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I media e le vittime del Salva-Banche: la stampa al servizio del potere

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Articolo di Luca Bertaccini sul trattamento mediatico dei risparmiatori azzerati dal salva-banche

“Nessuno sa dire con precisione quanti sono, dove si trovano e quanto avevano da perdere”. Così si esprimeva il Corriere della Sera nel numero del 24 novembre, pochi giorni dopo l’adozione del decreto Salva Banche da parte del governo, riguardo i circa 130 mila risparmiatori che si sono visti azzerare da un giorno all’altro i risparmi di una vita. Occorre infatti rimarcare una certa distinzione, per niente banale, tra “perdere” qualcosa ed essere disposti a perdere, “avere da perdere” qualcosa. Dietro questo distinguo si nasconde l’insidioso gioco delle responsabilità, e la peculiare scelta di termini fatta dal Corriere non è affatto casuale.

Se si segue da vicino la vicenda attraverso la narrazione dei maggiori quotidiani italiani, nelle settimane seguenti all’approvazione del decreto emerge immediatamente un aspetto che sembra essere centrale e imprescindibile per afferrare correttamente la questione, e cioè che “in diversi casi i risparmiatori si sarebbero fatti attrarre dai buoni rendimenti delle obbligazioni, sottostimandone però i rischi” (Corriere della Sera, 26 novembre). In altre parole, la stampa mainstream si è giocata in un primo tempo la carta del “risparmiatore uguale speculatore”. Un goffo tentativo di colpevolizzare i risparmiatori, per lo più piccoli azionisti e obbligazionisti, che maschera le responsabilità delle figure istituzionali coinvolte nella preparazione e nell’attuazione del decreto Salva Banche (“ammazza-risparmiatori” secondo una delle vittime del provvedimento), che ha reso carta straccia 880 milioni di euro di risparmi, colpendo e danneggiando direttamente centinaia di migliaia di famiglie.

Se la strategia adottata dai media è stata appunto estremamente vergognosa (ma nonostante questo, ben pochi oggi sosterrebbero che le vittime del decreto siano di fatto dei Paperoni speculatori, a dimostrazione dell’assurdità dell’accusa, che fatica a far presa sull’opinione pubblica), non bisogna però liquidarla come cosa di poco conto. L’influenza che la stampa a grande tiratura ha sull’opinione pubblica è enorme, e ci sono precise ragioni dietro al particolare atteggiamento riservato al caso del Salva Banche, peraltro neanche tanto velate. Prendiamo per esempio il Corriere della Sera o la Repubblica, sui quali mi sono basato per scrivere l’articolo. Si tratta in fondo di grandi imprese private, possedute da altre grandi società commerciali (tra cui banche, come si può constatare facilmente consultandone l’azionariato), il cui obiettivo principale è il profitto, la redditività d’impresa. Inoltre, se consideriamo che la principale fonte di finanziamento per giornali a grande diffusione proviene in primo luogo dagli inserzionisti, abbiamo un quadro della situazione piuttosto particolare: grandi società private (come il Corriere della Sera) che vendono un pubblico (noi lettori) ad altri operatori economici (gli inserzionisti: società industriali, commerciali, banche ecc.). Ora, che visione del mondo ci aspettiamo che salti fuori da un contesto del genere? Probabilmente, che la stampa prenda le parti di chiunque nella società detenga un certo ruolo di potere e influenza (come politici, imprenditori, amministratori, dirigenti) e condanni ogni movimento realmente popolare che metta in questione le fondamenta di queste classi privilegiate. La copertura mediatica riservata ai risparmiatori e al caso “Salva Banche” più in generale conferma in pieno tutto questo. (Tratterò quindi solo dell’aspetto mediatico del caso; per un’analisi più completa consiglio la lettura dell’articolo uscito su Commonware, Il governo Renzi e l’espropriazione del ceto medio, che riesce a restituire la logica sistemica dell’accaduto, aspetto che si vuole invece mascherare e ricondurre all’interno di una dimensione individuale, in modo da non intaccare i più alti gradi del potere).

Inizialmente, la strategia dei media è stata appunto quella di scaricare le responsabilità unicamente sui risparmiatori, colpevoli di aver giocato d’azzardo con i propri risparmi. “Molti si erano evidentemente fatti attrarre dai rendimenti dei bond, anche il 5%, trascurandone i rischi” (Corriere, 26 novembre). Secondo Enrico Morando, vice ministro dell’Economia e delle Finanze, c’è la possibilità che una componente degli investitori coinvolti “possa aver agito senza la necessaria consapevolezza del livello di rischio” di una obbligazione subordinata. Ricalcando parola per parola quanto già detto la settimana precedente, si dice nuovamente che “in diversi casi i risparmiatori si sarebbero fatti attrarre dai buoni rendimenti delle obbligazioni, (anche al 7%) sottostimandone però i rischi” (Corriere, 3 dicembre). Un rischio che, secondo il presidente Consob Giuseppe Vegas, “potevano conoscere, perché era nei prospetti. Ma molti clienti li hanno comprati lo stesso” (Corriere, 5 dicembre). L’accusa all’imperdonabile inettitudine dei risparmiatori viene di tanto in tanto trasformata in schietto paternalismo: “i piccoli risparmiatori ora sono sotto choc: alcuni, soprattutto i più deboli, non avevano capito i rischi, non avevano trovato qualcuno che li spiegasse loro, e hanno subito danni gravissimi” (Corriere, 8 dicembre”). Uno schemino divulgativo apparso nel numero del 10 dicembre dava inoltre alcuni consigli ai lettori: “Mai investire senza capire bene cosa si compra… Che cosa deve fare un risparmiatore? … occorre aumentare il grado di vigilanza e consapevolezza personali”. Questo è un punto sul quale ritorna Alessandra Del Boca, sempre dalle pagine del Corriere, il 22 dicembre: “Non abbiamo una cultura economica minima fino a che non arriviamo all’università, anzi proveniamo da una cultura che l’economia l’ha piuttosto disprezzata. I risparmiatori sono stati attratti da rendimenti elevati senza comprendere in alcuni casi il profilo di rischio”. Il parere degli esperti svolge infatti una parte consistente nel sostenere questo tipo di propaganda, completando in un certo senso il contesto “informativo” che si vuole far passare. Ferdinando Giuliano su Repubblica, rispondendo alle critiche ricevute dal decreto Salva Banche, tenta di mettere una pietra sopra le rimostranze dei risparmiatori affermando che “qualsiasi soluzione avrebbe reso qualcuno più povero. Penalizzare gli investitori… è la soluzione più giusta in questa orrida scelta”.

Questo è il ritratto che viene dato dei risparmiatori nelle prime settimane successive all’entrata in vigore del decreto. Nel frattempo ci si spende in un elogio incondizionato dell’operato del governo. Il decreto, ideato per “velocizzare il percorso saltando i tempi lunghi della realizzazione del progetto”, ha l’obiettivo di “scongiurare il bail-in che pone a carico degli azionisti, degli obbligazionisti e anche dei depositanti con più di 100 mila euro, i costi del salvataggio” (Corriere, 22 novembre); si parla perciò di uno “sforzo per mettere in sicurezza CaRiFe, Banca Marche, Banca Etruria e CaRiChieti”: “alla fine i correntisti sono protetti in pieno, gli obbligazionisti ordinari anche. Azionisti e obbligazionisti subordinati, più a rischio, perdono oltre 700 milioni di euro. Presto qualcuno dirà che il governo punisce i risparmiatori, ma di fatto quelle somme non esistevano già più, erano azzerate nelle perdite delle banche” (Corriere, 23 novembre). Il motivo ricorrente oscilla tra una celebrazione del lavoro fatto dal governo e una sua difesa in chiave “realistica” o “pragmatica”, per cui il governo avrebbe fatto il possibile per venire incontro ai risparmiatori, pur avendo le mani legate dalle direttive Ue. Il decreto Salva Banche pare così una scelta ineluttabile, contro cui ogni opposizione risulterebbe vana. Insomma, bisogna farsene una ragione. Viene quindi citato direttamente il presidente del Consiglio Matteo Renzi: “Con questo meccanismo abbiamo salvato il sistema” (Corriere, 16 dicembre).

Dalle file di Repubblica si esprime “sollievo per aver evitato per un soffio il poco invidiabile primato del bail-in” che “sarebbe stato un colpo terribile alla fiducia nel sistema bancario, proprio ora che la raccolta torna a crescere”, e titola in un altro articolo “Crisi creditizia evitata con 3,6 miliardi” (23 novembre). Possiamo quindi stare tranquilli. Come viene precisato infatti nel Corriere del 24 novembre, anche se il decreto “nel complesso ha tutta l’aria di un colpo di falce, … la realtà è più complessa… La distruzione del risparmio si era già consumata nel mercato e l’operazione di ieri la cristallizza”. Anche Roberto Nicastro, presidente di tutte e quattro le nuove banche nate dal decreto, si mantiene su posizioni simili. “Sono stati protetti un milione di depositanti …non c’era soluzione migliore di quella trovata, perché permette di garantire risparmi e imprese.” Secondo Nicastro chi ha perso tutto sono “circa 10000 clienti”. “Comprendiamo il loro stato d’animo, … faremo quanto possibile per essere loro vicini.”

Il 10 dicembre si cambia tattica. Il suicidio di uno dei risparmiatori colpiti dal decreto costringe la stampa a rivolgere maggiore attenzione al caso delle vittime del provvedimento. Per riprendere le parole apparse pochi giorni dopo l’approvazione del decreto sul Corriere, si inizia adesso a sapere perlomeno “quanti sono e dove si trovano”. Vengono fatti parlare i risparmiatori, a volte in prima persona. Gli si concede qualche spazio, si ammette che alcuni di essi possano essere stati ingiustamente penalizzati, ma tutto entro limiti accettabili e ben definiti: i risparmiatori sono stati truffati e raggirati dai funzionari delle banche, considerati uomini di fiducia dai clienti, ma che hanno approfittato della situazione per estorcere il maggior numero di titoli subordinati, sotto la pressione dei superiori o nella speranza di un avanzamento personale. In questo modo le responsabilità vengono incentrate nei singoli soggetti che hanno venduto titoli rischiosi senza il consenso del cliente, rendendo ragionevole pensare il problema in termini di truffa individuale. Come è stato spiegato chiaramente altrove, ogni discussione di questo tipo che tralasci l’aspetto sistemico è inficiata alla base.

Nel Corriere dell’11 dicembre viene precisato come lo stesso Luigino d’Angelo, il pensionato suicidatosi in seguito all’azzeramento dei suoi risparmi, fosse stato “convinto a sottoscrivere con un profilo a «rischio elevato»”; in un altro articolo dello stesso numero si nota però che “in teoria era tutto scritto nei prospetti informativi, quelli che ogni investitore sarebbe tenuto a leggere prima di sottoscrivere” e nei “supplementi, pubblicati… con i dati aggiornati sotto il profilo dei conti, dei crediti deteriorati, del capitale. Tutta carta approvata dalla Consob, con le novità e i rischi evidenziati in caratteri grandi e in grassetto, oggettivamente più visibili… Il rischio di perdere tutto, comunque, era scritto”.

Quindi si pubblica la storia di una signora, “casalinga novantenne”, incapace di “capire il rischio né la portata dell’investimento. Si fidò”. Viene fatto sapere che le autorità procederanno “per il reato di truffa, …un reato per il quale si può procedere soltanto dietro querela di parte e dunque dovranno essere i singoli clienti a chiedere conto dell’operato della banca” (17 dicembre). Si critica “la leggerezza (o forse peggio) con cui alcune banche, seppure poche e piccole, hanno venduto titoli rischiosi a clienti ignari”, puntando il dito contro gli istituti di vigilanza (20 dicembre), mentre Filippo Taddei, responsabile Economia e Lavoro del Pd, riferendosi ai “risparmiatori che sono stati truffati” cerca di calmare le acque affermando che “potranno rivalersi anche sulle nuove banche, come prevede il decreto”.

In un’intervista apparsa su Repubblica Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia, dopo aver sommariamente scagionato la Banca da qualsiasi tipo di accusa (“La Banca d’Italia non ha nulla da temere, la coscienza è a posto e la vigilanza per quello che ci risulta ha fatto il suo dovere. Il sistema bancario italiano è più che solido, migliore di quello di altri paesi”), partecipa al comodo gioco dello scaricabarile, lamentando della durezza delle norme sul bail-in approvate dal Parlamento europeo due anni prima, secondo le quali “andavano puniti gli azionisti e gli obbligazionisti che avevano dato fiducia a quei manager incapaci… E noi non siamo stati capaci di opporci” (11 dicembre).

All’interno della narrazione della truffa, si continua ad evidenziare l’inettitudine della “gente che spesso ha comprato [i titoli] senza aver la minima idea del loro rischio, malgrado un tortuoso iter d’acquisto tra prospetti chilometrici, documenti informativi (o presunti tali) e consulenti a volte interessati”. Un’intervista al funzionario che ha venduto i titoli a Luigino d’Angelo, il pensionato suicidatosi pochi giorni dopo l’approvazione del decreto, palesa il tentativo della stampa di dipingere i venditori dei titoli come i veri mostri della vicenda. Ecco un estratto: “Un castello di menzogne senza che la coscienza di nessuno di voi, lei compreso, avesse un sussulto? …All’interno della banca ci dicevano che la banca era sull’orlo del fallimento, e che l’aumento di capitale serviva a salvarci e che se non ci fossimo dati da fare la banca avrebbe chiuso e noi saremmo stati licenziati. Ecco perché ognuno di noi convinceva più clienti possibili… La logica del mors tua vita mea l’ha spinta a tradire la fiducia dei suoi clienti?” (12 dicembre).

Infine l’articolo di Andrea Bonanni apparso sullo stesso numero di Repubblica condensa piuttosto bene i vari motivi ideologici di cui si è servita la stampa nella sua opera di colpevolizzazione dei risparmiatori, facendo passare gli artefici del decreto come abili politici che lavorano per il benessere generale dei cittadini italiani. Con la direttiva europea Brrd, “l’Europa cerca di ridurre la spesa pubblica italiana per far pagare meno tasse ai suoi cittadini e rilanciare l’economia… L’Italia ha approvato queste norme, gli eurodeputati italiani, in grande maggioranza, le hanno votate. Hanno fatto bene. Hanno difeso l’interesse dei contribuenti, che è lo scopo per cui sono stati eletti e vengono pagati, contro l’interesse delle banche… È vero che, nella vicenda delle quattro banche, molti piccoli investitori, attratti da alti tassi di interesse, si sono fatti ingannare da funzionari truffaldini e hanno messo i loro soldi in titoli ad alto rischio credendoli al sicuro… Questa è certamente una tragedia per chi ha perso il proprio investimento. Ma si tratta di un comune caso di truffa, un abuso di fiducia certo di competenza dei tribunali”.

È necessario infine soffermarsi su un punto di importanza cruciale. La data del 10 dicembre ha segnato un punto di svolta anche per un altro motivo. Lo stesso giorno in cui si sono rese note le ragioni del suicidio di Luigino d’Angelo, si è tenuta una manifestazione dei risparmiatori ad Arezzo, davanti a Banca Etruria. È stata la prima mobilitazione organizzata dai risparmiatori che ha forzato non solo la stampa, ma soprattutto politici e governo a mettersi sulla difensiva. Sarebbe forse impossibile da dimostrare empiricamente, ma pressioni di questo tipo hanno sicuramente giocato un ruolo fondamentale. Non è un caso che si inizi a parlare di risarcimenti e rimborsi precisamente lo stesso giorno (11 dicembre) in cui si rende nota la manifestazione ad Arezzo. A fornirci un indizio interessante sotto questo punto di vista è la stessa Repubblica, dove si afferma che “un anticipo di indennizzo a chi ha perso tutto o quasi” sarebbe “una mossa di certo audace, voluta dal governo per «attenuare la tensione» esplosa soprattutto attorno all’istituto toscano… nell’occhio del ciclone delle proteste e delle polemiche politiche”. Sul Corriere del giorno successivo “Padoan parla di contributo da parte delle banche”; il ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio riferisce che “l’obiettivo [del rimborso] è di «salvaguardare i cittadini che hanno investito in modo inconsapevole»” (13 dicembre); vengono poi forniti alcuni dettagli sugli arbitrati, nella speranza di placare le agitazioni e allentare le tensioni.

Tuttavia non c’è un granché da esultare. Come viene correttamente sottolineato da Antonio Alia nell’articolo già citato, nel punto in cui si riferisce allo strumento dell’arbitrato, “ovvero alla valutazione, caso per caso e per via giudiziaria, dell’esistenza di illeciti a cui vincolare il risarcimento”: “Ci sembra che la consapevolezza che si tratti di una falsa soluzione… che rischia di risarcire solo parzialmente i risparmiatori e di punire soltanto i pesci più piccoli, distogliendo l’attenzione dalle più alte responsabilità politiche, sia molto forte tra chi ha partecipato e sta partecipando alla mobilitazione. Sin dall’inizio infatti i due obiettivi di lotta sono stati molto chiari: il netto rifiuto dell’arbitrato e il risarcimento completo e generalizzato senza distinzione tra azionisti e obbligazionisti”. I risparmiatori vittime del Salva Banche hanno ottime ragioni per avanzare rimostranze in questi termini.

Lo stesso presidente della Autorità anticorruzione Raffaele Cantone ha infatti ribadito che “non ci occuperemo della crisi del sistema bancario, bensì di situazioni specifiche”. “A recuperare i loro soldi saranno quelle persone che avevano investito i loro risparmi in un modo chiaramente incongruo, considerato il loro profilo… circa 1000 persone” (Corriere, 23 dicembre); “molti rischiano comunque di non portare a casa nulla, visto che il loro investimento in subordinate era inferiore al 30%” (Repubblica, 3 gennaio).

Nel frattempo le autorità si mostrano allarmate e scongiurano ogni possibile conseguenza che possa alterare lo status quo. “Stiamo parlando di cose complicate. Per questo dico che risolverle in piazza non è facile” (Giuseppe Vegas, presidente Consob, Corriere 14 dicembre), poiché “la fiducia nel sistema creditizio è condizione essenziale di ogni possibile ripresa economica” (Antonio Polito sul Corriere, 22 dicembre). Viene fatto notare come un indennizzo sia necessario per evitare che “si inneschi una crisi di fiducia, a quel punto irreparabile e con effetto domino dagli esiti incalcolabili” (Repubblica, 2 gennaio). E mentre dalle pagine di Repubblica Renzi “assicura” che “daremo una forma di ristoro”, si cerca di far passare i risparmiatori come dei violenti, prassi comune nel condannare ogni tipo di protesta popolare. Un articolo titola “La rabbia dei risparmiatori. Ad Arezzo assaltata la sede”: “Hanno cercato di entrare nella sede di Banca Etruria, ad Arezzo, e preso a pugni la porta d’ingresso, urlando “Ladri, ladri!”, ma sono stati fermati dalle forze dell’ordine”. Sul Corriere si ridicolizza invece il “finto processo inscenato dai manifestanti… con tanto di giudice fasullo e parruccone” che era stato organizzato il 28 dicembre al presidio davanti alla sede di Banca Etruria ad Arezzo.

L’irrequietezza (l’allarmismo?) di cui danno dimostrazione le autorità politiche e amministrative coinvolte è sintomatico dell’atmosfera generale che si è andata instaurandosi nei mesi successivi alle prime proteste. E ultimamente l’atteggiamento sta cambiando di nuovo. Mentre le prime mobilitazioni, come quella del 10 dicembre ad Arezzo, del 22 dicembre a Roma sotto la sede di Banca Italia e quella del 28 nuovamente ad Arezzo hanno attirato critiche ma anche un po’ di copertura mediatica, le ultime in ordine cronologico (a Cecina il 4 marzo, a Pontassieve il 26 marzo) non hanno riscosso pressoché alcuna reazione da parte dei grandi quotidiani. Questo avviene però mentre si continuano a spargere rassicurazioni su futuri risarcimenti.

Diviene cioè sempre più palese come il tentativo di sopprimere la voce dei risparmiatori sia un ulteriore prova dell’incapacità del governo di risolvere la situazione entro limiti istituzionali, e di come, conseguentemente, si stia provando ad ignorare totalmente l’opposizione. D'altronde sarebbe da sprovveduti aspettarsi qualcosa di diverso. Un simile comportamento vuole nascondere proprio quelle responsabilità che, come abbiamo visto, si cerca incessantemente di smentire.

Credo sia opportuno a questo punto fare qualche osservazione sulla vicenda del “Salva Banche” in generale e trarre qualche conclusione per il futuro. Pur non rientrando nell’intento dell’articolo, che si limita ad analizzare la sola copertura mediatica, la gravità del contesto nel quale si inserisce impone che si dica anche qualcosa di più complessivo.

È stato sostenuto da più parti come l’azzeramento dei risparmi delle centinaia di migliaia di famiglie colpite dal decreto rientri nel più ampio quadro di declassamento del cosiddetto “ceto medio” che da diversi decenni sta prendendo sempre più forma. Si parla persino di “fine della classe media”. Eppure la drammaticità del fenomeno contiene in sé un potenziale da non sottovalutare. In un diverso scenario ma in circostanze per certi versi simili, ormai più di trent’anni fa lo storico Howard Zinn prendeva in esame la società americana, nella quale un simile fenomeno stava già iniziando a farsi sentire nella concretezza delle condizioni di vita di una larga fetta della popolazione. Zinn auspicava una rivolta, “la rivolta dei guardiani”.

“L’1 percento della nazione possiede un terzo della ricchezza. Il resto è distribuito in modo tale da rivolgere gli appartenenti al 99 percento gli uni contro gli altri. Questi gruppi sono stati ostili tra loro e si sono combattuti con tanta asprezza e violenza da lasciare in ombra ciò che avevano in comune: la posizione di chi si divide gli avanzi…

Ricordare questo significa rammentare alla gente ciò che l’establishment vorrebbe fosse dimenticato: l’enorme capacità di resistere mostrata da persone apparentemente inermi, la capacità di chiedere un cambiamento mostrata da gente apparentemente soddisfatta.

Queste persone – coloro che hanno un lavoro, che sono in qualche modo privilegiati – sono attirate in un’alleanza con l’élite. Diventano i guardiani del sistema, un cuscinetto tra le classi superiori e quelle inferiori. Se cessano di obbedire, il sistema cade.

Questo accadrà, a mio parere, solo quando tutti noi che siamo a metà tra il privilegio e il disagio ci accorgeremo di essere come gli agenti di custodia della rivolta carceraria di Attica: sacrificabili. Quando cioè capiremo che l’establishment, quale che sia la ricompensa che ci elargisce, è disposto a ucciderci se gli serve per mantenere il controllo.

Se un movimento di questo genere si diffondesse in centinaia di migliaia di luoghi in tutto il paese, sarebbe impossibile soffocarlo, perché gli stessi guardiani su cui il sistema conta per schiacciare un movimento di questo tipo sarebbero nel novero dei ribelli.”

 

* Pubblicato anche su Rigurgito critico.