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Ucraina: giorni di decisioni, giorni di lotte

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di ILYA BUDRAITSKIS

Quello che sta accadendo in Ucraina corrisponde sempre più alla classica definizione di una situazione rivoluzionaria. Il movimento di massa, una volta sceso per le strade, è pronto a difenderle in duri scontri con la polizia. Gli slogan che inizialmente hanno dato vita al movimento hanno ormai lasciato il posto alla questione centrale di ogni rivoluzione, la questione del potere. Le esitazioni e le aperte divisioni in seno alle elite, il coinvolgimento dei leader mondiali da una parte o dall’altra, le trattative dietro le quinte, le cospirazioni e le manipolazioni dei mass media, tutto ciò dipende dal movimento, dalle sue dinamiche, dalla sua disponibilità ad andare fino in fondo. Questa strana rivoluzione non ha progetti alternativi da proporre, né politicamente né socialmente. Ma esiste in quanto processo e chi vi prende parte, come coloro che prendono parte a qualsiasi rivoluzione, sperimentano il loro ruolo nella storia qui e ora.

Tutto questo è vero, ed è il motivo per cui non c’è motivo di ottimismo. D’altra parte, se vittoriosa, la rivoluzione spingerà avanti una coalizione di governo con elementi di destra e di estrema destra, e l’Ucraina rischia di diventare il più grande punto nero sulla mappa della già destrorsa Europa orientale. Invece di lottare per i propri diritti e migliorare collettivamente le proprie condizioni di vita, i cittadini di questo paese povero, amareggiati dalla corruzione e dall’illegalità, agitano scioccamente in estasi le bandiere nazionali e combattono con i simboli di un passato lontano.

Questa indiscutibile irrazionalità della situazione ucraina è la migliore giustificazione della passività di coloro che tendono a vedere nelle rivoluzioni innanzitutto l’azione attraverso cui gli oppressi realizzano definitivamente i propri “interessi oggettivi”. Davanti a noi abbiamo senza dubbio una rivoluzione “sbagliata” e perciò condannata, che tuttavia non cessa di essere una rivoluzione. Le illusioni di chi vi prende parte, per quanto possano essere insensate, non sono un semplice risultato di un impazzimento collettivo, ma un prodotto logico di questa società che ha dato loro vita.

I commentatori di sinistra hanno giustamente e copiosamente scritto che la firma ucraina dell’accordo di libero commercio dell’Unione Europea distruggerà l’industria del paese, insieme a migliaia di posti di lavoro, e come conseguenza le persone comuni saranno ostaggio dei conflitti tra i clan borghesi. Tale analisi, però, relega spesso l’ideologia a un ruolo secondario, a mera espressione di “falsa coscienza”. Ma quando si tratta del contenuto del processo rivoluzionario – ancor più, alla lotta per questo contenuto – le questioni ideologiche diventano centrali. Nelle società post-sovietiche, dove la frammentazione sociale ha raggiunto il suo estremo limite, le speranze di solidarietà politica, di qualche forma di cooperazione tra le persone, sono state letteralmente gettate nella spazzatura. Il problema non sta solo nella degenerazione del sistema formativo o nella cultura politica avvelenata per molti decenni dalla corruzione e dalle menzogne. L’innaturalezza delle “domande sociali” sia a Mosca nel 2011 che a Kiev nel 2013 – e questo sgradevole paradosso è stato frequentemente notato dagli attivisti di sinistra, che hanno costantemente tentato di “introdursi” – è connessa al lavoro distruttivo del trionfante mercato neoliberale. La distruzione si diffonde ben oltre l’economia: si estende alla coscienza collettiva, alla capacità di fidarsi l’un l’altro e di agire insieme. Questa fiducia fondata su interessi comuni è stata rimpiazzata da una vaga nostalgia per una tale fiducia, dall’esaurimento ribelle del proprio sospetto o dalla logica di competizione, che è penetrata in tutti gli aspetti della vita quotidiana. Questo esaurimento trova espressione nel linguaggio politico di Euromaidan – non nella politica ideale di uguaglianza e giustizia, ma nella sola politica popolare disponibile oggi in Ucraina.

Nella sua analisi di prospettiva, l’attivista ucraina Olga Papash si interroga sulla liscia coesistenza tra gli slogan dell’eurointegrazione e un’atavica retorica di nazionalismo etnico. Illustra il punto in cui queste ideologie che sembrano escludersi reciprocamente convergono e danno vita alla strana sintesi che attualmente anima le proteste ucraine. Si tratta del vettore dell’allontanarsi da Mosca, che unisce la secolare tradizione del nazionalismo ucraino (non necessariamente reazionario, ma anti-imperialista e di emancipazione), la costante linea dell’elite ucraina post-sovietica, che ha cercato di legittimarsi agli occhi dei suoi sudditi attraverso una politica di nazionalizzazione delle forme di vita, e infine i timori perfettamente fondati rispetto all’aggressività delle corporation russe e del potere autoritario del Cremlino al loro servizio. Nel corso dell’ultimo decennio la crescente aggressione delle elite russe, i loro tentativi di inscrivere l’Ucraina nella sfera dei loro interessi commerciali, talvolta espressi nella propaganda sciovinista (russa), ha quasi deliberatamente risvegliato tutti i miti del nazionalismo ucraino.

Oggi il problema di mettere in discussione l’egemonia nazionalista in Ucraina è direttamente collegato alla capacità della sinistra russa e delle forze di trasformazione di rappresentare un’altra Russia, una Russia che incarni quegli ideali di vera democrazia, uguaglianza e liberazione sociale che hanno definito anche il movimento di liberazione ucraino. È esattamente questa versione di “patriottismo progressista” che contiene, a mio parere, la migliore occasione per i nostri compagni ucraini. Dopo tutto, slogan come “Comunisti al patibolo!” e “Morte al nemico!” (due degli slogan più frequentemente scanditi nell’Euromaidan) non rappresentano una continuazione legittima della tradizione di Ivan Franko, Vladimir Vinnichenko o Mikola Khvylovy.

Anche la seconda componente del centauro ideologico dell’opposizione di destra ucraina – la domanda di democrazia, di controllo popolare e di trasparenza – deve essere sfidata. È esattamente dalla posizione della democrazia diretta che dobbiamo sfidare le rivendicazioni attraverso cui il triumvirato Yatsenyuk-Klichko-Tyahnynibok monopolizza i movimenti, così come la censura fisica realizzata dai commando dell’ultra-nazionalista Partito della Libertà.

Ognuna di queste figure ideologiche, che definiscono il volto delle proteste ucraine, può essere sfidata solo se siamo disposti ad accettare il movimento come nostro, perfino se siamo disposti ad accettare come nostre le sue sconfitte e non le sue dubbie vittorie.

 

* Pubblicato su LeftEast. Traduzione di Commonware.