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Politiche del bisogno, bisogno di politica. Norme, soggetti e istituzioni nelle monete complementari

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Articolo di Davide Gallo Lassere nel dibattito sulla politica del bisogno

L’indicazione del dopo verrà dall’accumulazione originaria di tutto il capitale che è necessario per la critica dell’oggi. Questo mondo, così com’è, basta guardarlo per odiarlo. Per adesso, va tenuto fermo lo sguardo su questo oggetto. Raccomando: con occhi lucidi, ma con il fuoco nella mente.

Mario Tronti

In un contributo recente, Mario Tronti dispensa un consiglio importante per chi vuole opporsi a ciò che nomina la “dittatura democratica del presente”, un presente – precisa Tronti – “che vuole dominare il passato”, che si è conquistato anche il passato.

Questo consiglio – che può rappresentare un eccellente viatico per abbordare la questione dell’istituzione delle monete complementari – ha a che vedere con la riscoperta della storia bicentenaria del movimento operaio. Questa storia, ricca di esperienze tutt’oggi fondamentali per chi vuole organizzare delle vie d’uscita dalle impasse attuali, gravita principalmente attorno a due fuochi: da un lato, le pratiche mutualiste e cooperative; dall’altro, le lotte e la conflittualità sociale. È articolando questi due pilastri del movimento operaio che si sono costituiti, secondo Tronti, i sindacati e i partiti di massa che hanno stravolto la storia del XIX° e del XX° secolo, fino ad arrivare a farsi Stato e a divenire così delle potenze geoeconomiche e geopolitiche. Ora, senza entrare nei dettagli sull’inattualità della forma-partito e della forma-sindacato tradizionali o sulle metamorfosi più recenti che hanno ri-formato lo Stato, questi due poli, della cooperazione e del conflitto, non si escludono l’un l’altro. Si trovano piuttosto in una relazione d’influenza reciproca. In effetti, da un lato, è anche in seno alle organizzazioni solidaristiche e mutualistiche che si è forgiata la coscienza della propria appartenenza di classe, e, dall’altro, è per riuscire a tener duro durante gli scioperi concernenti gli aumenti salariali, la riduzione del tempo o il miglioramento delle condizioni di lavoro che sono state messe in atto delle forme di associazione e di condivisione di varia natura. Secondo Tronti, uno dei lasciti decisivi del movimento operaio, che certe monete complementari tentano a loro volta di far rivivere, consiste dunque in questa capacità di coniugare “resistenza” e “alternativa”, annodando l’esodo (più o meno parziale) dai rapporti sociali capitalistici alla produzione positiva di nuove forme d’organizzazione della vita sociale e soggettiva[1].

È dunque a partire da una prospettiva eminentemente politica che intendo affrontare la questione delle monete complementari e dell’ampio spettro di manifestazioni a cui danno adito. Vi è infatti stata negli ultimi anni un’autentica esplosione d’esperienze di vario tipo, più o meno radicali nei loro contenuti qualitativi e più o meno consistenti da un punto di vista quantitativo. Si contavano nel 2005 all’incirca 5.000 monete complementari su scala globale; se ne contano circa 13.000 oggigiorno. Si va dalle microsocietà conviviali che si riuniscono attorno a una moneta alternativa che non hanno alcun impatto economico (ma che presentano aspetti interessanti per altri riguardi), a delle iniziative, come quella del Wir svizzero o del Sardex in Sardegna, che mediano degli scambi annuali equivalenti a 1,7 miliardi di franchi svizzeri per il Wir o di 50 milioni di euro per il Sardex. In ogni caso, si tratta di monete – come indica il loro nome – che circolano in parallelo su un territorio dato (un quartiere, una città, una regione) rispetto alle valute correnti (nazionali o transnazionali, come l’euro). Queste monete non mirano a sostituirsi alle valute correnti, ma ad integrarsi ai loro circuiti, articolando la dimensione locale di un contesto specifico alla sua apertura sulla scena nazionale o internazionale. Aldilà delle differenze – su cui tornerò – queste monete contribuiscono a rafforzare il tessuto socioeconomico locale, a dinamizzare gli scambi e a promuovere le realtà del mondo associazionistico e cooperativistico, configurandosi dunque come un’arma importante nel contrastare gli effetti antisociali della crisi. (A tal proposito – che la cosa piaccia o meno – può risultare determinante il ruolo delle istituzioni pubbliche, non solamente in quanto garanti o vettori di fiducia, cosa sempre importante quando si parla di moneta, ma anche in quanto propulsori attivi di queste esperienze). Ma esse possono anche rappresentare un catalizzatore di trasformazioni sociali e di soggettivazione politica. Da cui tutto l’interesse che deve essere loro accordato.

Una nota generale, prima di addentrarci nella questione. Il mutualismo, le associazioni e le cooperative (di consumo, lavoro, credito e abitative), così come le diverse proposte che si condensano nelle reti della cosiddetta “economia sociale e solidale” o, ancora, i tentativi di ricostruzione di un welfare dal basso (sanità, educazione, diritti fondamentali) nei contesti sempre più duramente colpiti dalla recrudescenza della violenza sociale non implicano, da un punto di vista strettamente economico, una fuoriuscita dai rapporti capitalistici. Forniscono piuttosto delle risorse materiali e affettive importanti per migliorare la qualità della vita, le quali possono portare a una riconquista parziale di autonomia nelle relazioni interpersonali e nei ritmi e luoghi d’esistenza. Da ciò deriva l’ambiguità specifica che caratterizza queste esperienze: se, da un lato, svolgono una funzione sistemica riformista, dall’altro rappresentano anche degli elementi di rottura nella catena della riproduzione dell’esistente[2]. Questo discorso, che può anche valere, sotto molti aspetti, per il reddito sociale garantito, si applica molto bene alle monete complementari. Per quanto riguarda la prima possibilità, quella di un riformismo molle, queste iniziative rispondono in due modi alla razionalità capitalista: esse pacificano la conflittualità sociale restituendo un po’ di forma e di sostanza allo sgretolamento delle democrazie liberali (dei nuovi margini di autodeterminazione e dei tamponi di reddito), oppure mettono in atto dei processi di scambio e di produzione meno rudi, che possono in seguito essere sussunti e valorizzati nei circuiti capitalisti. Per ciò che concerne la seconda possibilità, invece, della rottura o d’un riformismo radicale ed espansivo, queste esperienze possono scatenare degli importanti processi d’auto-riconoscimento e di ricomposizione delle soggettività; possono propagare delle abitudini, delle passioni e degli imaginari critici, che appaiono cruciali per la formazione di una presa di posizione autonoma. È del resto quest’ultimo punto che costituisce l’insegnamento più prezioso che possiamo trarre dalla storiografia del “socialismo pratico” – a lungo occultata dall’ortodossia comunista – o da autori come E. P. Thomposon e J. Rancière.

Prima di avvicinarci ulteriormente alla questione, è bene ricapitolare in modo schematico alcuni motivi salienti. Se si prende la formula generale del capitale, D-M-D’, si nota immediatamente come il denaro vi appaia a due riprese, all’inizio e alla fine. La moneta è in effetti, e al contempo, una delle condizioni di possibilità del processo d’insieme della produzione capitalista, il suo punto di partenza (D); e anche ciò su cui esso sfocia inevitabilmente, ciò che cristallizza in modo provvisorio il circuito della riproduzione allargata del capitale (D’). Per quanto riguarda la logica del capitale, ne derivano almeno tre conseguenze, due a monte e una a valle. Ciò implica, in primo luogo, che la determinazione di ciò che si produce, in quale quantità, da parte di chi, in quali condizioni e in vista di quali finalità pertiene al detentore di moneta-credito: è la funzione creditizia della moneta che comanda la produzione (D). E ciò implica anche, in secondo luogo, per chi non ha alcun accesso immediato alla moneta, l’obbligo di mercificare la propria forza-lavoro (M) al fine di procurarsi i mezzi di scambio e di pagamento necessari a vivere e riprodursi: la maledizione che pesa su chiunque non disponga di mezzi di autosussistenza né di denaro in abbondanza. Ma ciò implica anche, a valle, lo stabilimento di una forma di moneta che sia cumulabile all’infinito, d’una riserva assoluta di valore; ossia l’istituzione di una forma di moneta puramente astratta e durabile all’infinito, sprovvista di ogni limitazione temporale, spaziale e sociale: la liquidità assoluta come forma pura di moneta-capitalista (D’).

Ora, la sottrazione a queste forme di costrizione monetaria – la determinazione politica primaria della moneta in regime capitalista è appunto di fungere da forma di dominio – apre almeno due campi di battaglia che sono via via sempre più investiti da una pluralità di soggettività, le quali s’impegnano nella costruzione di una temporalità e una spazialità maggiormente autonome tramite degli usi inediti del denaro. Per quanto concerne la temporalità, bisogna focalizzarsi su due sperimentazioni: 1. i circuiti di mutuo credito, capaci di aggirare i circuiti tradizionalmente capitalistici (bancari e borsistici) di credito, creando delle forme indipendenti di finanziamento dell’investimento, ossia delle forme di mutuo aiuto nell’anticipazione monetaria; e 2. il reddito sociale garantito, ossia l’assegnazione di mezzi di scambio e di pagamento a ognuno, indipendentemente da chi sia e da cosa faccia, come liberazione dal tempo di lavoro. Per ciò che attiene alla spazialità, invece, bisogna concentrarsi sulle monete complementari e sulle cripto-monete, in quanto tentativi di riconfigurare lo spazio degli scambi comunitari, tanto a livello geografico (ancorandosi in una territorialità specifica), che a livello virtuale (su internet). Nelle pagine seguenti mi focalizzerò solamente sulle monete complementari.

Che cosa s’intende, dunque, quando si parla di monete complementari e come funzionano in concreto? Il discorso è articolato; mi accontenterò perciò di dire che esse sono pensate e costruite a partire dai limiti. La liquidità assoluta della moneta capitalistica, che permette di scambiare, a grandi linee, qualsiasi cosa, in qualsiasi modo, in qualsiasi luogo e momento, è dovuta dal fatto che la sua validità, a grandi linee, non incontra alcun limite temporale, spaziale e sociale. Al contrario, le monete complementari s’istituiscono imponendo dei limiti alla validità della moneta. Questi limiti, chiaramente, sono stabiliti secondo una normatività precisa dai soggetti stessi che partecipano al processo istituente: esperti, imprenditori, commercianti, artigiani, rappresentanti del mondo sociale e politico, funzionari della pubblica amministrazione, attivisti, cittadini, operatori del terzo settore, ecc. ecc.

Tali limiti sono fondamentalmente di natura spaziale[3], sociale[4] e temporale[5] [le note forniscono una piccola illustrazione empirica dei diversi tipi di normatività inerenti l’istituzione dei limiti, ma non risultano essenziali al prosieguo della lettura]. È dunque attraverso l’istituzione di limiti rispondenti ai bisogni e alle istanze delle soggettività che prendono parte attivamente a queste esperienze istituenti che le monete complementari mettono in atto delle pratiche di de-finanziarizzazione e di decentralizzazione del potere economico e politico. Tuttavia, bisogna essere chiari, le monete complementari non costituiscono per nulla uno strumento omogeneo e unitario rispetto alle ricadute socioeconomiche e alle rivendicazioni politiche. Ecco perché, da diversi anni ormai, una molteplicità molto varia di soggetti si sta avvicinando sempre più a tali iniziative. Qui di seguito una piccola panoramica delle potenzialità e degli interessi scorsi in queste pratiche monetarie da 1. l’UE, 2. le amministrazioni pubbliche, 3. le PMI, 4. le partite Iva, 5. gli auto-produttori dell’agroalimentare, 6. i consumatori e 7. i movimenti sociali. (Mi soffermerò fondamentalmente sul primo e sull’ultimo punto).

1. Non è certo un azzardo se l’Europa cominci a costituire uno dei laboratori più interessanti su scala mondiale. Ciò che infatti caratterizza il continente europeo in un’ottica monetaria è l’esistenza di una sola e unica moneta: l’euro. Negli ultimi quindici anni (nell’Ue più che altrove) si sono particolarmente accentuati gli squilibri e le disuguaglianze vigenti. Ciò ha senz’altro a che fare con la crisi economica generalizzata che stiamo vivendo perlomeno dal 2008, se non da prima, ma ha anche molto a che vedere con la struttura istituzionale dell’Ue e, soprattutto, con i suoi assetti monetari. Senza sopravvalutare gli effetti delle moneta, è però un assunto ampiamente condiviso nella teoria monetaria, che una sola e unica moneta in un’area economicamente e socialmente molto differenziata quale l’UE crea delle forte divergenze nei cosiddetti “fondamentali” economici, a meno che questa moneta non venga sorretta da un solido apparato istituzionale: da una fiscalità, un budget e un sistema welfaristico veramente comuni, da una forte redistribuzione dalle regioni ricche verso quelle più in difficoltà, ecc. Ora, l’UE ha un mercato unico, ha una moneta unica, ma non dispone di un apparato istituzionale federale degno di questo nome. Ciò fa sì che, in piena crisi, si siano scavate e approfondite le asimmetrie e le divergenze tra le diverse zone del continente. Siccome a Bruxelles le oligarchie dominanti non hanno però nessuna intenzione di far passare delle politiche economiche e monetarie leggermente diverse rispetto a quelle care ai dogmi neoliberali, le monete complementari possono rappresentare da loro punto di vista uno strumento capace di puntellare queste crepe e di evitare che il castello di carta dell’euro così com’è crolli, senza dovervi apportare la benché minima modifica strutturale.

2. Le amministrazioni pubbliche s’interessano a tali progetti per diverse ragioni. In primo, come dice Laurent Baronian, che ha coniato questa bella espressione, in quanto si tratta di “soluzioni micro-keynessiane” capaci di stimolare la domanda effettiva, pilotare gli investimenti, redistribuire i redditi, produrre un effetto moltiplicatore e scoraggiare la tesaurizzazione a livello locale. Ma vi s’interessano anche a causa del Fiscal compact, del Patto di stabilità e degli altri parametri e vincoli europei, in quanto il pagamento di una parte dei salari dei dipendenti della pubblica amministrazione (come a Bristol, in Inghilterra, col Bristol pound) permette loro di liberare delle masse di denaro in valuta corrente e di rimborsare così i debiti, di mettere in atto degli investimenti e/o delle politiche sociali.

3. Le PMI trovano nelle monete complementari uno strumento decisivo di social innovation per combattere le difficoltà d’accesso al credito, per compensare il restringimento degli sbocchi di mercato e per mobilitare le risorse inutilizzate in seno ai circuiti monetari tradizionali. Esse aiutano ad affrontare le fluttuazioni dell’economia nazionale e internazionale, consolidando i legami tra i soggetti economici presenti sul territorio.

4. Le partite Iva trovano nelle monete complementari uno strumento agile e flessibile per accelerare i tempi delle retribuzioni e per abbattere i costi delle transazioni. Le monete complementari forniscono loro degli importanti spazi di manovra per allentare le pressioni del mercato.

5. Gli auto-produttori dell’agroalimentare trovano nelle monete complementari uno strumento valido per sostenere la filiera corta e per certificare l’origine e il modo in cui sono fabbricati e distribuiti i beni messi a disposizione. Esse fungono da garanzia dello spirito e della qualità delle pratiche produttive e di scambio, le quali permettono di marginalizzare la grande distribuzione e l’agro business.

6. Per i consumatori, invece, le monete complementari fungono da mezzo concreto d’azione quotidiana: si tratta, innanzitutto, di disporre di uno strumento pedagogico di riappropriazione economico-politica; ma anche di assicurarsi che gli acquisti abbiano delle ricadute positive per il territorio: spendere del denaro significa sempre, volenti o nolenti, sostenere il bene o servizio che si compra – e i rapporti sociali che l’accompagnano. (Uguale discorso ma al contrario per il boicotto, che significa sempre rifiutare di diffondere il bene o servizio – e i rapporti sociali che l’accompagnano – che si boicotta).

7. Quanto ai movimenti sociali, aldilà delle differenze, le poste in palio sono numerose e difficilmente sottovalutabili. Ciò che ha caratterizzato le mobilitazioni più recenti, in particolare nei contesti in cui la crisi si è riversata più duramente, è la centralità della sfera della riproduzione sociale, sia in termini di conflittualità nelle strade e nelle piazze, sia in termini di auto-organizzazione della cooperazione, della condivisione e del mutuo aiuto[6]. Quelle che potremmo definire “politiche del bisogno”[7], ossia le rivendicazioni concernenti il diritto alla città, al reddito, al welfare, ecc., sono divenute dei campi nei quali si sono espresse l’inventività e la forza affermativa di una vasta pluralità di soggetti. È in seno a questi terreni post-salariali che si sono create positivamente delle istituzioni alternative di contropotere economico-politico. Certo, il rischio di fungere da stampelle nei processi di smantellamento del welfare, di essere compatibili con le politiche austeritarie, di rivelarsi un mezzo di subappalto nella gestione della povertà e della precarietà delle condizioni d’esistenza – in breve: di essere recuperati politicamente – sono molto elevati. Tuttavia, le monete complementari potrebbero non solo contribuire in larga misura alla stabilizzazione e al rafforzamento della riproduzione di queste pratiche: da questo punto di vista esse rappresentano un fenomeno nevralgico per la costituzione di legami resistenti tra le esperienze mutualiste. Ma possono anche contribuire alla costituzione di forme di soggettivazione politica più taglienti. In molti contesti[8], nel corso degli ultimi anni si è assistito a un movimento che è partito dalle attività alter-economiche centrate sulla valorizzazione dei commons e dei valori d’uso per arrivare alla mobilitazione politica nel senso più eminente del termine. Aldilà di tutte le critiche che si possono legittimamente indirizzare, si tratta 1. d’immaginare delle maniere concrete di estendere e di consolidare le esperienze imperniate attorno alla valorizzazione dei bisogni – ossia delle pratiche monetarie che valorizzano la forma “denaro come denaro” rispetto alla forma “denaro come capitale” – via la federalizzazione dei sistemi monetari complementari (com’è il caso con il sistema Fuerai-Kippu in Giappone, o con l’ancora embrionale community exchange system). Ma si tratta soprattutto 2. di fare un “uso politico”[9] di queste pratiche.

Ora, se si considera da un punto di vista materialista – e non ideologico – le sperimentazioni neomutualiste, le campagne per la libera circolazione del sapere, le lotte contro i grandi progetti inutili, le occupazioni nelle piazze, ecc., si nota che è nel corso delle mobilitazioni, via via che assumono dell’ampiezza e che si radicano nelle comunità specifiche, che si forgiano delle nuove soggettività e che si sviluppano dei comportamenti differenti. O, meglio, è quando i movimenti riescono a raggiungere le condotte di vita e le visioni del mondo dei soggetti che acquisiscono dello spessore. È ciò che mostrano i processi d’istituzione dei beni comuni, che si tratti degli hackers che si battono per la diffusione del free software o dei cittadini implicati nella gestione comunale delle risorse. Non vi può essere alcun soggetto privilegiato anteriore alle pratiche di auto-emancipazione, ma solamente la formazione di un gruppo etico-politico che si soggettivizza durante l’organizzazione stessa della propria rivendicazione. Ciò che si è prodotto nelle esperienze più riuscite è dunque la coincidenza tra la trasformazione delle circostanze sociali e l’auto-trasformazione delle soggettività stesse all’interno di un contesto oggettivo particolare che condiziona pesantemente la coevoluzione di questo doppio processo.

La produttività politica – ecco la scommessa – che è stata scatenata nei casi più felici dalle pratiche alter-economiche è inerente anche alle monete complementari. La moneta non deve infatti essere considerata esclusivamente come uno strumento di comando sull’uso della forza-lavoro, d’estrazione di plusvalore e di diffusione d’immagini del mondo propriamente capitalistiche. La moneta può e deve divenire un oggetto da reinvestire strategicamente, capace, come essa è, di catalizzare le passioni sociali più vive e di veicolare delle mutazioni di vasta portata. Se esiste un oggetto che, da un lato, si rivela un ostacolo cruciale nell’autodeterminazione dei soggetti e che, dall’altro, è anche una molla innegabile di autonomia formale e sostanziale in vista dell’autorealizzazione personale, questo è proprio la moneta. La moneta è uno strumento di dominio, ciò è evidente. Ma essa è anche, e al contempo, una delle principali condizioni di possibilità per l’auto-emancipazione. La sua plasticità e il suo carattere assolutamente centrale nei rapporti sociali ne fanno una realtà di primaria importanza – una gran quantità di relazioni con sé, con gli altri e col mondo essendo da essa mediata. Malgrado le tendenze – keynesiane e tecnofile – più che latenti in queste sperimentazioni di sovrastimare il mezzo monetario rispetto alle soggettività che ne fanno uso, non bisogna dimenticare che la moneta è un’istituzione che possiede un carattere eminentemente normativo e prescrittivo; che è un oggetto particolare, istituibile in modo tale da divenire appropriabile da dei soggetti e strumentalizzabile a loro vantaggio nell’arena sociale. Seguendo gli insegnamenti che si possono trarre da certe esperienze concrete e da alcuni dibattiti recenti[10], si può dunque concludere che lo scontro tra le istanze normative avanzate da differenti soggettività che si coagulano nel processo d’istituzionalizzazione della moneta complementare giochi un ruolo di primo piano. Una volta investita da questa lotta tra norme divergenti, essa può costituire un demoltiplicatore di trasformazioni sociali e soggettive capace di produrre il passaggio dalle politiche del bisogno, al bisogno di politica. In assenza di tale evoluzione, essa si condanna invece a ricoprire un ruolo – per quanto importante e comprensibile: crise oblige – di sussidiarietà socioeconomica e politico-culturale.



[1] M. Tronti, In nuove terre per antiche strade, disponibile gratuitamente online alla pagina http://www.centroriformastato.it/wp-content/uploads/tronti_nuove_terre.pdf.

[3] Le monete complementari sono uno strumento di resilienza capace d’assorbire i contraccolpi delle fluttuazioni dell’economia nazionale e internazionale proprio perché non sono valide che a un certo livello geografico – il quartiere, la città, la regione… È questo limite spaziale che permette di serrare i ranghi, ricostituire e/o rinforzare i legami tra una pluralità di soggetti presenti su un territorio, mettendo il più possibile ai margini la grande distribuzione, le multinazionali e l’intermediazione bancaria e finanziaria.

[4] I limiti sociali possono mirare l’interdizione di scambiare certi servizi e prodotti che non rispondono ai criteri socio-ecologici in linea con gli ideali incorporati dalla moneta (come nei progetti più connotati politicamente o come con l’Eusko, per esempio, la moneta complementare che circola nei Paesi baschi francesi, una delle più grosse monete per taglia sul continente europeo, malgrado il fatto che manifesti delle caratteristiche solidali ed ecologiche particolarmente marcate). Ma i limiti sociale possono anche avere a che fare con ciò che potremmo chiamare la convertibilità condizionata. Normalmente, la quasi totalità delle monete complementari si scambia a un tasso di 1 a 1 con le valute correnti, ossia per acquistare 10 unità di moneta complementare sono necessari 10 euro. Ora, in molti casi, l’operazione inversa è sottomessa a dei prelievi, che possono variare in funzione dei principi che animano il circuito complementare (in certe circostanze tale operazione è persino vietata). Perché questi prelievi? Innanzitutto per delle ragioni di stabilità del sistema; per impedire che divenga oggetto di onde di “micro” speculazione. Siccome si pretende che la moneta complementare abbia certe virtuosità, se ne entra in suo possesso al fine di utilizzarla, e non per acquistarne delle grandi quantità quando ciò è conveniente per poi cederle quando non conviene più, causando sconvenienti penurie o eccessi di moneta (è esattamente ciò che è successo al Bitcoin tra la fine dell’estate e l’autunno 2013, quando il suo prezzo si è impennato fino a oltre 1.000$ l’unità, per ricascare infine attorno a qualche centinaio di dollari l’unità). Questi prelievi, tuttavia, non hanno esclusivamente a che vedere con l’equilibrio del sistema, ma anche con i principi stessi del solidarismo mutualista: se è grazie al circuito complementare che si è riusciti ad accumulare dei crediti di cui altrimenti non si sarebbe mai entrati in possesso, allora bisogna spenderli all’interno del circuito, oppure contribuire alla sua riproduzione pagando una piccola tassa nel momento in cui si vuole convertire dei crediti in valuta corrente. Questa tassa 1. può servire a sostenere i costi di gestione del sistema e, soprattutto, 2. può essere redistribuita al terzo settore, che fungerà da spenditore in ultima istanza.

[5] Certe monete complementari – quelle manifestano un carattere più apertamente sociale – impongono una perdita di valore alla moneta nel corso del tempo al fine di combattere la tesaurizzazione e di accelerare la velocità di circolazione della moneta. Ecco un esempio: il Chiemgauer, che circola da oltre dieci anni in Baviera e che è di nuovo una delle più grandi monete per taglia in Europa. Il funzionamento del Chiemgauer riposa su dei principi di democrazia che permettono ai diversi affiliati di prendere parte attivamente al governo della moneta. Lo statuto del Chiemgauer prevede così l’istituzione di diverse clausole decisive per contrastare le derive di un uso sregolato della moneta. In primo luogo, se la conversione dell’euro in Chiemgauer si effettua a un tasso di 1 a 1, l’operazione inversa è sottoposta a un’imposizione del 5%, di cui il 60% è trasferito alle associazioni, le quali hanno l’obbligo di utilizzare questa somma all’interno del circuito regionale complementare. In secondo luogo, la validità del Chiemgauer non è indefinita nel tempo: le banconote perdono una parte del loro valore ogni tre mesi (per continuare ad utilizzare dopo tale periodo è necessario incollarvi un francobollo che costa il 2% del valore nominale del biglietto); mentre i Chiemgauer elettronici ricevono un “impulso di rotazione” [Umlaufimpuls] dello 0,02% ogni giorno, ossia del 7,3% l’anno, se restano, per così dire, dormienti sui conti correnti per un periodo superiore a tre mesi.

[6] Cf., per esempio, J. Roos, Towards a New Anti-Capitalist Politics, https://roarmag.org/magazine/anti-capitalist-politics-21st-century/.

[7] Cf. A. Alia, Politica del bisogno e politica del riconoscimento: problemi aperti, http://www.commonware.org/index.php/neetwork/640-politica-del-bisogno-politica-del-riconoscimento, o C. Morini, Corpo, mente, bisogno: autogestione e valore d’uso, http://www.commonware.org/index.php/neetwork/649-corpo-mente-e-bisogni.

[8] Cf. M. Castells, J. Caraça, G. Cardoso, Aftermath: the Culture of Economic Crisis, Blackwell, Oxford, 2012.

[9] Aiutarsi per cosa?, editoriale commonware, http://www.commonware.org/index.php/framing/655-aiutarsi-per-cosa.

[10] Si veda, per esempio E. Braga, A Fumagalli, La moneta del comune, DeriveApprodi, Roma, 2015, oppure gli interventi raccolti sulla pagina di Effimera http://effimera.org/categoria/effimera/comune-reddito-moneta/.