Stampa

Rovesciare precarietà e razzializzazione nell’Europa della crisi

on .

Intervista a MANUELA ZECHNER - di COMMONWARE

Dove la governance neoliberista separa e produce gerarchie, dove le retoriche mainstream insistono sulle differenze tra il Nord e il Sud dell’Europa, “produttivo” il primo “indolente” e “sprecone” il secondo, proprio lì le reti militanti hanno cominciato a praticare nuove forme di antirazzismo che interpellano direttamente la mobilità del lavoro intraeuropea e la composizione del mercato del lavoro nella crisi. A Vienna nel mese di settembre è partito il progetto Precarity Office con un lavoro mirato sulla precarietà, ma con una specifica declinazione, quella che potremmo definire della precarietà razzializzata nell’Europa della crisi. Una forma di razzismo specifico, tutto europeo (o intraeuropeo), che si fonda sulla storica frattura tra Nord e Sud dell’Europa all’origine della modernità. Ne fanno parte, in una dimensione immediatamente sovranazionale o continentale, gruppi politici con una differente provenienza geografica (Austria, Spagna e Grecia) che tra il Nord e il Sud dell’Europa si sono dati una progettualità comune. Ne abbiamo parlato con Manuela di Precaer Café.

Cos’è Precarity Office?

È un progetto partito nel mese di settembre a Vienna che tiene insieme tre differenti gruppi che lavorano sul tema della precarietà in Europa. Il primo è un gruppo viennese che ha fatto parte negli anni passati dell’esperienza dell’EuroMayday: Precaer Café, che intercetta soprattutto lavoratori cognitivi e migranti senza documenti. È un gruppo ormai consolidato, con una pratica di lunga data sul terreno della precarietà ed è inserito in una vasta rete di relazioni sociali e di movimento nella città di Vienna. L’altro gruppo è il nodo locale di Juventud sin futuro che da circa un anno e mezzo in Spagna ha concentrato il suo lavoro politico su i giovani spagnoli, spesso molto qualificati, costretti dalla crisi ad emigrare. La scorsa primavera avevano lanciato la campagna “No nos vamos, nos echan” (non ce ne andiamo, ci cacciano) e una giornata di azione comune nel mese di aprile che aveva coinvolto i giovani spagnoli emigrati in altri paesi, con iniziative in molte delle grandi metropoli europee. A Vienna è stato un momento di partecipazione molto bello e al contempo molto importante, perché ci ha permesso di entrare in contatto con giovani spagnoli pieni di energie dopo l’esperienza del 15M ma decisi ad investire politicamente nel paese di immigrazione. Il terzo gruppo che fa parte del Precarity Office di Vienna è Solidarity 4 all, un’iniziativa di militanti greci che agiscono politicamente come supporto a esperienze di autorganizzazione in Grecia, ad esempio sostengono i centri autogestiti per la salute che si stanno rapidamente riproducendo in tutto il paese. È un gruppo animato soprattutto da greci che vivono a Vienna da molti anni ma anche dai numerosi greci che si sono spostati in Austria a seguito della crisi. In entrambi i casi, sono molto preoccupati per quello che la crisi sta producendo in Grecia e negli altri paesi del Sud dell’Europa e guardano con molto interesse e apprensione alla migrazione interna in Europa.

Siete dunque una dunque localizzata a Vienna ma con una prospettiva sovranazionale, un’esperienza locale che si pone un problema che ha un respiro immediatamente europeo e continentale. Una scommessa forte nell’Europa della crisi, in netta controtendenza anche a varie spinte sovraniste che stanno emergendo nei contesti nazionali o regionali...

Siamo convinti che serve un piano di azione immediatamente europeo per agire oggi sul terreno della precarietà. Con la crisi abbiamo a che fare con un nuovo tipo di precarietà che ovviamente non si sostituisce a quella precedente ma la complica, ne lascia emergere altri aspetti. I giovani che arrivano oggi in Austria dal Sud dell’Europa si trovano ad affrontare un nuovo tipo di precarietà che ha a che fare con le inevitabili barriere linguistiche, con contratti di lavoro poco vantaggiosi e con condizioni lavorative diverse e peggiori di quelle degli austriaci. Con questi problemi in mente, il Precarity Office di Vienna svolge soprattutto un lavoro di sportello. Diamo ai nuovi arrivati informazioni rispetto ai diritti sul lavoro, ma è anche uno spazio di benvenuto per i nuovi arrivati dove è possibile conoscere altre persone che provengono dallo stesso paese e non solo. Proviamo cioè ad affrontare alcuni dei problemi che incontrano i migranti soprattutto nel primo periodo dopo il loro arrivo. Soprattutto però ci interessa riflettere sui motivi della migrazione interna all’Europa e sulla crisi. A Vienna la crisi non è quasi del tutto percepita. Sembra di stare in una sorta di bolla. Se non fosse per la crescente presenza di persone che arrivano dal Sud dell’Europa, la gran parte dei viennesi non si accorgerebbe neanche che l’Europa sta attraversando un profondo periodo di crisi. E comunque anche quando realizzano che l’Europa è in crisi sono portati a pensare che si tratti di un problema che riguarda altri, i paesi che spendono troppo, che non sanno gestire le propri risorse, non l’Austria e gli austriaci.

Si potrebbe dire che Precarity Office agisce su un doppio terreno: di produzione di discorso su crisi e precarietà da una parte e di supporto ai migranti, soprattutto intraeuropei, dall’altra. Come tenete insieme questi due aspetti sicuramente complementari ma specifici?

Lo sportello nasce proprio con questo doppio statuto. È uno spazio di discussione ed elaborazione teorica sul tema della crisi e del lavoro precario. Ci interessa soprattutto elaborare un discorso compiuto sulla crisi in un paese che sembra non percepire la cosa. E poi ci concentriamo sui problemi specifici che i nuovi arrivati da altri paesi europei possono incontrare sul posto di lavoro. Si tratta sempre di un lavoro precario che si complica però, come già dicevo, di aspetti specifici legati alla non conoscenza della lingua o della legislazione sul lavoro. E allora mentre riflettiamo sui motivi, le origini e gli effetti più complessivi di questa migrazione interna all’Europa, abbiamo avviato un percorso di autorganizzazione che parte proprio dai problemi più concreti di questi migranti. Ovviamente il nostro è un impegno militante, non è un lavoro istituzionale, nel senso che non lavoriamo come le moltissime Ong che pure sono presenti sul territorio e intervengono su questioni di questo tipo con un lavoro soprattutto di assistenza. Il nostro è un approccio diverso, impariamo gli uni dagli altri, condividiamo esperienze e discorsi cercando di costruire un terreno comune di lotta contro la precarietà e le sue nuove declinazioni. Abbiamo un appuntamento mensile, delle “serate aperte” del Precarity Office, che organizziamo in un centro sociale, in cui cuciniamo e ceniamo insieme e con l’occasione scambiamo esperienze, informazioni e analisi circa le condizioni di vita e lavoro nella precarietà. Sono la prima occasione per entrare in contatto tra noi e raccontarci le nostre storie di vita, piccoli episodi di vita e lavoro nei paesi di provenienza e poi in Austria. A queste serate partecipano persone di differenti nazionalità, non solo europei, ed è un momento molto di ricco di scambio di percorsi e prospettive politiche. La nostra scommessa, la grande sfida che ci poniamo, è riuscire ad avviare un discorso sulla precarietà capace di andare oltre i confini europei e coinvolgere molti dei migranti asiatici e latinoamericani che partecipano alle nostre serate, ma al momento siamo concentrati sullo sfruttamento del lavoro che arriva dal Sud e dall’Est dell’Europa. Ed in particolare ci stiamo spendendo molto per raggiungere i lavoratori provenienti dall’Est Europa, i migranti della porta accanto, che sono tanti ma al contempo spesso invisibili, che vivono le stesse condizioni di precarietà di quelli che arrivano dal Sud. Dunque, benché Vienna sia una città che ha sempre avuto una grossa presenza migrante, Precarity Office si sta soprattutto concertando alla costruzione di un percorso politico con le nuove migrazioni continentali.

Quali motivazioni specifiche emergono dalla vostra analisi circa il perché tanti giovani dai paesi del Sud scelgono proprio Vienna e l’Austria? Sappiamo – perché anche Commonware si sta interrogando sulle specificità della migrazione intraeuropee nella crisi, sulle sue origini e ricadute – che ad esempio la Germania ha avviato precise politiche che puntano ad attrarre sul mercato del lavoro tedesco i sempre più numerosi giovani laureati e specializzati, disoccupati o inoccupati di Spagna, Portogallo, Grecia e Italia. Come funziona in Austria? Esistono analoghe politiche di attrazione del lavoro cognitivo?

Non so dire se in Austria ci sono delle specifiche strategie di attrazione del lavoro cognitivo dal Sud dell’Europa. Certo è che nel nostro gruppo la maggior parte è arrivata all’interno di progetti europei, soprattutto giovani greci e spagnoli che vengono qui con il Progetto Erasmus e poi decidono di fermarsi. Ci sono poi anche molte persone del Sud Europa che a Vienna lavorano soprattutto nelle università. Altri sono invece qui per periodi di stage o tirocinio. E sono sempre di più quelli che arrivano in Austria con l’Erasmus e poi, anche incentivati dalle proprie università, scelgono di fare qui i tirocini obbligatori per laurearsi. Si tratta però di una forma di lavoro gratuito che in Austria è assolutamente illegale, ma la cosa viene facilmente aggirata dentro i programmi di scambio universitari. Le condizioni di lavoro di questi stagisti sono terribili. Per esempio una ragazza spagnola ha fatto il suo periodo di tirocinio obbligatorio in una clinica veterinaria ma poi è letteralmente scappata perché le sue condizioni di lavoro erano pessime, con orari prolungati spesso per molte ore, senza le specifiche assicurazioni necessarie per un lavoro di questo tipo, e il tutto senza percepire nessun tipo di compenso. Questo è solo un piccolo esempio di come funzionano a Vienna la vita e il lavoro dei giovani spagnoli o greci, o comunque di chi arriva dal Sud dell’Europa. Si possono sentire mille di queste storie negli incontri che facciamo mensilmente.

Ancora a partire dalla vostra analisi ed elaborazione sui flussi di migrazione intraeuropei, che composizione sociale e del lavoro emerge?

C’è la questione aperta, di cui stiamo discutendo, se questo tipo di migrazione sia soprattutto una migrazioni privilegiata, cioè di lavoratori qualificati. Io direi di no, non arrivano a Vienna soltanto migranti cognitivi o altamente qualificati. Certamente ci sono molti che arrivano con delle borse di studio per studiare o lavorare in università, ci sono anche ad esempio degli ingegneri che trovano dei lavori stabili e si fermano dopo un periodo di studio. Ma ci sono anche quelli che arrivano dopo la laurea alla ricerca di condizioni di lavoro migliori di quelle che possono trovare nel proprio paese e poi finiscono per lavorare nei supermercati o nei fast food. Direi che rispetto alla composizione del lavoro di chi si sposta dal Sud dell’Europa c’è un mix. Dal punto di vista della provenienza geografica siamo in contatto con molti spagnoli e greci, qualche bulgaro, meno con gli italiani, forse per un problema linguistico, anche se cerchiamo sempre di tradurre in tutte le lingue i nostri materiali proprio per raggiungere il maggior numero di persone possibili.

Cosa concretamente differenzia un lavoratore austriaco da uno del Sud o dell’Est dell’Europa rispetto al contratto di lavoro e alla possibilità di negoziare salari e garanzie contrattuali?

Direi tutto. Si trovano in una posizione fondamentalmente diversa. Per esempio si può ricordare a proposito la spiacevole storia raccontata da una ragazza austriaca che lavora in uno studio di architettura a proposito dei suoi due colleghi spagnoli che lavorano con lo stesso orario, svolgendo le stesse mansioni ma con profonde differenze contrattuali e salariali. Una modalità che tecnicamente sarebbe da considerare illegale, ma che era avallata da un contratto firmato dai due architetti spagnoli che conteneva delle clausole inaccettabili, cioè che nessun austriaco avrebbe accettato. Una cosa, in modo evidente, giocata a partire dalla non conoscenza da parte dei due ragazzi della lingua, delle leggi e della possibilità eventuale di aprire delle vertenze per i propri diritti sul lavoro.

Credi si possa in questo senso parlare di una nuova forma di razzismo, ovvero di discriminazioni sul posto di lavoro costruite sulla base dell’appartenenza nazionale o comunque dal fatto che questi lavoratori e lavoratrici provengono dall’Europa del Sud?

Certamente sì. Molti compagni spagnoli parlano apertamente di episodi di razzismo o comunque di forme di discriminazione di stampo razzista sul posto di lavoro o nelle università. È una cosa di cui si sente sempre di più parlare, che è soprattutto giocata sullo stereotipo della pigrizia del lavoratore del Sud dell’Europa. Invece bisognerebbe parlare dei motivi forti, di tipo strutturale, che sono alla base di questi grandi flussi migratori dal Sud al Nord dell’Europa. Di un numero altissimo di persone che negli ultimi anni si è spostata anche per fare dei lavori dequalificati e sottopagati. Ma di questa cosa a Vienna e in Austria non ne parla nessuno, il tema ricorrente è sempre che questi lavoratori provengono da paesi che spendono troppo e non sanno gestirsi.