusione delle proteste esige dal sindaco di Burgos di fermare la costruzione del boulevard.

A partire da questi esempi è importante sottolineare quanto fondamentale sia stata la capacità di coordinamento ed espressione tecnopolitica delle lotte per rovesciare i discorsi dei mass media sul tema della corruzione, ovvero la capacità di tradurre la critica alla corruzione in una lotta (e una critica) più generale e profonda. Riassumendo si può dire che le lotte tecnopolitiche e il sistema-rete post-#15m hanno utilizzato il giustizialismo tattico per trasformare la semplice critica della corruzione in potere destituente (e insieme costituente).



[1] La nozione di giustizialismo tattico non è di uso comune in Spagna (dove non è neanche diffusa la nozione di giustizialismo). Qui la uso per provare a definire e spiegare il ruolo tattico della critica alla corruzione nel #15m e nel post-#15m. Aggiungo anche che l’uso tattico di questa critica non si produce in un modo che si potrebbe definire “cosciente”, ma prende forma attraverso le lotte e i processi collettivi.

[2] Il termine “pa” è una parola dialettale spagnola che significa “verso”, “contro” o anche “per”. Allo stesso tempo Rato è il nome di un noto banchiere ma vuol dire anche “tempo”. In questa maniera 15mPaRato è un gioco di parole che significa “15m contro Rato” ma anche “15m per un po’ di tempo'. Il sito di @15mPaRato è 15mparato.wordpress.com/.

[3] 1) Mettere insieme informazioni utili (2013), 2) Obbligare Rodrigo Rato a lasciare la Spagna (2014), 3) Mettere Rodrigo Rato in galera (2017).