Stampa

Il governo Renzi e l’espropriazione del ceto medio

on .

Articolo di inchiesta di Antonio Alia sulle mobilitazioni dei risparmiatori contro il salva-banche

Circa 11.000 risparmiatori retail – cioè non istituzionali come banche o fondi di investimento – colpiti, per un totale di circa 330 milioni in titoli obbligazionari trasformati in carta straccia in seguito al fallimento indotto di Banca Etruria, Carife, Carichieti e Banca Marche. A cui bisogna aggiungere 120.000 piccoli azionisti che possedevano azioni, all’ultimo giorno di quotazione, per un valore di 500 milioni, ridotti a zero in una notte dal governo guidato da Matteo Renzi. 880.000 milioni di euro espropriati per decreto legge e finiti nel circuito di valorizzazione della rendita finanziaria.

PD, finanza, Stato

A Pontassieve, comune di residenza del primo ministro, qualche chilometro a Est di Firenze, si fa strada anche se in maniera contraddittoria una certa idea sulla funzione dello Stato “minimo” neoliberale: “con queste leggi ci hanno violentato, è ora di farla finita di farci prendere in giro in questo modo. Quando usano questa violenza, la usano come Stato. Ci deve proteggere lo Stato, non ci deve violentare così...” ci ha detto un signore di mezza età arrivato in piazza Mosca, nella piccola cittadina, per partecipare alla manifestazione di sabato 26 marzo contro il decreto salva-banche e per il risarcimento generalizzato. Una piccola e pacifica manifestazione – replica di quella precedente a Laterina del 28 febbraio, quando una folla di 300 persone si recò sotto casa Boschi – che però, a giudicare dalle reazioni istituzionali, sembra abbia preoccupato a sufficienza il governo di Matteo Renzi. Da queste parti il primo ministro è conosciuto come “il Bomba” per il vizio, coltivato fin da ragazzo, di sparare balle ai quattro venti.

“Ci hanno diffidato a non uscire da questa piazza, perché noi ci siamo permessi di andare sotto casa Boschi ad urlare ladri. Ci hanno detto che ci denunciavano, abbiamo avuto una diffida dal questore e ora noi stiamo pensando ad una contromossa, vogliamo denunciare la procura e il questore perché ci hanno intimidito. È un’intimidazione che non tolleriamo perché noi siamo persone libere, non abbiamo paura di questo potere, noi siamo persone oneste e non facciamo del male a nessuno. Volevamo consegnare una lettera [a Renzi, nda], hanno riempito Pontassieve di poliziotti e carabinieri, ma che credevano che si facesse, un attentato?!! Noi siamo persone che pacificamente manifestiamo per i nostri diritti, ma perché ci devono essere vietate queste cose qui? E da governi che nessuno ha neanche eletto?!”.

Evidentemente, nonostante i numeri esigui ma potenzialmente esplosivi, la mobilitazione iniziata circa quattro mesi fa, prima su facebook e poi proseguita per strada con cortei e presidi, è per il Partito Democratico una brutta gatta da pelare. Chi si sta mobilitando appartiene infatti a quegli strati sociali (ceto medio, operaio e impiegatizio, piccoli commercianti) e proviene da quei territori (Toscana, Abruzzo, Emilia Romagna, Marche) che hanno storicamente rappresentato la sua base elettorale. Uno dei tanti cartelli agitati in piazza Mosca a Pontassieve con estrema chiarezza identificava problemi e precise responsabilità politiche: “Banche protette da un governo PD illegittimo già denunciato per colpo di stato finanziario. Questa è dittatura democratica”.

Anche per la Sig.ra Giovanna, dirigente Inail in pensione, le responsabilità del Partito Democratico sono evidenti e vanno al di là del decreto salva-banche. Ci ha raccontato di Ferrara. Una vicenda più vecchia e parallela a quella del recente fallimento della Cassa di Risparmio, come dice lei stessa passata sotto silenzio, ma che restituisce in maniera esemplare l’intreccio che lega politica, finanza e sistema delle cooperative: “Ferrara è sempre stata un feudo PD, abbiamo avuto la Coop Costruttori che è fallita in modo miserando, un capitale enorme di macchinari abbandonati alle intemperie, cioè i liquidatori non hanno assolutamente lavorato per recuperare i grandi capitali, i soci sovvenzionatori e diciamo i soci prestatori d’opera sono rimasti dentro con un mucchio di crediti che non sono riusciti a percepire, i gruppi si sono suddivisi e i ricorsi all’autorità giudiziaria sono falliti nel senso che hanno dato ragione alle imprese. Legacoop aveva garantito ai soci sovvenzionatori il rimborso del risparmio, perché comunque nel sistema cooperativo garantiva Coop Costruttori. Questo non è accaduto e continuiamo ad avere delle persone che sperano, che continuano a mantenere vive delle azioni, interrompendo la prescrizione. Questa è una vicenda emblematica che è finita nel silenzio e il PD è connivente”.

A sentire queste storie, vengono in mente le parole di Christian Marazzi intervistato da Commonware poco tempo fa: “l’accesso al credito, quindi la possibilità di indebitarsi per fare investimenti remunerativi, appartiene soltanto a persone che hanno alti redditi o che sono politicamente immanicate. Non esiste altro modo di produrre rendita a mezzo di indebitamento”.

Eccolo il nocciolo duro che si nasconde dietro il fallimento delle 4 banche: produzione di rendita a mezzo di indebitamento facilitata dalla violenza di Stato. A Pontassieve è chiaro a tutti come funziona oggi questa forma di accumulazione di capitale: “non hanno capito che hanno tolto altra liquidità dal sistema circolante, tutte le obbligazioni subordinate delle altre banche hanno avuto un calo del 50% e quindi questi soldi se prima erano 60 miliardi ora sono 30 miliardi. I soldi vengono levati dalle banche, Banca Etruria ha avuto 1mld di uscite nel mese di dicembre e hai voglia di avere più di 444 milioni di capitale sociale, sono sempre in deficit”.

Truffa di sistema

“La mi’ mamma la chiamarono, le fu detto che c’era da fare un’operazione vantaggiosa e mia madre disse se c’è da prendere qualcosa in più perché no. Però disse, io soldi ora non ne ho, aveva 75 mila euro che custodiva in banca in Btp, un taglio da 50.000 euro e uno da 25.000, al 3,75%. Le dissero: se vende questi qui prende quest’altri al 5%, senza specificare il tipo di acquisto. Mia madre, che all’epoca aveva 90 anni, fiduciosa perché si sta in una frazione di 500 abitanti dove c’è uno sportello avanzato di Banca Etruria sicché c’è un rapporto come c’è con il medico di famiglia. Se prendo qualcosa in più… senza spiegarle, che anche se non fosse successo niente di quello che è accaduto oggi ma che i soldi fossero stati restituiti, mia madre sarebbe stata fregata lo stesso, perché sulla cedola del Btp si pagava il 12,5% di tasse mentre sulla cedola delle subordinate ci paga il 26%. Sicché se la differenza di tasso di interesse è 1,25% e qui ci pago il 12,5% e lì il 26% quell’1,25% va via. Ma ce n’è un’altra. Purtroppo la vita ha una fine. A 92 anni se succede una disgrazia con il Btp non accade nulla ma con le obbligazioni sulla successione su 75.000 euro bisognava pagare 3.000 euro di tasse. Pensate un po’ che operazione hanno fatto fare a mia madre”.

“La nostra vicenda è che ci hanno chiamato a casa, ci sono due soldi nel conto corrente e sarebbe bene che voi vi presentaste in banca così da prenderci qualcosina in più. Il conto corrente non frutta niente. Siamo andati in banca e l’interesse era pochissimo, il 2-2,5% ma tanto per prendere qualcosa in più. E ci hanno fatto queste, come si chiamano... obbligazioni subordinate. Ma che erano subordinate non ce l’hanno detto e poi non si sarebbe capito che voleva dire subordinate. Ora s’è capito tutto, siamo diventati banchieri. Io mi fidavo perché erano 42 anni che mi servivo in quella filiale, la filiale di sotto casa, in un’altra filiale sempre di Banca Etruria ci siamo serviti per altri 22 anni, sicché con Banca Etruria ci siamo serviti per 64 anni... Noi avevamo un distributore di carburante, ci siamo fatti un mazzo così per mettere da parte due soldi, e in quattro balletti ce li hanno fregati e noi li rivogliamo tutti”.

Nei racconti delle persone colpite dal decreto salva-banche l’identificazione con la figura del risparmiatore truffato – vittima di operazioni bancarie ai limiti della legalità e dei raggiri del consulente di cui ci si fidava ciecamente – è spesso accentuata e ritorna con una certa regolarità. Tuttavia questo elemento è accompagnato dalla consapevolezza sempre più forte che non è possibile ridurre l’intera vicenda ad un insieme di piccole truffe subite individualmente e che il problema è di tipo politico e strutturale, di assetto dei poteri in campo. Si fa strada cioè l’idea che si stia fronteggiando il regolare funzionamento di un sistema politico-economico che produce crisi per espropriare ricchezza dal basso. Un post sull’animato gruppo facebook “Vittime del salva-banche” sottolinea molto chiaramente questo punto: “finalmente si inizia ad entrare in quello che è il vero marcio della vicenda cioè l’operato di BdI [Banca d’Italia, nda] che approfittando della nuova normativa, con la compiacenza quindi del governo, ha portato volontariamente al fallimento le 4 banche invece di tentare di salvarle. Fino ad oggi si è solo parlato delle persone truffate allo sportello degli anzani etc, ma quello secondo me è avvenuto sempre ed in tutti gli istituti negli anni passati, ma alla fine le obbligazioni sono sempre state pagate per cui non è mai venuto fuori nulla. La vera truffa è stata fatta da governo/bdi che hanno deliberatamente fatto fallire queste banche a spese dei risparmiatori (obbligazionisti/azionisti) perché per il sistema bancario la gestione dei crediti deteriorati e la cessione delle newbank ripulite a spese dei risparmiatori è un affare d’oro”. E un’altra signora aggiunge: “L’hanno fatta fallire [Carife, nda] perché queste piccole banche devono essere assimilate a poco prezzo da Banca Intesa e Unicredit perché evidentemente devono finanziare opere pubbliche che daranno vantaggi ai soliti amici di amici”.
La truffa c’è ma è di sistema.

Esplosione del ceto medio

Il fallimento delle 4 banche ci segnala un nodo politico tendenzialmente strategico. Da un lato l’esplosione e il declassamento del ceto medio – conclamati anche dalla sociologia più accademica – che si manifesta con espressioni politiche spurie ed ambivalenti. Dall’altro un processo di espropriazione di ricchezza che ha dimensione continentale e che in Italia punta a mettere le mani sul piccolo risparmio che, per limitarsi ai titoli obbligazionari posseduti dalle famiglie, rappresenta (dati Banca d’Italia) un bottino di 31 miliardi di euro.

Risparmi accantonati in una vita di lavoro. Da impiegate del settore pubblico e privato, da operai e piccoli commercianti. Figure che potremmo collocare nel ceto medio e operaio, che hanno potuto godere delle garanzie residuali del patto sociale fordista ma che negli ultimi quattro decenni hanno subito un forte e progressivo impoverimento. Si tratta dello strato sociale che ha alimentato i processi di finanziarizzazione, costretto ad affidarsi a banche e mercati finanziari per rimediare all’esaurimento della proprietà sociale. I loro risparmi – che per dirla con Marazzi rappresentano la coda del fordismo – sono per la generazione dei loro figli e delle loro figlie, quella dei precari nati dagli anni ‘80 in poi, l’unica forma di ammortizzatore sociale esistente. Laura, una giovane precaria part-time, una delle figure più attive all’interno della mobilitazione, figlia di una simpatica signora che ha gestito per una vita un distributore di carburanti e che ha perso la maggior parte dei risparmi con il crack di Banca Etruria, ha una profonda consapevolezza di questi processi: “io lavoro part-time e precaria quindi i soldi della mia famiglia mi avrebbero fatto comodo, anche perché oggi come oggi è difficile trovare un lavoro che ti consente di mettere da parte i soldi come facevano i nostri genitori”. Impoverire, espropriare ricchezza ai genitori per costringere a condizioni di lavoro sempre peggiori i figli e le figlie: ecco la verità del decreto salva-banche firmato dal governo Renzi.

“Onestà” di classe

“Ribaltiamo la violenza dello Stato così, stando in piazza perché noi siamo gente onesta e perbene e non abbiamo paura di nessuno, non come dice la Sig.ra Boschi che dice di avere il babbo onesto e perbene, noi siamo onesti e perbene e non abbiamo paura di nessuno perché la nostra onestà è limpida e trasparente e chiunque può vedere questa cosa”.

Non bisogna mai lasciarsi intrappolare dai significanti quando si tenta di comprendere gli umori e le istanze che si agitano all’interno della composizione di classe. L’attenzione va posta invece alla materialità dei significati. Onestà e perbenismo ritornano con una certa insistenza nelle retoriche auto-rappresentative dei risparmiatori espropriati e tuttavia per capirne l’uso che ne viene fatto bisogna tenere in forte considerazione un elemento di contesto fondamentale: la propaganda mediatica del governo che ha tentato di mettere alla stregua di speculatori di professione i risparmiatori colpiti dal decreto salva-banche. “Quando ti ci chiama una persona che ricopre un ruolo istituzionale in una trasmissione televisiva con la volontà di diffondere questo messaggio la cosa fa ancora più male perché lo sanno benissimo chi siamo. Non è l’ignoranza, lo sanno benissimo chi siamo, la smettano di raccontare frottole su frottole, ci hanno già ingannato abbastanza. Basta”.

Se contestualizzate, queste categorie non indicano esclusivamente una differenza morale. Ci sembra invece che scavando al fondo delle parole si possa trovare una radicale differenza di classe. L’onestà – con tutte le sue ambivalenze – indica rispetto ai corrotti una diversa collocazione nel rapporto sociale capitalistico. Da un lato c’è la corruzione prodotta da una forma di accumulazione fondata sulla rendita finanziaria, ci sono i funzionari di sistema il cui accesso al denaro non dipende dal lavoro ma dalla speculazione. Dall’altro c’è l’onesta fatica, il sudore e l’orgoglio di chi ha ancora bisogno di vendere la propria forza-lavoro per accedere alla ricchezza. In forme diverse e rinnovate a Pontassieve lo scontro è ancora tra operai e capitale. 

Europa

Il 26 marzo, mentre era in corso la manifestazione a Pontassieve, la Commissione Europea ha respinto la proposta del governo – poco chiara nei dettagli – di estendere la copertura del fondo di solidarietà di 100 milioni con cui risarcire i risparmiatori. Che la dialettica tra governo e UE sia solo un gioco delle parti è evidente a tutti. Un post pubblicato su fb lo denuncia molto chiaramente: “ragazzi parliamoci chiaro, stiamo oltrepassando il ridicolo, dopo il teatrino di rimpalli tra governo e UE che vi è stato prima della risoluzione vi pare possibile che un governo che DAVVERO vuole rimborsare gli obbligazionisti vada a chiedere il permesso a chi (come il governo stesso dice) ne ha imposto l’azzeramento ossia la commissione UE?”.

A Pontassieve, l’impressione è stata che le spinte sovraniste e antieuropee fossero presenti e molto condivise. “Io sarei per uscire [dall’UE, nda], la Germania l’altra volta ce l’ha fatta con le armi la guerra, questa volta i tempi sono cambiati, ce la fa con la finanza e fa il bello e il cattivo tempo”. Un cartello retto in piazza da una signora aggiungeva: “fuori il ministro Boschi e tutto il governo abusivo non eletto. Che il popolo torni sovrano”. Sovranità e antieuropeismo convivono con un’idea molto precisa del funzionamento dell’Unione Europea e con una timida speranza in un’Europa dei popoli che tende però ad enfatizzare ancora la rivendicazione di una sovranità popolare e a tratti nazionalista.

“Non dobbiamo essere schiavi dell’UE, la nostra Europa deve essere fondata sulle persone, non sulle banche, queste banche ci hanno rotto le scatole, che se ne vadano. Le banche devono servire le persone, l’economia, non devono speculare in borsa, quindi prima di tutto dobbiamo dividerle le banche commerciali e le banche finanziarie e le banche commerciali devono servire a dare ossigeno alla popolazione, alle imprese. È ora di farla finita co’ sig. Renzi, è ora di farla finita che ci prende per il culo, ne abbiamo le palle piene. Noi vogliamo comandare il nostro popolo, vogliamo che il nostro popolo abbia la precedenza su tutti. Non dobbiamo essere servi dell’Europa, è l’Europa che deve servire a noi, per andare avanti per poter evolvere e andare verso un’Europa dei popoli, delle popolazioni, non delle banche e di Draghi”.

Quello dell’Europa è un nodo politico fondamentale, rispetto al quale se si adottano posture ideologiche si rischia di consegnare nelle mani dei populismi di destra ampi strati di composizione di classe. Bisogna invece assumere fino in fondo il metodo della composizione, per evitare le secche dell’ideologia e la fuga senza gambe nell’autonomia del politico. Le parole ascoltate in piazza Mosca ci interrogano profondamente, richiamano un problema fondamentale su cui un vecchio editoriale di Commonware aveva già posto l’attenzione con estrema chiarezza: “non c’è dubbio che oggi dire Unione Europea e austerity significhi per molti – innanzitutto a livello popolare – nominare il paese che le guida, cioè la Germania, suscitando sentimenti di indignazione o aperta contrapposizione al ‘colonialismo finanziario’. Non c’è dubbio, al contempo, che la questione sia chiaramente ambigua, perché rischia di sfociare in posizioni anti-tedesche da punti di vista sovranisti o nazionalisti (come cercano di fare parte delle destre). È possibile dare ai sentimenti contro la Germania una curvatura internazionalista e non nazionalista, quindi farne terreno di lotta comune contro il capitale finanziario e non tra popolazioni?” Da piazza Mosca a Pontassieve, ci sembra ancora una domanda dirimente.

Non c’è quindi europeismo che tenga se non si fanno i conti con la materialità delle istanze sovraniste ed antieuropee che sono presenti in ampi strati della composizione di classe. Sia chiaro: fare i conti non significa in nessun modo assecondare. 

Mobilitazione e propaganda di governo

“Per Carife, Luigi Marattin, assessore al bilancio del comune di Ferrara tra il 2009 e il 2013 ora consigliere economico di Renzi a Roma, dice che siamo stati sprovveduti e speculatori. Se questo è un professionista, titolare di cattedra, non so se associato o ordinario, di cattedra di economia a Bologna si permette di dire così dei risparmiatori, io mi domando ma questa persona deve governare uno stato o darla ad intendere e fare delle manovre funzionali a gruppi economici più o meno individuati?!”.

All’inizio della vicenda la strategia del governo è stata quella di delegittimare la rivendicazione del risarcimento generalizzato tentando di appiccicare ai risparmiatori colpiti dal decreto salva-banche il profilo di speculatori consapevoli dei loro rischi a cui quindi niente era dovuto. Per il governo Renzi, in perfetta sintonia con la chiacchiera postmoderna, non c’è nessuna differenza tra la Sig.ra Giovanna, ex impiegata Inail, e Warren Buffet. Non è secondario che la propaganda di governo sia stata portata avanti da docenti universitari. Il governo Renzi – ma si tratta probabilmente di un aspetto che caratterizza le funzioni governamentali nelle contemporanee società della conoscenza – deve incessantemente ricorrere ad un surplus di legittimità che tenta di ottenere facendo leva sulla funzione ideologica del sapere accademico e degli esperti. È uno schema che si ripete e che nelle situazioni di potenziale crisi politica si manifesta con estrema chiarezza. Basti pensare, per fare un solo altro esempio, agli appelli alla guerra lanciati dal prof. Panebianco sulle pagine del Corsera. Anch’egli come Marattin docente dell’ateneo bolognese. Anche da questo punto di vista quindi l’università continua ad essere un terreno di lotta fondamentale: solo gli stupidi o gli schifosi opportunisti non lo capiscono.

La prima vittoria, ancorché parziale, della mobilitazione è stata proprio quella di essere riuscita a smontare la narrazione tossica del governo e ad imporre all’agenda politica il nodo del risarcimento. Si è quindi aperta una nuova fase, fatta di notizie contraddittorie, scadenze annunciate e mai rispettate, promesse (anche di risarcimento totale) senza impegni concreti, rimpalli di responsabilità tra governo e UE: una chiara strategia per prendere tempo e sfiancare la lotta. C’è un elemento a nostro avviso importante da sottolineare. In questa seconda fase la narrazione della truffa individuale – confermata e rilanciata dall’apertura delle inchieste giudiziarie contro alcuni dirigenti bancari – rischia di fare da sponda alla soluzione fino ad ora sostenuta con più forza da governo e Commissione Europea, ma che rappresenterebbe una sconfitta concreta per molti risparmiatori. Ci riferiamo all’arbitrato, ovvero alla valutazione, caso per caso e per via giudiziaria, dell’esistenza di illeciti a cui vincolare il risarcimento. Tuttavia ci sembra pure che la consapevolezza che si tratti di una falsa soluzione – con questo non si vuol negare che degli illeciti siano stati commessi – che rischia di risarcire solo parzialmente i risparmiatori e di punire soltanto i pesci più piccoli, distogliendo l’attenzione dalle più alte responsabilità politiche, sia molto forte tra chi ha partecipato e sta partecipando alla mobilitazione. Sin dall’inizio infatti i due obiettivi di lotta sono stati molto chiari: il netto rifiuto dell’arbitrato e il risarcimento completo e generalizzato senza distinzione tra azionisti e obbligazionisti. D’altronde – si diceva – si tratta di una truffa di sistema e chi l’ha subita non è una vittima inconsapevole, ma un espropriato dalla violenza legale dello Stato. Un altro intervistato con grande lucidità politica ci ha detto: “oggi è toccato a noi, ma domani può succedere a chiunque”.

Certo, sono presenti forti ambivalenze dentro la mobilitazione contro il salva-banche. Per esempio i sentimenti di rabbia convivono con la speranza che un’interlocuzione rispettosa con le istituzioni che hanno imposto l’esproprio possa essere risolutiva. Tuttavia con il passare del tempo questa illusione si sta rapidamente esaurendo e cresce anzi la consapevolezza che occorre sbarazzarsene in fretta se non si vuole rischiare di perdere forza e incisività come accaduto a Pontassieve. In quell’occasione infatti l’aver accettato la limitazione della manifestazione all’interno dei confini della piazza (le intenzioni iniziali erano quelle di raggiungere la residenza di Renzi per consegnare una lettera), imposta da prefettura e questura, ha di fatto depotenziato la sua capacità comunicativa.

C’è infine un ultimo elemento da tenere in considerazione. La partecipazione alle iniziative pubbliche non è stata proporzionale alle dimensioni della vicenda. Probabilmente si è diffuso uno strisciante sentimento di vergogna – la vergogna di non aver capito per tempo, di essere stati truffati, di non essere stati in grado di tutelare gli interessi della propria famiglia – che può immobilizzare anche di fronte alla perdita totale dei risparmi di una vita. A questa passione triste si sta rispondendo molto efficacemente, moltiplicando le iniziative e con la gioia che solo chi lotta conosce. “Siamo qui a manifestare, non siamo un gran numero ma siamo qui a manifestare. Mi dispiace per quelli che rimangono a casa, perché perdono l’amicizia e perdono tutte queste cose belle che vengono fuori, di affiatamento tra noi altri”, sottolineava giustamente una signora a Pontassieve, in piazza Mosca, il 26 marzo scorso.