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Spine e possibilità della lotta alla corruzione – proposta di dibattito

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Tra i temi che hanno animato lotte e movimenti dentro la crisi ce n’è uno in particolare su cui poco ci siamo soffermati, lo abbiamo spesso sottaciuto o velocemente liquidato: la corruzione.

Non si tratta di semplice disattenzione, ma di una difficoltà che ha delle ragioni concrete. La corruzione è infatti l’asse portante delle pulsioni giustizialiste e meritocratiche, del rancore spesso interclassista contro la casta, di una sorta di eccezionalismo che varrebbe per alcuni paesi o aree geografiche (l’Italia berlusconiana, i “piigs”, l’est Europa, gli stati postcoloniali, ecc.), come se potesse esistere o fosse desiderabile un capitalismo perfetto, in cui si viene sfruttati in modo onesto. D’altro canto, smontare l’ordine del discorso incentrato in maniera esclusiva sui corrotti è piuttosto semplice, mostrando come in realtà il problema non siano i singoli corrotti ma un sistema che produce esso stesso corruzione. Da questo punto di vista, il giustizialismo – quell’idea per cui mettendo in galera chi ci ha rubato il futuro possiamo riaverlo indietro – si presenta come pura mistificazione, le cui radici materiali sono in realtà le condizioni di precarietà e impoverimento.

Abbiamo però l’impressione che questo agevole rovesciamento teorico si sia rivelato problematico o largamente insufficiente nella sua traduzione di intervento politico. Il tema della corruzione è infatti stato non solo presente ma centrale nella dimensione di massa dei movimenti globali degli ultimi anni, dalle insorgenze arabe alle piazze spagnole, dall’est Europa a Occupy Wall Street. Già nel “que se vayan todos” argentino del 2001, slogan ampiamente ripreso in giro per il mondo nel decennio successivo, l’obiettivo era per molti quello di mandare a casa i corrotti. In linea generale potremmo dire che il livello di generalizzazione dei movimenti è stato direttamente proporzionale alla loro capacità di combattere la corruzione sistemica anziché semplicemente quella individuale. Ma anche questa affermazione, che ha probabilmente degli utili elementi di verità, ci pare ancora troppo vaga o quantomeno da approfondire. Dunque, come possiamo fare della corruzione un campo di battaglia, senza abbandonarla alle mene demagogiche o apertamente reazionarie di chi cerca di ripulire la facciata del capitalismo per riprodurne i rapporti di potere e sfruttamento?

Per andare a fondo nella questione chiediamo quindi a compagne e compagni di intervenire sulla questione a partire da concrete esperienze di lotta, per indagare come il tema si declina e differenzia nei differenti contesti transnazionali, cosa ha significato per lo sviluppo dei movimenti, come è possibile affrontarlo nella materialità dell’intervento militante.

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Thorns and possibilities in the struggle against corruption – debate proposal

Even if we have not focused much on it, or we often have omitted or quickly dismissed it, corruption has nonetheless been a central issue in the emerging struggles and movements within the crisis. This was not simply due to a lack of attention, rather to a concrete difficulty to cope with it. Corruption is indeed the pillar of any justicialist and meritocratic drives, as well as of the often interclassist grudge against the “caste” of politicians. This is supposed to be a kind of exceptionalism affecting more specifically certain countries or geographical areas (Berlusconi's Italy , the " PIIGS" countries, Eastern Europe , postcolonial countries , etc.) as the flip side of a hypothetical desirable or perfect capitalism, where people are honestly exploited. On the other hand, it is quite simple to overturn the order of a discourse exclusively based on corrupt people: it is just to show that the problem is actually not the individual but a corrupt system that produces corruption itself. From this point of view, justicialism – as that idea according to which by putting in jail those who have stolen our future we can somehow get our future back – reveals itself to be a pure mystification, whose material roots actually are the material conditions of precariety and impoverishment.

However, it seems to us that such an allegedly easy-to-use theoretical device has on the contrary been largely insufficient or problematic in its translation as a political form of intervention. The issue of corruption was not only present but was actually central within the global mass movements of recent years, from the Arab uprisings to the Spanish acampadas, from Eastern Europe to Occupy Wall Street. The 2001 Argentinian slogan "que se vayan todos", a slogan that would enjoy a worldwide diffusion in the next decade, for many meant to fire all the corrupt. In general, we could say that the level of generalization of the movements was directly proportional to their ability to fight systemic corruption rather than just the individual one. But even this statement, which probably has useful elements of truth, still seems too vague to us, or, at least, we think it should be more thoroughly explored. Thus, how can we transform corruption into a battlefield without abandoning it to the openly reactionary or demagogic intrigues of those trying to clean up the façade of capitalism with the goal of reproducing the relations of power and exploitation?

In order to deepen this issue we would like to ask to our comrades to talk about corruption, starting from the point of view of their concrete experiences of struggle, and with the the aim of investigating how this issue articulates itself in different countries and political contexts, which its transnational nuances are, what it meant for the development of the movement, and how can we deal with it in the materiality of a militant intervention.

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